Gianni Clerici, la Repubblica 6/11/2016, 6 novembre 2016
INFINE MURRAY
Andy Murray è diventato n.1 al posto di Djokovic, che retrocede al n. 2, dopo 28 mesi di supremazia. Se guardiamo i risultati, veniamo a sapere che la seconda delle possibilità immaginate dal computer si è verificata. La prima era che Andy vincesse Parigi Bercy con Nole fuori dalla finale. La seconda che Murray raggiungesse la finale con Nole battuto nei quarti.
E’ accaduto che Djokovic sia stato battuto da Cilic (n.10) 6-4, 7-6 e che Murray sia giunto in finale contro Isner per un prudente ritiro di Raonic, che ha un gambone deboluccio.
Parigi Bercy è stato, sino ad oggi, un torneo in cui si manifestava un vivo interesse per il settimo o l’ottavo posto, per riuscire a raggiungere il punteggio necessario a qualificarsi per il Master. Ma non era stato mai decisivo, per quanto riguardava il comando della classifica Atp, computerizzata dal 1973.
Mentre i colleghi britannici stanno cadendo in un’orgia entusiastica, perché non accadeva più dai tempi di Fred Perry (1935) che un abitante dell’Isola fosse primo, mi domando se qualcuno ricorda che Andy aveva votato per l’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna, e che cosa accadrà se e quando la Scozia uscisse dal Regno Unito.
In che squadra di Davis giocherà Andy? Si chiamerà ancora Gran Bretagna? Nessuna di simili domande, certo giudicate maliziose e contrarie all’entusiasmo di un giorno, si leggerà certo, né si ascolterà alla BBC. Rimane da chiedersi come mai un tipo come Nole Djokovic, cioè il n. 1 del mondo, non sia più tale. La risposta potrebbe concentrarsi sulla dubbia condizione fisica di chi, fino alle Olimpiadi, era parso l’atleta in grado di dominare gli avversari, se il tennis fosse stato soltanto una specialità atletica, e non atletica con racchetta.
Sui maledetti campi in cemento, un fondo sul quale mai un dirigente si è espresso negativamente, Nole era – forse è ancora – capace di scivolate proibite a chiunque dei suoi avversari.
Il dolore, o forse la dolenzia, che più l’hanno disturbato di recente, è giunto però a visitargli un gomito. A parte ciò, devo riferire, perché conosco la persona, e non il personaggio, che c’era forse qualcosa di vero, nella vicenda che aveva fatto la gioia dei cronisti da tabloid, una vicenda intima, tra la moglie forse tradita e il campione, che ha intriso la cartaccia dei quotidiani dediti al pettegolezzo, e peggio. In confronto a simile reo di disinvoltura matrimoniale, Murray si andava dimostrando un bravissimo neo papà, e l’equilibrio matrimoniale pareva riflettersi su un gioco in continuo miglioramento. Un gioco che, a differenza degli scorsi anni, si era solidificato, come dimostrano le percentuali dei suoi errori in continuo ribasso, un gioco intriso della regolarità di chi ha abbandonato, ragazzo, i campi verdi dell’Isola per apprendere il tennis regolarissimo dei catalani.
Mi rileggo, per ripetermi che, in questa vicenda, ha forse influito di più il confronto tra le recenti avventure umane che quelle tennistiche. Ma, al contempo, confesso che potrei sbagliare, per una conoscenza dell’uomo Djokovic molto superficiale, e insufficiente dell’uomo Murray, al quale credo di aver rivolto una o due banali domande in conferenza stampa. Ora quella gara in perpetuo ribasso che era il Masters subirà di certo un’impennata: se a vincere fosse Djokovic, tornerà n. 1, anche con Murray eventualmente battuto in finale. Un n. 1 come io continuo a ritenere Djokovic, non esistesse la macchina detta computer.
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Già n. 2 sette anni fa L’ultimo britannico in testa alla classifica fu Fred Perry nel 1935
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