Malcom Pagani e Fabrizio Corallo, Il Fatto Quotidiano 6/11/2016, 6 novembre 2016
“LE BOTTE SUL SET, FELLINI AI FORNELLI, LA CORTE DI TOTÒ: IL CINEMA MI HA INSEGUITO” [Antonella Lualdi] – Ricorrenze incerte: “Sul passaporto c’è scritto luglio 1931 e dovrei avere 85 anni, ma i documenti del posto in cui sono venuta al mondo, Beirut, erano andati perduti e così all’anagrafe italiana mi fecero scegliere tra due diverse date di nascita
“LE BOTTE SUL SET, FELLINI AI FORNELLI, LA CORTE DI TOTÒ: IL CINEMA MI HA INSEGUITO” [Antonella Lualdi] – Ricorrenze incerte: “Sul passaporto c’è scritto luglio 1931 e dovrei avere 85 anni, ma i documenti del posto in cui sono venuta al mondo, Beirut, erano andati perduti e così all’anagrafe italiana mi fecero scegliere tra due diverse date di nascita. Optai per la più lontana, in modo che nessuno potesse dire ‘è tanto giovane, ma già ritocca l’età’”. Mentre fuma contro vento, beve caffè: “Sono già alla seconda macchinetta della mattinata” e osserva l’orizzonte di mezzogiorno abbracciare l’autunno, Antonella Lualdi, 100 film, il set diviso con Gassman, Sordi, Gabin, Mastroianni, Monicelli, Scola e Sautet, confessa di aver amato tutte le stagioni: “Ho avuto fortuna. Ero una ragazza timida, educata in un certo modo. Nata da madre greca e padre siciliano in un paese arabo. Una che all’idea di fare l’attrice inorridiva e quando veniva fermata per strada da Valerio Zurlini e dai suoi amici che volevano scritturarla, più che al provino da sostenere pensava di telefonare alla polizia”. Come andò invece? Che il cinema mi ha inseguita, corteggiata e infine conquistata. A darmi la prima occasione vera fu un’amica di mia madre. Conosceva Dino De Laurentiis. Mi aiutò a non avere timore. Proprio come Ave Ninchi. Eravamo insieme sul set di Signorinella. Io ero impacciatissima, ferma, ingessata per la paura: “Tutte queste persone – dicevo ad Ave – mi guardano. Se non se ne vanno non riesco a lavorare. Non è un mestiere per me”. Ave mi rassicurava: “Non guardano te e di te non gliene importa niente. Lavorano. E su quel binario che guardi con terrore non ci sale un treno. Si chiama carrello. Serve per riprenderti in primo piano”. Tra il ’49 e il ’54 lei partecipa a 20 film. Grandi successi popolari e prove d’autore con Lizzani o Rossellini. Fin dal secondo film ero passata dall’insicurezza all’arroganza. Sentivo di poter fare tutto. Alcuni erano apprezzabili, altri più immediati, altri ancora sottovalutati. Ho rivisto La cieca di Sorrento proprio qualche settimana fa. All’epoca sembrava robetta e invece è bellissimo. Non mi sono mai vergognata né pentita di niente. Neanche di qualche foto più o meno sexy e nemmeno della copertina di Playboy. Anzi, meno male che l’ho fatta. Perché meno male? Perché esisteva anche quell’altra parte di me e non c’era solo la santarellina o per dirla con lo slogan che per lanciarmi si era inventato De Laurentiis: “l’ingenua numero uno del cinema italiano”. Non era vero. Avevo almeno due anime. Una doppia personalità ce l’abbiamo tutti. La copertina di Playboy è del 1979. Lei appare svestita a 47 anni. Posai perché me lo chiese un amico, il fotografo Angelo Frontoni e perché il nudo vero non si vede mai. Gambe lunghissime e veli ammiccanti magari, ma c’è sempre un lenzuolo che gira e che salva, da quelle parti. Sulla sessualità e sul desiderio un tempo si era meno bigotti, anche se ai cattolici il mio personaggio in Se permettete parliamo di donne di Scola dette fastidio. Perché dette fastidio? Entro in una stanza con Gassman e mi denudo, una calza finisce sulla lampada, un’altra vola per aria. Si balla, si fa festa, si finisce per fare l’amore. La mattina dopo mi sveglio di soprassalto perché mi sono ricordata di un appuntamento. Lui minimizza: “Tranquilla, arriverai in tempo”. Io mi agito. Dissolvenza sul campanile di una chiesa. Dalla macchina scendo vestita da sposa e ad aprirmi la portiera è un altro uomo. Ne La notte brava di Bolognini è una meretrice. Quanto mi è piaciuto fare la prostituta e quanto mi sono divertita. Masticavo la gomma a bocca aperta, avevo un vestito rosso a fiori, facevo ondeggiare la borsetta con i tempi giusti. Posso dirlo? Ero perfetta. A Caracalla, sul set, si fermava la gente, abbassava il finestrino e si informava sulle tariffe. Una puttana vera non avrebbe interpretato il ruolo meglio di me. Sul set si ritrovò stretto contatto con Elsa Martinelli. Elsa mi soffriva, anzi rosicava proprio. Sul set ce le siamo date di santa ragione. Un giorno durante perse completamente la testa. Bolognini chiese di fare una prova e la vidi irrigidirsi e stringere la borsetta. Dice: “Mauro, va bene se la tengo così?” e poi mi dà una borsettata violentissima. Le rispondo con un manrovescio che per poco non le fa saltare i denti. Mauro sbianca e ordina lo stop: “Prendiamo tutti un’ora di pausa”. La trascorriamo passandoci le pezze fredde sulla faccia. Poi ci picchiammo ancora, anche nel film vero. Avete fatto pace? Non ci siamo parlate per 50 anni. L’ho rivista recentemente. Erano passati tanti anni: “Elsa, cara, ti ricordi che ce le siamo date noi due?”. Lei ha fatto un sorriso di circostanza. Si ricordava bene. Nei primi anni 50 lei incontra l’uomo della sua vita, Franco Interlenghi, protagonista di Sciuscià e de I vitelloni. Franco era una persona vera che non aveva le tipiche fisime degli attori. Io forse ero più zingara di lui, ma ci legava una condivisione profonda. Eravamo pazzi l’uno dell’altra e siamo stati fortunati. Io non mi guardavo in giro e la stessa cosa faceva lui. Eravate molto corteggiati? Intorno a noi eravamo pieni di bellezza, ma non la guardavamo. Che poi l’amore non è solo bellezza. Un calvo forse non può farti soffrire? Brigitte Bardot ad esempio era pazza di Franco. Provò a portarselo a letto in ogni modo. Ma lui niente. Lei piangeva. Ed erano lacrime sincere, non frivole. Si innamorava ogni 15 giorni e si lacerava. Per lo spagnolo mentre stava con il francese e per il francese mentre abbracciava l’inglese. Io e Franco eravamo diversi. Due bravi ragazzi che alle barzellette preferivano la realtà. Pasolini diceva che eravamo semplici e ci invitava a rimanere tali: “Le vostre figlie, Antonella e Stella, sono meravigliose – ci sussurrò a Forte dei Marmi – ma voi le state crescendo ed educando in maniera troppo aristocratica. Lasciate che rimangano come voi, non ne cambiate la natura”. E aveva ragione? E chi lo sa? Essere genitori è complicato, ma se anche oggi ho un bel rapporto con le mie figlie così tremenda non devo essere stata. Pasolini le piaceva? Pasolini era un uomo che se fosse stato maschio mi sarei sposato. Con Franco andavamo alle partite di pallone che organizzava in campagna. C’erano Ninetto, Citti, un prato grande, un agonismo sorprendente e la voglia di ritrovarsi a parlare insieme e a mangiare dopo la battaglia. Gli amici sono stati importanti? Fondamentali. Come il cibo. Era un pretesto, ma univa. Alberto Sordi passava sotto casa, citofonava e chiedeva della bambinaia spagnola: “È a casa con voi?”. Al “sì” saliva le scale, appoggiava la chitarra in un angolo e iniziava a sedurla perché prima di tutto Sordi era un grande seduttore. Le faceva la corte? Faceva la corte al suo tocco culinario. Lei sapeva cucinare una frittata di cipolle da urlo. Sordi ci si buttava felice e poi, da un momento all’altro cambiava desiderio: “Antonè, la frittata è buona, ma non potresti mette su dù spaghetti al volo?”. Almeno Alberto non aveva velleità da cuoco. Chi aveva velleità da cuoco? Fellini. Era il più caro amico di Franco e per anni di domenica abbiamo pranzato insieme a Roma o a Fregene. Federico si metteva ai fornelli e ci infliggeva la sua punizione. Certi fritti, carciofi soprattutto, assolutamente indigeribili. Giulietta mi si avvicinava: “Immangiabili, eh? Perché non glielo dici tu che fanno schifo?”. E io pronta: “Ma neanche per sogno, tu mi vuoi far litigare con tuo marito per evitare di litigarci tu. Se me lo chiede gli dirò che sono buonissimi e non ho mai mangiato di meglio nella vita”. Che rapporto ha avuto con i tanti registi che l’hanno diretta? Sono stata una scolara ubbidiente. Ho seguito le loro idee, anche quando non ero d’accordo. Certi incontri mi hanno restituito soddisfazioni enormi. Gli abbracci di Jean Cocteau a Cannes durante la premiazione di Cronache di poveri amanti di Lizzani non me li sono più dimenticati. Fu felice anche la collaborazione con Rossellini? In Amori di mezzo secolo, ho interpretato uno dei personaggi che ho amato di più. L’episodio si intitola Napoli 1943. Sono una fatina del San Carlo che esce in una città spettrale con una parrucca bionda sulla testa. Nel rifugio in cui cerca riparo si innamora di un giovane soldato. Finiscono per dimenticare la guerra e si amano. Escono insieme all’aria aperta e rapiti dalla passione finiscono per ignorare persino la sirena che annuncia il bombardamento. Muoiono così. Colpiti da una bomba e si chiedono: “Cosa abbiamo fatto di male?”. Era una storia delicata e surreale. E colpì Fellini che era sempre sul nostro set e da lì prese spunto per La strada. Fu un piccolo furto, molto umano. Federico era una spugna. Vedeva, godeva, viveva. E Rossellini? “Voglio fare un film solo con te – diceva – lo voglio intitolare Anima bella”. “Fallo – rispondevo – io non vedo l’ora”. Per un periodo – giravamo a Napoli – tornavamo insieme a Roma nei fine settimana. Roberto guidava e correva come un pazzo. Ma io tornavo da Franco, lui da Ingrid Bergman e non c’era troppo da ragionare. Durante il percorso gli domandavo di Ingrid: “Com’è? – gli chiedevo – È dolce?”. “Per carità – rispondeva – è una iena”. Rossellini è sempre stato con donne molto forti perché evidentemente andavano bene per lui. Lo era Bergman e lo era Anna Magnani. Lei l’ha conosciuta? Fin da quando, alla Lux, gli uffici di Carlo Ponti e Dino De Laurentiis erano nello stesso edificio. Silvana entrava da Dino, Sofia Loren andava da Ponti. Mangano era già lanciata e primeggiava. Era la moglie del produttore e Dino la adorava: “Mi mancano le scarpe e l’impermeabile diceva” e lui provvedeva con un camion pieno di scarpe o di impermeabili. Era una donna felice? In verità soffriva. Sentiva di essere stata l’attrice di Riso Amaro e di essere arrivata a quel risultato da sola. Vedersi considerata come l’appendice di un altro la addolorava. Era anche una donna tormentata e gelida. Un anno Dino ci invitò in vacanza a Cap Ferrat. Lui si prodigava per gli ospiti, lei non si degnava neanche di scendere a salutare. Si isolò per l’intero periodo. L’unica autorizzata a parlarle era una sua amica. Ha incontrato molte nevrosi sul suo percorso? Anche tante gente ironica e felice. A Marcello Mastroianni, un tenebroso con tanto umorismo, ridere piaceva più di qualunque altra cosa. Sul set mi capitava di assistere a cose che non avrei dovuto vedere e lui mi catechizzava con il sorriso largo: “Questo non lo devi dire, Antonella, siamo d’accordo no?”. Mantenevo la parola. Siamo rimasti amici per tutta la vita. Lei ha lavorato anche con Mina e Totò. Di Mina non dirò niente perché dell’esperienza in comune, addosso non mi è rimasto proprio niente. Neanche un piccolo segno. E di Totò? Partecipai a TuttoTotò, una serie di Daniele D’Anza che andò in onda sulla Rai subito dopo la morte del principe. In Don Giovannino, Totò, che già vedeva pochissimo, interpretava il posteggiatore che abborda le signore e poi le segue a casa. Nonostante l’età, Totò mi faceva una corte discreta e principesca. Mandava mazzi enormi di fiori. Fiori bellissimi, per quel che posso ricordare. Perché a un certo punto il cinema l’ha dimenticata? Non lo so. Di certo non ho sbattuto la porta in faccia a nessuno. Non ho mai avuto un addetto stampa e non ho mai saputo né voluto vendermi. Facevo un film con Sautet e dopo giravo Zero in condotta di Giuliano Carnimeo. Non ho mai fatto distinzione tra i film colti e quelli di grana grossa. La serie B per me non esisteva. Ho amato il circo, il caffè con l’operatore di macchina, le lunghe pause al freddo, persino la fretta. Antonioni mi propose di partecipare a Le amiche e gli dissi di no. Avevo dato la mia parola per girare un film meno importante e non me la sentii di dare una pugnalata a chi mi aveva scelta. Altre non ci avrebbero pensato un solo istante. Ma ero e sono contenta di come sono. È stata contenta anche quando Antonella, sua figlia, decise di intraprendere la carriera d’attrice? Antonella ha fatto tutto presto. Una figlia a 15 anni, un film alla stessa età, Yeti-Il gigante del XX secolo, tante cose che mi hanno colta di sorpresa. Seppi che aveva esordito al cinema per caso, mentre ero a Parigi: “È venuto un regista a scuola – mi disse – ho pensato di non disturbarti”. Proprio come me si è trovata a fare un mestiere senza volerlo. È Serenella in Vacanze di Natale di Carlo Vanzina e poi protagonista anche di Vacanze in America. A me piacque. E mi piacque il binomio con Claudio Amendola. Speravo che continuassero insieme, non è successo. Ha buoni rapporti con sua nipote Virginia, figlia di Antonella, segnata dalla sua conoscenza di Berlusconi? Abbiamo un rapporto bellissimo. Tempo fa, quando si trovò in difficoltà per il divorzio, abitammo insieme per quasi un anno in una casa del centro storico. “Vengo io a farti coraggio” le dissi. E mi presentai con la valigia. Della sua vita privata non ho mai saputo niente più di quel che mi ha voluto dire lei. E non è stato molto. Perché io non chiedo niente. Però Virginia è una ragazza stupenda e ora è felice. Ha rimpianti? Quello di non aver viaggiato verso Aleppo fin quando era possibile. Lì papà, ingegnere civile, aveva costruito strade e ponti. Mi sarebbe piaciuto tornare lì con lui e chiedergli: “Quale ponte, papà? Quale strada?”. Come vive la sua età? Molto liberi. Mi sento bene. Ho fatto sempre una vita molto ritirata e non ho avuto stravizi. A iniziare dalla droga. Anni fa, in America, intorno a un tavolo, inizia a girare una strana sigaretta. Me la offrono. “Ho le mie”, dico, “grazie”. Non ha risposto nessuno. Mi sa che non hanno capito.