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 2016  novembre 07 Lunedì calendario

IN TEORIA ERA GARANTITO, IN REALTÀ ERA UN “CHIANTI ANNACQUATO”

Chianti “annacquato”. Nelle bottiglie etichettate come pregiato vino Docg, cioè a denominazione d’origine controllata e garantita, ci finiva un prodotto scadente fatto con uve e mosti provenienti da Puglia e Sicilia e allungato con acqua di vegetazione, cioè con gli scarti reflui del lavaggio della cantina: l’obiettivo era abbassare la gradazione del vino fatto con la materia prima del Sud per portarla a quella che caratterizza il prodotto toscano e naturalmente moltiplicare quantità e profitti. Le prime analisi eseguite confermano le ipotesi degli investigatori.
La società coinvolta, molto nota nella zona del Chianti fiorentino, è la Coli Spa, proprietaria tra l’altro dell’azienda vitivinicola Cantine Coli, produttrice di vari vini tra cui Chianti, Chianti Classico e Chianti Colli Senesi, tutti rigorosamente Docg.
Gli imprenditori a capo dell’azienda sono finiti agli arresti domiciliari solo qualche settimane fa, alla fine della prima grande inchiesta italiana sul caporalato. Le indagini, realizzate da Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Corpo Forestale dello Stato, sono andate avanti un anno sotto la guida della Procura di Prato. Il risultato è un pugno nello stomaco.
Nella ricca Toscana, a una nota azienda vinicola locale, che produce uno dei prodotti Made in Italy più conosciuti al mondo sono stati contestati una serie di pesanti reati: sfruttamento del lavoro nero, visto che l’associazione a delinquere composta da 11 persone, tra cui gli imprenditori del vino, reclutava migranti africani richiedenti asilo e, anche attraverso violenze e intimidazioni, li costringeva a vivere ammucchiati in piccoli appartamenti e poi a lavorare per pochi euro l’ora; truffa aggravata, poiché la società coinvolta ha percepito indebitamente contributi comunitari; emissione di fatture false; interramento di rifiuti speciali; e naturalmente frode in commercio, dal momento che vendeva un prodotto molto diverso da quello dichiarato in etichetta.
Tra l’altro la Coli è recidiva. Andando a scartabellare la cronaca degli anni passati, abbiamo scoperto che nel 2000, è stata coinvolta in un’altra grande inchiesta sul Chianti taroccato. Il meccanismo allora era lo stesso, gli attori in campo molti e, di conseguenza, le quantità di vino contraffatto maggiori di oggi. All’epoca era stato calcolato che le partite di falso immesse sul mercato corrispondessero al 10% della produzione complessiva di Chianti. Tanto che la commercializzazione di 50.000 ettolitri di vino contraffatto, circa 6 milioni e mezzo di bottiglie, portarono al crollo del prezzo del vino toscano: in un anno e mezzo si passò da 400 mila lire per ettolitro, a 170.
Sull’ennesimo caso di Chianti taroccato di questi giorni, però, colpisce l’assordante silenzio dei Consorzi coinvolti. I controlli sulla correttezza delle aziende associate e sul rispetto del disciplinare dei vini Docg spetta a loro. La contraffazione danneggia sia consumatori che i produttori onesti.
Nell’ultimo le frodi in questo settore sono più che raddoppiate con un incremento record del 150% del valore di vini e alcolici sequestrati perché adulterati, contraffatti o falsificati. Nel corso del 2015 in base alle attività di controllo del solo Nucleo antisosfisticazioni dei Carabinieri, secondo un’analisi della Coldiretti, sono stati sequestrati merci per un valore di 41 milioni di euro, segnalate all’autorità giudiziaria 117 persone e all’autorità amministrativa 261.
Il danno ovviamente ricade su tutto il sistema produttivo. Ed è un vero peccato. Il vino in Italia attiva un motore economico che genera quasi 10 miliardi di fatturato solo grazie alla vendita e che dà lavoro a 1,3 milioni di persone. E anche quest’anno saremo i primi produttori al mondo con 48,8 milioni di ettolitri: il primato andrà al Veneto con 9,7 milioni di ettolitri e un aumento del 2% rispetto allo scorso anno. Di questa grande quantità di materia prima Made in Italy il 40% finirà nei 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e nei 73 Docg, mentre un altro 30% verrà utilizzato nei 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt). E anche se buona parte di quello che produciamo lo esportiamo all’estero, basta pensare all’exploit commerciale del Prosecco che ha fatto registrare un +21% nei primi sette mesi del 2016, noi restiamo degli accaniti consumatori. Beviamo circa 35 litri di vino all’anno a testa e l’Istat stima che dagli 11 anni in su il 52,2,% della popolazione ha consumato vino almeno una volta, mentre il 20,1% lo beve tutti i giorni. D’altronde consumare vino con moderazione fa anche bene alla salute: ha effetti protettivi sul cuore e riduce la mortalità per malattie cardiovascolari, perché sarebbe legato a un aumento del colesterolo HDL, quello cosiddetto “buono”, e all’incremento dei livelli di adiponectina, un ormone che riduce il rischio di diabete e malattie coronariche.