Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano 6/11/2016, 6 novembre 2016
VA IN SCENA UN PREMIER CON IL 41%. MA È STEFANO ACCORSI, NON RENZI
Un Gaetano Gifuni o un Gianni Letta, comunque un consigliere ombra, lo indottrina irritualmente: “Il presidente mi permette di suggerirle la massima prudenza con il Papa, le informazioni in mio possesso lo dipingono più prossimo al diabolico che alla santità”. Il primo ministro è giovane, si allaccia la giacca, controlla la cravatta rossa, farà di testa sua: “Troverà pane per i suoi denti”. Attende di stringere le mani alla delegazione vaticana. Una teoria infinita di “buongiorno” e dietro al premier immaginato da Sorrentino, ancora non arrivato al cospetto del Pontefice, è impossibile non vedere Matteo Renzi. Nel giovane Papa, il regista si è spinto a un’operazione che in Italia ha il solo precedente di Nanni Moretti ne Il Caimano.
Mettere in scena in tempo reale un politico, molto più individuabile del presidente Volontè chiuso in ritiro spirituale nel Todo Modo di Elio Petri, posto di fronte al più politico tra i vicari di Cristo, Lenny Belardo. Ma Petri e Moretti nei loro film morali, presaghi e quasi millenaristi, auspicando o vaticinando fine del mondo tra distruzione, rifugi sotto terra, fuochi e incendi da Reichstag, ammonivano.
Sorrentino, volutamente, non va sopra le righe. Mostra un Papa mai visto e del tutto inventato, ma non indulge al grottesco. Vede due vitalismi opposti e coincidenti. Li mette in scena. Un po’ li prende in giro, un po’ gli riconosce l’azzardo di chi gioca all’assalto, ma a carte coperte. Mentendo, anche, se serve in vista dell’obiettivo. Non cede alla caricatura né al vaticinio, Sorrentino. Non siamo più tra le fanciulle obese di Mondragone, le mozzarelle di bufala divorate dai notabili Dc ne Il Divo, ma in un territorio di pasti nudi e dialoghi sordi. Sorrentino, diverte e si diverte e apre le porte del saloon. Tra il Pio XIII interpretato da Jude Law e il premier italiano (Stefano Accorsi) va in scena un duello western che dalle lande filosofiche, a galoppo, cavalca nelle praterie del 40 per cento e delle coppie di fatto, nel ruolo della Chiesa e nell’autonomia del Parlamento.
Prima si sprecano colpi a salve, poi si spara davvero. Quando Accorsi si siede, Law ha gli occhi chiusi: “Sta forse dormendo Santo Padre?”, “no signor Presidente del Consiglio, sto pregando per lei”, “ è molto gentile da parte sua e la ringrazio per essersi deciso a ricevermi dopo soltanto 9 mesi”, “pensavo non durasse così a lungo, allora mi sono detto, perché perdere tempo?”. Stoccate: “Allora come va questa nostra Italia, presidente?”, “molto meglio, grazie a me”, “lei dice? Io sostengo il contrario”. I due si detestano. Un po’ si piacciono. Probabilmente si somigliano. Se il referendum fosse su loro stessi, voterebbero entrambi sì. Papa Belardo ha pronta la lista delle richieste, il premier le legge: “Maggior aiuto alle famiglie cattoliche, no alle unioni di fatto e ai matrimoni gay, fondi maggiori alle scuole cattoliche, maggiori benefici bancari e fiscali per la Santa Sede”. È un crescendo inarrestabile: “Divieto tassativo di aborto e divorzio, no ai cedimenti o alle tentazioni sull’eutanasia, limitazione alle libertà religiose di musulmani e induisti, riapertura della discussione sui Patti Lateranensi, piena revisione degli attuali confini territoriali dello Stato Vaticano”.
Il premier è sorpreso: “Me l’avevano detto che il nuovo papa è molto divertente”, il Papa attacca: “E le avevano detto anche che è un uomo molto più intelligente di lei?”, l’Italia tenta il contropiede: “Sa qual è la differenza tra me e lei? Che io sono stato eletto con il 41 per cento dei voti e quel 41 per cento esiste. Lei è stato eletto da dio e non è certo che dio esista”. In breve, in una dinamica egotica (“Lei è così allegro e così pieno di sé” sibila il Papa al premier) si passa in breve alla minaccia. “Sa quanto impiegherebbe dio a spazzare via dalla superficie della terra il suo 41 per cento?” dice il Papa insinuando che suggerirà ai cattolici italiani di non votare alle elezioni previste di lì a sei mesi. Il premier risponde che un Pontefice così oscurantista è una grande occasione che gli permetterà di fare “la rivoluzione” e riesaminare nei tempi morti “la colossale frode dell’8 per mille”.
Proclami, slogan, sicurezze ostentate. Un po’ Mourinho, Papa Belardo. Un po’ uomo delle stelle, Accorsi. I due si lasciano nel gelo. Il premier promette di portare in Consiglio dei ministri la mozione dell’8 per mille. Il Papa guarda in tv: “Quel giovane rampante che sta parlando in tv non farà niente di quel che dice”. Orlando si dice preoccupato per la sorte dei vescovi italiani: “Se sparissero –risponde il Papa – sarebbe poi così grave?”.