Marco Bardesono, Corriere della Sera 5/11/2016, 5 novembre 2016
I NIPOTI DI RITA LEVI MONTALCINI IN LITE PER LA CASA DELLA NOBEL
Nell’appartamento al civico 10 di corso Re Umberto la stanza della studentessa Rita Levi Montalcini è rimasta intatta. Tra quelle mura, quando era ragazza, il futuro premio Nobel per la Medicina aveva allestito il suo primo laboratorio. Gli alambicchi ci sono ancora e la casa è tenuta come un museo dalla nipote Piera che dalla zia ha ereditato l’uso dell’abitazione. Almeno così credeva. Perché giovedì scorso si sono presentati l’ufficiale giudiziario e il fabbro. Il primo ha notificato alla donna — 70 anni, una laurea in Ingegneria elettronica, ex consigliere comunale nella squadra di Chiamparino —, un’ingiunzione esecutiva di sfratto, il secondo ha cambiato la serratura. A nulla è servito telefonare ai carabinieri. Piera Levi Montalcini si è trovata sulla strada. «È proprio così — racconta —, ma per fortuna ho una figlia che ha un letto in più e mi ospita. Poi ci sono gli amici».
La nipote è stata sfrattata dalla Zefora Srl che, secondo il Tribunale, sarebbe legittimamente proprietaria del palazzo di corso Re Umberto 10. Ma, ciò che più amareggia la donna, è che tra i soci di Zefora compare il nome del fratello, Emanuele Levi Montalcini. Lo sfratto è stato l’epilogo di un complicatissimo iter testamentario, successivo alla scomparsa della scienziata. La madre di Piera ed Emanuele (vedova di Luigi Levi Montalcini, fratello di Rita ed erede del premio Nobel) alla sua morte aveva disposto il trasferimento delle quote della società immobiliare al figlio. Una clausola, però, imponeva a Emanuele di lasciare l’appartamento al secondo piano in comodato d’uso gratuito alla sorella. Poi «le corrisponda — si legge nel documento olografo — una somma in denaro, tenendo per sé la gestione, attraverso Zefora, di tutti gli appartamenti del palazzo».
Apparentemente Emanuele non sarebbe stato ai patti, ma il Tribunale avrebbe accertato che la clausola non sarebbe valida. Perché la madre già all’epoca del testamento non avrebbe potuto disporre del bene: anni fa sarebbe stato stipulato un contratto d’affitto dell’alloggio tutt’ora in corso tra Zefora Srl e Claudia Geromel, una delle due figlie di Piera. Un contratto che, per la società, non sarebbe stato rispettato. Da qui lo sfratto per morosità. «Il nome di Claudia Geromel non è vincolato a nessun testamento e quel documento non c’entra con lo sfratto — spiega l’avvocato Domenico Iodice che rappresenta Zefora —. Anche la parentela tra fratelli c’entra poco o nulla. Qui parliamo di una società con regolare contratto di locazione e un affittuario che non paga». Ma il legale di Piera, l’avvocato Walter Voltan, ribadisce: «Le disposizioni testamentarie sono chiare e non sono state rispettate».
La vicenda sembra però finire qui. «Io non intendo andare oltre — ha affermato Piera —, sono sconcertata, addolorata e incredula. Non avrei mai creduto che nella mia famiglia potesse accadere una cosa simile, è un dolore grande, mi pesa come un macigno. Se parlo ancora con mio fratello? Certo che no. Dopo quello che ha fatto». Resta un rammarico: «Mi hanno costretto ad andare via, ora mi costringono a portare via in fretta le mie cose. Dovrei inventariarle, molte erano di mia zia e non vorrei che andassero perse».