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 2016  novembre 06 Domenica calendario

BLOB CERRONI - RIFIUTI ROMA

001CCC



Malagrotta, la discarica inquina ancora?
Una perizia di esperti del Politecnico di Torino denuncia i rischi per le falde e la salute dei cittadini. Ma Manlio Cerroni, il “Supremo” della CoLARi, e padrone della discarica più grade d’Europa, chiusa nel 2013, nega tutto
giordano locchi
Il 30 settembre 2013 la discarica più grande d’Europa è stata chiusa. Per capacità esaurita: non era più possibile sfruttarne ulteriormente i terreni di raccolta, già saturi da anni, dopo il conferimento di più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti cittadini e fanghi civili accumulatisi nel corso di oltre 30 anni di attività. Tra proteste, decreti e rinvii, in mancanza di alternative mai messe sul tavolo della decisione pubblica, a Malagrotta si è continuato a conferire “monnezza” fino al limite ultimo del possibile. Lasciato attivo a forza di proroghe, l’“ottavo colle” di Roma era entrato nel mirino della Commissione europea già nel 2008.
A tre anni dalla chiusura, da Malagrotta se ne sono andati quasi del tutto gli stormi di gabbiani che banchettavano tra i rifiuti; e il puzzo di oggi, se paragonato a quello denso e acre che ti tappava i polmoni appena presa la via per Casal Lumbroso, si direbbe ridotto a un lieve olezzo. Ora si attende la bonifica, impantanata nelle pastoie della burocrazia e dei ricorsi, tra le proteste degli abitanti della Valle Galeria.
Viaggio nella discarica di Malagrotta, ecco cosa succede ai rifiuti di Roma
LA BONIFICA A RILENTO
Le prime attività risalgono al 2003, dopo che venne rilevata la presenza di idrocarburi nelle acque sotterranee. L’Arpa Lazio, l’agenzia di protezione ambientale, riscontrò concentrazioni anche di altri inquinanti, tra cui manganese, arsenico, ferro e nichel. Nel 2007, dal commissario per l’emergenza ambientale, venne ordinata la “messa in sicurezza”, con la procedura per la “caratterizzazione della contaminazione” e l’analisi del rischio.
Nel 2010, l’allora sindaco di Roma Alemanno era intervenuto con un’ordinanza che imponeva interventi urgenti per ragioni di tutela della salute pubblica. L’ordinanza era stata poi bloccata dal Tar in accoglimento del ricorso presentato dalla “E. Giovi”, la società del Colari (il “Consorzio laziale rifiuti” di Manlio Cerroni) che ha in gestione la discarica. Sentenza che il Consiglio di Stato ha ribaltato nel 2015. Son passati così tre anni dalla chiusura, senza troppi effetti.
La “E. Giovi” intanto ha presentato un nuovo “piano di caratterizzazione” in Conferenza dei Servizi. E «solo allorché verrà approvato – dicono gli uomini di Cerroni – si potrà dare seguito agli interventi di “bonifica” che ne conseguiranno». La “E. Giovi” li pagherà «solo ove venga accertata definitivamente la sua responsabilità». Al momento non sono previsti finanziamenti pubblici. La gestione post-operativa durerà, comunque, almeno altri 30 anni.
IL PROBLEMA DELLE INFILTRAZIONI
Periti del Politecnico di Torino (Rajandrea Sethi e Maria Chiara Zanetti), nominati dal Consiglio di Stato, hanno evidenziato il rischio della dispersione di liquidi inquinanti, già oggetto di segnalazioni ed esposti di abitanti e comitati locali da diversi anni, con il pericolo di contaminazione delle falde sotterranee. La pioggia, in particolare, influisce sulla produzione del percolato; l’acqua filtra tra i rifiuti e riempie la discarica dismessa che, secondo i tecnici torinesi, rischia anche di tracimare.
I liquidi contaminati filtrano dalle pareti di contenimento (polder), risalenti al 1987. Non hanno falle, ma sono porose. I due esperti hanno stimato un flusso di 9.738 metri cubi all’anno. La porosità è «del tutto fisiologica» secondo Colari: «Non è influenzabile dalla maggiore piovosità», che «non determina un incremento della contaminazione delle falde sotterranee».
La professoressa Zanetti, ascoltata nel novembre 2015 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle Attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ha ribadito che «la discarica di Malagrotta, ai sensi del decreto n. 152 del 2006, inquina», e che c’è «interferenza tra la discarica e la falda».
Giacomo Giujusa, assessore alle Politiche ambientali dell’XI Municipio, denuncia sversamenti del percolato visibili proprio dopo le piogge e chiede «un’adeguata rete di pozzi di estrazione dentro il polder». Secondo lo studio del Politecnico di Torino, per prevenire ulteriori contaminazioni, in effetti, sarebbe necessario pompare via dalla discarica fino a 7,5 milioni di metri cubi di liquido. Una stima «non supportata da alcuna prova sperimentale né da modelli informatici», secondo i tecnici del “Supremo”.
IL “CAPPING” INCOMPIUTO
Per prevenire le infiltrazioni è fondamentale il completamento della copertura sulla superficie della discarica, capping in gergo tecnico. Si realizzerà con «materiali terrosi di vario genere e materiali sintetici delle ultime generazioni», mentre è escluso l’uso del Fos, assicurano dal Consorzio. Ma il progetto definitivo ancora manca. Sono state sviluppate diverse ipotesi, di volta in volta rimandate. L’ultima è in corso di approvazione da parte dell’apposita Conferenza di Servizi, che si è riunita in fase pre-decisoria lo scorso 14 settembre. Il primo progetto risaliva al dicembre 2007, data in cui era stata fissata la prima (disattesa) chiusura della discarica, che ha continuato ad accogliere rifiuti per quasi altri sei anni. E così la vecchia ipotesi di capping non è stata più attuabile.
I PERICOLI PER LA SALUTE DEGLI ABITANTI
Per la popolazione che abita a meno di 5 chilometri da tutte le discariche del Lazio, dal 1996 al 2012 si è misurato un rischio sulla salute del 10% più alto rispetto a quello della popolazione di riferimento per patologie dell’apparato respiratorio croniche e tumori al polmone. Così risulta da uno studio pubblicato a maggio sull’International Journal of Epidemiology e curato in particolare da Carla Ancona, del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
Dal Colari rispondono con studi precedenti, che hanno fatto realizzare, secondo i quali «per la popolazione circostante Malagrotta non si sono registrati rischi superiori a quelli delle popolazioni di riferimento». Carla Ancona ci spiega che se il parametro considerato è quello della mortalità generale, il quadro è in effetti sovrapponibile. Ma l’incidenza maggiore riguarda malattie specifiche dei polmoni, nonché tumori al pancreas e alla laringe. Sono «danni che vengono dal passato», probabilmente dal primo periodo di attività della discarica, quando divieti e controlli erano più blandi; dalla metà degli anni ’80 una parte era adibita anche alla raccolta di rifiuti tossico-nocivi. Ma è difficile stabilirne le cause con certezza: a Malagrotta c’è una situazione ambientale esplosiva anche perché in quest’area alla periferia sud-ovest della Capitale (solo sei chilometri in linea d’aria da San Pietro), oltre alla discarica, hanno trovato sede la Raffineria di Roma, l’inceneritore dei rifiuti ospedalieri, depositi di carburante, depositi di gas, un deposito chimico, decine di cave, un bitumificio, un depuratore di acque reflue. Solo pochi mesi fa, ai tempi delle dimissioni di Fortini dall’Ama, si era ventilata perfino l’ipotesi della riapertura della discarica. Subito smentita dalla sindaca Raggi, e ormai «non perseguibile» anche per il consorzio di Cerroni.



Cerroni e Malagrotta. Il presidente della commissione ambiente ne ha parlato come di un player fondamentale con cui bisogna confrontarsi. Che effetto le fa sentir parlare di Cerroni come di un player? "Cerroni, quando fui eletto, venne da me e mi disse con franchezza che dagli anni ’60 aveva incontrato tutti i sindaci, da quelli- così disse- voluti da Giulio Andreotti, sino agli ultimi eletti dal popolo: Rutelli, Veltroni, Alemanno. E a tutti spiegò la stessa cosa: ’Lei da sindaco ha già tanti problemi, lasci che gliene risolva uno io. Lei avrà un problema in meno e la città sarà sempre pulita. Non se ne pentirà’. Devo dire che con la sua franchezza Cerroni ha detto di sé quello che effettivamente è ed è stato: una figura centrale, e tutta l’attività di raccolta e smaltimento e gestione dei rifiuti è stata disegnata intorno all’esistenza della più grande discarica d’Europa gestita dall’avvocato Manlio Cerroni. Infatti hanno fatto bene gli elettori del Pd che hanno redarguito Giachetti quando ha avocato al Pd la chiusura di Malagrotta. Se, come dice lei, ora dal Pd c’è di nuovo un’apertura verso questo modello vuol dire che torniamo alla vecchia visione di Rutelli, Veltroni, Alemanno, e adesso Raggi". (Marino)
Le carte di Colleferro saranno rilette dai pm nell’ambito del maxi fascicolo sull’emergenza immondizia capitolina, dove è indagato anche il ras delle discariche laziali, Manlio Cerroni, con i funzionari di Regione e della Provincia. Al vaglio dei magistrati, anche i rapporti tra Muraro e re Manlio. Il sospetto è che l’assessore possa aver tentato di favorire il ras, visto che in luglio ha tentato di fare ripartire il tritovagliatore di Rocca Cencia. Si tratta di un impianto di proprietà di Cerroni, fermo da marzo e, soprattutto, al centro dell’inchiesta.




Fonte: Sergio Rizzo, Corriere della Sera 16/9/2016

Testo Frammento
«LA VERITÀ È CHE SI DOVEVA FAR FUORI IL SUPREMO». PAROLA DI MANLIO CERRONI, IL RE DELLA MONNEZZA ROMANA (CHE POI NON AVREBBE VOTATO LA RAGGI) –
Manlio Cerroni ti dà appuntamento a Malagrotta. La discarica più grande d’Europa è chiusa dal 2013, ma lì ci sono ancora gli impianti di produzione del gas che funzionano, e ci va ogni giorno che Dio manda sulla Terra. Il 18 novembre compirà 90 anni. Da 70, era il 23 settembre 1946, è sulla breccia.
Dove, a dispetto delle inchieste giudiziarie in cui è stato coinvolto, conta evidentemente di restare ancora a lungo. Sui rifiuti il Re della spazzatura ha edificato un impero ed è diventato potentissimo. A Roma ha avuto a che fare con 34 sindaci. E tutti pendevano dalle sue labbra. Acqua passata, si lamenta oggi: «Sono cancellato, non esisto più. A Virginia Raggi ho scritto due lettere. Non mi ha nemmeno risposto».
Veramente tutti dicono che Cerroni sta per tornare in auge. Magari non riaprono Malagrotta, ma il suo impianto di trattamento di Rocca Cencia, quello sì.
«Se vogliono salvare Roma è l’unica soluzione. Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare».
C’è un’indagine della magistratura: non è una motivazione più che sufficiente?
«Ma l’impianto è andato avanti tre anni. Se non era autorizzato perché lui ci mandava i rifiuti? La verità è che si doveva far fuori il Supremo. Non importava se era l’unica strada per risolvere il problema dell’emergenza».
Il Supremo. La chiamano ancora così… Chi la voleva far fuori?
«Fortini».
Vuol dire Ignazio Marino.
«A Marino ho chiesto: chi te l’ha fatto fare? Vedo che ha ascoltato il mio consiglio».
Gliel’ha tirata. Piuttosto, chi glielo fa fare a lei?
«La domenica sera sono in ufficio. Amo così tanto questo lavoro che per me è un godimento. Mi ha dato soddisfazioni immense. Abbiamo fatto impianti in tutto il mondo, nel 2013 sono stati superati 150 milioni di tonnellate. E adesso avrei ancora la forza e la capacità di risolvere il problema di Roma».
Resta sempre la questione che su Rocca Cencia c’è un’inchiesta. Non è un dettaglio.
«Se quell’impianto è fuorilegge, come dicono, allora quanti risarcimenti dovrei chiedere a chi ci ha dato le autorizzazioni? E poi, se davvero è abusivo, perché l’Ama voleva comprarlo?».
Difficile che con un’indagine in corso qualcuno volesse acquistarlo. Ma risulta pure a lei che l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, per 12 anni consulente dell’Ama, punti a utilizzarlo?
«È una persona di buon senso».
In una sfuriata via streaming ha praticamente ordinato a Fortini, che poi si è dimesso, di riportare i rifiuti a Rocca Cencia.
«Mi risulta che la Muraro gliel’abbia detto ancor prima, quando era consulente dell’Ama. Perché è l’unica cosa sensata. Ma non c’era certo bisogno di Paola Muraro per rendersene conto».
C’è chi sospetta che fra voi esista una connessione.
«Ci siamo stretti la mano qualche volta ai convegni. Tutto qui. In questo campo è una delle poche donne esperte».
Gli incarichi non le sono mancati, ed è singolare che sia finita in una giunta dei 5 Stelle. A proposito: Muraro a parte, rapporti con i grillini?
«Per loro noi non esistiamo. Tre volte in campagna elettorale Virginia Raggi ha nominato Cerroni come il Male assoluto».
Quelli sono contro gli inceneritori, lo sa?
«Quello di Malagrotta è un rigassificatore. Spento da anni. Stiamo ancora aspettando il via libera agli adeguamenti necessari che avevamo chiesto. Intanto la spazzatura di Roma trattata qui per essere bruciata nel nostro impianto viene spedita fuori».
Dove?
«In Bulgaria, per esempio».
Con i camion?
«Pensi che spreco e che inquinamento. Camion, nave, ancora camion… Sa che cosa salva i responsabili di questo pasticcio? Che hanno chiuso i manicomi».
Ma anche senza rigassificatore lei ha fatto comunque un sacco di soldi. Quanta immondizia è sepolta a Malagrotta?
«Almeno 45 milioni di tonnellate. In trent’anni. E ce ne potrebbe stare ancora. Negli altri Paesi le discariche si riutilizzano a ciclo continuo».
Oggi sarebbero tre, quattro miliardi di euro?
«Per quanto riguarda i soldi, le assicuro che ho reinvestito tutto. Vivo francescanamente».
Mai dato soldi ai partiti?
«Contributi elettorali, regolarmente denunciati».
Anche ai 5 Stelle?
«Nossignore».
I sindaci migliori di Roma?
«Amerigo Petrucci e Francesco Rutelli».
Ha votato anche lei per Virginia Raggi?
«Voto a Pisoniano».
Ipotizzando di dover votare a Roma?
«Non la votavo. Per fare il sindaco non ci si alza dalla sera alla mattina».



Fonte: Alessandro Barbera e Giacomo Galeazzi, La Stampa 11/9/2016

Testo Frammento
LIBERARSI DI UNA TONNELLATA DI RIFIUTI ROMANI COSTA 200 EURO, A BRESCIA O A MILANO 50 –
La gestione dei rifiuti a Roma è un affare come in nessun altro angolo d’Europa. Un capolavoro di inefficienza che fa della Capitale la più costosa macchina di smaltimento mai vista nel settore. Immondizia che resta immondizia, trattata in sei impianti e due inceneritori, e che nonostante questo viene trasportata e distribuita fra dieci Regioni e cinquantacinque siti. Liberarsi di una tonnellata di rifiuti romani costa 200 euro, il quadruplo di Brescia o di Milano. Se a Parigi, Londra e perfino a Lisbona il 98 per cento del ciclo dello smaltimento avviene dentro i confini delle aree metropolitane, a Roma quella percentuale crolla al 36 per cento. Per capire le ragioni profonde della prematura crisi della giunta Raggi occorre guardare da vicino come funziona una macchina che promette di costare due miliardi di euro nei prossimi dieci anni. A vantaggio di pochi e a spese dei contribuenti romani.
LA FABBRICA DEI VELENI
Iniziamo questo viaggio da via Salaria 981, sede di uno dei «Tmb» della Capitale. «Tmb» significa «trattamento meccanico-biologico». A Roma ce ne sono quattro: due sono di proprietà dell’Ama, due appartengono a Manlio Cerroni. Dovevano essere la soluzione tampone per ovviare alla giusta e necessaria chiusura della discarica di Malagrotta e invece, nella migliore delle tradizioni italiane, si sono trasformati nella più definitiva delle emergenze. A pochi metri dall’impianto di via Salaria ci sono la sede di Condotte e di Sky Italia, l’archivio della Rai e – giusto sull’altro lato della strada – un asilo, «I colori del mondo». Quando tira il vento, l’aria è irrespirabile nel raggio di centinaia di metri. Quell’impianto – così come quello di Rocca Cencia – ha sempre fatto gola a interessi non propriamente legali: nell’audizione del 2 agosto di fronte alla commissione Ecomafie l’ex presidente dell’Ama Daniele Fortini ha raccontato che dal 2010 al 2015 la Pmr Service del gruppo Politi, sequestrata dalla Dda di Reggio Calabria in un’operazione contro le cosche della ’ndrangheta, ha gestito senza gara la movimentazione dei rifiuti nei due «Tmb». L’impianto di via Salaria avrebbe dovuto tornare a essere una rimessa di mezzi dell’Ama, e invece da cinque anni è una discarica a cielo aperto. Il nuovo assessore Paola Muraro promette di chiuderla al più presto, e in nome di questo ha ordinato la (contestata) riapertura del tritovagliatore di Rocca Cencia di Manlio Cerroni.
Sugli impianti di Cerroni torneremo dopo. Per ora restiamo in via Salaria. Finora a nulla sono valse petizioni e proteste degli abitanti del quadrante per la chiusura del «Tmb»: senza di esso, il fragile ingranaggio della raccolta si incepperebbe e un pezzo di città sarebbe ricoperto di rifiuti. Lo si è intuito ad agosto, quando un guasto all’impianto ha costretto l’Ama a far marcire l’immondizia nei cassonetti di Roma Nord per una settimana. Nei Tmb di Roma vengono pre-trattati più della metà dei rifiuti della Capitale: del milione e settecentomila tonnellate di immondizia prodotto ogni anno dai romani, solo settecentomila viene raccolto nei cassonetti differenziati e trasportato direttamente negli impianti di riciclo. Quando i camion pieni di indifferenziata arrivano al Tmb di via Salaria la spazzatura viene divisa alla meno peggio in tre gruppi: il trenta per cento sono rifiuti combustibili, il quaranta – soprattutto laterizi – viene destinato alle discariche, il restante trenta è massa biologica. La parte combustibile finisce nei due inceneritori laziali, a Colleferro e San Vittore. L’umido, cioè la parte organica dei rifiuti da compostaggio, viene trasportata in vari impianti, ma soprattutto a settecento chilometri di distanza da ottanta autoarticolati, a Pordenone. Ogni anno ciò avviene per più della metà di 230mila tonnellate di rifiuti dei romani.
IL CASO ROCCA CENCIA
Dice Angelo Bonelli, storico esponente dei Verdi: «Con la chiusura della maxi discarica da 240 ettari di Malagrotta, Ignazio Marino ha posto fine ad un serio problema ambientale, ma mancano gli impianti necessari a gestire le cinquemila tonnellate prodotte ogni giorno». Risultato: costi più alti e tariffe di smaltimento alle stelle. «Senza impianti alternativi si continuerà a nascondere i rifiuti a centinaia di chilometri. Gli impianti vanno fatti sul territorio, a partire da quelli per il compostaggio». In effetti Marino aveva deciso così, con il sì della sua giunta ad un impianto di compostaggio a Rocca Cencia. Ora però il progetto è inabissato, fra i ritardi della Regione e le incertezze della nuova amministrazione Raggi, che a quel progetto ha detto no. Di fronte alla Commissione ecomafie questa settimana è stata Muraro a bocciare l’impianto, parte integrante del piano industriale elaborato dall’ex presidente dell’Ama Daniele Fortini. «Un progetto irrealizzabile: va ripreso in mano secondo un diverso iter» dice Muraro. Un dettaglio poi lascia perplessi: la società friulana che tratta ogni giorno i rifiuti biologici dei romani – la Bioman – è la stessa di cui l’assessore è stata consulente fra il 2010 e il 2012. Prima ancora delle ragioni che hanno spinto i vertici alle dimissioni – il presidente Fortini prima, l’amministratore unico Alessandro Solidoro poi – ciò che non torna all’Ama sono i numeri. Il ciclo dei rifiuti di Roma è costoso, inefficiente e inquinante. Se altrove i rifiuti sono una risorsa da sfruttare, i sei impianti di Trattamento meccanico biologico della Capitale servono solo a risolvere l’emergenza causata dalla chiusura di Malagrotta. Il milione di tonnellate di rifiuti indifferenziati prodotti ogni anno nella Capitale viene distribuito così: quattrocentomila si dividono fra via Salaria e Rocca Cencia, altri quattrocentomila finiscono nei due impianti privati di Manlio Cerroni a Malagrotta. Le restanti 200.000 tonnellate vengono trasferite in altri tre impianti: a Latina, Frosinone e Avezzano. Fatta questa complicata operazione di smistamento, solo trecentomila tonnellate vengono incenerite e trasformate in combustibile derivato, meglio noto come Cdr. La gran parte dell’immondizia che esce dai Tmb – ben 700.000 tonnellate di rifiuti pretrattati – viene a sua volta distribuita in altri impianti e discariche in giro per l’Italia e l’Europa. Costo medio del processo: 40 euro a tonnellata per il trattamento, 45 per il trasporto, 100 per l’incenerimento. Totale: 195 euro a tonnellata, un record europeo. Senza una modifica radicale del sistema di gestione dei rifiuti, Fortini stima che nei prossimi dieci anni «Roma spenderà due miliardi di euro per le attività post raccolta che consistono nel frullare, bruciare e seppellire i rifiuti».
Al di là della retorica sul «chilometro zero», il «porta a porta» e le «isole biologiche» per risolvere davvero il problema dei rifiuti romani sono necessari investimenti. Durante la gestione Fortini l’Ama ha stimato che a Roma servirebbero un ammodernamento e ampliamento dell’impianto di Colleferro, cinque impianti aggiuntivi di selezione della differenziata, due impianti di trattamento dell’organico e due per l’indifferenziata. Per chiudere il ciclo dei rifiuti nei confini della Capitale come avviene in tutte le grandi città d’Europa, Roma avrebbe bisogno di una capacità di gestione dei rifiuti organici di 250mila tonnellate l’anno, di impianti per selezionare la raccolta differenziata da 510mila tonnellate e da 310mila tonnellate l’anno per l’indifferenziata.
L’OMBRA LUNGA DI CERRONI
Ora la giunta Raggi dice di voler riscrivere il piano dell’Ama, ma non ha ancora detto come. Né ha chiarito le sue intenzioni Stefano Bina il quale – in attesa di un concorso per la scelta del management – è stato nominato direttore generale dell’azienda: «Discarica o inceneritore? Rifiuti zero significa nessun trattamento, quindi occorre un recupero complessivo dei materiali», ha abbozzato nella prima dichiarazione pubblica. In compenso Raggi e Muraro vogliono rimettere in funzione il tritovagliatore di Rocca Cencia, a disposizione del Comune con delibera della giunta regionale, oggetto di un’inchiesta penale e non più utilizzato dall’Ama sin dallo scorso febbraio perché considerato inutile e dannoso. L’assessore Muraro – per più di dieci anni consulente della municipalizzata – sostiene che in assenza di altre soluzioni è giusto utilizzarlo. Eppure quel tipo di impianto non ha nulla a che vedere con un trattamento avanzato dell’immondizia. Se un Tmb divide i rifiuti indifferenziati in tre tipi di materiali, il tritovagliatore si limita a separare la parte combustibile da portare negli inceneritori e la componente biologica. Questo significa che l’immondizia trattata nel tritovagliatore è persino più inquinante di quanto prodotto da un Tmb. L’impianto – ça va sans dire – è ancora una volta di Manlio Cerroni, il ribattezzato ottavo re di Roma, sotto processo per traffico illecito di rifiuti, truffa e disastro ambientale.

Alessandro Barbera e Giacomo Galeazzi, La Stampa 11/9/2016


Fonte: Michela Allegri e Valentina Errante, Il Messaggero 12/9/2016

Testo Frammento
RIFIUTI, IL FINTO CONTRATTO PER FAR SPARIRE IL NOME DI CERRONI –
Un finto contratto di affitto quello per far sparire il nome del ras delle discariche Manlio Cerroni dalla gestione del Tritovagliatore di Rocca Cencia. A scriverlo ad Ama è stato lo stesso Cerroni. L’impianto della discordia, che l’assessore Paola Muraro avrebbe voluto utilizzare nonostante l’inchiesta della procura di Roma, in assenza delle autorizzazioni della Regione Lazio, affidando al ras altre tonnellate di rifiuti ogni giorno, con trattativa privata e senza la definizione delle tariffe, era oggetto di un accordo «per togliere d’impiccio Ama». È uno degli elementi dell’inchiesta dei procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino e del pm Alberto Galanti che ipotizzano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a danno di Ama e a vantaggio di Cerroni. E se l’assessore Muraro, indagata per reati ambientali e abuso d’ufficio, è sospettata dalla procura di avere favorito il ras dei rifiuti, aumentano gli interrogativi sulla posizione del grillino Stefano Vignaroli, il vicepresidente della commissione Ecomafie che, dopo essersi schierato contro il suo monopolio di Cerroni e avere sostenuto i comitati cittadini, senza alcun titolo, lo incontrava segretamente. Nei prossimi giorni, Alessandro Bratti, presidente della commissione, riceverà indicazioni per portare avanti l’anomalo iter e convocare in commissione il suo vice.
IL FINTO CONTRATTO
Una settimana prima del famoso incontro tra Vignaroli, Cerroni, Muraro e Fortini, nello studio di Giacomo Gijusa, un tempo componente dell’associazione Raggio verde schierata contro Cerroni, poi promosso a portaborse di Vignaroli, quindi ad assessore dell’XI municipio, era stato proprio il ras delle discariche a scrivere all’Ama, ammettendo che l’affitto della struttura del tmb di Rocca Cencia era solo uno strumento. A puntualizzarlo nella lunga risposta all’assessore Muraro, che sollecitava Ama a servirsi di quell’impianto, è l’ex presidente Fortini. Si legge nel documento del 28 luglio scorso, che prelude alle dimissioni di Fortini: «Con lettera del 22 giugno 2016, l’avvocato Manlio Cerroni informava il presidente Ama che l’affitto a Porcarelli era avvenuto per toglierci d’impiccio, confermando di essere Colari (il consorzio di Cerroni ndr) l’effettivo proprietario del tritovagliatore, nonché di essere lui stesso interessato alle sorti dell’impianto». E del resto il contratto e la successiva corrispondenza, tutti documenti agli atti dell’inchiesta, lo confermano. Qualche mese prima, il 21 marzo, Colari aveva informato Ama di essere in procinto di procedere all’affitto del tritovagliatore alla società Porcarelli Gino srl «la quale sarebbe subentrata in ogni negoziazione per l’uso dell’impianto da parte di Ama». L’11 aprile era Porcarelli a scrivere alla municipalizzata comunicando di avere affittato il tritovagliatore di Rocca Cencia, qualche giorno dopo, Porcarelli informava l’azienda che avrebbe fornito indicazioni «circa l’iter autorizzativo e documentale riguardante l’offerta commerciale». Ma il contratto tra Colari e Porcarelli viene stipulato soltanto il successivo 7 maggio. Mentra il 22 giugno, Cerroni, che non avrebbe più avuto interesse a rivolgersi ad Ama, precisava quale fosse la natura dell’accordo.
ECOMAFIE
Era solo un anno fa, l’8 settembre 2015 Stefano Vignaroli, in commissione Ecomafie, portando avanti l’inchiesta sul Lazio interrogava il presidente della Regione Nicola Zingaretti e l’allora sindaco Ignazio Marino. Parlava «di sudditanza psicologica nei confronti del Cerroni» e aggiungeva «c’è sempre stata e ha una rilevanza sia penale, sia di altra natura». Faceva riferimento a un danno erariale per le tariffe pagate da Ama «e quindi dai romani al ras dei rifiuti». Perché poi abbia finito con l’incontrarlo senza averne titolo, programmando un piano di emergenza, dovrà spiegarlo presto ai suoi colleghi della commissione.



Fonte: di Nello Trocchia, il Fatto Quotidiano 11/9/2016

Testo Frammento
MURARO-STORY: CERRONI, FISCON E QUEL RITOCCO AL CURRICULUM –
Nonostante le bugie raccontate in merito all’indagine a suo carico, Paola Muraro gode ancora della fiducia della sindaca di Roma Virginia Raggi. A suggerirle Muraro per il ruolo di assessora all’Ambiente, è stato un altro Cinque Stelle, Stefano Vignaroli, vicepresidente della commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che conosceva l’esperienza di Muraro in Ama, l’azienda capitolina di igiene urbana.
Muraro diventa consulente di Ama nel 2004, ma ha già alle spalle altre collaborazioni, soprattutto nel suo settore di competenza, quello del compostaggio dei rifiuti. A cavallo con l’esperienza nell’azienda pubblica romana c’è anche un rapporto professionale con Sogenus spa, dal 1996 al 2012, ultimo compenso: 30 mila euro lordi all’anno. “Una professionista capace” ricordano dall’azienda. Tra il 2010 e il 2012, poi, è consulente di Bioman, società che nel 2013 vince in Ati con altre aziende un appalto proprio per Ama.
Ma come e perché nel 2004 Paola Muraro arriva in Ama, dove resta fino al giugno 2016? L’allora amministratore delegato dell’azienda Domenico Tudini racconta: “Era un’esperta molto preparata. Non riceveva un compenso enorme all’inizio (un milione di euro in 12 anni, ndr). La selezione dei consulenti veniva effettuata da Giovanni Fiscon, allora direttore generale e da Giuseppe Rubrichi”. Due nomi che tornano. Rubrichi è stato coinvolto nel processo sull’inceneritore di Colleferro e con Muraro condivide un posto nel comitato tecnico dell’associazione Atia Iswa che riunisce i tecnici del settore, presieduta proprio da Muraro. Giovanni Fiscon, invece, ex direttore generale di Ama, è stato arrestato per Mafia capitale con l’accusa di corruzione, ed è più volte citato, ma non indagato, nelle carte dell’inchiesta sul sistema di Manlio Cerroni, detto “il supremo”.
In Ama Paola Muraro è stata molto vicina a Giovanni Fiscon fino all’arresto di quest’ultimo: oggi condividono lo stesso avvocato, Salvatore Sciullo. Muraro è stata anche chiamata, lo scorso ottobre, come testimone di difesa nel processo a carico di Fiscon e Panzironi. Il Fatto ha raccontato un altro episodio singolare. Lo scorso aprile in aula era presente Fiscon, in un processo che lo vede imputato per la gestione dei rifiuti dell’Ama nell’impianto di Rocca Cencia della società dell’avvocato Cerroni. Al suo fianco c’era Paola Muraro, eppure i giudici non dovevano sentire né lei né Fiscon. Muraro, nel 2016, non aveva nel suo contratto l’assistenza nei procedimenti penali, forse potrebbe aver scelto di terminare l’incarico iniziato durante il precedente contratto. In aula Muraro chiacchierava con Fiscon, suo ex capo, mentre veniva ascoltato come teste un maresciallo dei carabinieri del Noe.
A proposito di militari, in Ama, era proprio Paola Muraro che “accoglieva” i carabinieri quando c’erano ispezioni presso gli impianti. E in quelle occasioni ricordava spesso di essere sposata proprio con un colonnello dei carabinieri, Gianfranco Lusito, oggi con incarico a Roma, ma già comandante provinciale dei carabinieri di Treviso, in buoni rapporti anche con i vertici dei carabinieri dell’Ambiente.
Muraro vanta anche altro nel suo curriculum: “Supporto tecnico professionale alla Procura della Repubblica di Napoli per la formulazione dell’impianto accusatorio del processo instaurato in conseguenza dell’emergenza rifiuti”. In realtà Muraro era solo una teste chiamata dall’accusa, visto che l’attuale assessora era consulente di Impregilo, l’impresa che ha gestito il ciclo rifiuti in Campania. Il Fatto ha scoperto la vicenda e raccolto l’opinione dell’ingegnere Paolo Rabitti, allora consulente della Procura di Napoli, che ha spiegato: “Muraro ha dato supporto a Impregilo, non alla Procura. Nessun supporto tecnico”. Una conferma che arriva rileggendo la sua testimonianza in aula del 20 gennaio 2010, durante la quale affiora anche qualche “non ricordo”: il pubblico ministero è costretto a rileggerle quanto aveva dichiarato nel verbale di sommarie informazioni per rinfrescarle la memoria.
A far discutere, nel percorso di Muraro da assessora c’è anche il primo incontro con l’ex ad di Ama Daniele Fortini, quando Muraro, vista la crisi in corso a Roma, propose l’uso del tritovagliatore di proprietà di Cerroni, il cui iter autorizzativo è sotto indagine. Per la sua esperienza professionale, non sono mancati incroci con un uomo dell’anziano avvocato, come l’ingegnere Rosario Carlo Noto La Diega, arrestato lo scorso anno, poi scarcerato, in un’inchiesta a Viterbo sulla gestione dei rifiuti. Proprio in questi giorni è emersa una consulenza di Muraro con la Gesenu, società, destinataria lo scorso anno di interdittiva antimafia, partecipata dal Comune di Perugia, ma anche da una società dell’impero di Cerroni oltre che dallo stesso Carlo Noto La Diega. In una nota Manlio Cerroni conferma l’incarico, datato ottobre 2015, ma spiega: “Dal maggio 2015 abbiamo affidato ad un professionista il ruolo di consigliere di Gesenu e dal maggio 2016 abbiamo venduto le nostre quote”. Il Fatto ha contattato l’ingegnere Carlo Noto La Diega che ha spiegato: “Muraro la conosco molto bene fin dagli anni Novanta” ma poi ha chiuso la conversazione. Nel comitato scientifico di Ecomondo 2016 compaiono in coppia Paola Muraro e proprio Noto La Diega. Rapporti al vaglio degli inquirenti, così come il ruolo svolto da Muraro negli impianti Ama, che dal 2010 al 2012 hanno lavorato a singhiozzo, a vantaggio delle strutture di Cerroni. Un’inchiesta che si allarga mentre Raggi continua, in pubblico, a difendere la sua assessora, sempre più una presenza ingombrante nella giunta.
di Nello Trocchia, il Fatto Quotidiano 11/9/2016


Dagli studi legali «previtiani» alla destra affarista della vecchia giunta Alemanno fino a Manlio Cerroni, il «Supremo» boss della mondezza romana cui, si scoprirà poi, la Muraro è collegabile almeno da un contatto societario comune: si profila un quadro complesso che forse spaventa Daniela Morgante, indicata dall’ala lombardiana come capo di gabinetto: «Mi hanno messo nel tritacarne, rinuncio, sono un magistrato». Grillo interviene, la Lombardi fa un passo indietro. L’assessore al Bilancio Marco Minenna, ex Consob, voluto da Luigi Di Maio come segno di rinnovamento, ottiene la nomina di Carla Raineri, magistrato anticorruzione, con uno stipendio da 193 mila euro subito al centro delle polemiche.
17 luglio, la rivelazione
Paola Muraro, sempre più chiacchierata (12 anni di consulenze Ama per oltre un milione di euro di compensi) chiede accesso agli atti della Procura in base all’articolo 335 del codice. Si scopre indagata dal 21 aprile per gestione illecita di rifiuti in un’inchiesta sull’Ama e le ditte che fanno capo a Cerroni (a sua volta inquisito). Informa subito dopo la sindaca. La Raggi sosterrà di averne informato il direttorio romano. Saltano fuori anche tre telefonate (non rilevanti penalmente) tra la Muraro e Salvatore Buzzi, socio del boss Carminati in Mafia Capitale. L’assessora che all’Ama controllava la regolarità dei flussi di rifiuti in entrata e uscita, si scopre fidata collaboratrice di Panzironi e di Giovanni Fiscon, ex dg della municipalizzata, pure lui dentro Mafia Capitale.
25 luglio, in streaming
L’assessora entra, telecamere al seguito, in Ama, umiliandone pubblicamente il presidente Daniele Fortini,che annuncia le dimissioni. In ballo c’è l’idea di tornare ad usare una discarica a Rocca di Cencia riconducibile proprio a Cerroni. I giornali cominciano a incalzare sindaca e assessora, entrambe ripetono che la Muraro «non ha ricevuto avvisi di garanzia», giocando sull’equivoco: la qualità di indagato non ne dipende, l’avviso si manda solo se necessario ad atti di indagine e la Muraro era già «informata» dal 17 luglio.



Fonte: Carlo Bonini, la Repubblica 7/9/2016

Testo Frammento
LE PROFEZIE DI CERRONI, L’ANGELO DELLA MONNEZZA CHE ROMA HA IGNORATO DI AVERE –
Un uomo, in Ama, aveva capito. Un Angelo della Monnezza che Roma ha ignorato di avere. Che aveva osato sfidare il Sistema minacciando di condannare all’irrilevanza il Supremo, Manlio Cerroni, e messo in fuorigioco quel pezzo di Azienda e di clientele che gli era da sempre genuflesso. Che per primo aveva avvistato un’anomalia chiamata Paola Muraro, futura assessore e tricoteuse di una Rivoluzione spacciata per tale, ma in realtà Termidoro che doveva riconsegnare la monnezza di Roma ai soliti noti e a un blocco di interessi figli della stagione di Alemanno. Quell’uomo si chiama Alessandro Filippi. È uno schivo ingegnere romano di 46 anni, e, per 14 mesi, è stato direttore generale e finanziario di Ama. Arrivava dall’Acea e all’Acea è tornato a marzo. Con una lettera di encomio dell’allora Commissario Tronca e una certezza. La Rivoluzione a cinque stelle non lo avrebbe richiamato. Lo avrebbe piuttosto processato in contumacia. Perché nessuno potesse comprendere a chi la città stava per essere nuovamente consegnata.
LA RISATA DEL SUPREMO
La storia di Filippi va raccontata dalla fine. Da un pomeriggio del gennaio di quest’anno, negli uffici dell’Eur di Fise-Assoambiente, dove un signore di 90 anni, Manlio Cerroni, attende di incontrare due uomini, Filippi e Fortini, che vanno fermati. Con loro Cerroni ha un problema. Hanno “spento” il suo impianto di tritovagliamento di Rocca di Cencia, smettendo di conferirgli rifiuti. Quel tritovagliatore è la chiave del Sistema dei Rifiuti a Roma e del suo dominio. La carta decisiva di una partita il cui valore complessivo è 1 miliardo di euro l’anno (15, visto che la concessione di Ama per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti della città durerà tre lustri). Per quello stabilimento, nel 2014, Cerroni ha strappato da Giovanni Fiscon, allora direttore generale di Ama e oggi imputato nel processo “Mafia Capitale”, un contratto che definire tale è un eufemismo. 175 euro a tonnellata di rifiuti indifferenziati trattati. Che, con una media di mille tonnellate quotidiane, fanno 175 mila euro al giorno. 60 milioni l’anno. Un contratto che ha una clausola capestro. A Cerroni, nel caso di sottoutilizzo dell’impianto, Ama riconoscerà in ogni caso un compenso pari a 122.500 euro al giorno. Filippi ha scoperto che di quel tritovagliatore si può e si deve fare a meno se si vuole rendere Ama autosufficiente. Basta far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento Meccanico Biologico di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (a Rocca Cencia e sulla via Salaria) e due dello stesso Cerroni (a Malagrotta). Se ne è convinto soprattutto dopo “l’avvertimento” arrivato nell’estate del 2015, quando l’impianto TMB di via Salaria viene incendiato. Il Supremo, quel pomeriggio, è sconcertato dal candore dei suoi interlocutori. Ride sarcastico e dice: «Davvero pensate di poter cambiare l’Ama? Siete due illusi e vi cacceranno».
LA SCRIVANIA DELLA MURARO
È un presagio facile facile. A liberarsi di Fortini, quando ormai Filippi è già fuori, pensano Paola Muraro e Virginia Raggi. Le due donne (la prima per giunta indagata), il 25 luglio, a Rocca Cencia, vendono trionfanti alla città la riapertura del tritovagliatore di Cerroni come il colpo di teatro che libera Roma dalla monnezza. Per giunta, nel singolare silenzio dei comitati di quartiere. È una menzogna. Il sistema di riciclaggio dei rifiuti indifferenziati, come Filippi ha dimostrato fino al suo addio, può stare in equilibrio con i 4 TMB, che sono in grado di smaltire le 2 mila e 800 tonnellate di indifferenziato che la città produce ogni giorno. Ma la Muraro ormai ha mano libera. E ha fretta di chiudere i conti. Filippi, del resto, la ricorda come la sua prima “scoperta” in Ama. Il giorno in cui raggiunge il suo ufficio di direttore generale scopre infatti che quella signora, “consulente esterna” da 12 anni della Municipalizzata, ha una scrivania esattamente nella sua anticamera, quella che fino a qualche giorno prima era stata di Giovanni Fiscon. Curioso per un’esterna. Come singolari sono gli atti che, per 12 anni, ne hanno regolato i rapporti con Ama e i suoi compensi pari a 1 milione e 350 mila euro. Non un contratto che uno. Solo lettere di incarico vistate per accettazione. Filippi annuncia alla Muraro che la sua consulenza si chiuderà nel giugno 2016. Che la sua posizione sarà messa a bando perché Ama, appunto, ha bisogno di internalizzare le sue competenze. Non fosse altro perché ciò di cui la Muraro non si è accorta in tanti anni di consulenze è che in uno dei TMB di cui è responsabile da 7 anni non viene messa in funzione quella sezione dell’impianto che consentirebbe il riciclaggio della plastica e dunque assicurerebbe una voce di potenziale guadagno per l’Azienda. È un ottimo motivo, evidentemente, per convincere la Muraro a offrirsi ai Cinque Stelle.
LA MACCHINA DEL RUMORE
Sappiamo come è andata. Anche se per chiudere il cerchio è necessario che si compia lo scempio della verità con cui nella narrazione della Raggi e della Muraro, i numeri dell’ultimo biennio dell’Ama vengono nascosti all’opinione pubblica. I due utili di bilancio nel 2014 (278 mila euro) e 2015 (893 mila euro), la riduzione dell’indebitamento finanziario, la riduzione dell’evasione e della morosità, l’incremento dei mezzi (+15 per cento), la riduzione dell’assenteismo del personale (dal 20 al 15 per cento), l’aumento della raccolta differenziata (+11 per cento). Fatti di cui la Rivoluzione non sa che farsene.
Carlo Bonini, la Repubblica 7/9/2016


Fonte: Paola Zanuttini, il venerdì 2/9/2016

Testo Frammento
L’UOMO CHE AVEVA IL FIUTO DEL RIFIUTO–

[Manlio Cerroni]

ROMA. Fino a un paio di anni fa Manlio Cerroni non aveva una sua email. Normale per un pezzo da novanta, peraltro novantenne, che delega ad altri certe noie, ma adesso l’email ce l’ha e nel suo user name risalta una data, ovviamente senza spazi: 9gennaio14. È quella del suo arresto, ai domiciliari, per associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti e truffa.
Quando vai a Malagrotta, la discarica a cielo aperto più grande d’Europa chiusa nel 2013, per intervistare il signore della monnezza – detto anche er Monnezza tout court, o l’ottavo re di Roma che ha costruito un regno sui rifiuti, sulle emergenze, e sull’insipienza o la corruttela di politici e amministratori – ti aspetti un duro, e Cerroni lo è, ma quel 9gennaio14 dà anche l’idea di un leone ferito, di un trauma insuperato. Lui ammette che l’ha presa male, si è sentito oltraggiato, tradito, perché ha un’immagine di sé molto diversa da quella che gli hanno disegnato magistrati e nemici: si considera un eroe, un benefattore, un profeta, a volte perfino un angelo. Oppure un capro espiatorio. Ma, soprattutto, si sente un genio dei rifiuti: «Sono IM-PA-RA-DIG-MA-BI-LE». In quest’ultima autodefinizione dev’esserci del vero, se anche i Saint-Just del Campidoglio grillino si sono rivolti a lui.
L’aria è da duro: qualcosa di James Cobum, con quell’eterno cappellino da pescatore che, in privato, portava anche Coburn. Invece è una debolezza, il cappelletto: «Senza, sono in difficoltà, è un talismano. Non so quanti ne ho avuti, e persi». Quello di oggi è blu con dei canguri stampati: l’ha preso a Sydney, perché la galassia Cerroni ha elargito impianti urbi et orbi: dal Canada all’Australia, dal Giappone all’Argentina. Ora lavora coi russi di Astrachan: «Hanno due discariche piene di uccelli vicino all’aeroporto e dei guai con i motori degli aerei: le bonificherò. Poi, sopra, due impianti per il compost. E addio uccelli». Per inciso: su Malagrotta, a quanto pare bonificata, non ho visto volare gabbiani né una cartaccia, al massimo due cornacchie.
Tornando al copricapo: «Me ne sono innamorato a sei anni, alla colonia marina di Anzio. Ero al paese, sotto il fascismo c’erano le segnalazioni sanitarie e il medico bussò in classe: “Questo ha avuto le polmoniti”. Mi mandò in colonia, dove c’era l’uniforme col cappelletto bianco. Quando mi vidi allo specchio, la meraviglia: e chi sono?».
Il paese di cui sopra è Pisoniano, antico borgo, una cinquantina di chilometri a est di Roma, dove è nato ed è stato sindaco, andreottiano, per tre mandati, dai Cinquanta agli Ottanta. «Io c’ho un Guinness: il sindaco più giovane d’Italia. Nel 1961, il Pci, che era il più forte, non trovò nessuno da mettermi contro in lista. Io gli avevo dato le fogne, le case, mi consideravano un angelo che il padreterno aveva mandato in terra per redimerli dalle loro miserie».
Quando parla di Pisoniano, Cerroni scivola nell’accento del contado. Toccando argomenti più caldi – processi, accuse di avvelenare l’ambiente, inquinare le falde, corrompere, truffare, trafficare, estorcere, perfino un’interdittiva antimafia – indurisce la bocca, la voce si fa furente, alza teatralmente le mani. E mostra lettere, perizie e documenti che dovrebbero attestare la sua correttezza. Di queste lettere con relativi allegati, ne manda a raffica a politici, funzionari pubblici, avvocati, magistrati, giornalisti. Ma ottiene risposta? «No, diranno chi è ’sto matto?». Passando ai rifiuti, elevati a categoria dello spirito, si fa aulico: «A me i rifiuti mi hanno stregato, nel senso che ho fatto tutto quello che gli altri nel mondo non hanno fatto. Sono un pioniere, l’oracolo di Delfi: ho recuperato questa ricchezza della cultura contadina che non buttava niente – neanche i peli del pennello da barba, quelli se li magnava lu porcu – trasformandola in un patrimonio non di famiglia, ma della famiglia universale. Tutte ’ste storie sulla differenziata: nessuno sa che, nei primi anni Quaranta, noi balilla ci portavano in giro tra boschi e fossi a raccogliere le latte dei pomodori arrugginite per il ferro alla patria».
È lungo, ma vale la pena di ascoltarlo il racconto di Cerroni sulla cernita manuale, perché è da lì che viene. Famiglia di braccianti, cinque figli, pochi soldi: per pagarsi la laurea in legge si mise a fare il cernitore con uno stipendio di duemila lire al mese, un euro di oggi. «A Roma passava il canestraio col sacco sulle spalle, lo riempiva con la monnezza delle famiglie, lo scaricava nel carriolo e lo portava agli orti, dove c’era una capanna vicino ai maiali. Lì si buttava tutto a terra ed entravamo in azione noi cernitori che, con lo zeppo, selezionavamo carta, ferro, vetro, da vendere e il residuo delle cucine che andava ai maiali. I maiali ingrassavano, defecavano e davano il letame per i famosi orti di Roma: indivie, fave, cucuzze, carciofi. Erano 240 gli ortaioli attivi a Roma, divisi in quattro settori: nord, sud, est, ovest». Avvisaglie di racket? «Macché, tutti amici. Pure quel pentito, Schiavone, ha detto che finché c’ero io la camorra non è riuscita a mettere le mani sulla monnezza di Roma. Insomma, gli ortaioli arrivavano in città con le verdure per i mercati e tornavano in campagna con la monnezza. Ogni giro, che si pagava al Comune duemila lire, corrispondeva alla spazzatura di cinquecento famiglie. I giri migliori erano quelli di San Giovanni, borghesia che magnava e riempiva bei secchi. Un giro buono ingrassava fino a 160 chili 100-120 maiali l’anno.
Questa storia Cerroni l’ha scritta e inviata alla sindaca Raggi: «Perché non so chi le prepara i discorsi, dice un sacco di fregnacce. Vabbè, stai in rodaggio, ma impara». Sull’assessora Muraro è più possibilista: «È una monnezzara. Per dieci, dodici anni bene o male è stata negli impianti e ci capisce». Invece nel nuovo amministratore Ama Solidoro non ripone grande fiducia: «Quel commercialista venuto da Milano? Non conosce neanche il secchio di casa sua». Va detto che anche lui ne sa poco di raccolta domestica. «Certo che facciamo la differenziata, ci pensa la donna. Ieri sera ho mangiato il melone e ho buttato la buccia nel contenitore sbagliato, ma lei mi ha corretto».
Nei tempi eroici degli ortaioli e dei cernitori, Cerroni fece una fulminea carriera che lo portò in cima alla piramide dei rifiuti. E a lui si rivolsero un potente direttore di giornale e un inflessibile ministro degli Interni con scabrosi problemi di nettezza urbana. Il primo chiamò perché la sua amante segreta era affranta: per sbaglio, la domestica aveva buttato nella spazzatura le focose lettere che lui le aveva spedito. Si temevano scandali e ricatti. Il secondo chiese aiuto perché nella pattumiera della sua bella, altrettanto clandestina, era finito il sacchetto con le gioie di cui le aveva fatto omaggio. «Un dirigente di polizia con cui avevo fraternizzato nell’attesa del camion dei rifiuti mi disse che valevano 18 milioni. Ci credo che c’erano i celerini con le armi spianate». Efficiente e discreto, Cerroni reperì e restituì. L’amante del direttore lo abbracciò: «Avvocato: per qualsiasi cosa, a disposizione».
Quel mondo antico termina con le Olimpiadi di Roma. Nel 1960 l’approccio alla monnezza diventa industriale: il Comune bandisce un appalto-concorso per la raccolta e il trattamento dei rifiuti. Lo vincono quattro società, una è quella di Cerroni. Anni dopo – dice lui – «Quelli delle altre tre società si sono fatti anziani, hanno venduto e io ho comprato. Ma questa storia del monopolista non mi sta bene: dove sono i concorrenti? Mica li ho ammazzati, sono solo il più bravo». Nel 1964 affida a Leandro Castellani la regia di un film sul ciclo dei rifiuti nel suo futuristico stabilimento di Ponte Malnome. A vederlo oggi fa un certo effetto: differenziazione completamente automatizzata, riciclaggio spinto, biogas, metano. Vengono delegazioni da tutto il mondo, la Treccani cita il suo ciclo virtuoso.
Poi la politica, con la quale si è scambiato non pochi favori, gli si mette contro. «Con le giunte rosse, Pci e sindacati vogliono che la nettezza urbana sia pubblica, nel 1979 devo consegnare gli stabilimenti, vanno in tilt in pochi mesi. L’avevo detto a Petroselli che non potevano essere gestiti dalla pubblica amministrazione, erano come orologi da controllare notte e giorno. A Natale del 1980 gli impianti sono in crisi, 300 camion non sanno dove scaricare. Petroselli chiama, ammette che avevo ragione e che nel Pci lui era contro il passaggio dal privato al pubblico. Ma mi minaccia: “Se non mi risolvi il problema dirò a tutti che quel porco democristiano di Cerroni ci ha boicottato”. E io glielo risolvo: trovo una cava abbandonata alla Cecchignola, allora bastava una firma dell’ufficiale sanitario. E poi apro Malagrotta: ecco, sono qui, datemi i rifiuti». Come il MrWolf di Pulp Fiction, l’avvocato Cerroni risolve problemi.
Il sospetto di un boicottaggio era anche ragionevole, come quello di malversazioni dei politici e degli amministratori. «L’allora pretore Amendola, l’ambientalista, mi chiese se secondo me avevano allungato le mani: gli risposi che c’era un dato da controllare, quello del personale. Nel giro di tre anni era più che raddoppiato e i sindacati volevano decidere tutto loro. Un venerdì santo s’erano impuntati per l’abbacchio in mensa».
Qualche politico l’ha riciclato in azienda, come l’ex presidente della Regione Bruno Landi finito anche lui nei guai giudiziari. E all’assessore regionale del Pd Mario Di Carlo, quello che nella mitica intervista a Report raccontava la comune passione per la coda alla vaccinare, aveva forse pensato di passare le consegne. Di Carlo è morto nel 2011 e Cerroni per ora non cerca eredi, fa tutto lui. Ma voleva bene a Di Carlo. «Solo io potevo capirlo. Quando andò all’Ama mi disse “Ti rendi conto? Il figlio dello scopino è diventato presidente”. Poi è morto dello stesso male del padre. In tre mesi».
A parte gli affetti, quanti politici ha unto Cerroni? «Beh, nel momento dello sforzo democratico sono tutti passati di qua». Per sforzo democratico leggesi elezioni, per passati di qua leggesi batter cassa. Dei 35 incrociati, il sindaco che gli è piaciuto di più è Rutelli: «Perché è venuto a Malagrotta, e si è appassionato al progetto del biometano prodotto qui che poteva alimentare tutti i camion Ama, i mezzi pubblici e pure qualche auto blu». Ha duellato anche con lui, quando non gli concedeva il cinquanta per cento nel consorzio per la raccolta differenziata. «Gli ho detto: “Tu sei come un principe siciliano spodestato, con le ghette sporche, e stai per inanellare una giovane sposa diciottenne con il latte che le schizza dal seno”».
Oltre al fatto che gli hanno scalzato il monopolio per fare spazio a poteri molto più forti del suo, il duro Cerroni non perdona a politici e amministratori l’indecisione, la prudenza sulla progettazione di nuove discariche e gassificatoli che, guarda caso, aprirebbe lui. Anche il mantra dei rifiuti zero non gli va giù: «Gli scarti di lavorazione ci saranno sempre, ma puoi utilizzare pure quelli, magari negli asfalti. E anche le discariche si riciclano, con le tecnologie di oggi potresti aprirne, richiuderne e riaprirne una perfino a piazza Venezia. Ma a Roma non è stato fatto niente, mandiamo tutto fuori: in Italia, Portogallo, Cipro, Marocco, Bulgaria e chissà dove altro. Come se gli scarichi di tutti questi camion non inquinassero.
Visitando Malagrotta, finiamo nel deposito del cdr, il combustibile da rifiuti ottenuto dall’indifferenziata (sui nastri scorre di tutto, segno che i romani non sanno o non vogliono fare la differenziata, magari anche qualcuno dei comitati contro i gassificatori): Cerroni guarda le balle caricate sui camion con l’amarezza di un padre che vede i figli partire per un sacrificio inutile. Produrrano energia altrove, non qui, nel suo nuovo gassificatore bloccato. Forse mi sbaglio, ma sembra che dia una pacca a una balla, come a un cavallo. O forse sta solo leggendo l’etichetta con la destinazione.
Paola Zanuttini


Fonte: Jacopo Iacoboni, Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 12/8/2016

Testo Frammento
CERRONI, IL RE DELLE DISCARICHE, DIFENDE RAGGI & MURARO. INTERVISTA –
Manlio Cerroni è da decenni, di fatto, il monopolista dei rifuti a Roma. Criticato, temuto, trasversale. L’”ottavo re di Roma”. La politica ha spesso avuto bisogno di lui, e ci ha trattato. La magistratura se ne è dovuta interessare numerose volte. Lui ha resistito a tutto. Naturale chiedergli, ora, cosa pensi del caso Muraro.
Cerroni, il dibattito sui rifiuti in Consiglio comunale a Roma l’ha chiamato in causa, lei che ne pensa?
«Era giusto che si facesse per un primo confronto. Mi auguro adesso che tutti si mettano al lavoro per trovare a breve le soluzioni necessarie».
Sia il M5s, sia il Pd, sia la destra la tirano in ballo come “il ras dei rifiuti”, e tutti si rimpallano l’accusa di favorirla. Perché?
«Io sono in questo campo da 70 anni e a vario titolo mi occupo dei rifiuti di Roma. Favori e aiuti? Sono io che ogni volta che mi è stato richiesto di intervenire con soluzioni tecniche ed operative non mi sono mai tirato indietro. Sull’epiteto “ras” capisco che i giornali amino i nomignoli. Mi chiedo solo come mai quando si parla o scrive di altri imprenditori, ovviamente anch’essi alle prese con vicende giudiziarie (per giunta ancora in corso) non si usino appellativi tipo “il ras del mattone” o “il boss della finanza creativa” e così via».
Ma lei davvero si considera una salvezza, per Roma e i romani?
«Se uso la parola “benefattore” o “salvezza” di Roma è senza intenti megalomani ma per rendere chiari i concetti. La discarica di Malagrotta che per 30 anni ha smaltito giorno e notte i rifiuti di Roma alle tariffe più basse d’Italia ha fatto risparmiare ai romani qualcosa come 2 miliardi di euro. Questa è la verità».
Cosa pensa dell’assessora Muraro? L’ha mai conosciuta? Ha avuto modo di apprezzarla?
«Sono decenni che lavora nei rifiuti. Certo che la conosco. È una professionista capace e apprezzata dagli operatori del settore sia pubblici che privati. Viene dai rifiuti e l’hanno messa a occuparsi del problema rifiuti forse in omaggio al brocardo “faccia ognuno il suo mestiere”».
La Muraro sostiene che grazie a lei l’Ama ha risparmiato 900 milioni nel contenzioso con il Colari. È vero?
«Ognuno di noi ha rappresentato convintamente le ragioni della sua azienda. E lei da consulente dell’Ama lo ha fatto per l’Ama. Come era giusto che facesse. Staremo a vedere, il tempo è galantuomo».
Secondo lei Muraro è in conflitto di interessi? Dovrebbe dimettersi?
«Ho visto, in questo Paese e in questa città, ben altri conflitti di interesse. Io questo conflitto non lo vedo anzi...»
Ha ragione la Muraro a dire che per risolvere il problema rifiuti a Roma bisogna usare il suo impianto tritovagliatore, che Ama non usa da mesi?
«Come abbiamo scritto al ministro Galletti, io credo che vadano utilizzati tutti quegli impianti disponibili e funzionanti in grado di risolvere il problema drammatico della pulizia di Roma. Per togliere d’impaccio la dirigenza Ama, ho ceduto con un contratto di affitto di ramo di azienda la Stazione di Tritovagliatura di Rocca Cencia a un’altra società. Io, noi, non c’entriamo più».
Quali erano i suoi rapporti con i vertici dimissionari di Ama, e cosa pensa delle loro scelte?
«Fortini non era in grado operativamente di svolgere il compito di salvare Roma dall’emergenza. Ha bandito una gara europea per portare i rifiuti indifferenziati all’estero quando sapeva molto bene, o almeno mi auguro, che l’Ue dice che bisogna utilizzare gli impianti di prossimità».
Qual è la sua opinione della sindaca Raggi? L’avrebbe votata, se fosse residente a Roma? Come si sta comportando sui rifiuti?
«Credo che sia nella fase di rodaggio di chi vuole comprendere le cose prima di proporre soluzioni concrete a medio termine. I sindaci, in particolare quelli di Roma, si possono giudicare sul campo. E io i sindaci li ho visti, conosciuti e incontrati tutti».
Cosa pensa più in generale del M5s? Alcuni suoi esponenti come l’onorevole Vignaroli provengono dai comitati civici contro Malagrotta: cosa ne pensa?
«Si tratterà di vederli all’opera. E Roma in questo sarà una grande cartina al tornasole. Credo di non aver mai incontrato Vignaroli. Né adesso né quando era attivista del Comitato Malagrotta. E soprattutto non ho fatto con lui nessun incontro segreto».
Cerroni, un’ultima cosa: come va letta l’operazione Acea-Suez? Quali sono i suoi rapporti con Caltagirone oggi?
«Posso solo dire che l’idea di coinvolgere Acea nella gestione dei rifiuti di Roma non è di questi giorni. Con l’ingegner Caltagirone ci siamo incontrati un paio di volte qualche anno fa per parlare di rifiuti. Non se n’è fatto nulla».
Jacopo Iacoboni, Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 12/8/2016



Fonte: Mauro Favale, la Repubblica 12/8/2016

Testo Frammento
IL TOUR DELLA MONDEZZA ROMANA. ECCO DOVE FINISCE –
Il camion dell’Ama è rosso porpora, bordi gialli. Si accosta al cassonetto, lo aggancia con due bracci meccanici, lo solleva lentamente e rovescia il contenuto nel suo grande “stomaco” maleodorante. Inizia sempre così il lungo viaggio dell’immondizia romana. Inizia così, da una strada qualunque del quartiere San Giovanni, della Balduina o del Casilino, per finire chissà dove: a Pordenone se si tratta di rifiuto organico, nella Lucchesia se si parla di carta, addirittura in Romania, in Bulgaria o in Portogallo se il rifiuto indifferenziato entra nel circuito degli impianti di trattamento di proprietà di Manlio Cerroni a Malagrotta.
In totale sono 62 i siti che in tutta Italia accolgono l’immondizia prodotta a Roma, sparsi in 10 regioni. E, come se non bastasse, c’è anche l’Europa: est, con Romania, Bulgaria, ovest col Portogallo. È lì che il novantenne Cerroni (avvocato, autodefinitosi «il re dei monnezzari») possiede tre delle sue 114 discariche dislocate in tutto il mondo.
A questi tre Paesi presto si aggiungeranno anche Germania e Austria, dove Ama ha scelto, dopo una gara d’appalto, di inviare 160 mila tonnellate di immondizia l’anno. Bisognerà attendere le autorizzazioni richieste pochi giorni fa dalla Regione ma il più sembra fatto. E così si aggiungeranno i treni ai 183 camion che già oggi, dalla capitale, partono verso le più diverse destinazioni in una sorta di paradossale ribaltamento del detto “Tutte le strade portano a Roma”. Stavolta è “Tutte le strade portano i rifiuti di Roma”.
Avviene così dal primo ottobre 2013, quando l’allora sindaco Ignazio Marino chiuse definitivamente i 240 ettari della “buca” di Malagrotta, la discarica più grande del mondo. Fino ad allora tutta la spazzatura della capitale veniva sversata lì, contravvenendo alle prescrizioni dell’Unione europea, e spargendo effluvi puzzolenti. Da quasi tre anni a questa parte è iniziato invece il lungo viaggio dell’immondizia romana. C’è la plastica che finisce in Lombardia, gli scarti leggeri e pesanti del cdr (il combustibile da rifiuto) che vanno in Abruzzo, ad Avezzano, o in Emilia Romagna, nei diversi impianti di Hera, da Bologna a Ravenna, da Forlì a Ferrara, a seconda delle disponibilità giorno per giorno. Poi c’è la Fos, la frazione organica stabilizzata, che va in discarica a sud, in provincia di Taranto, o a nord, a Montichiari, in provincia di Brescia.
In numeri assoluti si parla di 5.000 tonnellate di immondizia che quotidianamente la città di Roma produce. Di queste, più di 2.000 sono costituite da materiali riciclabili, 3.000, invece, sono rifiuti indifferenziati. Delle 2.000 tonnellate avviate al recupero, 5-600 sono rifiuto organico che va negli impianti di compostaggio. Ebbene, il primo deficit impiantistico di Roma è su questo versante: la capitale ne ha solo uno, a Maccarese, mentre servirebbero siti che trattano fino a 200 mila tonnellate di rifiuti organici all’anno. Quella cifra non si raggiunge nemmeno mettendo insieme tutti gli impianti del Lazio.
Per questo bisogna andare fuori. Con costi che crescono e con un mercato “drogato” dalla crescente domanda che arriva da Roma. Solo per fare qualche esempio, snocciolato anche davanti alla commissione parlamentare Ecomafie da Daniele Fortini, l’ex presidente di Ama, entrato in guerra con l’assessora capitolina Paola Muraro: per portare i rifiuti a Pordenone Ama paga 80 euro a tonnellata “al cancello”, all’ingresso dell’impianto, e 40 euro per il trasporto, 1300 km tra andata e ritorno. Ad Aprilia, invece, nell’impianto Kyklos di proprietà di Acea (socio di maggioranza il Comune di Roma) il trasporto costa molto meno, 11 euro, il conferimento molto di più, 95 euro.
Il prezzo lo fa il mercato e il mercato sa che Roma ha una disperata necessità di piazzare la sua immondizia per non andare in emergenza. Per questo i tedeschi del consorzio Enki si sono aggiudicati l’appalto al prezzo di 138 euro a tonnellata. Quasi il triplo del loro prezzo standard che oscilla tra i 50 e i 55 euro a tonnellata. Sempre meno del prezzo fissato da Cerroni per conferire negli impianti di Malagrotta. Lì Ama spende 143 euro a tonnellata. E anche lì, se chiedi il perché, la risposta è una sola: è il mercato, bellezza.
Mauro Favale, la Repubblica 12/8/2016

l’Anac di Raffaele Dice Cantone al Messaggero: “…Cerroni aveva il pregio di essere in grado di risolvere il problema dei rifiuti nell’immediato. Ma se dipendi dalle discariche, hai sempre bisogno di farne altre o, come è avvenuto, di ampliarle a dismisura”.



Fonte: Sergio Rizzo, Corriere della Sera 4/8/2016

Testo Frammento
E PENSARE CHE I 28MILA CASSONETTI DELL’AMA SONO IN AFFITTO –
Non avrebbero fregato nemmeno un cieco. Era impossibile non vedere che l’Ama riusciva perfino a pagare chi si prendeva la carta. Tonnellate di carta, al modico prezzo unitario di 21 euro. Motivo di questo paradossale rapporto commerciale contro natura? La carta presa dai cassonetti della differenziata va pulita e questo ha un costo. Che pagava l’Ama senza battere ciglio, accollandosi pure quello per smaltire gli scarti che gentilmente tornavano indietro. E il valore della carta? Strano, nessuno si era accorto che la carta avesse un valore. Finché non hanno fatto una gara seria, e adesso anziché regalare quattro milioni l’anno ai privati l’Ama ne incassa tre. Differenza: più sette milioni.
Ma altro che ciechi. Ci vedevano tutti benissimo. Vedevano che le cooperative di Mafia Capitale ingoiavano 900 euro per ogni tonnellata di plastica consegnata all’Ama: ora, dopo lo scandalo e la gara che ne è seguita, il costo è sceso a 274 euro. Altri sei milioni l’anno risparmiati, nel tentativo di cedere lo scettro della raccolta differenziata più cara del pianeta. E non soltanto quella. Un altro esempio? Sembra assurdo, ma i cassonetti della municipalizzata romana dei rifiuti sono presi in affitto. Non uno: ventottomila. Con un contratto di 5 anni del valore di 10 milioni l’anno. Trenta euro al mese l’uno.
La verità è che l’Ama è stata una formidabile gallina dalle uova d’oro. Vittima di una gestione verminosa della cosa pubblica, in combutta con apparati sindacali tutti concentrati a soddisfare interessi corporativi e personali.
LA DOMENICA NON SI LAVORA
Fra il 2008 e il 2010, gli anni di Parentopoli e dell’esperto di razze equine Franco Panzironi, factotum della fondazione di Gianni Alemanno e travolto da Mafia Capitale insieme al direttore generale dell’azienda Giovanni Fiscon, l’Ama assunse, dicono i bilanci, 1.518 persone. Comprese le 41 poi licenziate dal successore di Fiscon, Alessandro Filippi, in seguito appunto dell’inchiesta su quelle assunzioni: fra le quali anche una strettissima collaboratrice del medesimo Panzironi intestataria della società di cui era presidente l’attuale sindaca Virginia Raggi. Uno sgarbo che Filippi ha pagato con il posto, nonostante il Campidoglio fosse già in mano al commissario straordinario Francesco Paolo Tronca. Questo per dire quanto siano potenti e pervasivi certi interessi: destra o sinistra poco importa, come denunciava l’ex sindaco Ignazio Marino. Che certamente, oltre ai suoi errori, ha pagato caro anche la guerra ai poteri della spazzatura.
Ciechi, dunque, non ce ne sono mai stati neppure nel sindacato, capace di mantenere da decenni una presa ferrea sull’Ama: che stipendia 50 (cinquanta) sindacalisti a tempo pieno. Un’azienda dove 1.600 dipendenti su 7.800 sono ammessi ai benefici della legge 104, che consente di assentarsi dal lavoro tre giorni al mese per accudire i congiunti infermi: il 20,5% del totale, quindici volte in più rispetto alla media delle aziende private. E dove 400 di quei 1.600 il beneficio della 104 ce l’hanno addirittura doppio. Un’azienda nella quale si contano 1.200 dipendenti con in tasca un certificato medico di inidoneità al lavoro: chi ha l’ernia del disco, chi è allergico alle polveri, chi non può trascinare i cassonetti, chi ha paura del buio. Un’azienda dove per ogni turno vengono impiegate non più di 2 mila addetti, ma per contratto nazionale i giorni di festa si scende a 300. Con il risultato di un’emergenza ogni maledetta domenica.
QUANDO C’ERA LA GRANDE BUCA
Ci sono dei responsabili, ovvio. In testa a tutti i politici che si sono alternati alla guida della città. Mostrandosi incapaci, nella migliore delle ipotesi, di concepire un disegno strategico serio. Molto più facile affidarsi a una persona, quel Manlio Cerroni che a ogni sindaco diceva la stessa cosa: «Lei ha già tanti problemi, lasci che uno glielo risolva io». E l’uomo, oggi novantenne, lo risolveva eccome. Buttava tutto a Malagrotta, una buca immensa di 250 ettari, e a prezzi che sembravano scontati. Lui costruiva il suo impero, abilissimo a gestire i rapporti con la politica. Al punto da stabilire una relazione quasi familiare con un ambientalista come Mario Di Carlo, presidente dell’Ama e assessore con Walter Veltroni prematuramente scomparso. Ma i politici non si rendevano conto che in quel modo, con una discarica enorme che prima o poi si sarebbe esaurita, al cospetto di norme europee sempre più stringenti e senza impianti sufficienti a fronteggiare il problema, un cappio si sarebbe stretto inesorabilmente intorno al collo della città intera. E che il costo più basso d’Italia per smaltire i rifiuti si sarebbe tramutato nel prezzo più alto da pagare per i romani. Cosa puntualmente accaduta. Alla faccia degli stipendi stellari dei manager e delle consulenze profumate andate avanti per anni e anni.
TUTTI I GIORNI PARTONO 180 TIR
Nel territorio di Roma si smaltisce oggi poco più di un terzo delle 4.700 tonnellate d’immondizia prodotta al giorno, contro il 98 per cento delle altre metropoli europee. Un confronto che spiega perché nella capitale più sporca del continente si pagano le tariffe più alte. Ogni giorno 180 tir carichi di spazzatura romana invadono le strade italiane. Portano 230 mila tonnellate l’anno di rifiuti umidi della raccolta differenziata in Friuli Venezia Giulia. Portano le frazioni organiche stabilizzate che escono dai quattro impianti del cosiddetto Trattamento meccanico biologico, due dell’Ama e due di Cerroni ma tutti costruiti dall’industria di Cerroni, alle discariche in Puglia, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche. E viaggiano, carichi da spazzatura da lavorare o solo da bruciare fra Latina, Colleferro, Frosinone e Avezzano, fino agli impianti emiliani e lombardi. Mentre qualcuno prende le strade bulgare, rumene o portoghesi. I costi, immensi.
Non bastasse, si mette di traverso anche la burocrazia. La richiesta di spedire immondizia in Germania e Austria resta bloccata nei cassetti della Regione. Insieme, da un anno e mezzo, al progetto di un impianto di compostaggio. Come si affronta questo delirio? Con un disegno strategico serio, realista e di lungo respiro. Aspettiamo di vederne qualche traccia.
Anche Cerroni aspetta. Messo all’angolo da Marino che ha chiuso Malagrotta, persa la partita di un arbitrato monstre da 900 milioni, investito dalle inchieste, aspetta il regalo per il suo novantesimo compleanno, il 18 novembre. Se non la riapertura della discarica, che almeno facciano lavorare a pieno ritmo i suoi impianti. Un omaggio che lo riporti alla condizione di Supremo, come lo chiamavano un tempo. Con l’augurio che stavolta sia un regalo a cinque stelle.
Sergio Rizzo, Corriere della Sera 4/8/2016



Sta di fatto che una sola persona in città sembra avere la lucidità necessaria per approntare una soluzione. Il signore non è un giovane ecologista: ha quasi novant’anni, si chiama Manlio Cerroni, ed è il padre-padrone di Malagrotta. È l’uomo dell’arrangiarsi capitolino. In campagna elettorale è stato dipinto come un mostro, un inquisito, il responsabile di sprechi e appalti oscuri – e sarà vero – ma in una memorabile intervista a Fabrizio Roncone, sul Corriere della Sera, l’ottuagenario “Re della Monnezza” si è tolto la soddisfazione di definire incompetenti e imbecilli tutti coloro che dopo di lui hanno messo mano al problema. Se si dovesse giudicare dai risultati, è difficile dargli torto. Il presidente dell’Ama, Daniele Fortini, ha messo in campo questo geniale proposito: bandire una gara europea per far portare i rifiuti indifferenziati all’estero. Come mai? Perché l’Ama non fa funzionare né il suo impianto di tritotovagliamento, né quello di Cerroni, né nessun altro. Perché? Ancora mistero? No, stavolta – come si dice a Oxford – mortacci vostra.
Luca Telese, Libero 3/8/2016


Fonte: Corrado Zunino, la Repubblica 1/8/2016

Testo Frammento
RIFIUTI, IL DISASTRO DELL’AMA IN 14 DOSSIER –
La procura di Roma – gli uffici dell’antimafia e quelli di contrasto alle frodi alla pubblica amministrazione – da un anno ha in mano i 14 dossier sull’Ama, l’Azienda municipalizzata ambiente di Roma. Li ha scritti il suo presidente dimissionario, Daniele Fortini. Il primo, quello sul tritovagliatore di Rocca Cencia di proprietà di aziende controllate dall’ottuagenario Manlio Cerroni, il padrone di Malagrotta, è stato personalmente consegnato a maggio 2015 e, innestandosi su indagini preesistenti, quattordici mesi dopo ha portato i primi sette indagati. Sugli altri tredici dossier il pm Paolo Ielo, in rapporto con Alberto Galanti e Michele Prestipino, sta lavorando per chiedere conferme alle carte sottoscritte. “Repubblica” ha preso visione dei dossier: riguardano le anomalie Ama accertate nel corso della gestione Fortini (iniziata il 27 gennaio 2014 e, probabilmente, da chiudere il prossimo 4 agosto).
GLI ARBITRATI DI CERRONI
Nelle carte si racconta di un’azienda «già devastata nel 2014» e ben prima dell’emersione dell’inchiesta su Mafia capitale (dicembre 2014). L’ultimo passaggio di una municipalizzata messa in ginocchio nell’era Alemanno- Panzironi (1.087 assunzioni tra il 4 giugno 2009 e il 7 settembre 2010) è avvenuto il 10 gennaio 2014: con sei persone a lui vicine, è stato arrestato proprio il “re” Manlio Cerroni. «Ama, azienda eterodiretta dalla politica e dall’imprenditore privato – si legge – è smarrita». Il 20 gennaio il gruppo di Cerroni, Colari (quello di Cerroni,
ndr), viene raggiunto da un’interdittiva antimafia della prefettura di Roma: con l’azienda pubblica non può più avere rapporti diretti. Quattro giorni e il sindaco Ignazio Marino nomina Daniele Fortini presidente e ad. In collaborazione con il prefetto Giuseppe Pecoraro, Fortini scopre la prima anomalia: l’80% di acquisti e approvvigionamenti viene realizzato senza gare. Unicum europeo, tanto più per una società a controllo pubblico. Il Tmb di Rocca Cencia supervisionato dalla consulente Paola Muraro (oggi assessore all’Ambiente) costa un milione a settimana (175 euro a tonnellata, il prezzo di mercato è di 130): «È una macchina non riconosciuta dall’Ue e utilizzata senza contratto». Accordi a voce: tutto in procura.
Il secondo dossier viene avvistato in conseguenza: gli arbitrati con Manlio Cerroni. L’avvocato di Malagrotta ha chiesto alla vecchia Ama 900 milioni di euro come risarcimento per la fine del rapporto con la sua discarica, chiusa, e 300 milioni per i costi della gestione “post-mortem”. I periti avevano stabilito in 105 milioni il “dovuto” a Cerroni: Ama ne ha già dati 144 eppure l’imprenditore ne pretende subito altri trecento e in tutto un miliardo e due. Il presidente Fortini ferma gli assegni: l’ultimo esborso garantirebbe il crack dell’azienda. Scopre che due dei tre “periti indipendenti” del lodo arbitrale da trecento milioni hanno lavorato più volte per Cerroni e in terza istanza vince su entrambi i fronti: Ama non deve pagare più.
I LICENZIAMENTI
Quarto e quinto dossier sono sui licenziamenti messi in atto dalla nuova dirigenza. Dopo controlli affidati a società specializzate in due diligence (prove scritte e colloqui, esame dei curriculum), si certifica che solo il 25% dei 160 dirigenti è all’altezza dei compiti affidati. Scattano i primi tre licenziamenti (responsabile dei cimiteri, primi dirigenti del personale e del controllo di gestione), poi altri quattro. Seguiranno 41 dipendenti allontanati per assenteismo: tutti assunti con la Parentopoli alemanniana. È dicembre 2014 quando arriva in Ama l’ingegner Alessandro Filippi, nuovo direttore generale. È distaccato da Acea fino al 30 novembre 2015, ma c’è un’opzione per farlo restare altri tre anni. Quando vengono toccati gli uomini della destra, si scatena una battaglia politica orchestrata dal senatore Andrea Augello, allora Ncd. Forti pressioni arrivano dal deputato dei 5 Stelle Stefano Vignaroli, vicepresidente della commissione rifiuti. Inutili le richieste del commissario Tronca: il presidente Alberto Irace è irremovibile, tre mesi e Filippi torna da noi. Oltre a contribuire al licenziamento di inadeguati e assenteisti, cosa aveva fatto in Ama l’ingegnere? L’ultimo dossier in procura dice: «Per la prima volta nella storia di Ama i dirigenti hanno iniziato a firmare le richieste di acquisto, prima era tutto in mano al dg Giovanni Fiscon». Uno dei 37 arrestati per Mafia capitale.
MAFIA CAPITALE
Ecco, il nome più evocato: la Mafia emersa a Roma nel dicembre 2014. Grazie a controlli esterni ordinati su appalti a campione, si certifica che tre partite su tre in Ama hanno gravi anomalie. Il noleggio dei 28mila cassonetti costa 50 milioni in quattro anni, con l’acquisto se ne sarebbero risparmiati venti. Per un appalto alla Coop Edera (altro frutto di Mafia capitale, il fondatore è indagato per turbativa d’asta) si spendono 800.000 euro: i rifiuti sanitari destinati a Ponte Malnome vengono caricati a mano, la macchina da mezzo milione di euro si è rotta e invece di ripararla si è preferita un’assegnazione più costosa. Sul fronte cooperative sociali, partono per la prima volta le gare: non partecipano solo Edera e la 29 giugno di Salvatore Buzzi, ma dieci imprese da tutta Italia. Risparmio netto: 6 milioni l’anno. «Prima di Filippi non c’era tracciabilità delle procedure», si legge sui dossier, «con l’ingegnere l’azienda nel 2015 ha risparmiato 41 milioni». Un altro esposto arriva per i riciclatori di carta e cartone: Ama pagava 1,4 milioni l’anno, ora ne incassa tre.
LA CONSULENTE-ASSESSORA
Due dei 14 dossier Fortini riguardano l’ex consulente (per 12 anni) Paola Muraro, militante grillina, oggi assessore. Per verificare il funzionamento dell’impianto di Rocca Cencia, sua responsabilità, l’ingegner Filippi chiede un parere a un esperto come Giuseppe Mininni del Cnr. La risposta è secca: gestito male. Il 31 giugno 2015 la Muraro è fuori dall’Ama. Oggi lei annuncia i suoi controdossier sui premi a Fortini (113.000 euro nel 2014) e i compensi all’avvocato Gianluigi Pellegrino (800.000 euro per il lodo Cerroni).

Corrado Zunino, la Repubblica 1/8/2016



Fonte: Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 30/7/2016

Testo Frammento
MANLIO CERRONI ATTENDE UNA CHIAMATA –
« Mi spiace, l’avvocato è fuori» ( voce di segretaria sussiegosa ).

Può riferirgli la mia chiamata?

«Certamente».

Ho provato a cercarlo anche sul cellulare, ma non risponde.

«Cosaaaaa? Ha il suo cellulare? E come fa ad averlo? Incredibile… Comunque l’avvocato non risponde ai numeri sconosciuti».

Gli dica che lo sto cercando.

«Mhmm… Se posso darle un consiglio: non si metta in attesa. Magari la chiamerà tra un minuto, magari no, magari non la chiamerà per anni. È fatto così».

( Cinque minuti dopo ).

«Sono io» ( Sottinteso: sono Manlio Cerroni di anni 89, leggendario e ricchissimo proprietario di oltre cento discariche sparse da Barcellona a Oslo, da Rio de Janeiro a Roma, Malagrotta, il più grande cratere del pianeta utilizzato per smaltire i rifiuti, duecentoquaranta ettari, come trecento campi da calcio su cui atterrano felici migliaia di gabbiani; arrestato a inizio del 2014 con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, ora libero, ma in attesa di sentenza ).

«Sono io. Il benefattore dei romani. Il re dei monnezzari. Mi dica».

È piuttosto imbarazzante anche da chiedere: perché sono costretti a tornare sempre da lei?

«C’è un proverbio che dice: chi è causa del suo mal, pianga se stesso».

Andiamo oltre i proverbi.

«Guardi, è semplice: mi chiusero la discarica di Malagrotta, senza però poi realizzare una discarica alternativa, come io avevo suggerito di fare. Ma una città è come un appartamento: non puoi avere il salotto e il tavolo da pranzo senza i servizi, giusto?».

Prosegua.

«Il risultato è che adesso Roma è sommersa dai rifiuti, dalla periferia al centro ci sono cumuli di immondizie in putrefazione, ormai siamo quasi dentro una colossale emergenza sanitaria. E io, come sempre, sono qui. Pronto a salvare la mia amata Roma. Disposto anche ad aiutare il nuovo sindaco grillino, la signora Raggi».

Sarebbe almeno curioso che il sindaco Raggi accettasse il suo aiuto…

«In campagna elettorale mi ha trattato come un orco… Ha detto cose tremende sul sottoscritto ma io, che sono un anziano signore di buone maniere, le ho scritto una e-mail…».

Contenuto della email?

«Oh, beh… Le ho inviato tanti cari auguri e le ho spiegato che prima di parlare male d’uno come Cerroni, che dal 1959 ha fatto per Roma cose che forse nemmeno la Madonna del Divino Amore… ecco, prima di andare in giro per comizi ad attaccare quel mostro di Cerroni, forse avrebbe almeno dovuto incontrarlo, conoscerlo… Anche perché…».

Anche perché?

«No, dico: vogliono che la città torni ad essere pulita? Devono venire da me. La soluzione è esattamente quella indicata dall’assessore all’Ambiente Paola Muraro, una che dentro certe faccende ci sta da tempo e che quindi sa cosa bisogna fare… Bisogna riaccendere subito il tritovagliatore di Rocca Cencia».

Che è di sua proprietà.

«Era della Colari, il Consorzio laziale rifiuti, di cui ero presidente: ma, visto che il mio cognome evoca disgusto e paura, l’ho affittato alla ditta Porcarelli».

Quindi resta suo.

«Sottigliezze. La notizia è che quel tritovagliatore rappresenta l’unica soluzione per Roma. Del resto, se il presidente di Ama, Fortini, cinque mesi fa non avesse deciso di spegnerlo, la città non sarebbe così sporca…».

L’idea di Daniele Fortini era quella di ridurre, sia pure in modo progressivo, la dipendenza di Ama dai privati.

«Fortini è un incapace! Punto. Ma lo sa che ha fatto? Ha bandito una gara europea per far portare i rifiuti indifferenziati all’estero, quando sa benissimo, e se non lo sa è grave, che l’Unione europea dice che bisogna utilizzare gli impianti di prossimità».

Comunque Fortini ha chiesto al sindaco di requisirlo, l’impianto di Rocca Cencia.

«Fortini deve stare zitto, muto. Ce l’ha anche l’Ama, un tritovagliatore: perché non usano il loro?».

Ai magistrati della Procura di Roma, Fortini ha denunciato pure alcune irregolarità…

«Tipo? No no… Voglio proprio sentire…».

Tipo che non c’era alcun contratto tra l’Ama e la Colari, la società che gestiva l’impianto di Rocca Cencia.

«No, scusi: ma che contratto doveva esserci?».

Fortini sostiene che non ci sarebbe mai stata neanche una gara di appalto.

«Ah, vabbé… Ma di cosa stiamo parlando? Tu hai bisogno di una cosa da me, no? Allora ci sediamo e trattiamo. Tu poi dici ok, mi sta bene: a quel punto ci alziamo, ci stringiamo le mani, Roma è pulita e siamo tutti felici e contenti… Contratti? Appalti? Boh».

Senta, Cerroni: lei è molto sicuro e disinvolto. Ma appena due settimane fa, è stato rinviato a giudizio per la terza volta: la Procura crede che la discarica di Malagrotta avrebbe contaminato le acque del sottosuolo causando un disastro ambientale.

«Ah ah ah! E allora scriva: Cerroni ha già denunciato il perito e tutti i magistrati! Questi non l’hanno capito: continuano cercare di infangarmi, ma io sono bello e lindo, profumo di innocenza come un fiore».

Lei, avvocato, è un personaggio abbastanza spaventoso.

«Dice così, ma non ci crede nemmeno lei. Se sono sopravvissuto a decine di sindaci, Alemanno e Marino compresi, e se vengono a cercarmi perfino dalla Russia, è perché il mio lavoro di mondezzaio lo so fare come nessuno al mondo e…».

( Mentre continua a parlare, te lo immagini scendere dalle colline di Malagrotta a bordo della sua traballante e vecchia Lancia Delta, il volante solo con la mano sinistra, il cellulare nella destra… ).



Fonte: Mattia Feltri, La Stampa 27/7/2016

Testo Frammento
LA RAGGI DÀ IL BENTORNATO A MANLIO CERRONI, IL RE DELLA MONNEZZA. QUELLO CHE FINO A POCO TEMPO FA PER I CINQUE STELLE ERA «IL MAFIOSO» O «L’AVVELENATORE» –
Virginia Raggi, 10 giugno: «Stanno preparando un bel piattino con l’immondizia. Ci vogliono far trovare la bomba ma noi abbiamo un piano per uscire dall’emergenza». Virginia Raggi, 11 giugno: «A Roma il problema rifiuti ha un nome: Cerroni». Due frasi su cui si potrebbe costruire un trattato di psicologia politica. Non tanto per l’estenuante teoria del complotto: bisogna essere maliziosi per prevedere l’imboscata, ma a Roma essere maliziosi male non fa, e il saliscendi di spazzatura nelle strade dimostra che quando le cose vanno male è più facile che vadano peggio. E infatti Raggi si è presa il suo benvenuto, causale o pianificato. Il problema è che all’imboscata, se imboscata è, non era preparata. Non c’era nessun piano, e per uscire dall’emergenza non è rimasto che comporre un numero di telefono: quello di Cerroni.
Fuori dal Raccordo anulare probabilmente nessuno sa chi sia Manlio Cerroni. A novembre farà novant’anni ed è il titolare della più grande discarica d’Europa, quella di Malagrotta. Dal 1975 e per trentotto anni la discarica ha ospitato gli scarti della città, naturalmente non differenziati, e siccome il confine fra legale e illegale è un’opinione – soprattutto in Italia – mentre l’Unione europea dichiarava Malagrotta illegale, il Parlamento la ridichiarava legale con una righina in Finanziaria. Su quella montagna di proroghe e su quella montagna di spazzatura, Cerroni ha fatto montagne di soldi, e questo è soltanto uno degli aspetti biografici che fanno del Supremo (il soprannome è decisivo) un campione da Prima Repubblica (e Seconda). Arrogante il giusto, ruspante il giusto, guida Suv, non frequenta i salotti ma i politici sì, e con qualcuno di loro condivideva in trattoria la passione per la coda alla vaccinara. Due anni e mezzo fa è finito ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; poi è stato condannato soltanto per falso in atto pubblico, un anno di reclusione, ma la fama di sommo inquinatore non ne ha risentito. Nell’ultima campagna elettorale – e pure nelle precedenti – dire Cerroni era dire male assoluto, era dire quello che era stato e non doveva essere più, era l’aggettivo qualificativo della peggiore politica, arretrata, consociativa, lassista, vorace. Per i Cinque stelle, in particolare, Cerroni era «il mafioso», era «l’avvelenatore», e che destra e sinistra ci avessero brigato per l’eternità era la prova della generale furfanteria.
Lunedì il nuovo assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, scortata da attivisti social per la certificazione di purezza in diretta Facebook, ha bruscamente invitato il presidente della nettezza urbana, Daniele Fortini, a «stendere un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia. E che è Rocca Cencia, oltre a toponomastica evocativa? A Rocca Cencia c’è un impianto di trattamento meccanico biologico che appartiene a Cerroni. O forse no, ma non è così importante, nel senso che Cerroni ha affittato il ramo d’azienda a un terzo. E siccome si continua a essere maliziosi, si dice faccia capo a lui. Di certo era suo fino a poco fa, di certo ci guadagna ancora, di certo Rocca Cencia è una specie di pietra angolare della dottrina Cerroni. Infatti il Supremo oggi è un uomo felice e al Tempoha dichiarato: «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Eccolo qua, nel suo irrimediabile cinismo pratico, così diverso dal delizioso candore di Raggi che, appena eletta, andò a Tor Bella Monaca dove i ragazzini giocavano a contare i topi fra i cassonetti. «Mi raccomando, fate la differenziata», disse con commovente fiducia nella virtù popolare. Intanto il presidente della nettezza urbana si è dimesso: teme (esagerato!) che riapra Malagrotta e comunque con Cerroni non intende spartire nulla. Ora Raggi potrà mettere al suo posto uno meno idealista e più consapevole delle esigenze della realpolitik.
Se davvero era un complotto, è andato meglio di quanto ci si immaginasse: bentornato, Cerroni.
Mattia Feltri, La Stampa 27/7/2016




Fonte: Mauro Evangelisti, Il Messaggero 26/7/2016

Testo Frammento
ROMA È SOMMERSA DALL’IMMONDIZIA E ALLA RAGGI TOCCA BUSSARE ALLA PORTA DI MANLIO CERRONI (CHE SE LA RIDE) –
Il vertice dell’Ama salta, il presidente se ne va, mentre il Campidoglio insiste per portare più rifiuti negli impianti di Cerroni. Tutto questo avviene mentre la Capitale è ricoperta dai rifiuti. Da sapere: ogni giorno centottanta camion partono da Roma per portare i rifiuti in altre regioni. Si spendono 250 milioni di euro all’anno per questi viaggi. Le altre grandi città europee smaltiscono all’interno dei propri confini il 90 per cento dei rifiuti che producono, Roma solo il 36 per cento. Infine: anche se la differenziata ha raggiunto una percentuale buona, sopra il 40 per cento, è comunque inferiore alla tabella di marcia che Roma si era data e non sono stati realizzati gli impianti per lavorare i materiali riciclati. In questo scenario, i marciapiedi sono ricoperti da cumuli di sacchetti di spazzatura e c’è un signore che a novembre compirà 90 anni che se la ride: si chiama Manlio Cerroni, per quattro decenni ha gestito quasi in esclusiva il business dei rifiuti grazie alla discarica di Malagrotta ed è imputato in un processo ancora in corso. Ma è da lui che la giunta 5 Stelle andrà a bussare per risolvere il problema.
IL TRITOVAGLIATORE
L’assessore all’Ambiente, Paola Muraro, infatti, ha chiesto di portare una parte dei rifiuti che Roma non riesce a smaltire, nel tritovagliatore di Rocca Cencia. Di proprietà di Cerroni, anche se formalmente affittato a un altro imprenditore. Va ricordato che Cerroni già tratta, in due impianti di Malagrotta, 1.200 tonnellate di rifiuti al giorno, quasi la metà dell’indifferenziato che produce Roma. Il presidente dell’Ama, Daniele Fortini («le mie sono dimissioni vere») ieri si è ribellato alla indicazione del Campidoglio: «Io devo rispettare la legge. Posso portarli nel tritovagliatore, solo se la Regione fissa la tariffa, altrimenti serve la gara In alternativa, deve esserci una ordinanza firmata dal sindaco Raggi o dalla Regione. Io so solo che il primo giugno ho scritto una lettera alla Regione su questo tema, ma non ho ricevuto risposta».
Roma è ricoperta dalla spazzatura. La Muraro addirittura denuncia che i terroristi potrebbero nascondere delle bombe tra i rifiuti abbandonati. Siamo in piena estate, con una parte dei romani in ferie e dunque una produzione di spazzatura ridotta. Molti quartieri sono ancora sporchi, vicino ai cassonetti ci sono montagne di sacchetti mai raccolti, anche in centro vicino ai cestini strapieni i turisti non di rado s’imbattono in alcune piccole discariche. A oltre un mese dal suo insediamento, il sindaco Virginia Raggi si sta rendendo conto che sulla città ricoperta dai rifiuti rischia di giocarsi la luna di miele con i romani. E ieri l’assessore Muraro ha svolto un blitz a sorpresa nella sede dell’azienda, un poco teatrale, con tanto di diretta Facebook (trasmessa sull’account del Movimento 5 Stelle, non su pagine istituzionali) per accusare il presidente dell’Ama, Daniele Fortini, e gli altri dirigenti. «Non me ne vado di qui fino a quando non sarà scritto un piano serio di interventi per pulire Roma».
LA DIRETTA FACEBOOK
La Muraro – che pure per dodici anni è stata consulente dell’Ama – ha processato i vertici dell’azienda, chiedendo che apparissero in diretta Facebook anche i capi area, ha denunciato il fatto che la raccolta della carta non funziona, l’appalto degli ingombranti è bloccato. Ma poi è arrivata al vero nodo: gli impianti. Fortini ha ripetuto: «Io l’ho spiegato anche alla commissione parlamentare, fino a quando non si realizzano gli impianti, saremo sempre a rischio emergenza». Roma non ha neppure una discarica, deve mandare al nord perfino buona parte della frazione umida della differenziata. L’indifferenziato, circa 2.800 tonnellate al giorno, deve passare per degli impianti di trattamento che però sono insufficienti. Due, come detto, sono di Cerroni a Malagrotta; altri due sono dell’Ama, ma sono malandati e contestati dalla popolazione, in via Salaria e Rocca Cencia. «Devono essere svuotati – ha insistito la Muraro – in particolare quello di via Salaria va chiuso». Bene, ma poi che si fa in autunno, se già oggi i rifiuti sono per strada? Da novembre una parte di spazzatura indifferenziata potrà andare in Germania sulla base di un appalto già assegnato, ma secondo la Muraro – e dunque secondo il sindaco 5 Stelle – bisogna usare anche il tritovagliatore di Cerroni a cui Fortini non ha mandato più rifiuti perché giudicava troppo altre le tariffe. Muraro: «Non mi interessa Cerroni, la fattura va fatta a Porcarelli (l’imprenditore che ha preso in affitto l’impianto)».

Mauro Evangelisti, Il Messaggero 26/7/2016



Fonte: Mauro Evangelisti, Il Messaggero 25/7/2016

Testo Frammento
I RIFIUTI DI ROMA TORNANO A CERRONI –
In Campidoglio c’è un piano per uscire dall’emergenza rifiuti. E Ama valuterà l’ipotesi di tornare usare il trito vagliatore di Rocca Cencia, di proprietà di Cerroni (affittato a un altro imprenditore), a cui da molti mesi non porta rifiuti perché secondo il presidente Fortini è anti economico. Colari, comunque, con i due Tmb di Malagrotta continua ad avere inevitabilmente un ruolo chiave. La prima scelta, comunque, resta l’esportazione in Germania. Al progetto di riorganizzazione del sistema stanno lavorando l’assessore alla Sostenibilità Ambientale, Paola Muraro, ma anche Stefano Vignaroli, il parlamentare che fa parte del mini direttorio. Premessa: i rifiuti sono il banco di prova più importante per il sindaco Raggi, perché se la città è sporca e i sacchetti di spazzatura restano sui marciapiedi i cittadini tendono, con i giorni che passano, a esaurire la pazienza.
LA TASK FORCE
Nell’immediato l’Ama sta mettendo in campo una decina di squadre aggiuntive per pulire le aree dei marciapiedi in cui sono rimasti i sacchetti di spazzatura. Il canovaccio è collaudato: a causa della crisi del sistema, i cassonetti si riempiono, il cittadino a quel punto lascia il sacchetto per terra e rapidamente si crea un cumulo di rifiuti. Quando il camion passa e svuota i cassonetti, sull’asfalto restano i sacchetti. Per questo Ama sta mandando sulle strade delle squadre speciali. Altro tassello: operativi per due domeniche i Tmb, gli impianti di trattamento di Ama e Rocca Cencia, lavoreranno (ieri e la prossima). Ma l’obiettivo è trovare un’intesa più vasta con sindacati per aumentare gli straordinari. Giovedì prossimo l’assessore alla Sostenibilità ambientale, Paola Muraro, li incontrerà. Ma sul fronte degli impianti di trattamento, dove spesso si creano i problemi che mandano in tilt il sistema, è alta la preoccupazione per possibili manifestazioni dei cittadini di via Salaria e Rocca Cencia, infuriati per il cattivo odore. Se una protesta dovesse limitare l’operatività anche per qualche ora, la raccolta andrebbe di nuovo in tilt.
IL MANAGEMENT
Nel medio termine l’obiettivo è cambiare e completare il management di Ama. Quelli di M5s non si fidano del presidente Fortini. Nell’organigramma dell’azienda vi sono troppe caselle vuote. Per questo sarà pubblicato il bando per trovare un nuovo direttore generale. Il secondo passaggio riguarda gli impianti, la cui carenza è la causa dei mali di Roma: nel colloquio che la Muraro ha avuto con l’assessore ai Rifiuti della Regione, Mauro Buschini, ha chiesto quale sia la disponibilità dei Tmb nel resto del Lazio. Per ora Roma porta i rifiuti anche ad Aprilia (Latina) e Colfelice (Frosinone). Milleduecento tonnellate al giorno continuano ad andare, come avveniva con Marino, nei due Tmb di Malagrotta di Colari. Nei due Tmb di Ama a Rocca Cencia e Salaria va fatta la manutenzione. Dovranno fermarsi, significa guai seri in autunno. L’ipotesi di mandare un quantitativo di indifferenziato in Germania, mantenendo l’appalto aggiudicato da Fortini, è la prima scelta. Ma soprattutto, e questo è uno dei nodi più delicati, non si esclude di tornare a usare il tritovagliatore a Rocca Cencia, di proprietà di Cerroni (affittato per tre anni a un altro imprenditore) che Fortini quest’anno si è rifiutato di usare perché considera le tariffe del privato troppo care. Il Campidoglio ha scritto una lettera a Fortini per sapere quali impianti non vengono usati e perché. Più a lungo termine sarà riformato il sistema di raccolta differenziata – che dovrebbe essere il core business dei grillini – e per questo è stato dato un incarico a un consulente della Muraro, si tratta di Roberto Cavallo.
Mauro Evangelisti, Il Messaggero 25/7/2016



E i parlamentari potranno ricevere regali senza dover rendere conto a nessuno. “Ormai non sono più anni di vacche grasse, anche perché noi qui contiamo sempre meno. E poi, coi tempi che corrono, nessuno ha voglia di sputtanarsi…”, confida un parlamentare. Fino a qualche anno fa, però, si vedeva di tutto: vini pregiati, orologi, telefonini, cesti alimentari (tra i più famosi quelli del patron di Malagrotta Manlio Cerroni), cravatte, gemelli, omaggi per le gentili signore, compresi trattamenti nelle spa. Da consegnare rigorosamente all’indirizzo di casa, perché a finire nel penale è un attimo.


Negli anni Ottanta a Roma esisteva la Sogein, un’azienda mista pubblico-privata che gestiva lo smaltimento dei rifiuti. Ne facevano parte i grandi appaltatori di Roma, tra cui Cerroni. Nel libro “Roma come Napoli”, Paola Campana, ex assessore nel 1985 della giunta Signorello, racconta che “la Sogein doveva gestire il primo esperimento di raccolta differenziata, il Comune la pagava per questo. Invece i rifiuti finivano tutti a Malagrotta, nella discarica. Il costo era molto inferiore e i partiti intascavano la differenza”. Quali partiti? “Tutti. La Dc e i socialisti soprattutto. Allora tutti gli appalti passavano dal tavolo dell’andreottiano Elio Mensurati e del craxiano Paris Dell’Unto. Ma dentro c’erano proprio tutti, anche i comunisti e il Movimento sociale. L’amministratore della società era Manlio Cerroni, vicino a Mensurati, uomo di Andreotti. La Sogein era un canale diretto tra Cerroni e i partiti. Anche i comunisti. Perché furono loro, la giunta Vetere, a fondare la Sogein”.








































Fonte: Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 14/8/2015

Testo Frammento
IL “RE DEI RIFIUTI”SFIDA MARINO –
La lettera al sindaco Ignazio Marino si chiude in modo quantomeno deciso: “A settembre Le farò avere una proposta a cui Roma non può dire di no”. Manlio Cerroni, 89 anni – da mezzo secolo padrone assoluto del business dei rifiuti della Capitale, arrestato nel gennaio 2014 e tuttora sotto inchiesta per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti – sostiene di avere in mano la soluzione per l’immondizia: “Un impianto fantascientifico per il trattamento di tutto l’organico derivato dalla raccolta differenziata da realizzare con il contributo di qualificati imprenditori del Nord attraverso un impianto degno di Roma”.
Cerroni detta con sicurezza la linea al sindaco in una lettera irridente che ricorda a Marino di quando, poco dopo l’elezione, “ebbi a suggerirLe di non rinunciare alla Sua prestigiosa carriera di medico e chirurgo del fegato”, per concludere che “se mi avesse dato retta ne avrebbero ricavato un enorme vantaggio sia la scienza medica che Roma”.
È l’ennesima prova, se ce ne fosse ancora bisogno, di quanto sia rovente lo scontro in atto in tutta Italia sulla gestione dei rifiuti. Il tentativo del governo di imporre alle Regioni la costruzione di 12 nuovi inceneritori con il più tipico blitz estivo non fa altro che aumentare la confusione.
Lo stesso presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle Ecomafie Alessandro Bratti (Pd), invita alla prudenza: “Gli illeciti ambientali nel ciclo dei rifiuti siano sempre di più delitti d’impresa, che vedono il coinvolgimento in diverse inchieste giudiziarie di molti soggetti imprenditoriali interessati a mettere le mani sui futuri appalti. Anche per questo serve, prima di tutto, uno sforzo di trasparenza importante, e non decisioni prese in fretta e furia quando il Parlamento è chiuso”.
Lo scorso 22 luglio la commissione presieduta da Bratti ha sentito in audizione i vertici della procura di Roma, che hanno lasciato intendere nuovi problemi in arrivo per Cerroni, sotto forma di un nuovo fascicolo di indagine dopo che uno studio del Politecnico di Torino ha accertato che la storica discarica di Malagrotta, ormai chiusa, continua a inquinare la falda acquifera sottostante.
La stessa procura romana è in attesa del rapporto di polizia sull’incendio che il 2 giugno scorso ha colpito l’impianto di trattamento della municipalizzata Ama. Secondo indiscrezioni le telecamere dell’impianto avrebbero registrato le immagini di un’auto sospetta entrata nello stabilimento poco prima dell’incendio.
Intanto la lista dei roghi che hanno colpito negli ultimi mesi impianti di trattamento per la raccolta differenziata, che il Fatto ha pubblicato ieri, si allunga. Stefano Vignaroli (M5S), vicepresidente della commissione ecomafie, l’ha integrata con sette casi registrati in Piemonte, quasi sempre intorno a Torino, dal 18 marzo al 20 luglio scorsi. Tra le aziende colpite la Transistor srl, collegata al gruppo Abele di don Luigi Ciotti.
Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 14/8/2015



Fonte: Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 12/8/2015

Testo Frammento
RICORDATE MANLIO CERRONI, IL “SUPREMO”, PADRONE ASSOLUTO DELLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI DI ROMA NEGLI ULTIMI QUARANT’ANNI CON LA SUA DISCARICA DI MALAGROTTA? DUE ANNI FA È FINITO AI DOMICILIARI: È SOTTO PROCESSO PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE FINALIZZATA AL TRAFFICO DI RIFIUTI, TRUFFA AGGRAVATA, FRODE IN PUBBLICHE FORNITURE E FALSO. INTANTO IL 22 LUGLIO IL TAR DEL LAZIO HA AUTORIZZATO LA COSTRUZIONE DEL TERMOVALORIZZATORE DI ALBANO LAZIALE (20 CHILOMETRI DALLA CAPITALE) E HA STABILITO CHE I COSTRUTTORI (TRA CUI CERRONI) POTRANNO ATTINGERE A 500 MILIONI DI EURO DI DENARO PUBBLICO –
Tra le storie degli inceneritori italiani, raramente limpide, ce n’è una illuminante. Il termovalorizzatore di Albano Laziale (20 chilometri dalla Capitale) è un progetto di Manlio Cerroni, il “Supremo”, padrone assoluto dello smaltimento dei rifiuti di Roma negli ultimi quarant’anni. Due anni fa il monopolista è finito ai domiciliari: è sotto processo per associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e falso (senza considerare i vecchi procedimenti per reati ambientali). Alcuni dei capi di accusa che pendono su Cerroni sono legati proprio all’inceneritore di Albano, i cui lavori devono ancora iniziare. Ma il progetto è tutt’altro che tramontato: il 22 luglio il Tar del Lazio ha autorizzato (di nuovo) l’impianto e ha stabilito che i costruttori potranno attingere a 500 milioni di euro di denaro pubblico. Sono i cosiddetti fondi Cip-6, destinati – in teoria – alle fonti rinnovabili. E che dal 2009, secondo l’Unione europea, non possono più essere usati per impianti che bruciano rifiuti urbani.
Secondo il Coema (il consorzio nato per costruire l’inceneritore) il cantiere sarebbe stato aperto in extremis, il 28 dicembre 2008. Le foto aeree sembrano dimostrare il contrario, ma il Tar non le ha considerate. La genesi del progetto, ricostruita dalle indagini della procura di Roma, è particolarmente affascinante. Nel 2007 la Regione Lazio (governata da Piero Marrazzo) non aveva previsto la costruzione del termovalorizzatore. La decisione cambia all’improvviso in pochi mesi: merito dei tanti amici di Cerroni nel Pd e in Regione.
Uno in particolare: l’ex dirigente regionale Arcangelo Spagnoli (morto nel 2012) presenta una dettagliata relazione a favore dell’impianto. L’ex moglie di Spagnoli, Debora Tavilla, ha spiegato di recente gli interessi del marito: il “Supremo” gli aveva promesso un ruolo da dirigente nel consorzio del termovalorizzatore. Non solo: i magistrati romani hanno trovato conti all’estero milionari riconducibili al funzionario della Regione. La vedova ha giurato di non saperne niente, come se Spagnoli fosse un prestanome. In effetti aveva fatto da tramite tra Cerroni e gli altri azionisti del Coema: l’Ama e l’Acea (municipalizzate dei rifiuti e di acqua ed elettricità di Roma). Il “Supremo” non è l’unico interessato a bruciare i rifiuti: l’uomo forte dell’Acea è Francesco Gaetano Caltagirone, proprietario del Messaggero.
Tutto sulla pelle di Albano, che ha già pagato il suo tributo con i ben sette invasi della sua gigantesca – e maleodorante – discarica (a sua volta oggetto di indagini). Proprietario? Che domande: Manlio Cerroni.
Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 12/8/2015



Uno dei leit motiv del suo mandato è stata la lotta al business dei rifiuti.
«Appena arrivato mi resi conto che a Roma c’era un monopolio da 40 anni. Non venivano fatte gare. Tutto era riconducibile a Manlio Cerroni».
Il «re dei rifiuti», proprietario della discarica di Malagrotta arrestato per truffa.
«Cerroni ha potuto gestire il business dei rifiuti a Roma totalmente indisturbato perché le varie amministrazioni che si sono succedute lo hanno lasciato fare. Io mi mossi per chiudere Malagrotta. Ma quando eravamo a un passo dalla chiusura della discarica, nell’ottobre 2013, mi trovai di fronte a due ministri e ad altre autorità che si opponevano al progetto alternativo. Mi resi conto che c’era una vera cupola potentissima, che andava dalla politica all’imprenditoria, alla cultura». (Giuseppe Pecoraro)



Marino chiude una delle più grandi discariche della terra, Malagrotta, di proprietà di Manlio Cerroni, monopolista da decenni (successivamente arrestato);


Il “metodo Report”, con Di Carlo, fu particolarmente implacabile. Chiamato a spiegare il piano di gestione della spazzatura nella capitale, in particolare rispetto alla vicenda della contestata discarica di Malagrotta, Di Carlo aveva risposto a tutte le domande. Poi, raccontò in seguito, Mondani gli aveva chiesto, “ora che l’intervista è finita e visto che sono vent’anni che ci conosciamo”, di spiegargli i suoi rapporti con Manlio Cerroni, detto “il Supremo”. Titolare dei terreni di Malagrotta e presidente del Consorzio laziale rifiuti, poi finito sotto processo per presunti illeciti legati alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti a Roma e nel Lazio. Ne è uscito, per la cronaca, con una condanna a un anno per falso in atto pubblico. Nulla a che vedere, comunque, con la corruzione al fine di conservare un monopolio (un’altra “cupola”, quella dei rifiuti) e i gravi danni ambientali che si cercò di addebitargli, stile “terra dei fuochi” (a questo proposito, dobbiamo registrare che la Cassazione, il 10 dicembre, ha stabilito che la zona di Caivano, che doveva essere “avvelenata”, non lo è affatto, e non lo sono i prodotti del suo suolo. Vedi anche, sempre a questo proposito, l’inchiesta di Salvatore Merlo sul Foglio dell’8 febbraio 2014). Torniamo a “Report”. Eravamo arrivati al punto in cui Mondani chiedeva in confidenza a Di Carlo delucidazioni su Cerroni. E Di Carlo – lo sventurato – rispose. Convinto che le telecamere fossero spente, raccontò in modo un po’ troppo disinvolto e romanamente stravaccato (parlava a un amico, no?) che “a tutti e due ci piace andare a mangiare… che cazzo ne so, la coda alla vaccinara, capito? Nel mondo che vive lui co’ chi cazzo ce va, co’ Caltagirone a mangiare la coda alla vaccinara?”. Raccontò, sempre in confidenza, di aver rifiutato la proposta che nel 2001 Cerroni gli aveva fatto per andare a lavorare da lui. Avrebbe poi spiegato ad altri giornalisti, a caso scoppiato, che il patron dei rifiuti romani gli aveva offerto il doppio del suo stipendio dell’epoca, ma lui si sentiva “bravo a fare il manager solo quando mi occupo della cosa pubblica”. Quest’ultimo particolare, sostenne poi, lo aveva raccontato anche a Mondani, ma Report non l’aveva mandato in onda. Della chiacchierata fuorionda “tra amici” furono invece trasmesse le parti più imbarazzanti nella puntata del 23 novembre 2008, intitolata “L’oro di Roma”. Quella trasmissione costò al delegato ai Rifiuti della Regione Lazio le dimissioni e una mestissima fine di carriera.




Fonte: Ivan Cimmarusti, Erica Dellapasqua e Matteo Vincenzoni, Il Tempo 10-11/5/2014

Testo Frammento
MANLIO CERRONI: «SOLDI, REGALI, COMPLOTTI. SUI RIFIUTI D’ORO ORA PARLO IO» -

[parte 1 e parte 2]

«Allora, cari giornalisti. Sui giornali mi avete descritto come il Monopolista, il Supremo, il Corruttore, l’Assoluto, l’Inquinatore. Di tutto avete scritto. Adesso basta. Parlo io, ma a una condizione: voi fate qualsiasi domanda, anche la più scomoda. Poi però mettete integralmente la risposta. Perché io meritavo la cittadinanza onoraria di Roma per quello che ho fatto in tutta la mia vita e invece rischio di passare per il bandito che non sono. Cominciamo?».
Nel roof garden di un hotel a Fiumicino il re delle discariche ManlioCerroni, indagato nello scandalo sui rifiuti d’oro, ci accoglie più battagliero che mai. È in grande forma, 88 anni portati alla grande, tanti sassolini da togliersi. Si capisce subito che sarà un’intervista pirotecnica.



Senta Cerroni, non è che anche lei adesso pensa a un complotto, vero?
«Ecco, la parola giusta: complotto. Quel che è stato fatto ai miei danni è un complotto in piena regola finalizzato a scipparmi il business dei rifiuti che gestisco da una vita. Se avete pazienza vi spiego perché. Occorre partire da lontano, dalle beghe delle discariche alternative a Malagrotta».


Prego. Cominciamo col prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro. Annunciò in conferenza stampa, nel 2011, che i siti migliori tra quelli individuati dalla Regione per la nuova discarica di servizio erano due: Riano-Quadro Alto, come prima scelta, Corcolle come seconda. Perché Corcolle divenne poi la prima scelta?
«La risposta è negli atti, è sugli articoli di giornali. Il prefetto e più ancora la governatrice del Lazio, Renata Polverini, a un certo punto dissero che la cava di Quadro Alto era del "monopolista", cioè io. Mi chiamano così. Di conseguenza vennero date disposizioni che tutti i siti legati al sottoscritto "monopolista" semplicemnte non potevano esistere».


Quindi sta dicendo che a un certo punto la valutazione del prefetto Pecoraro cambia e lei non capisce perché?
«Già, cambia con Corcolle».


E come se lo spiega che dalla lista dei sette siti scelti dalla Regione Lazio improvvisamente scompare Allumiere e compare Corcolle?
«Fu una sorpresa non solo mia, ma di tutti. Per scoprire l’arcano occorre andare al 1975, quando la discarica di Rocca Cencia va in esaurimento e la città necessita di una una discarica di servizio. E poiché Corcolle è la più vicina a Rocca Cencia, da cui dista solo tre o quattro chilometri, il mio gruppo decide di puntare su Corcolle. Tra l’altro conoscevo molto bene il proprietario, Salini. Pensai, ma sì, gli do’ un’allargata ed è fatta. Magari riuscissi a fare una discarica così».


Lei, dunque, aveva un’opzione su Corcolle?
«Certo certo. Ma prima bisognava sentire le autorità, fare una serie di sondaggi. Poi venne fuori che in quel sito ci andavano i romani la domenica a prendere l’acqua, e l’idea di una discarica fu abbandonata. Allora puntammo sull’area di Malagrotta, dove c’erano spazi enormi ed erano già presenti delle cave perché era stato prelevato materiale per realizzare le piste dell’aeroporto di Fiumicino. Roma, inoltre, a quel tempo aveva un problema con il nuovo Centro carni. Non sapevano come smaltire gli avanzi della macellazione, le budella, la coratella, le frattaglie. A quel tempo, poi, a Malagrotta non c’erano case. Era un sito totalmente isolato. Poi ci hanno assediato con tutti gli insediamenti spontanei che sono sorti. Quando si scelse Malagrotta abbandonando l’idea di Corcolle nessuno parlava ancora di Villa Adriana che sta lì da qualche secolo. Nessuno si pose mai il problema della vicinanza o meno dal sito archeologico».


Scusi avvocato, qualcosa non torna. Perché la prima scelta del prefetto Pecoraro nel 2011 ricade sul «suo» Quadro Alto (Riano) se lui sa che quel sito è del "monopolista", cioè suo? Nel suo libro che andrà a breve in stampa lei è a dir poco rancoroso nei confronti del prefetto. Dica la verità, c’è rimasto male?
«No no, attenzione! C’è una lettera ben precisa in cui richiamo le responsabilità, i fatti come si sono svolti. Ho detto al prefetto "se questa è la situazione mi dica lei cosa devo fare". Nel libro che voi richiamate c’è un passaggio in cui appare chiaro che la risposta a quella domanda è arrivata il 9 gennaio. Il giorno dell’arresto».


Sta dicendo che Pecoraro la molla quando scoppia l’inchiesta? Non è che davvero si sta perdendo dietro a ipotesi complottiste?

«Allora non volete proprio capire. È stato un complotto, un disegno di chi vuol fare giochi per interessi propri. Occorreva far fuori il monopolista, l’unico al mondo in grado di gestire i rifiuti della Capitale. Dovevano togliere di mezzo ilSupremo è ci sono riusciti».



Ma chi ci sarebbe dietro il complotto?

«Un mix di politica, giudiziaria, alta finanza. Si sono dovuti impegnare parecchio a far fuori il Supremo che persino in Australia è riconosicuto urbi et orbi imparadigmabile».


"Imparadi..." che?
«Vuol dire che sono riconosciuto universalmente come il migliore di tutti, in Italia e in Europa, nel settore del trattamento dei rifiuti».


Lasciamo perdere per un secondo i complotti e andiamo all’inchiesta vera e propria. Cosa ha rappresentato per lei?
«Uno tsunami. Un ciclone che dopo tanti spifferi ha investito me, la mia famiglia, il mio gruppo. Con i carabinieri che un bel giorno si presentano con un mandato e arrestano 21 persone con accuse incredibili: io ero a capo di un’organizzazione malavitosa che teneva in ostaggio Roma e il Lazio. All’inchiesta è seguita una martellante campagna stampa denigratoria che mi dipingeva come un criminale, dominus di attività illecite mai contestate in più di 50 anni di attività con 33 sindaci da me conosciuti personalmente. Con una descrizione del genere era naturale che la gente applaudisse affinché fosse fatta giustizia. Nessuna voce si è levata in mia difesa, nessun politico che per anni mi era stato vicino ha detto una parola. Nemmeno voi, giornalisti, vi siete preoccupati di sentire l’altra campana. Che come vedete non suona ancora a morto. Perché io sono piùvivo di prima».


L’ipotesi della procura è che lei abbia costituito un sistema, come ci ha raccontato il prefetto Giuseppe Pecoraro, che ha consentito che diventasse il "monopolista" dei rifiuti nella Regione.
«Non l’ho creato io il monopolio. È il monopolio che si è portato a me».


Si spieghi meglio.
«Nessun altro mai ha presentato proposte alternative sui rifiuti, nessuno era in grado di farle. Noi e solo noi abbiamo salvato Roma e gestito al meglio la monnezza di una Capitale europea. Negli anni sono sempre andato dagli amministratori pubblici e ho offerto soluzioni per risolvere i problemi e a detta di tutti l’ho fatto in modo egregio. C’era solo il mio gruppo. Nessun altro si è presentato. Io sono in grado di offrire servizi al 50 per cento in meno rispetto a quello che si paga a Milano. Sfido tutti. L’ho detto ai magistrati che mi ninterrogavano, l’avevo detto anche al prefetto Pecoraro nel 2011, durante un incontro con il dirigente regionale Marotta. Fui chiamato a risolvere il caso Roma, perché a Malagrotta erano esaurite le volumetrie e nel corso degli anni nessuno si era preoccupato di trovare un sito di riserva. Pecoraro mi chiese: "Allora avvocato, che si fa?". Risposi che c’era una cosa sola da fare: recuperare sui 120 ettari di Malagrotta le volumetrie necessarie ad affrontare l’emergenza. Così accesi i motori dei miei 57 mostri Caterpillar, lavorammo dal 10 settembre 2011 fino all’8 dicembre e facemmo il miracolo grazie anche al Padreterno che non fece piovere un solo giorno. Così abbiamo recuperato volumetrie per 1 milione e 280mila metri cubi. A Natale ci incontrammo di nuovo. Durante quella riunione ci è stato detto che Roma era salva e Pecoraro aggiunse, rivolgendosi a me: "Ancora una volta Roma si salva grazie a lei"».


In quei mesi la Capitale era anche nel mirino dell’Europa.
«Esatto. Il 6 giugno di quell’anno l’Europa aveva contestato a Roma gravi irregolarità. Secondo la Commissione europea si portavano a Malagrotta rifiuti non trattati, mentre la legge europea proibiva fin dal 2007 il conferimento del tal quale in discarica. Ci dissero che eravamo fuori legge, in infrazione. Bisognava fare in modo che a Malagrotta fossero conferiti rifiuti trattati, ma per far questo c’era bisogno di quelle volumetrie. La Regione, di fronte alle richieste dell’Europa, si mise in allarme. Sapevano che Malagrotta stava per esauristi. Allora abbiamo proposto Quadro Alto, Pian dell’Olmo e Monti dell’Ortaccio».


Prenda fiato, avvocato. Parliamo dei regali ai politici?
«(sorride) Ma si, parliamone».


A leggere gli atti di procura distribuiva cadeaux importanti a tanti, diremmo quasi tutti, i politici di Roma e del circondario.
«Ho sempre detto che non sono un benefattore, su questo non ci sono dubbi. Mi sento più un missionario, sono generoso, io. I regali...Sì, ne ho sempre fatti, e allora? Li fanno tutti, solo per me sono una forma di corruzione? Ricordo di un giorno, all’Eur, al bar Palombini. Era passato Natale. Mi si avvicina un dipendente e sottovoce, segretamente, mi dice "Avvoca’, è venuta la finanza e ha sequestrato la nota dei regali».


Bella lunga la lista...
«Ogni anno mandavo una bottiglia di champagne al sindaco, a presidenti, ai politici».


Molti politici hanno detto di averglieli rispediti indietro?
«(risata fragorosa). La verità? Un solo regalo è tornato indietro, ed è un regalo che inviai alla dottoressa Pompa, che aveva sostituto Marotta alla Regione. Il resto della classe politica ha brindato grazie a me».


Sempre dalle carte e dalle intercettazioni emerge un suo fitto rapporto con la politica.
«E a chi altro avrebbero dovuto rivolgersi per risolvere i guai che loro producevano? Quello che ho fatto io in questo settore, ripeto, è imparadigmabile. Provate a trovare un altro nel mondo, un altro imprenditore dei rifiuti che abbia smaltito quello che l’Italia produce in cinque anni, cioè 150 milioni di tonnellate. Lo spazio per il business me lo sono creato da solo, perché trattare rifiuti è sempre stato il mio mestiere. Ho avuto rapporti con tutti, presidenti, ministri, assessori, consiglieri, erano loro che non potevano dire di "no" alle mie proposte. Erano loro che mi chiedevano di trovare soluzioni alternative, erano loro che mi dovevano pagare, non io pagare loro».


Quanti soldi ha investito nelle campagne elettorali? Dica la verità...
«Ho investito quello che dovevo, che potevo, ma che ne so. E comunque tutto quello che ho dato ai politici è rendicontato al centesimo. Mai un soldo in nero, insisto, mai. Scrivetelo grosso: MAI. Però, caso strano, dalle indagini è uscito solo l’episodio dell’ex ministro all’ambiente, come si chiamava?».

Ronchi?
«Ecco sì, Ronchi. Perché è venuto alla luce solo e soltanto quel contributo?»


Lei ha aiutato tutti i politici di tutti i partiti?
«Tutti i partiti».


Anche il Pd?
«Anche se un tempo si chiamava in altro modo. Anche il Pd, tutti».


Con i sindaci come sta messo?
«Bene con tutti».


Tutti e 33?
«Più o meno».


Chi è stato il miglior sindaco di Roma?
«Il migliore Rutelli, che all’inizio mi ha fatto la guerra, poi si è documentato, ha capito, e ha cambiato idea».

Alemanno, invece?
«Non l’ho neanche votato».



Diceva che la politica, quando scoppia l’inchiesta, le gira le spalle.

«Verissimo. Improvvisamente sordi, muti, ciechi. Destra e sinistra scompaiono dalla mia vita».


C’è un politico che alla luce del sole le ha sempre fatto la guerra?
«Vetere, ma con una chiara onestà intellettuale».


E gli ambientalisti?
«Gli ambientalisti, mah. In principio mi sono stati addosso, tutti contro, fino a quando non mi hanno conosciuto. Ricordo i braccio di ferro con Realacci, poi pure con Mario Di Carlo. Nel 1986 li ho trovati seduti su Malagrotta che dicevano "adesso ti facciamo vedere noi, ndo vai, sui nostri corpi devi passare". Dopodiché, pure loro hanno capito. Io con Di Carlo, il comunista, alla fine ci sono diventato pure amico».


Ci perdoni l’insistenza. Ma quel ronzio del complotto ci torna sempre in mente. Pensa di essere stato vittima di altre trame in passato?
«Vi confesso una cosa: nel 1973 sono stato investito da uno tsunami più grosso di questo».


Addirittura?
«Tale Gelli da Arezzo, Villa Wanda, vi dice qualcosa?».


Licio, il venerabile a capo della Loggia P2. Dopo il complotto la massoneria deviata? Su Cerroni...
«Fatemi parlare, siete i soliti giornalisti».


Prego.
«Una mattina vennero 36 finanzieri e sequestrarono tutti i bilanci degli impianti di Rocca Cencia. Dissero che Amerigo Petrucci (ex sindaco di Roma, ndr), che vinse il congresso con Andreotti, era sponsorizzato dal sottoscritto e che dunque Cerroni poteva tutto. Così avviarono la pratica per distruggermi e si inventarono la storia che io raddoppiavo i pesi, le tonnellate, dei rifiuti. Vennero il 3 settembre e andarono via il giovedì santo del 1974. Spulciarono dappertutto ma non trovarono nulla, però provarono a rovinarmi in ogni modo. Nitto Palma, il pm di allora, quello che oggi fa il deputato col Pdl, alla fine dovette arrendersi perché quando la Guardia di Finanza accertò che ogni lira era al suo posto e nessun inghippo era stato fatto, capii come stavano le cose».


Andò tutto bene, al contrario di oggi.
«Sì, ma i sistemi sono gli stessi, si ripetono, quando ti vogliono rovinare fanno di tutto. All’epoca mi dissero: lei non si droga, non sniffa, fa una vita monastica. Se solo avessi avuto un vizio sarebbe stato ingigantito e per me sarebbe stata a la fine».


Senta Cerroni, lei parla di «complotto» ma ci gira intorno. Dice e non dice.
«Sentite, cari ragazzi. Il complotto c’è ed è comprovato. Però se proprio volete saperne di più, prendiamoci un caffè, che il discorso è lungo e tocca argomenti delicati. Vogliamo cominciare con l’Acea?».


SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA 11/05/2014–

PARLA MANLIO CERRONI: «AFFARI E POTERI FORTI, COSÌ MI HANNO FATTO FUORI»–

Ecco la seconda parte dell’intervista a Manlio Cerroni, re delle discariche, indagato dalla procura di Roma per l’affaire rifiuti. Nella prima parte del botta e risposta con Il Tempo, Cerroni ha affrontato vari capitoli scottanti. Ha parlato di un complotto ordito ai suoi danni, della politica (di destra, di centro e di sinistra) che dopo aver beneficiato dei suoi finanziamenti ha fatto finta di non conoscerlo, ha spiegato il perché della chiusura della discarica di Malagrotta e dei tentativi di aprire altri siti per non far soffocare Roma sotto la monnezza. Alla fine della prima parte Cerroni lasciava intendere che dietro al complotto che starebbe all’origine del suo disarcionamento dal business dei rifiuti, potevano esserci varie "entità" politiche, economico-finanziarie, persino giudiziarie. Accuse pesanti. Riprendiamo proprio dall’ultima frase con quell’accenno all’Acea che per la giornata di ieri ha mandato in fibrillazione la politica romana incuriosita da ciò che state per leggere.
«Buono, il caffè... allora ragazzi, dove eravamo rimasti?»
All’Acea avvocato, e al complotto messo in piedi dalla politica e dall’alta finanza per farla fuori dal business dei rifiuti. Così almeno ha detto lei. Che fa, ritratta?
«No, no, ma che ritratto. Anzi. Rilancio. Osservatori attenti non fanno fatica a intravedere un guadagno enorme, pazzesco, per chi riuscirà - se mai ci riuscirà - a soppiantarmi. I rifiuti sono oro, e certa gente lo sa bene, per questo punta a prendersi il mercato che era, anzi è, mio».
Si va bene, avvocato, ma l’Acea che c’entra?
«Ci arrivo. Non vi dice niente che nel consorzio Coema (istituito per gestire il gassificatore di Albano, ndr) io ho solo l’8 per cento delle quote, mentre Ama e Acea hanno il 67 per cento? Qualcuno ha favoleggiato sui rapporti tra me e l’ingegner Caltagirone, che è in Acea. Dicono che io ho contattato lui, che lui ha contattato me, che ci odiamo, ci amiamo. Hanno detto di tutto, ma una cosa è certa anche perché non l’ha mai nascosta: Caltagirone ha un grande interesse per i rifiuti».
È un imprenditore. Fa affari sui rifiuti all’estero. Che c’è di male?
«Nulla. Peccato che il suo giornale a un certo punto ha preso ad attaccarmi in modo pesante».
Tutti, noi compresi, non le abbiamo risparmiato critiche.
«C’è modo e modo. Tutta questa storia dell’inchiesta, del Supremo, del Monopolista, del Ras della monnezza - per usare espressioni care al prefetto Pecoraro o alla signora Renata Polverini - ha qualcosa di kafkiano. Voi giornalisti ci avete inzuppato il pane in questo minestrone ma nessuno si è soffermato a leggerle bene le carte giudiziarie perchè le cose sono assolutamente diverse da come le avete raccontate».
E cos’è che non avremmo raccontato?
«Anche dalla cattività, dall’esilio cui sono stato relegato, ho trascorso gran parte delle giornate di questi mesi a leggere documenti, informative, ragionamenti degli investigatori, e soprattutto giornali. Ho letto cose che qualificare come velenose è un eufemismo, cose che difficilmente inciampavano nella verità. Ho scritto a chi ha scritto male di me, spiegando i fatti. Ma la contrapposizione, a ridosso delle indagini poi sfociate negli arresti, si è fatta più intensa. Nonostante le ripetute diffide alla fine li ho dovuti querelare».
Non è per difendere la categoria, ma se poi lei è precipitato nello scandalo rifiuti che c’entrano i giornalisti?
«Lasciate stare quest’argomento che è meglio».
Senta avvocato, sta dicendo che a un certo punto con Caltagirone lei stava per entrare in affari? È così?
«Ho seguito attentamente l’Ingegnere durante la sua campagna d’Oltralpe. Mi era piaciuto».
Si riferisce al braccio di ferro con la società Gaz de France sulle quote di Acea?
«Proprio quella».
Cerroni a questo punto allunga una mano sul tavolo, afferra un bicchiere e butta giù come se avesse attraversato il deserto del Sahara. Due ore filate a ribattere punto su punto. Riparte a sorpresa.
«L’ho incontrato, su suo invito, a marzo del 2012 negli uffici di via Barberini. Abbiamo avuto un lungo incontro e ci siamo salutati con l’intesa di arricchire la documentazione e di rivederci per trovare, se possibile, anche attraverso Acea, soluzioni utili per questa città. Con Francesco (Caltagirone, ndr), ci siamo ritrovati poi per parlare di prospettive mettendo a fuoco anche l’aspetto industriale».
A ottobre dell’anno scorso?
«(allarga le braccia sconsolato). E da allora non ho saputo più nulla».
Seguendo il suo tortuoso ragionamento ci sta dicendo che dopo la politica anche l’alta finanza le ha voltato le spalle?
«Rileggetevi gli articoli al vetriolo del Messaggero. La risposta la trovate lì. Hanno suonato le campane a morto ma io, come vedete, sono più vivo di quanto pensano gli interessati a far soldi sui rifiuti. Il biogas è l’oro del domani».
Passiamo ad altro. Che farà il Supremo adesso?
«Ho grandissimi progetti. Mi aspettano in tutto il mondo, da Monaco a Buenos Aires fino in Australia, dopo che hanno visitato Malagrotta. Continuerò a far crescere il mio gruppo perché non dimenticate che nel mondo dei rifiuti io sono il numero uno. Voglio mandare avanti quel famoso discorso di alimentare i mezzi dell’Ama e dell’Atac con il combustibile prodotto dai rifiuti. Oggi ci sono le condizioni per farlo».
Quanta energia si produce con i rifiuti?
«Da un chilo di monnezza si ottiene un chilowatt. Ma la parte più interessante per la città è il metano».
A proposito di città. In che rapporti è con il rappresentante dei cittadini romani?
«Su Ignazio Marino occorre un po’ di pazienza. Intanto voglio raccontarvi di quando ero bambino».
Un altro flashback avvocato? No, per favore...
«Sarò breve. Come sapete sono nato nella campagna romana, a Pisoniano. Da ragazzino vedevo i carri pieni di verdura partire per i mercati di Roma. Poi li vedevo tornare con gli scarti. Tanti scarti. Montagne di scarti. Allora pensai a cosa si potesse fare con quegli scarti. Da lì è nato tutto ed oggi produrre combustibile da rifiuti è il vero business legato alla monnezza. L’hanno capito in tanti. Forse troppi. L’aveva capito pure il sindaco Marino...».
E poi cosa è successo?
«Il sindaco mi ha chiamato il 29 settembre. Diceva che ci dovevamo vedere. Io dico: e vediamoci. Vado in Campidoglio. Marino mi mostra il suo ufficio e mi fa notare che è disadorno. Figuratevi. A me, che di sindaci ne ho visti 33, e che le stanze le ho viste sempre imponenti e importanti, quell’ufficioa somigliava più a quello dell’usciere del Campidoglio che al salotto del sindaco di Roma. Vabbè. A un certo punto mi allunga una mano sull’avambraccio e mi dice: "Avvocato io voglio progettare Roma 2035, con chi lo devo fare?" Allora io gli dico: "Ma tu l’hai visto che io ho 88 anni? Hai visto che è dal ’26 che vado avanti coi rifiuti?" Lui non fa una grinza. Inizia a raccontarmi dei Fori Imperiali, dell’isola pedonale. Fori di qua. Fori di là. Di questo, di quello. E penso: ma mica l’hai fatti tu i Fori, l’hanno fatti i romani».
Sì, ok. Ma qualche consiglio gliel’ha dato a Marino sullo smaltimento della monnezza romana?
«Gli ho detto che aveva la possibilità di passare alla storia, un progetto che io e l’ex sindaco Rutelli avevamo pensato alla fine degli anni Novanta. E cioè trasformare biogas in biometano in quantità sufficiente per alimentare i camion della monnezza e non solo. Altro che Fori senza macchine»
Perché non realizzò quel progetto con Rutelli?
«All’epoca non si poteva fare perché Roma non produceva abbastanza differenziata. Inoltre oggi la legislazione consente di immettere in rete il metano in purezza. E a Malagrotta c’è un impianto in grado di renderlo puro al 97%».
A Marino piace tanto la mobilità sostenibile. Dunque l’idea poteva piacergli...
«Piacergli? Ha detto che era un’idea fantastica e che dovevano approfondirla. E poi è successo quello che è successo. È arrivato lo tzunami, il complotto, le manette e son scappati tutti».
Malagrotta continuerà a produrre biogas anche post mortem?
«Post mortem di chi? (sorride e con la mano fa il segno di darci un sacco di botte, ndr)».
Di Malagrotta avvocato, di Malagrotta, per carità!
«Malagrotta continuerà a produrre energia per altri 35 anni. Sarà una produzione sempre più in calo fino a quando esaurirà le sue risorse».
Chi pagherà il capping (chiusura totale, ndr) di Malagrotta?
«C’è un progetto presentato in Regione ed è in istruttoria. Devono decidere ancora chi. Noi siamo disposti a pagare per la nostra parte».
A proposito di soldi. Ci ha già raccontato del complotto ordito, a suo dire, nel 1973 dalla Loggia P2 di Licio Gelli per toglierle il giocattolo dei rifiuti. All’epoca il pm Nitto Palma indagò sull’ipotesi che lei avesse manomesso le bilance che pesavano i rifiuti in entrata per "fare la cresta" sui rimborsi. Oggi la Procura le contesta una sovrafatturazione. Come risponde a quest’accusa. Anche questo fa parte del complotto?
«La risposta è semplice: perché non sono stati fatti riscontri con le autorità di vigilanza sui conti del Gruppo? Non solo. A riprova dell’assoluta trasparenza ho condiviso l’idea che il conto del consorzio Colari sia affidato al Prefetto de Sena e che ne diventi il presidente. Il Supremo Monopolista non ha nulla da nascondere».
Ancora una nota dolente, avvocato. L’inquinamento dell’area intorno a Malagrotta. Anche su questo non ha nulla da nascondere? Secondo uno studio del Politecnico di Torino ci sarebbero fuoriuscite di percolato dal polder (rivestimento che isola il terreno dalla discarica, ndr).
«Dire che Malagrotta inquina è una bestialità. L’Arpa (agenzia regionale protezione ambientale, ndr) ha condotto per tutti questi anni periodiche verifiche attraverso la centralina che ha installato nell’area della discarica. I parametri sono nella media delle altre zone della città».
Non ci riferivamo all’aria, infatti. Ma al sottosuolo. Nel rio Galeria le macchie si vedono a occhio nudo.
«I parametri del rio Galeria sono nella norma. Il percolato di Malagrotta viene trasferito negli impianti di depurazione, nella maniera più assoluta».
Ci ha raccontato di aver salvato più volte la Capitale e di essere corso in soccorso di tutti i sindaci. Ma qualche errore lo avrà pure commesso in oltre mezzo secoldo di attività?
«Mettiamola così. Ho pensato troppo a lavorare e poco alle pubbliche relazioni, si dice così? Public relations? Lavoro e famiglia, famiglia e lavoro. Non c’era altro per me. Posso dire di aver fatto una vita monastica, da vero missionario».
Dalle intercettazioni, però, lei intratteneva rapporti altissimi, a tutti i livelli, con sindaci, ministri, assessori, consiglieri...
«Loro venivano da me, non io da loro».
Ma qualcuno le ha mai detto grazie per questa sua "vita da missionario"?
«Di grazie ne ho ricevuti tanti ma la riconoscenza è il sentimento della vigilia».
Lei si sente deluso dalla politica, lo ripete in continuazione...
«Ho dato tutto me stesso, e di fronte ai guai, tutti se la sono data a gambe».
Cosa avrebbe dovuto fare la classe politica? Cosa si aspettava?
«Impegno, riconoscenza pubblica, serietà. Tranne rari casi, la politica non si è dimostrata alla mia altezza. Prendete Alemanno. Una volta gli dissi: se tu fossi un sindaco consapevole chiederesti alla regina d’Inghilterra una di quelle belle carrozze che ha usato per il matrimonio del nipote (il principe William, ndr), la spediresti a prendermi a Malagrotta e mi faresti scortare in Campidoglio. Ad Alemanno ho scritto lettere, ho spiegato tutto nel settembre 2010, ho pure preparato un convegno dove rassicuravo la gestione dei rifiuti a Roma per un ventennio. In più ho fatto fare una stele di marmo per la dipartita di Malagrotta, se volete saperla tutta intitoleremo lo stradone il "Viale della fortuna di Roma". ( Cerroni prende fiato ).Scherzavo naturalmente sulla carrozza della Regina».
Mica tanto avvocato. Questo aneddoto lo ha raccontato anche al pubblico ministero, durante l’interrogatorio.
«La verità è che oltre a sommi poeti come Carducci o illustri letterati, la cittadinanza di Roma mi spetta di diritto. Perchè io ho dei meriti che altri insigni cittadini onorari non hanno. Ad Alemanno ho scritto lettere, ho spiegato tutto».
Senta Cerroni, ma lei la fa la raccolta differenziata?
«Che domande. Certo che la faccio»
No, perché a Roma è sentore comune che l’Ama non la faccia.
«Su questo non rispondo. L’Ama si serve di gente che fa queste cose. Mi dovete domandare un’altra cosa: se la differenziata è fatta bene, possono arrivare guadagni e posti di lavoro?
Si dia la risposta...
«Enormi guadagni, sì. E un’infinità di posti di lavoro. Queste sono le mie proposte da anni, ma chissà perché non vanno avanti. Anziché visitare i Fori i turisti andrebbero a visitare la discarica di Malagrotta».
Voce di popolo dice che lei ha pagato la manifestazione di un principe per protestare contro la discarica di Corcolle caldeggiata dal prefetto Pecoraro.
«Un principe? Ma che state dicendo?»
Tiri la riga, e faccia un rewind della sua vita. Che le viene in mente adesso?
«Er Gallina»
Chi?
«Er Gallina, un mio dipendente, l’unico capace di trovare il famoso ago nel pagliaio. Riusciva a tirare su una moneta dispersa fra tonnellate di monnezza. Per una vita sapete quanta gente importante mi ha chiesto la cortesia di fermare i camion prima dello scarico in discarica e ripescare oggetti preziosi? Ricordo la signora Angiolillo, disperata per un confanetto di lettere finito nel cestino di casa. Oppure l’ex ministro Scelba che mandò un esercito di carabinieri a presidiare l’area per salvare un astuccio di pelle con 18 milioni di lire e un pacco di lettere. Ecco, er Gallina era una specie di mago, ed io un computer già allora. Conoscevo ogni camion, ogni tratta. Avevo, e ancor oggi ho, una memoria incredibile tanto che quando la polizia giudiziaria è venuta a perquisirmi l’ufficio s’è pure storta: "Cerroni, tiri fuori i computer, sappiamo che ce l’ha". Mai avuto un computer in vita mia, alla fine si son dovuti arrendere all’evidenza. Sono il computer di me stesso».
Morale della favola dei rifiuti?
«La morale, cari giornalisti che per settimane mi avete fatto a pezzi, è che la verità alla fine viene sempre fuori, anche quella nascosta nella monnezza. Er Gallina insegna, Cerroni è la riprova».


Fonte: M.Ev., Il Messaggero 4/4/2014

Testo Frammento
CAMION MILIONARI VERSO IL NORD PESA ANCORA LA GESTIONE CERRONI –

LA SITUAZIONE
La verità è che l’equilibrio della gestione dei rifiuti a Roma è appesa a un filo. E se Malagrotta è stata chiusa come discarica, Roma dipende ancora dal complesso industriale di Malagrotta, perché lì ci sono i due impianti di trattamento più importanti. Regione e Comune non hanno previsto soluzioni che consentano a Roma di liberarsi dall’abbraccio mortale della galassia di Cerroni, il gruppo travolto dall’inchiesta della procura. E Marino ora spera che un commissario possa requisire i due tmb di Malagrotta, aggirando il provvedimento giudiziario di interdittiva nei confronti di Cerroni.
I NUMERI
Oggi Roma produce in media tra 4.500 e 5.000 tonnellate di rifiuti al giorno. Da questa cifra va sottratta la percentuale della differenziata. Restano 3.300 tonnellate di indifferenziati. Massimiliano Iervolino, dei Radicali, autore di libri inchiesta su Malagrotta, osserva: «Vorrei capire come mai ci raccontano che la differenziata è al 40 per cento. I conti non tornano». Andiamo oltre: le 3.300 tonnellate non vanno più nella discarica a Malagrotta, chiusa nell’ottobre 2013, ma sono trasferite in altre regioni (e anche questo è un modo assai originale di risolvere i problemi, effetto del dominio di Cerroni, che vale una stangata di 25 milioni, solo per la parte gestita da Ama). Ma per poterli trasferire, bisogna trattarli. E per trattarli Roma, priva di impianti alternativi, passa dalle forche caudine del Supremo, Cerroni. In sintesi: gli impianti di trattamento di Ama, smaltiscono solo 1.400 tonnellate di rifiuti.
IL MONOPOLIO
Il resto finisce da Cerroni: 1.300 nei due tmb di Malagrotta, 600 nel tritovagliatore di Rocca Cencia. Il giudice ha detto: non si può, Cerroni è sotto inchiesta. Ecco, quando scadrà l’ordinanza provvisoria di Marino, che ha prorogato l’uso dei Tmb di Cerroni, quelle 2.000 tonnellate giornaliere resteranno per strada. Cosa può avvenire ora? Il Campidoglio e la Regione chiedono un commissario che requisisca gli impianti di Cerroni. Ma al Ministero dell’Ambiente cresce l’insofferenza per Roma che scarica sul governo i problemi. Quali soluzioni ci sono in alternativa alla requisizione? Usare i tmb che ci sono nella altre province del Lazio, ma sarebbero insufficienti e alcuni fanno comunque capo a Cerroni. Portare i rifiuti in altre regioni anche per il trattamento, ma servirebbe una deroga alla legge. Evitiamo un equivoco che rimbalzava ieri con superficialità sui social network: nessuno pensa di riaprire la discarica di Malagrotta.


Fonte: Ivan Cimmarusti, Il Tempo 25/1/2014

Testo Frammento
IL VERBALE DEL SUPREMO "IO SONO LA MONNEZZA"–

«Io sono la monnezza», assicura con decisione Manlio Cerroni nel suo interrogatorio di garanzia del 15 maggio scorso. Cita il poeta Massimo Parini e versi latini sull’eloquenza di Cicerone, paragonata al suo essere tutt’uno con i rifiuti: «Io sono un monnezzaro», «faccio solo quello», dovevano «farmi vice commissario 007 con delega a operare». Il soprannome «Supremo» lo respinge: «Ho scritto anche al dottor Mario Marotta (dirigente regionale, ndr) una lettera commentando il discorso del “Supremo”», perché il suo nomignolo è «Lupo».
MA QUALE SUPREMO
È un fiume in piena, l’imprenditore arrestato il 9 gennaio scorso perché ritenuto essere l’ideatore e promotore di un’associazione per delinquere che avrebbe gestito un «sistema rifiuti» nella Regione Lazio. Davanti al sostituto procuratore Alberto Galanti e al gip Massimo Battistini, ha ricostruito tutti i passaggi salienti della sua vita. Da quando nel 1946 fu assunto in una piccola azienda di rifiuti con la mansione di fattorino e selezionatore manuale di immondizia, fino alla scalata di Malagrotta nel 1984 e ai rapporti con i socialisti di una volta e con i politici odierni, come gli ex sindaci Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Gianni Alemanno, e gli ex governatori del Lazio, Piero Marrazzo (di cui afferma di essere «amico»), Esterino Montino (all’epoca facente funzioni) e Renata Polverini. Ma Cerroni cade anche sui reati ipotizzati dalla Procura: ammette che il Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti) invece che essere destinato ai termovalorizzatori finiva in discarica e che alcuni comuni furono truffati.
CICERONE
Per far capire la considerazione che ha di sé, Cerroni davanti ai magistrati sfodera un aforisma latino su Cicerone: «Avute posteros Cicero non hominis nomen sed eloquentia habeatur» (la famosa citazione non è proprio esatta, ndr) per sottolineare come il grande oratore sta all’eloquenza come lui sta all’immondizia. «Io sono entrato in questo regno nel settembre del 1946, alla società Satur di Enrico Brandizzi, un imprenditore agricolo di Roma (...) Il mio strumento di lavoro era la bicicletta Volsit, che avevano lasciato l’8 settembre a Mentana i militari italiani».
IL PORTALETTERE
L’imprenditore disse: «Noi abbiamo bisogno di un portalettere, di uno che va dai concessionari di Roma a portare queste lettere». Così, «entro nel mondo dei rifiuti di Roma (...) io mi sono appassionato a questo lavoro, praticamente alla selezione che facevo anche io stesso, siccome si guadagnava bene in questo scarico, anche io ho selezionato». La svolta arriva nel 1960, con le Olimpiadi di Roma. La Satur si aggiudica il nuovo appalto per i rifiuti: «È stato realizzato il primo impianto, a Ponte Malnome, nel 1964 (…) tutto questo è stato in poco tempo una esplosione, per la prima volta questo problema dei rifiuti, che interessava tutto il mondo ha trovato questo esempio (…) al punto che l’Istituto Luce lo riprese». Racconta di aver ricevuto un elogio dal Conte del Merode, cugino del Re Baldovino del Belgio, a Roma nel ’69 per visitare gli impianti.
PSI E DISCARICHE
Dopo gli anni ’70 e i «socialisti al Comune» che si «prendono gli impianti, «arriva il momento delle discariche». «Entra Malagrotta il primo gennaio 1985, si costituisce il Colari, scrivo al sindaco Vetere che sarebbe stato bene che il Comune partecipasse. Disse: «No, no, per carità, non ne vogliamo sapere più niente». Il 30 settembre 2013 «Malagrotta chiude, abbiamo preparato la stele che credo che mureremo, in cui diciamo abbiamo servito Roma, per 30 anni notte e giorno, evitando emergenza, a costi particolarmente vantaggiosi (…) c’è stata un’economia di 2 miliardi».
REGINA ELISABETTA
Ad Alemanno dice «tu non sei un sindaco valido (…) ma non solo a lui l’ho detto anche a Rutelli, un giorno a Rutelli ho detto: «Ma che tu sei un sindaco pure tu, perché se fossi un sindaco capace, responsabile, cioè che avvertissi la responsabilità di questo, la mattina quando esco di casa dovrei trovare due autisti, uno davanti e uno dietro» perché se si «spegne questo (Cerroni stesso, ndr) si spegne Roma». Ad Alemanno «gli dico: “Guarda, adesso la Regina Elisabetta ha rinnovato tutte le carrozze, perché ha fatto il matrimonio di Kate... fattene mandare una, a Roma, ce la mandi a Malagrotta, me la mani…salgo io, Giovi, Rando e qualche altro tecnico e ci porti in Campidoglio per dirci solo grazie, a nome mio e a nome di Roma per quello che stiamo facendo"». Poi parla della visita di una delegazione di San Francisco con Alemanno: «Malagrotta non si visita», racconta Cerroni di aver detto all’ex sindaco. «Ma come no, la fai visitare a tutti», avrebbe detto il politico. «No – dice l’imprenditore – perché questa è la vergogna (Alemanno era contrario a Malagrotta, ndr), la facciamo visitare a tutti e tu sindaco non sei venuto a Malagrotta (…) allora lui (la delegazione di San Francisco, ndr) viene dopo che sei venuto tu». Conclude affermando che l’allora primo cittadino avrebbe detto: «Scusa Cerroni, non sapevo che alle porte di Roma avevamo questa gloria del mondo e io non c’ero stato». Inoltre riferisce sull’inceneritore a Santa Palomba, Veltroni disse: «No, chi lo porta questo in consiglio comunale, io c’ho Rifondazione, questi non mi daranno mai il consenso».
CHE DIFFERENZIATA!
Cerroni ammette: «Il Cdr finiva in discarica (…) assoluta necessità di provvedere allo smaltimento dei rifiuti». Afferma che lo smaltimento dei rifiuti speciali in discarica, destinati per legge ai termovalorizzatori, era compiuto perché Colleferro non aveva la potenza adatta. «Non c’erano altri impianti in Italia» e poi quelli all’estero «costavano 100, 150 euro» a tonnellata, mentre Colleferro «godeva dei benefici Cip (finanziamenti, ndr) ad un prezzo mi pare di 32, 35 euro».
TRUFFA AI COMUNI
Sulle prima afferma «non faccio il ragioniere», dicendo di non sapere di «sovrafatturazioni» ai comuni. Poi il pm legge un’affermazione di Bruno Landi, suo braccio destro: “Io lo sapevo e lo sapeva pure Rando (Francesco, amministratore di Malagrotta, ndr) che c’era questo problema che dovevamo ridare i soldi ai Comuni, tant’è vero che io consigliai di farlo, ma con un piano di rientro, piano piano, perché altrimenti andavamo in rovina». Così Cerroni cambia versione, dicendo che «Rando…in un conteggio mi pare uno o due comuni, ma per cifre piuttosto irrisorie». E tornando a com’era iniziato, chiosa: «Io sono la monnezza». E tutti voi non siete...
Ivan Cimmarusti



Ma sbaglia chi oggi crede di individuare in figure come quella del proprietario del Messaggero l’unico nocciolo duro del potere nella città. Sulla portata della sua influenza a proposito di certe decisioni politiche e grandi affari che si muovono in città non ci sono dubbi. Al tempo stesso, però, il baricentro del business di Caltagirone si sta spostando sempre di più fuori dei confini italiani. E di sicuro non è andata in porto un’operazione, della quale si è molto parlato, per cui poteva finire nelle mani di Caltagirone il regno della spazzatura dell’ottantasettenne Manlio Cerroni, proprietario di un gruppo imprenditoriale da 800 milioni l’anno che si estende dal Brasile all’Australia, costruito partendo dalla discarica più grande d’Europa, quella di Malagrotta. Uno degli uomini più potenti di Roma. In grado, è la tesi dei giudici che ora l’hanno messo agli arresti, di fare il bello e il cattivo tempo con le amministrazioni. Al punto da portarsi dietro il soprannome di «Supremo».


Fonte: Valentina Errante, Sara Menafra, Il Messaggero 16/1/2014

Testo Frammento
RIFIUTI, CERRONI SOTTO TORCHIO «ECCO IL SISTEMA» ACCUSE AI POLITICI –

L’INCHIESTA
ROMA Il “Supremo” sotto torchio punta il dito. Per tre ore, ieri, ha risposto alle domande del gip che giovedì scorso lo ha mandato ai domiciliari. Manlio Cerroni, ras incontrastato delle discariche romane, ha dovuto rispondere a pesantissime contestazioni, e ha ribattuto accusando i politici: tutti quelli che per più di 20 anni gli hanno garantito il monopolio. Ha negato l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti e alla frode tenuta in piedi da una rete di relazioni con politici e ambientalisti: «Non ero io a cercare i politici per chiedere favori - ha replicato alle accuse - erano loro a cercare me. Ho salvato Roma dall’emergenza e mi dovrebbero fare una statua». E adesso è proprio sui politici che punteranno le indagini, approfondendo il sodalizio che in realtà ha fatto prosperare il “sistema” tra l’avvocato e i partiti. I legali di Cerroni hanno annunciato il deposito di una memoria per dimostrare che il re delle discariche «era cercato» e non «cercava». Non operava «pressioni» ma era «pressato».
L’INTERROGATORIO
«Io ho salvato Roma dal caos rifiuti, in questa materia sono l’oracolo». E’ la versione dei fatti che ieri, il “Supremo”, come lo chiamavano alcuni dei venti indagati, ha fornito al gip Massimo Battistini e al pm Alberto Galanti. Tre ore non sono state sufficienti. L’epopea di Cerroni, avvocato, classe 1926, comincia dal ’57 e pare che il re delle discariche sia partito proprio dall’origine della sua fortunata avventura per spiegare agli inquirenti come funzionasse la gestione delle discariche e concludere: «Nonostante un sistema burocratico folle, ho evitato che a Roma si creasse un’emergenza come quella vissuta in Campania». L’interrogatorio continuerà nei prossimi giorni. Cerroni ha descritto come veniva gestita la raccolta dei rifiuti a Roma e nel Lazio, respingendo l’accusa di essere il dominus di un’associazione che sfruttava l’emergenza di Malagrotta per ottenere il via libera ai siti alternativi di Albano Laziale e Monti dell’Ortaccio. «Erano i politici a cercarmi, perché ero il punto di riferimento per lo smaltimento di rifiuti. Sulla materia - ha detto al gip - è inutile parlare con consulenti e specialisti: basta parlare con me. Io sono un oracolo». I suoi avvocati, Bruno Assumma e Giorgio Martellino, sembrano soddisfatti, annunciano il deposito di una memoria: «Ha risposto a tutte le domande. È sempre un leone. Ha chiarito tutto, ribadendo il rigore del suo operato». A chiudere la giornata è invece un comunicato che arriva da “casa” Cerroni. La nota della Colari, il consorzio del ras, conferma la linea: «Grazie alla discarica di Malagrotta, la cittadinanza romana ha risparmiato in trent’anni ben 2 miliardi di euro - si legge nel documento - l’avvocato ha risposto a tutte le domande e ha ricordato, tra l’altro, che da Natale 2011 è stata scongiurata l’emergenza rifiuti a Roma grazie all’intervento delle società del gruppo». Colari informa anche che, la versione offerta da Cerroni ai magistrati «ha fornito un contributo di novità sulle singole vicende oggetto del procedimento». Elementi ulteriori rispetto ai cento fascicoli che i difensori vogliono esaminare prima di presentare un’istanza di scarcerazione.
I RAPPORTI CON I “PALAZZI”
Intanto l’inchiesta dei carabinieri del Noe si allarga. All’esame dei pm Alberto Galanti e Simona Maisto ci sono 40 anni di storia della gestione dei rifiuti e i rapporti di Cerroni con i politici delle giunte che si sono succedute in Campidoglio e alla Regione. Sul ruolo dei “palazzi” punterà la memoria annunciata dalla difesa per dimostrare che il re delle discariche «era cercato». Non è escluso che proprio alcuni politici possano essere sentiti nei prossimi giorni.
IL FURTO
Intanto vanno avanti le indagini sul furto del fascicolo dall’armadio del gip Massimo Battistini. Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri non invierà i suoi ispettori: «Vediamo prima di conoscere meglio la vicenda», ha commentato. E’ chiaro che la richiesta di arresto per Cerroni sia stata sottratta da qualcuno interno agli uffici. Il fascicolo per furto aggravato, inviato a Perugia per competenza, è tornato a Roma. Per i magistrati umbri, la parte lesa non è il giudice “derubato”, ma proprio il ministero.
Valentina Errante

QUEGLI INCONTRI NELLA SEDE PD PER INCASSARE I FONDI EUROPEI LE CARTE –

ROMA Erano in molti a dare ascolto al ras delle discariche Manlio Cerroni, quando chiamava chiedendo aiuto. Ed è specialmente l’area ambientalista del Partito democratico che si mostra compiacente quando, nel 2008, il ”Supremo” chiede che nei finanziamenti Cip6 possa entrare anche il Lazio. Tanto più che, in quei giorni, gli stessi parlamentari chiamano Cerroni per chiedergli di diventare il finanziatore di una nuova associazione, la Fondazione Sviluppo Sostenibile.
La torta, che comprende fondi europei, è grossa. «Devo trovare il modo per poter fare due soldi», dice Cerroni all’amico del Pd laziale Mario Di Carlo, poi deceduto. La storia è raccontata in una delle informative del Noe depositate agli atti dell’inchiesta che ha portato il patron della ”monnezza” ai domiciliari. Anche se, alla fine, i parlamentari coinvolti non voteranno il decreto che permetterà anche al Lazio di accedere ai fondi europei, sono in molti a riceverlo. Realacci, ad esempio, nel giugno 2008 lo chiama per conoscere meglio la vicenda. Realacci: «Ciao, eravamo rimasti d’accordo di provare a sentirci per incrociarci»; Cerroni: «Sì, benissimo, quando lo vogliamo fare? Vengo alla Camera?» . I due si vedono il 17 giugno in piazza di Pietra. Annotano i Carabinieri: «Alle ore 11.30 circa, giunti sul posto - si legge nell’informativa - veniva individuato Manlio Cerroni che attendeva all’entrata del bar convenuto. Dopo pochi minuti sopraggiungeva a piedi il deputato Ermete Realacci il quale si avviava verso Cerroni. Insieme entravano all’interno del bar e vi permanevano per circa 30 minuti».
Cerroni però si muove su più piani. L’11 giugno chiama anche Giuseppe Fioroni. Cerroni: «Tutto bene. No volevo soprattutto avere un tuo fax, io ti devo mandare dei documenti importanti che si riferiscono a Viterbo dopo che ho visto che cosa è successo a Napoli». Fioroni:«Perché non me lo mandi, Ma?». Il fax che detta Fioroni è quello della sede Pd di Sant’Andrea delle Fratte.
L’INCONTRO
Il 31 luglio Cerroni ottiene anche un incontro nella sede del Pd. Stando alla telefonata della segretaria della parlamentare Luciana Pedoto, alla riunione, che si è effettivamente svolta, dovevano partecipare anche Di Carlo e Francesco Ferrante (ex direttore generale di Legambiente) e lo stesso Fioroni. Il quale, però, ora chiarisce: «Non so veramente di cosa si stia parlando. Ho sempre parlato con coloro che avevano da esporre problemi».
LA FONDAZIONE
Parallelamente a questi incontri viaggiano le telefonate per il finanziamento della fondazione Sviluppo Sostenibile. A maggio, Cerroni chiama Di Carlo. Cerroni: «Mi hanno dato un documento per una fondazione sull’ambiente sullo sviluppo sostenibile. Conviene starci con queste persone»; Di Carlo: «Sì ma non so quant’è il diciamo...». Cerroni chiamerà personalmente Edo Ronchi proprio nei giorni in cui si discute anche del Cip6. Il 16 giugno Ronchi lo contatta per chiedere personalmente dell’adesione: «Attraverso l’attività tecnica di intercettazione, veniva registrata e recuperata una copia di un fax composto da due pagine nel quale Cerroni comunicava ad Edo Ronchi l’avvenuto versamento di 20.000,00 per l’Istituto».
A CASA DI RUTELLI
Anche con Rutelli i rapporti sono stretti. Ai primi di novembre del 2008, poco dopo l’attivazione, l’impianto di rigassificazione di Malagrotta rischia già il sequestro. Cerroni e i suoi soci, non è chiaro come, sanno già che il provvedimento è imminente. Ed è a quel punto che Cerroni chiama Rutelli. Cerroni: «Quando rientri?»; Rutelli: «Stanotte»; Cerroni: «Stanotte quindi poi domani sera domani pomeriggio quando vuoi? Un minutino, a casa però, un minuto una parola sola»; Rutelli: «Vuoi fare lunedì alle neve e mezzo?»; Cerroni: «Lunedì alle nove e mezzo okkei da te ciao». L’incontro sembra essersi effettivamente svolto perché un’ora dopo Rutelli richiama Cerroni: «Avvocato sono Francesco»; Cerroni: «Uè ciao bello»; Rutelli: «Senti, dunque allora ho parlato con l’avvocato Figliolia, Gli ho spiegato che siccome questa è un’impresa veramente pulita. Oltre che essere corretta ovviamente. Gli ho preannunciato che l’avrebbe chiamato l’avvocato». Il numero che Rutelli passa a Cerroni è quello di Ettore Figliolia, avvocato dello Stato e suo ex capo di gabinetto quando era vicepremier.
Sara Menafra




Fonte: Andrea Palladino, Espresso.it 10/1/2014

Testo Frammento
MANLIO CERRONI E IL SISTEMA DEI RIFIUTI: COSI’ IL SUPREMO MANOVRAVA LA POLITICA -
“Monnezza nostra”, potrebbe essere il titolo dell’inchiesta che ha sconvolto Roma. Le cose funzionavano così: Manlio Cerroni programmava nei dettagli tutto, con anni di anticipo, e la Regione semplicemente eseguiva il copione.
Un sistema in fondo semplice, basato su un accordo tacito siglato nella capitale con il tasso di raccolta differenziata tra i più bassi d’Europa. E su questo assioma si fonda la pesante accusa di associazione per delinquere, il capo d’imputazione che ha portato ai sette arresti di ieri: quel particolarissimo “piano dei rifiuti” alla romana, per funzionare, aveva bisogno di una gestione dove le leggi nazionali venissero sistematicamente eluse.

Monti dell’Ortaccio
L’esempio più lampante ed attuale del modo di agire di quella che gli investigatori chiamano la “Holding Cerroni” è la scelta della futura discarica di Roma, l’invaso che dovrà sostituire Malagrotta. Per il Re della monnezza romana le cose erano chiare: solo lui poteva succedere a se stesso. Siamo nel 2008, quando il tema era ancora riservato ai pochi addetti ai lavori. Il referente politico del gruppo era Mario Di Carlo (come in fondo lui stesso avrebbe da lì a poco ammesso nella famosa intervista su Report). A giugno - dopo la scadenza del commissariamento - Piero Marrazzo gli affida la delega per i rifiuti, lanciandolo per la gestione della delicata fase di chiusura di Malagrotta. E Di Carlo ha le idee chiare, come si può leggere in una sua telefonata con Luca Fegatelli, il dirigente arrestato ieri:

DI CARLO: (…) Secondo me il comune di Roma non ce lo dirà mai apri Monti Dell’Ortaccio, quindi noi dobbiamo trovare una strada, (…) noi dobbiamo diciamo o costruire una proroga a... finalizzata di Malagrotta all’apertura dei Monti Dell’Ortaccio oppure viceversa dobbiamo o.... diciamo costruire una...l’impossibilità di prorogare Malagrotta e quindi...
FEGATELLI: E certo attivare subito Monti dell’Ortaccio
DI CARLO: Esatto e quindi far impiantare Monti Dell’Ortaccio l’emergenza connessa alla chiusura di Malagrotta che forse è la strada migliore
FEGATELLI: Sì, perché a quel punto devono fare un ordinanza che diventa un discorso di igiene e sanità

Chiudere Malagrotta, creare un’emergenza, per far trovare ai romani il piatto pronto, con la scelta del sito di Monti dell’Ortaccio, la cui proprietà da decenni era dello stesso Manlio Cerroni. Questo il futuro per la monnezza romana elaborato già nel 2008.

Il 23 novembre va però in onda l’intervista su Report, dove Di Carlo candidamente ammette la sua vicinanza con il patron di Malagrotta. Si deve dimettere e i piani, per il momento, saltano. «In attesa di tempi migliori - commenta il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare - , che infatti arriveranno assieme al Prefetto Sottile (non indagato, ndr)». Ovvero nel 2012, quando l’emergenza agognata era scattata.

Da Pecoraro a Sottile
Il primo commissario straordinario - nominato nel 2011 - Giuseppe Pecoraro scelse uno dei pochi siti non controllati da Cerroni, nella zona di Corcolle. Una scelta dal punto di vista ambientale pessima, vista la vicinanza con Villa Adriana, tanto da vedere una vasta mobilitazione popolare. E anche qui i magistrati hanno trovato lo zampino del patron della Holding: «Le attività investigative evidenziano come anche la “sommossa popolare” contro l’individuazione del sito di Corcolle non vedeva estraneo il Gruppo Cerroni». In una telefonata il braccio destro dell’avvocato romano Bruno Landi offriva ad un esponente dei comitati un appoggio illimitato:


LANDI BRUNO: io sarei del parere di non far disperdere sto movimento che avete creato (…) in modo tale che serva per ogni obiettivo di riqualificazione della zona ti pare, o no?
ESPONENTE COMITATI:... si adesso stiamo valutando l’idea... no valutando, vedere come si può fare per creare ....
LANDI BRUNO:... un’associazione permanente ....
ESPONENTE COMITATI: si,si un’associazione permanente ....
LANDI BRUNO:... una fondazione .....quello che volete, un qualcosa che raccolga i cittadini nella difesa e qualificazione del territorio ....
ESPONENTE COMITATI:... si, vorremo, e poi magari ci darai una mano anche tu in questo....
LANDI BRUNO: va bene, va bene ...
ESPONENTE COMITATI:... per creare un parco archeologico regionale se ci riusciamo ....
LANDI BRUNO: eh magari, magari ...magari
ESPONENTE COMITATI:... e non sarebbe male, e poi ti volevo parlare di una cosetta più privata …


L’ipotesi di Corcolle salta, insieme all’incarico al prefetto Pecoraro, sostituito da Goffredo Sottile. Le prime scelte del nuovo commissario vengono giudicate dai magistrati uno «specchietto per le allodole utilizzato per far “calmare le acque”, mentre Cerroni aveva già pronto quanto serviva per far passare Monti dell’Ortaccio».
In questo senso il nuovo commissario Goffredo Sottile ha un approccio ben differente dal suo predecessore, come dimostra una delle delle intercettazioni riportate nell’ordinanza di custodia cautelare:


SOTTILE: prontooo?
CERRONI: pronto prefetto?
SOTTILE: si!
CERRONI: sono CERRONI...
SOTTILE: eccomi...
CERRONI: allora va bene... procedete pure...
SOTTILE: ecco... allora... a chi rivolgiamo....
CERRONI: ma io credo che la cosa migliore... rivolgetevi al nostro progettista... là... professor Barruchello no?
SOTTILE: mmhh... che gli chiediamo a Barruchello...?
CERRONI: Barruchello.... che lui sa tutto vi do il telefono?
SOTTILE: no, no io il telefono di Barruchello ce l’ho...


Dopo pochi mesi il prefetto Goffredo Sottile accoglie la richiesta di autorizzazione per il sito di Monti dell’Ortaccio.
Nel frattempo nei palazzi della regione Lazio nessuno sembra preoccuparsi molto di quello che sarebbe stato il consolidamento del monopolio di Cerroni a Roma e nel Lazio. Illuminante è una telefonata del giugno 2012 tra l’allora assessore Di Paoloantonio e il soggetto attuatore Mario Marotta:


DI PAOLOANTONIO: Senti invece prima m’ha chiamato Alemanno
MAROTTA: Eh...
DI PAOLOANTONIO: Ah c’è un casino... dico: in che senso? Il commissario m’ha detto che allora andiamo all’Ortaccio
MAROTTA: Bravo !! Eh!!! (ridono)
DI PAOLOANTONIO: Buon giorno! buon giorno...dico ben venu....
MAROTTA:...Sei l’unico che non l’aveva capito Alemanno!!...
DI PAOLOANTONIO:... Ben venuto nel mondo dei vivi!...
MAROTTA: ...Ma vaffanculo va...
DI PAOLOANTONIO: Dice e adesso? E adesso te sta bene dico, potevi tenerte Corcolle eh
MAROTTA: Te la pii n’der culo capito eh è questa la verità, se la prende nel culo, non me ne frega niente
DI PAOLOANTONIO: Ma manco a me!
MAROTTA: Ma che ce frega Pietro ma fagliela fare dove gli pare

La scelta di quel sito era in fondo decisa da tempo. A dimostrarlo esiste un atto del Comune di Roma, datato 28 aprile 2008. E’ un’ordinanza che autorizzava la realizzazione di un tronco ferroviario proprio a servizio di una futura discarica nella zona di Monti dell’Ortaccio. Nel 2011 la Regione Lazio istruisce la pratica per la Valutazione d’Impatto ambientale inserendo esplicitamente come beneficiario il gruppo Cerroni. L’obiettivo era chiaro: sviluppare nell’area di Ponte Galeria un polo industriale per i rifiuti in grado di servire Roma per i prossimi decenni. Mantenendo inalterato il monopolio del Re di Malagrotta.




Fonte: Paolo Conti, Corriere della Sera 10/1/2014

Testo Frammento
IL GRANDE BUSINESS DEL SUPREMO CHE TIENE IN PUGNO LA CAPITALE–

Il suo ultimo sogno era il «Parco Manlio Cerroni», almeno così lui veramente sperava di riuscire a chiamarlo. Sarebbe costato magari un po’, diciamo intorno ai cento milioni di euro, ma il plastico (pronto nel dettaglio, come quello della lottizzazione napoletana che appare nel film «Le mani sulla città» di Francesco Rosi) era bellissimo, esposto all’ingresso della sua amata discarica, era piaciuto anche all’attuale sindaco Ignazio Marino: centomila alberi che avrebbero nobilitato il «capping», la copertura di verde e di natura distesa per cancellare l’orrore di Malagrotta.
Ovvero la spaventosa fossa che dal 1975 al 1 ottobre 2013 ha trangugiato, provocando il disgusto dell’Europa, l’agghiacciante mole di 40 milioni di tonnellate di rifiuti. La più vasta discarica del Vecchio Continente, 240 ettari tra la via Aurelia e Fiumicino, e non è una metafora. Materiale non adeguatamente trattato, sostiene l’Europa: e proprio per questo nell’ottobre 2013 è approdata alla Corte di Giustizia dell’Unione la procedura di infrazione a carico dell’Italia. Mille i pericoli per l’ambiente ipotizzati: inquinamento delle acque superficiali, delle falde freatiche, del suolo e dell’atmosfera. Perché in quel ventre ci sono anche i rifiuti speciali dell’aeroporto di Fiumicino e quelli poco spirituali ma assai prosaici della stessa Città del Vaticano. E basta guardare il cielo del quadrante di Roma Sud, invaso da migliaia e migliaia di gabbiani trasformati in animali di terra, ingrassati e incattiviti dalla straordinaria quantità di cibo a disposizione, per capire che Manlio Cerroni, con la sua Malagrotta, ha modificato per sempre l’ecosistema romano. Nelle notti d’estate, dopo le giornate di caldo torrido, l’odore di decomposizione può arrivare fino a Fregene così come al quartiere Aurelio, a due passi dal Vaticano, dipende dai capricci del Ponentino. In quel tratto di campagna tra Roma e il mare, abitano molti personaggi noti, che per anni hanno protestato contro quell’odore intollerabile: per esempio Ricky Tognazzi con sua moglie Simona Izzo, da una delle ville di Casal Lumbroso. C’era anni fa anche Sandra Milo, protagonista di blocchi di protesta sulla via Aurelia. Inutili. Vani.
A Roma Cerroni significa rifiuti e sterminata ricchezza mista a un potere autentico, quello di chi tiene in pugno intere amministrazioni comunali della Capitale di questo Paese. Un potere coltivato senza ostentazioni, anche se i dipendenti e sostenitori lo chiamavano «Il Supremo», ovvero il padrone dell’immondizia romana. Di quest’uomo incolore, sempre vestito di grigio e con la testa perennemente coperta da un berretto di cotone da un paio d’euro, non si hanno notizie né di ville né di suv. Però si conosce il suo dialetto laziale di Pisoniano, provincia di Roma, baricentro tra Tivoli, Subiaco e Palestrina. Così come è nota la sua religiosità, la sua antica amicizia con Amerigo Petrucci (sindaco andreottiano di Roma tra il 1964 e il 1967). Ha trattato con tutti i sindaci di ogni colore politico e di qualsiasi schieramento, in un’altalena infinita tra chiusure promesse, spesso minacciate, e improvvisi ampliamenti di terreni.
Contraddizione storica che si spiega facilmente con una sola, triste ovvietà: senza Malagrotta, Roma sarebbe morta soffocata dai propri rifiuti. Altro che Napoli. Altro che Palermo. Il ritmo è di 1.800.000 tonnellate l’anno, e appena il 38%, ma solo dalla fine 2013, è materiale differenziato. Cifre ufficiali, tutte da verificare. Ad ottobre Malagrotta è stata chiusa per sempre, non ci sarebbe stato alcun margine possibile di rinvio o di allargamento. Ed a ben riguardare tutta la storia del rapporto tra il Palazzo romano e Manlio Cerroni, l’unico ad essersi opposto fieramente a «Il Supremo» è stato tra il 2011 e il 2012 il commissario straordinario per il superamento dell’emergenza ambientale, l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Assicurò che Cerroni non sarebbe mai riuscito a speculare sulle possibili aree alternative a Malagrotta aggiungendo che la cosa «non gli interessava». Finì che Pecoraro si dimise nel maggio 2012 dopo un estenuante braccio di ferro con Cerroni e dopo aver puntato tutte le carte sull’area di Corcolle, contestata dagli ambientalisti perché ritenuta troppo a ridotto di villa Adriana a Tivoli. Cerroni rimase al suo posto, alla guida non solo di Malagrotta (che avrebbe chiuso ben sedici mesi dopo) ma del suo impero di gestione dei rifiuti che ha ricche propaggini in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia. Un «modello Roma» di rifiuti esportato nel mondo.
Oggi Roma, dopo la fine di Malagrotta, fa i conti con la catastrofe dell’Ama, con la foto-scandalo girata in mezzo mondo dei maiali che grufolano tra l’immondizia straripata sotto Natale dai cassonetti di via Boccea. Torna in mente lo sprezzante orgoglio con cui Cerroni chiedeva che il sindaco di Roma, ai tempi Gianni Alemanno, venisse a prenderlo «in carrozza qui a Malagrotta per portarmi fino in Campidoglio e dirmi grazie. Perché io ho salvato Roma, Malagrotta ha rappresentato la fortuna e la salvezza di questa città». Così ragionava «Il Supremo», l’imperatore dei 40 milioni di tonnellate di rifiuti romani. Fino a ieri mattina.
Paolo Conti



Fonte: Ilaria Sacchettoni, Corriere della Sera 10/1/2014

Testo Frammento
POLITICI, AMBIENTALISTI E BUROCRATI LA RETE DEL «RE DELLA SPAZZATURA»–

La politica gli aveva aperto la porta, affidandogli il meno frivolo tra i business — lo smaltimento dei rifiuti — e lui aveva imparato come tenerla aperta, generoso o «larvatamente minatorio» seconda i casi. Manlio Cerroni da Pisoniano (Roma), re della discarica di Malagrotta, la più grande e sanzionata d’Europa, è ora agli arresti domiciliari per reati che vanno dall’associazione per delinquere al traffico di rifiuti, dalla truffa aggravata alla frode in pubbliche forniture, al falso.

«Potere di controllo»
L’ottantaseienne imprenditore e avvocato, monopolista del settore, non ha mai smesso di esercitare «un rilevantissimo potere di controllo in seno all’amministrazione pubblica, tale da far ritenere concreto e attuale il pericolo di recidiva» scrive il gip Maurizio Battistini nell’ordinanza di misure cautelari. «Ha solo evitato che a Roma si verificasse una situazione analoga a quella napoletana» è la replica immediata dei vertici del suo consorzio (Colari). E ancora: «Ha sempre operato correttamente a condizioni economiche particolarmente vantaggiose per l’utenza», aggiunge il collegio di avvocati che lo assiste. Su questo si vedrà dopo che la Corte dei Conti avrà ricevuto (secondo le procedure) la relazione dei pm. Con il patron di Malagrotta, «il Supremo» come è definito nei colloqui intercettati, sono finite ai domiciliari altre sei persone, fra cui il suo storico braccio destro Francesco Rando e l’altro stretto collaboratore Piero Giovi, più il dirigente di Federlazio Ambiente (si faccia caso alle qualifiche) Bruno Landi.

Marrazzo e Hermanin
In tutto risultano indagate per la vicenda 22 persone, fra le quali l’ex presidente della Regione Lazio, il Pd Piero Marrazzo («Estraneo» secondo il difensore Luca Petrucci) per abuso d’ufficio e falso: l’accusa riguarda la firma di un atto al di fuori dei suoi poteri per favorire Cerroni. Indagata anche una pletora di funzionari dell’assessorato regionale all’Ambiente (Luca Fegatelli), collaboratori, portaborse e l’ex assessore all’Ambiente della Giunta di centrosinistra di Badaloni, Giovanni Hermanin. La parabola del self made man che preferiva i consorzi alle holding è descritta in 400 pagine di ordinanza: per la «pressione psicologica» dell’emergenza rifiuti il consiglio regionale del Lazio sarebbe stato piegato per decenni alle esigenze del monopolista.
Ma c’è altro. L’inchiesta, pazientemente condotta (per anni) dal pm Alberto Galanti, è giunta al salto di qualità investigativo solo nel 2013, quando dalla Procura si è ipotizzata l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti sulla base della documentazione fornita dai carabinieri del Noe (coordinato fino a poco tempo fa dal pluricelebrato «capitano Ultimo», il comandante Sergio De Caprio). Tre anni di intercettazioni hanno ricostruito un sistema di influenze, pressioni, manipolazione delle informazioni (tra i reati contestati il falso) e il più romano tra gli ingredienti: l’utilizzo tanto sapiente quanto frequente dello strumento relazionale.

I soldi alla fondazione di Ronchi
Dalla telefonata al politico «organico» (il deceduto assessore della Margherita Mario Di Carlo) al regalo di Natale per il consigliere amico, il socialista Donato Robilotta, fino alla più ambiziosa lettera aperta all’allora premier Mario Monti in prossimità della chiusura di Malagrotta. Così Cerroni sarebbe riuscito a sostituire prefetti (allo sgradito Giuseppe Pecoraro subentrò nel 2012 il più duttile Goffredo Sottile che, va detto, non è indagato) e orientare giunte regionali per conservare il monopolio dello smaltimento dei rifiuti. Utili anche i finanziamenti ad hoc: così il Verde ed ex ministro all’Ambiente Edo Ronchi ottiene ventimila euro per la sua fondazione «Sviluppo sostenibile». La sempre prorogata Malagrotta sarebbe stata valutata dalle banche un business da due miliardi di euro.
«Vabbè.. se.. voi avete fatto poi quel provvedimento.. che dovevate fare?» dice Cerroni al funzionario regionale Arcangelo Spagnoli che si adopera per fargli avere l’autorizzazione a finanziare con soldi pubblici il termovalorizzatore di Albano. Dall’assessore al manager dell’azienda dei rifiuti: tutti appaiono subalterni al «Supremo».
Dal 1 gennaio 2007 la legge finanziaria stabiliva di erogare incentivi sono ai termo valorizzatori che producevano energia da fonti rinnovabili? Ecco che ci si prodiga per far ottenere l’autorizzazione all’impianto di Cerroni. «Il 28 dicembre 2007, appena quattro giorni dopo la finanziaria, con il provvedimento n.147 emanato dal commissario straordinario Piero Marrazzo è notificato alla ditta tramite Spagnoli, detto provvedimento viene approvato in via definitiva».
Ilaria Sacchettoni


Fonte: Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 10/1/2014

Testo Frammento
FAVORI E POLITICA: IL “SUPREMO” CHE FACEVA INCHINARE DESTRA E SINISTRA–

Si è sempre considerato un paesano benefattore di Roma, l’ottantottenne Manlio Cerroni da Pisoniano, comune a 500 metri d’altezza con meno di mille abitanti a una cinquantina di chilometri dalla Capitale. A chi gli rimproverava di aver accumulato una fortuna immensa sulle disgrazie di una metropoli sventata, incapace di un minimo di programmazione per i rifiuti, replicava che senza di lui la Città eterna sarebbe già affogata da un pezzo nella merda. E qualche ragione ce l’aveva. Se non altro perché dell’affare monnezza è un intenditore. Partito nel dopoguerra con una bici Wolsit e un carrettino su cui sbatteva gli scarti dei mercati e degli ortolani che poi rivendeva alle porcilaie, aveva intuito prima di tutti che il pattume era un tesoro e ne aveva approfittato diventandone il Re con il suo gruppo Colari, decine e decine di società, miliardi di euro di fatturato e impianti in Australia, Brasile, Norvegia, Giappone, Canada, Francia. E in Italia a Milano, Brescia, Perugia, Viterbo, Foligno, Cassino. Ora che il Tribunale di Roma l’ha messo ai domiciliari indicandolo come “Il Supremo”, il deus ex machina di un sistema ritenuto truffaldino, la domanda è: Cerroni con la sua discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, 260 ettari di rifiuti tra la periferia nord-ovest e il mare di Fregene, ha tolto per decenni a buon prezzo le castagne dal fuoco alla politica romana incapace di guardare in faccia la grana dell’immondizia? Oppure ha brigato perché non si trovasse una soluzione o almeno l’ha rallentata corrompendo qua e là? Forse sono in parte vere entrambe le cose. Ma se Cerroni è colpevole, la politica è incapace e probabilmente pure smazzettata lo è più di lui. Forse non è un caso che l’abbiano beccato proprio ora che Malagrotta è chiusa e gli attuali amministratori stanno faticosamente cercando un rimedio. La discarica è stata sbarrata per decisione dello stesso Cerroni in autunno, ma da allora il gigantesco affaraccio della monnezza romana è tutt’altro che risolto, anzi, rischia di esplodere.

UNA BELLA PARTE dei rifiuti viene spedita in Piemonte, Emilia, Abruzzo, durerà 18 mesi e costa un occhio della testa: 120 euro a tonnellata, esattamente il doppio del prezzo pagato finora a Cerroni. E poi? L’azienda comunale dei rifiuti, l’Ama, che da ieri ha finalmente un nuovo vertice, riesce a raccogliere la spazzatura più o meno bene più o meno diligentemente, ma non la tratta. E in tutti questi decenni né un sindaco né un presidente di Regione sono stati capaci di approntare un piano alternativo a Malagrotta. Le rarissime volte che ha accettato di parlare con qualche giornalista negli uffici della bella villa tra i pini di viale Poggio Fiorito all’Eur, in faccia a quella dell’ex sindaco Francesco Rutelli, Cerroni, l’eterno cappelletto a falde spioventi in testa, ha fatto capire di non poter fare a meno dei politici, tutti i politici, da quelli di destra a quelli di sinistra, senza amarli, però. “Sapeste quanti manifesti ho pagato ai democristiani, ai comunisti, ai missini, fino a quelli di oggi...” buttava lì, quasi soprappensiero con quei pochissimi di cui si fidava. L’unico con cui aveva stretto un rapporto di amicizia vera era Mario Di Carlo, ex presidente dell’Ama, poi assessore Pd alla Regione Lazio, morto nel 2011. In gioventù anche lui, Cerroni, aveva fatto politica, sindaco democristiano di Pisoniano per tre legislature con una forte predilezione per la corrente andreottiana. Fu proprio con quelle credenziali che entrò in relazione con Amerigo Petrucci, l’andreottiano sindaco romano storico di metà degli anni Sessanta. Fu lui a spalancargli le porte della Capitale. E fu un altro democristiano, Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, che a Malagrotta aveva fatto scavare ghiaia per costruire le piste di Fiumicino, a consigliare a Cerroni di comprare quella terra perché lì sotto c’era uno strato di argilla di almeno 100 metri. L’ideale per una discarica. Cerroni comprò e si incoronò Ottavo Re di Roma.


Fonte: Valeria Pacelli; Nello Trocchia, Il Fatto Quotidiano 10/1/2014

Testo Frammento
IL RAS DEI RIFIUTI: “HO FATTO PIÙ IO CHE NAPOLITANO”

Mo’ scusa danno la cittadinanza onoraria a Napolitano, ma perché ha fatto più Napolitano che io pe’ Roma?”. Così Manlio Cerroni, dominus assoluto nella gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio, raccontava al telefono il suo ruolo di salvatore della Capitale dall’invasione del pattume. Ma i magistrati romani la pensano diversamente. Nell’inchiesta che ha coinvolto funzionari, politici e professionisti, Cerroni è finito ai domiciliari. Con lui altre sei persone sono state raggiunte da ordinanze di misura ai domiciliari. Si tratta di Piero Giovi, Francesco Rando e Bruno Landi, quest’ultimo già presidente della regione Lazio negli anni 80, presidente di FederLazio ambiente, ma anche Luca Fegatelli e Raniero De Filippis, due dirigenti della regione Lazio, guidata oggi dal Pd Nicola Zingaretti.

I REATI contestati, a vario titolo, agli indagati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito, alla truffa al falso ideologico. L’inchiesta di cui è titolare il pm romano Alberto Galanti, che ha iscritto in totale 21 persone nel registro degli indagati, scompagina il sistema di malaffare nella gestione del pattume urbano. Un sistema, fatto di soldi e potere, dai “mille rivoli – così scrive il gip Massimo Battistini – caratterizzati da reati contro l’ambiente e la pubblica amministrazione”. Manlio Cerroni da oltre tre decenni gestisce la mega discarica di Malagrotta, chiusa da pochi mesi, dove i rifiuti di Roma e del Vaticano hanno trovato sistemazione in assenza di un piano di gestione da capitale europea. La finanza ha eseguito anche un sequestro per equivalente per un valore di 18 milioni di euro alle società E.Giovi e Pontina Ambiente, provento di reati. Il Gip parla di una imponente struttura informale in grado di condizionare la Pubblica amministrazione e in parte la politica. L’inchiesta, condotta dal maggiore dei carabinieri del Noe Pietro Rajola Pescarini e dal colonnello del nucleo operativo Sergio De Caprio, si divide in quattro filoni. Uno in particolare era stato avviato dalla Procura di Velletri, pm Giuseppe Travaglini, poi spostata a Roma per competenza territoriale dove si è riunificata con altre indagini pre-esistenti. Ecco i filoni dell’inchiesta: il traffico illecito di rifiuti e la truffa sul cdr (combustibile derivato dai rifiuti) prodotto nel Tmb (impianto di trattamento meccanico biologico) di Albano, solo una parte veniva realmente bruciata con aggravio di costi per i comuni e risparmio per Cerroni che lo portava a costo zero nelle sue discariche; le irregolarità nella realizzazione dell’invaso di Monti dell’Ortaccio; le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti in due comuni del Lazio con attività illecite volte a impedire l’ingresso di concorrenti; gli illeciti per la realizzazione dell’inceneritore di Albano. Quest’ultima parte dell’indagine coinvolge anche Piero Marrazzo, ex presidente della Regione, indagato per falso e abuso d’ufficio. In particolare per un’ordinanza, ritenuta illegittima, secondo l’accusa, emanata, a ottobre 2008, quando il suo ruolo di commissario straordinario era scaduto. Ordinanza volta a favorire Cerroni nella costruzione dell’inceneritore anticipando i tempi e facendo rientrare l’impianto nel sistema premiante dei Cip6, incentivi economici per l’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti. Nell’ordinanza emerge il ruolo dello scomparso Mario Di Carlo, ex assessore della giunta Marrazzo, cerroniano di ferro. Così come di Fabio Ermolli, indagato, oggi alla sezione provinciale, assunto nel 2008, scelto dopo aver lavorato in una società bresciana, appartenente alla galassia di Cerroni. Quello realizzato dal privato e dai dirigenti di stato viene definito dal Gip Massimo Battistini come un vero e proprio “sodalizio criminale”. Da un lato il “Supremo”, Manlio Cerroni, monopolista del settore con i suoi fidati uomini, e dall’altra i funzionari pubblici, pagati dallo stato, ma a disposizione della galassia del dominus di Roma. Il monopolio dell’ottavo re della Capitale avrebbe così condizionato i livelli amministrativi dalla provincia alla regione passando per i commissari straordinari per i i rifiuti. Tra gli indagati per associazione a delinquere c’è Romano Giovannetti, capo segreteria dell’allora assessore Pdl Pietro Di Paolantonio (estraneo all’indagine), quando presidente era Renata Polverini, ma anche Luca Fegatelli, per anni a capo del settore rifiuti, che con Nicola Zingaretti alla guida del Lazio è diventato direttore dell’agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Il presidente chiarisce: “L’ho spostato. La legge mi impedisce di rimuoverlo”. Ma per gli inquirenti, Fegatelli, è il vero regista in regione degli interessi e dei voleri di Cerroni. Ai domiciliari anche Renato De Filippis, anche lui confermato da Zingaretti, oggi alla guida della direzione regionale ambiente e politiche abitative. Ma nell’inchiesta i riferimenti alla politica sono molti di più.
Nell’informativa dei carabinieri del Noe inviata alla Procura di Velletri, tra le telefonate c’è una conversazione di Cerroni con l’attuale assessore regionale Michele Civita (estraneo all’inchiesta), quando era assessore in Provincia. Era il 2010. “L’assessore – scrivono i carabinieri nell’informativa – sebbene in un primo momento sembra tenere testa alle pretese dell’avvocato, alla fine soccombe dietro la paura di creare un problema igienico-sanitario simile a quello vissuto dalla città di Napoli, così come paventato dal Cerroni stesso”. E alla fine il modello Cerroni vinceva. E il gip ne descrive chiaramente il sistema: “Costruire l’emergenza e, contemporaneamente, programmare la via d’uscita presentandosi come l’unica alternativa”.



Fonte: Davide Desario, il Messaggero 10/1/2014

Testo Frammento
LA TELA DEL SUPREMO, MANLIO CERRONI: IMMONDIZIA D’ORO E REGALI AI PARTITI–

È il re dell’immondizia. Da quarant’anni detta incondizionatamente legge sullo smaltimento dei rifiuti nel Lazio e non solo. Nell’inchiesta della Procura di Roma sulla gestione dei rifiuti della Capitale c’è chi lo chiama «il Supremo». E basta leggere le intercettazioni agli atti per rendersene conto: lui chiama il commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, il prefetto Goffredo Sottile, «Sono Cerroni...» e questi scatta sull’attenti: «Eccomi».
Già, Cerroni. Manlio Cerroni 87 anni, originario di Pisoniano (un paesino di 700 anime sui Monti Prenestini di cui è stato, come nelle migliori tradizioni, anche sindaco democristiano). È il patron del Co.La.Ri, il Consorzio Laziale Rifiuti che gestisce da oltre trent’anni la discarica più grande d’Europa (250 ettari), quella di Malagrotta alla periferia Ovest della Capitale dove è finita tutta l’immondizia di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano: circa 4.200 tonnellate di immondizia al giorno e considerando che per ogni chilo il Comune pagava 0,044 euro ogni anno il ras dell’immondizia intascava 44 milioni di euro. Cerroni ha tre grandi passioni: il giardinaggio, la squadra della Roma e, appunto, i rifiuti.

I RAPPORTI CON LA POLITICA
Con i rifiuti e le discariche Cerroni ci è diventato ricco. Anche grazie al benestare di quasi tutti i politici che si sono alternati in Campidoglio e in Regione a cui era solito elargire fior di donazioni alle varie fondazioni: «Ventimila euro solo nel 2008» secondo le indagini. In particolar modo l’area del centrosinistra. Un nome su tutti l’ex assessore comunale alla Mobilità della giunta Veltroni e poi amministratore delegato dell’Ama, Mario Di Carlo (scomparso qualche anno fa). «Per me è come un figlio» diceva di lui Cerroni. E infatti Di Carlo aveva un rapporto strettissimo con la figlia di Cerroni. Prima di venire travolto dal suo scandalo personale il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, (oggi tra i 21 indagati nell’inchiesta condotta dal Noe) riuscì nell’impresa di assegnare proprio a Di Carlo la delega ai rifiuti: insomma tutto in famiglia.
Altro fedelissimo di Cerroni è Bruno Landi, presidente di area socialista della Regione Lazio negli anni Ottanta e ancora oggi influente in certi salotti romani. Un’unione fortissima sugellata proprio dall’inchiesta che ha fatto scattare le manette per entrambi. Ma alla fine più o meno tutti hanno fatto i conti con il “re dei rifiuti”: nelle carte dell’inchiesta, tra gli altri, si fa il nome dell’ex assessore Giovanni Hermanin (sempre area ex Margherita) ma anche di Romano Giovannetti, segretario particolare dell’ex assessore regionale (Pdl) Pietro di Paoloantonio .

L’IMPERO
Cerroni è un ras il cui impero è invisibile. Ha messo su una ragnatela di società che, si stima, fatturino quasi un miliardo di euro all’anno. Lui appare in prima persona nelle più importanti. Nelle altre ha posizionato le due figlie e uomini di fiducia come Francesco Rando (arrestato anche lui). Non ha banche di riferimento, non è quotato in borsa. E, così facendo, il suo impero è cresciuto al punto da arrivare a gestire il trattamento dei rifiuti non solo all’ombra del Colosseo ma anche a Brescia, Perugia, in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia fino in Australia. I suoi uffici sono in zona Eur. E all’Eur c’è Romauno, la televisione privata nella quale Cerroni ha investito ispirandosi all’americana New York One. Ultimamente, però, il suo core business è entrato in crisi. La discarica di Malagrotta dopo anni di proroghe è stata definitivamente chiusa. Una batosta che si aggiunge ad un altro stop improvviso a settembre del 2012 quando il Campidoglio scoprì che l’ad dell’Ama, Salvatore Cappello (subito messo alla porta), stava per siglare con il Co.La.Ri di Cerroni un contratto che vincolava l’Ama a pagare 500 milioni di euro in dieci anni per il trattamento meccanico biologico.

LE INDAGINI
A peggiorare la situazione sono arrivate le inchieste della magistratura. Molti i filoni: la gestione di Malagrotta e l’inquinamento delle falde acquifere; il sequestro del gassificatore entrato in funzione con un’autocertificazione irregolare; gli impianti per la produzione di cdr (combustibile ricavato dai rifiuti) che Cerroni ha realizzato ad Albano Laziale; e per ultima la vicenda dei lavori senza autorizzazione a Monti dell’Ortaccio. Ma per i suoi legali è tutto regolare. Tutto a posto.
Davide Desario



Fonte: Corrado Zunino, la Repubblica 10/1/2014

Testo Frammento
DA MALAGROTTA A RIO DE JANEIRO L’IMPERO GLOBALE DEL SUPREMO “HO FATTO PIÙ IO DI NAPOLITANO”–

Ora che Malagrotta, la più grande discarica d’Europa, è chiusa, l’hanno arrestato. Manlio Cerroni, 87 anni, il Suv guidato con la mano sinistra mentre controllava ogni giorno la sua discarica resa inerte (l’altroieri) dal sindaco Marino, si riteneva intoccabile. Lo credevano un intoccabile i suoi dipendenti, amministratori delegati, presidenti dei consigli di amministrazione delle 66 società fondate. Il Supremo, lo chiamavano. Tutti. Laurea in Giurisprudenza, tre volte sindaco di Pisoniano fra i Monti Prenestini, cresciuto nella Dc di Amerigo Petrucci, il primo affare nel 1959. Grazie a una leggendaria carriera che ha attraversato nove sindaci di Roma, Cerroni si è permessso di sbeffeggiare per lettera il penultimo, Gianni Alemanno, assicurandogli che quella missiva l’avrebbe trasformata in una tavoletta di marmo, «così anche i marziani, quando scenderanno sulla terra, si renderanno conto di quello che io ho fatto per Roma». Ai suoi, d’altronde, diceva (lo rivelano le intercettazioni dell’inchiesta): «Scusa, danno la cittadinanza onoraria a Napolitano... Perché, ha fatto più Napolitano che io pe’ Roma?».
I successi di Cerroni sono cresciuti insieme alla sua megalomania. «Sono un benefattore», ricordava a ogni politico piegato, sovvenzionato. A ogni nuovo sito aperto, soldi contanti. Attorno a Malagrotta, un buco gigantesco realizzato a metà dei Settanta dagli scavi necessari per costruire la terza pista dell’aeroporto di Fiumicino, fondò un impero di cui non si riesce a vedere l’orizzonte. Oggi conta centoquattordici — 114 — discariche nel mondo. Barcellona, Oslo, Il Cairo, Rio de Janeiro. Sono, dati 2012, due miliardi di fatturato l’anno quando l’intero giro d’affari dell’immondizia italiana è di sei miliardi, criminalità compresa. Malagrotta, quadrante ovest di Roma, un persistente odore dolciastro da Massimina a Torrimpietra, è il centro di tutto, l’inizio del viaggio imprenditoriale. Nel 1965 sito industriale — ancora oggi ci sono un gassificatore, una raffineria, un inceneritore per rifiuti ospedalieri, quattro impianti per lo stoccaggio dei carburanti, diverse cave —, dieci anni dopo diventa il cratere artificiale più grande nel continente, via via sempre più grande: Malagrotta uno, due, tre. Duecentoquaranta ettari, trecento campi di calcio, su cui volano sempre i gabbiani. Diverse le autorizzazioni temporanee, nel 2001 quella definitiva. «Non possono farne a meno», diceva ai suoi, i Rando, i Giovi, i Sicignano, esecutori d’ordini oggi tutti dentro le carte giudiziarie, «senza di me Roma viene seppellita dalla spazzatura in una settimana, altro che Napoli ». Teneva bassi i costi, e ricattava una città. Boicottava la raccolta differenziata: l’inchiesta ne ha trovato tonnellate buttate nella sua discarica, tal quale da bruciare sprigionando nuove esalazioni. E s’arricchiva. Non si fermava, come la sua spazzatura, neppure nei festivi: era a vigilare su Malagrotta anche la domenica. «Sono creditore dalla collettività di 1.825 giorni di ferie».
Le inchieste giudiziarie sul Supremo sono antiche. Il primo che mise le mani sopra questa romanissima zuppa di convenienze politiche ed estorsioni imprenditoriali fu il pretore Gianfranco Amendola, settembre 1985. Voleva comprendere perché il Comune di Roma si era comprato a prezzo caro due impianti (di Cerroni) mischiando bilanci pubblici e privati. La procura avocò a sé e in otto anni non riuscì ad affiancare un testimone a quelle gare vinte sempre in solitudine. Archiviato. Le inchieste di queste ore somigliano in maniera raggelante a quelle di trent’anni fa e segnalano trent’anni di politica romana così presente — alle cene, agli affari di Cerroni — da lasciare ogni amministrazione ambientale in mano a un uomo solo. Il presidente della Regione Lazio dal marzo 1993 ad aprile 1994, Bruno Landi, socialista di “Riformismo e libertà”, lo avvicinò a tal punto da diventare amministratore della sua Ecologia Viterbo. Negli Anni Ottanta gli appalti di Malagrotta passavano dal tavolo dell’andreottiano Elio Mensurati e del craxiano Paris Dell’Unto, oggi a Cerroni basta finanziare alcuni ambientalisti, nominare presidente della società di pallavolo posseduta Chicco Testa, fondare una tv locale all news (RomaUno) e tenersi stretti funzionari regionali sempre in carica, anche con il governo Zingaretti. L’ingegner Fabio Ermolli, già nella Systema Ambiente di Cerroni, è ancora il controllore della spazzatura che entra ed esce dalle discariche romane.
In cinquantacinque stagioni di affari — iniziò alla vigilia delle Olimpiadi di Roma, mise d’accordo e si mise in tasca gli artigianali imprenditori della spazzatura della capitale —, Manlio Cerroni non si è mai quotato né indebitato, non ha una banca di riferimento. E non ha mai accettato offerte parlamentari. Gli è bastato vivere di rifiuti e dalle sue colline controllare la politica. Cerroni, in queste ore, è al centro di quattro inchieste penali convergenti: reati ambientali, traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata, frode, associazione per delinquere, abuso d’ufficio, falso. Non è difficile comprendere che questi segni erano già stati incisi sul terreno trent’anni fa.


Fonte: Grazia Longo, La Stampa 10/1/2014

Testo Frammento
ASCESA E CADUTA DEL “SUPREMO” UN IMPERO COSTRUITO SUI RIFIUTI–

Ossequiato come «l’ottavo re di Roma» in virtù del fatto che da oltre 40 anni era l’indiscusso «imperatore della raccolta dei rifiuti» - o «re della monnezza» che dir si voglia -, veniva addirittura definito «il Supremo» all’interno del gruppo di compagni di ruberie con cui aveva creato - secondo la Procura di Roma - un «sodalizio criminale in grado di condizionare l’attività dei vari enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti nel Lazio, a partire dalla Regione».
Manlio Cerroni, il patron di Malagrotta è stato arrestato ieri - insieme ad altre 6 persone tutte come lui ai domiciliari - dai carabinieri del Noe su ordinanza del gip di Roma Massimo Battistini. E lui, il «Supremo», l’avvocato Cerroni, 88 anni - abile a barcamenarsi tra politici di centro destra e di centro sinistra - certo non si tirava indietro di fronte ai complimenti. Anzi, si vantava pure. Tanto da ritenere di aver fatto per Roma più del Presidente della repubblica Giorgio Napolitano. In una delle intercettazioni riportate nelle 400 pagine dell’ordinanza del gip - registrata il 21 ottobre 2010 - parlando con Francesco Rando di una nota della Pontina Ambiente indirizzata al Noe, a un certo punto Cerroni fa una battuta: «.... a questi.... mo’ ho detto, mo’ scusa danno la cittadinanza onoraria a Napolitano perché ha fatto più Napolitano che io pe’ Roma?». E giù risate.
Ben poco da ridere c’è in realtà sul sistema illecito messo in piedi: tonnellate di rifiuti destinati alla differenziata mai trattati e finiti nella discarica di Malagrotta, nonostante i proprietari dell’impianto di differenziazione incassassero diversi milioni di euro.
L’accusa è di associazione per delinquere, traffico di rifiuti, frode in pubbliche forniture, truffa in danno di enti pubblici, falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici. Sequestrati beni per 18 milioni di euro. Non finisce qui. Gli investigatori stanno anche verificando i rapporti tra Cerroni ed alcuni esponenti del «Parlamento nazionale» e in particolare delle loro fondazioni.
Nell’ordinanza si legge infatti che Cerroni incontrava «esponenti politici di livello nazionale», le cui fondazioni erano «oggetto di generose elargizioni sotto forma di finanziamento», «20mila euro nel solo 2008». Dalle indagini dei carabinieri del Noe - guidati dal colonnello De Caprio - emerge che si si tratterebbe di alcuni ex-capigruppo in Parlamento di partiti di centrodestra e centrosinistra. «In quel periodo si registrano reiterati contatti, anche personali, con parlamentari (Beppe Fioroni, Ermete Realacci ed Edo Ronchi) e un generoso contributo di 20.000 euro alla fondazione “Sviluppo Sostenibile” (gestita dal terzo)».
E del resto sempre il gip Battistini scrive che sono stati commessi «fatti di inaudita gravità anche per le dirette implicazioni sulla politica di gestione dei rifiuti e per le ricadute negative sulla collettività». Quanto alla discarica, il lavoro del maggiore Rajola ha consentito di ricostruire «il fenomeno Cerroni, un sistema a piramide con lui come dominus».
Un meccanismo che, inoltre, implicitamente permetteva di dichiarare Malagrotta in costante emergenza proprio perché, secondo l’accusa, nel conteggio delle cubature di spazzatura finivano materiale non definibile rifiuto tout court come il Cdr (combustibile da rifiuti) e ciò che poteva essere riciclato. Dunque l’emergenza fittizia di Malagrotta produceva, per i giudici, un nuovo business al gruppo visto che le amministrazioni erano costrette a trovare nuovi siti. Cinque anni di indagini e migliaia di intercettazioni hanno fatto crollare l’impero del «Supremo».
Giuseppe Pignatone, il procuratore capo che ha coordinato l’indagine affidata ai pm Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia, commenta: «Spero che questa operazione sia un contributo alla soluzione del problema dei rifiuti a Roma».


Fonte: Giacomo Amadori, Libero 10/1/2014

Testo Frammento
IN MANETTE IL RE DELLE DISCARICHE NUOVA BUFERA SULLE GIUNTE ROSSE–

L’inchiesta che ha portato ieri agli arresti (insieme con altre sei persone) l’imprenditore ottantaseienne Manlio Cerroni, proprietario di Malagrotta, per trent’anni la più grande discarica d’Europa, non è terminata. Ci sono intercettazioni inedite al vaglio degli inquirenti e diversi altri politici coinvolti. Oltre a quelli già ufficialmente raggiunti dalle indagini. La cosa non deve stupire se si pensa che Cerroni dagli anni ’80 ha agito quasi da monopolista nel settore della spazzatura (attraverso diverse società a lui riconducibili, da Colari a Pontina ambiente a E. Giovi) e che, secondo l’accusa, aveva come vice dominus dell’associazione per delinquere l’ex presidente socialista della Regione Bruno Landi. Quest’ultimo avrebbe svolto un ruolo da proconsole nei confronti del mondo politico per conto dell’avvocato Cerroni.
Nell’indagine condotta dal Nucleo ecologico del colonnello Sergio De Caprio (il capitano Ultimo che catturò Totò Riina) e dai capitani Pietro Pescarini Rajola e Gianpaolo Scarfatto è rimasto coinvolto anche l’ex governatore Piero Marrazzo, indagato per abuso d’ufficio e citato in diverse intercettazioni ritenute interessanti dai pm. Il Supremo, come era soprannominato Cerroni dai sodali, poteva contare in Regione su un oliatissimo sistema di connivenze che gli avrebbero permesso di agire in regime di monopolio e di mettere all’angolo la concorrenza. L’inchiesta è andata avanti per cinque anni e, dopo essere stata avviata dal pm di Velletri Giuseppe Travaglini, è approdata a Roma, essendo il reato di traffico di rifiuti di competenza della Direzione distrettuale antimafia.
Nella Capitale il lavoro ha coinvolto i pm Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia, coordinati dal procuratore Giuseppe Pignatone. Tempi lunghi a parte, l’indagine ha conosciuto diversi contrattempi: per esempio nell’aprile 2011 l’ex governatrice Renata Polverini denunciò la presenza di microspie nel suo ufficio, causando una fuga di notizie sull’inchiesta; nell’agosto scorso la richiesta di arresto per Cerroni, depositata nell’ufficio del giudice per le indagini preliminari Massimo Battistini, è stata trafugata. Da chi non è mai stato scoperto. Di certo ieri, quando carabinieri e finanzieri hanno bussato alla sua porta, Cerroni non è apparso sorpreso e li ha accolti con savoir faire.
Per i sette arrestati le accuse sono di associazione per delinquere, traffico di rifiuti, frode in pubbliche forniture, truffa in danno di enti pubblici, falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici. Nell’operazione sono state eseguite 22 perquisizioni. «I fatti di inaudita gravità, anche per le dirette implicazioni sulla collettività » riguardano in particolare quattro «direttrici principali»: la gestione dell’impianto di raccolta e trattamento dei rifiuti di Albano laziale, il termovalorizzatore della stessa città (vedere box), in cui è particolarmente coinvolta la giunta Marrazzo, la realizzazione della discarica in Monte dell’Ortaccio e le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti nei comuni di Anzio e Nettuno. Nel primo caso gli inquirenti contestano una produzione di cdr (combustibile derivato dai rifiuti) inferiore a quello dichiarato e un guadagno illecito di 11 milioni di euro tra il 2006 e il 2012; nel terzo caso con lo smaltimento non autorizzato di terra e rocce Cerroni avrebbe incassato indebitamente altri 8milioni. Tra gli uomini chiave del «sodalizio criminale c’erano soggetti privati, pubblici funzionari (il deceduto Arcangelo Spagnoli, Luca Fegatelli, Raniero De Filippis) e politici (tra cui l’ex assessore Mario Di Carlo, pure lui morto, Giovanni Hermanin de Reichfiled, e Romano Giovannetti, quest’ultimo segretario particolare dell’ex assessore Pietro Dipaolantonio) ». Hermanin è stato il fondatore di Legambiente Lazio e presidente regionale dell’associazione sino al 1995, oltre che membro della prima assemblea nazionale del Pd di Walter Veltroni e poi in quella di Pier Luigi Bersani. Dopo essere stato nella direzione regionale del Pd laziale, nel 2010 ha lasciato il partito. Il motivo? «Il Pd a Roma e nel Lazio è il risultato di un accordo di ferro tra ceti politici Ds e Ppi volto a garantirsi i reciproci “spazi” e indifferente alla necessità di farsi veicolo e attore di domande sociali diffuse». Per i giudici lui, da assessore e da presidente dell’Azienda municipale ambiente (Ama) avrebbe favorito le «domande » di Cerroni & c.
Ma i servitori più utili di Cerroni sarebbero stati i dirigenti regionali. In particolare Fegatelli che continua a ricoprire prestigiosi incarichi compreso quello di direttore dell’agenzia regionale per i beni confiscati. Suo sodale, per gli inquirenti, era De Filippis, prima direttore del dipartimento del territorio, oggi alla guida della direzione regionale ambiente e politiche abitative. Sarebbero stati loro a muovere i fili del teatrino che ha permesso a Cerroni di lavorare senza concorrenti.
In pochi si sono opposti a questo sistema e chi ci ha provato è stato allontanato. Nell’ordinanza viene raccontata la disavventura di Riccardo Ascienzo, ex dirigente regionale del ciclo integrato dei rifiuti che concede alla Rida Ambiente di Fabio Altissimi di entrare temporaneamente nel business dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ma paga l’azzardo con il trasferimento al settore Acque minerali e termali. La Rida aveva anche provato a offrire i propri servizi direttamente alla Terracina ambiente (società mista pubblico- privato della provincia di Latina). Un tentativo subito stoppato da Landi, l’alter ego di Cerroni, che in un’intercettazione spiega che quell’appalto non s’ha da dare per «non alimentare un rigagnolo che potrebbe diventare un torrente» e racconta che «il pallino è in mano alla Regione che stabilisce che il tal Comune va lì (a smaltire ndr) piuttosto che là» e che il soggetto concorrente (Altissimi) è stato «cacciato dalla stanza dove era andato». Insomma anche se non era la soluzione logisticamente più comoda i Comuni dovevano portare la loro spazzatura in dono a Cerroni.
Tra le intercettazioni ambientali captate dagli investigatori ci sono anche quelle dell’ex vicepresidente regionale e attuale sindaco Pd di Fiumicino, Ernestino Montino (non indagato), a cui alcuni degli arrestati si rivolgono con insistenza per perorare l’apertura di una nuova discarica a Monti dell’Ortaccio, decisamente antipopolare. Montino ascolta, ma poi conclude: «È una situazione esplosiva ». In quel momento non immagina neppure quanto.



Fonte: Emiliano Fittipaldi; Andrea Palladino, l’Espresso 5/7/2013

Testo Frammento
QUANTO SI GUADAGNA CON I RIFIUTI–

Guadagnano milioni di euro ripulendo le nostre strade, gestiscono attraverso monopoli centinaia di migliaia di tonnellate di spazzatura, controllano discariche grandi come città, investono nell’affare degli inceneritori, trattano con i politici e le amministrazioni locali, finiscono – spesso – nelle inchieste della magistratura per reati ambientali e corruttivi. Sono i signori della monnezza "made in Italy", un pugno di imprenditori che da anni si spartisce un business che vale miliardi di euro l’anno, grazie a uno Stato che ha di fatto deciso di affidare ai privati un servizio pubblico strategico. In un paese, il nostro, dove il ciclo integrato dei rifiuti resta una chimera, i livelli medi di raccolta differenziata sono al palo e le emergenze – soprattutto al Sud – non sono l’eccezione, ma la norma.
IL SUPREMO DI MALAGROTTA. Se si volesse stilare una classifica virtuale degli uomini più potenti del settore, al primo posto ci sarebbe senza dubbio il laziale Manlio Cerroni, il proprietario di Malagrotta, la più grande discarica d’Europa estesa come 150 campi di calcio. Un ultraottantenne nato nel borgo di Pisoniano nel lontano 1926 (è stato tre volte sindaco del suo paese, nonché sponsor della squadra di calcio) chiamato da ex dirigenti regionali, in alcune intercettazioni ancora secretate, «il Supremo». Un nomignolo che dice tutto. Perché Cerroni, oltre a Malagrotta, controlla termovalorizzatori, discariche e impianti di trattamento rifiuti non solo nel Lazio e in altre regioni italiane, ma in giro per il mondo. Il suo regno si estende dall’Argentina all’Australia, passando per Brasile, Egitto, Oman e Lituania. Oggi, secondo stime prudenziali, il valore del gruppo potrebbe superare i due miliardi di euro.
L’imprenditore, carattere ruvido e spregiudicato, tratta monnezza da 66 anni. In una lettera spedita a chi scrive, spiega di considerarsi «un self-made man: dai miei colleghi» dice «sono considerato il numero uno, per creazione, per impegno, per lavoro, per esperienza». "L’Avvocato", come lo chiamano i suoi dipendenti, nonostante l’età continua a gestire tutto in house, con la collaborazione delle due figlie e di pochi, storici collaboratori. Il suo nome è diventato noto negli anni Settanta, quando riuscì a mettere le mani su un "grande buco" vicino al Raccordo anulare, una cava esaurita di ghiaia e sabbia usata nel dopoguerra per la costruzione dei quartieri della Tuscolana e dell’Appia nuova. La discarica viene inaugurata nel 1978 (al tempo, sussurra qualcuno, l’Avvocato aveva ottimi rapporti con la Dc) e da allora i politici di destra e di sinistra, dai peones locali ai ministri, hanno dovuto fare i conti con lui, consapevoli che se "l’ottavo re di Roma" avesse deciso di chiudere bottega, la Capitale sarebbe sprofondata nel suo pattume in poche ore. «Malagrotta è stata la fortuna e la salvezza di Roma, facendo risparmiare ai romani oltre due miliardi di euro rispetto alle quotazioni di mercato», ripete Cerroni a coloro che osano criticare il suo macroscopico monopolio. Se nel corso dei decenni si sono accumulate decine di denunce per inquinamento, le inchieste – va ricordato – non lo hanno mai scalfito.
Almeno finora: come "L’Espresso" ha raccontato qualche mese fa, infatti, l’Avvocato e i suoi fedelissimi sono finiti nel mirino dei pm di Velletri, che hanno aperto un’inchiesta su un impianto localizzato ad Albano ipotizzando reati gravissimi, come associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato. Il pm nel 2012 chiese addirittura gli arresti, ma il gip dichiarò la propria incompetenza territoriale girando il fascicolo ai colleghi della procura di Roma, che oggi indagano anche sulle vicende di Malagrotta. «Mi sarei aspettato» scrisse a Cerroni a "l’Espresso" dopo l’articolo sulle sue disavventure giudiziarie «che una "carrozza " ci avesse portati in Campidoglio per ricevere dal sindaco un grazie per quanto fatto dalla città, come nell’antica Roma. E invece, altro che carrozza! Mi ritrovo sbattuto nel girone dei delinquenti... l’unico appellativo che mi si attaglia è quello di benefattore!». Per la cronaca, Malagrotta che per legge dovrebbe essere chiusa da anni ha ottenuto giorni fa l’ennesima proroga.
AFFARI GROSSI. Se Cerroni è il ras incontrastato nel Lazio, in Lombardia comanda la famiglia Grossi. Il fondatore della Green Holding è il mitico Giuseppe – scomparso poco tempo fa – per decenni a capo di un gigantesco impero economico fondato su discariche e bonifiche. Schivo, dai modi sbrigativi. Grossi – il cui scettro è ora passato alle figlie – era legato a doppio filo con Comunione e Liberazione (quando nel 2009 fu arrestato, davanti la sua cella c’era la fila di politici che volevano andarlo a trovare, da Maurizio Lupi a Gabriele Albertini) e all’ex governatore Roberto Formigoni.
Salì agli onori della cronache alla fine degli anni Novanta, quando riuscì ad acquistare il colosso americano Browning-Ferris Industries, punto di partenza per l’assalto al mercato dei servizi ambientali. Da allora il gruppo ha macinato appalti a go-go, gestendo (attraverso una complessa holding con il cuore finanziario nei paesi a fiscalità privilegiata) discariche per rifiuti pericolosi, invasi per rifiuti urbani e l’inceneritore di Dalmine, in provincia di Bergamo. Quando la procura di Milano lo arrestò per la vicenda della bonifica mancata di Montecity nella sua villa trovarono un piccolo tesoro: sei milioni di euro in Rolex pregiati, una collezione di Ferrari e altre auto di lusso, senza parlare di ville e terreni sparsi in tutt’Italia. Gli ex manager che lo hanno conosciuto lo ricordano come uno tosto: «Qualcuno lo considerava un parvenu del settore ambientale, e lui non perdeva occasione di mostrare ai concorrenti quanto fosse duro: era uno che non faceva prigionieri ». Ad affiancarlo nella gestione della monnezza aveva chiamato al suo fianco Cesarina Ferruzzi, conosciuta nell’ambiente come "Madame Dechets". Di lei, "la signora della spazzatura". Grossi si fidava come nessun altro: tecnico ambientale che iniziò la sua carriera riportando in patria con la Jolly Rosso i rifiuti tossici sparsi in Libano dagli italiani alla fine degli anni Ottanta, diventò poi la sua alter ego, tanto da finire anche lei coinvolta nell’inchiesta milanese sulla bonifica di Montecity. Ne è uscita con un patteggiamento.
CI MANDA MARCELLO. Anche Giovan Battista e Pier Paolo Pizzimbone, i ras liguri della monnezza, hanno amicizie che contano. Supporter di Silvio Berlusconi, possono contare sul rapporto quasi fraterno con Marcello Dell’Utri. Per i maligni, conoscenze necessarie per trasformare una piccola cooperativa di Vercelli in un gigante che controlla una fetta importante del business dei rifiuti solidi urbani. I Pizzimbone sono liguri di origine, ma siciliani di adozione. Capiscono presto che per fare carriera bisogna masticare monnezza e politica. La passione per la spazzatura è ereditaria (è il padre il primo ad entrare nel business), ma sono loro a spiccare il volo: dopo aver ottenuto il predominio a Imperia e nella Liguria, nel 2004 comprano la Aimeri, con cui invadono decine di Comuni al Nord incluse le città rosse della Romagna. Vincono poi due maxi-appalti al Sud, quelli per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a Caltanissetta e a Catania. Sarà un caso, ma il volto politico della famiglia, il quarantenne Pier Paolo, sarà primo dei non eletti per il Pdl nel collegio catanese alle elezioni del 2008.
L’esperienza siciliana dei fratelli Pizzimbone, però, ha alternato alti e bassi: alcuni dipendenti delle loro aziende in provincia di Catania sono infatti finiti in guai giudiziari a causa della (presunta) vicinanza a Cosa nostra. Il 26 aprile scorso la Dia di Catania ha sequestrato un milione di euro a Roberto Russo, già responsabile tecnico operativo di una delle società dei Pizzimbone, ritenuto dagli investigatori a capo di «un complesso meccanismo di traffico illecito di rifiuti in forma organizzata». Lo scorso fine maggio un’altra tegola, stavolta finanziaria: i 14 comuni catanesi che si servivano della Aimeri hanno deciso di rescindere il contratto. Motivazione: un servizio «assolutamente inefficiente».
POLITICI A SACCHI. Pietro Colucci, napoletano di 53 anni, è invece specializzato nella gestione dei rifiuti industriali. Insieme al fratello Francesco, ha costruito il suo colosso partendo dalla raccolta della spazzatura in Campania. Terra difficile, dove le aziende spesso rischiano di essere infiltrate dai clan, attirati da guadagni a sei zeri. Insieme al fratello Francesco, Pietro fonda una piccola azienda a San Giorgio a Cremano, ma nel 2000 sono già così forti da poter mettersi in tasca la Waste Management Italia, colosso del settore acquistato in cordata con la famiglia Fabiani dell’Italcogim. «Nel 1996, però, decidemmo di lasciare la Campania – spiega Pietro a "l’Espresso" – Quando mio fratello volle tornare, ci siamo separati». Con il gruppo Unendo Francesco resta nel business dei rifiuti urbani, mentre Pietro punta tutto sulle energie rinnovabili e sulla gestione degli scarti non pericolosi delle industrie.
Per il fratello anziano è una fortuna: una delle aziende di Francesco, la Daneco, da due anni e mezzo è infatti al centro dell’inchiesta della Procura di Milano sul recupero dell’area ex Sisal di Pioltello. Un’inchiesta ha colpito anche il terzo fratello Nicola, che siede nel consiglio di amministrazione della discarica Ecoambiente a Latina, dove è indagato per avvelenamento delle acque insieme al braccio destro di Cerroni Bruno Landi.
Anche ricostruendo la storia dei Colucci sembra che per trasformare in oro la monnezza sia necessario – oltre al know-how, alla capacità imprenditoriale e ai capitali – avere buoni rapporti con i politici. «Una decina di anni fa le diverse società del gruppo hanno ampiamente finanziato prima Forza Italia e poi Alleanza nazionale» ammette Pietro, «Ma pagavamo anche le feste dell’Unità, sempre in maniera legale e trasparente». A che servivano queste donazioni? «A nulla: per noi era solo una questione di visibilità». Se Francesco può vantare ancora oggi una solida amicizia con Gianfranco Fini, Pietro, da parte sua, non nega il suo stretto rapporto con Edo Ronchi, l’ex ministro verde degli anni ’90, suggellato attraverso la partecipazione alla Fondazione Sviluppo Sostenibile: «Edo? Certo che lo conosco: è un amico e un galantuomo».
VERDE LEGA. Nella lista dei signori della monezza più influenti c’è di tutto. Il leghista Giovanni Fava, onorevole dimessosi poche settimane fa perché chiamato da Roberto Maroni a fare l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, ha una sfilza di cariche e quote nelle società Econord snc, Econord servizi ambientali srl, Palladio team Fornovo srl, Palladio team spa, Programma ambiente spa e Team ambiente spa, tutte dedicate allo smaltimento e ai rifiuti; in Calabria, invece, uno degli imprenditori più in vista è Raffaele Vrenna, presidente del Crotone calcio e gestore – attraverso le società controllate dalla holding di famiglia, la V&V group – della grande discarica ìdi Columbra. Vrenna, che è stato anche vicepresidente della Confindustria regionale, qualche anno fa è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa dalla Dda di Catanzaro, accusa dalla quale è stato assolto in appello.
Anche in Puglia un imprenditore specializzato in rifiuti è riuscito a scalare l’associazione degli industriali cittadina: Antonio Caramia, tendenza centrodestra, due figlie e proprietario dello sversatoio Italcave di Taranto (accoglie i rifiuti industriali del siderurgico Ilva, ma anche il carbone che viene dall’Eni di Gela e i rifiuti della Campania) ne è infatti diventato presidente. Insieme al fratello Saverio nella città dei due Golfi è considerato uno che conta: ricchissimo, ha diversificato lanciandosi sulle attività portuali (possiedono un terminal per merci sfuse) e su uno stabilimento balneare, la Fata Morgana. Negli anni ’80 i Caramia fondarono anche una tv locale, Canale Uno, che però non ebbe fortuna.
RAS A PESCARA. In Abruzzo il padrone del settore si chiama invece Rodolfo Di Zio, monopolista incontrastato di Pescara e dintorni: la sua Deco, fondata nel 1989, in pratica controlla il ciclo integrato dei rifiuti in tutta la regione, garantendo all’azienda incassi milionari che Di Zio ha investito anche all’estero. In particolare, in Africa: la società Ecotì s.a., che gestisce impianti e centri di trasferimento su tutto il territorio tunisino, è sua. Di Zio, già arrestato una volta nel 1994 per corruzione (fu poi prosciolto), nel 2010 è stato travolto da una nuova inchiesta giudiziaria che ha messo in luce i rapporti strettissimi tra l’imprenditore e i politici, sia locali che nazionali: secondo i magistrati di Pescaia che lo ha prima arrestato e poi rinviato a giudizio per corruzione, Rodolfo sarebbe stato al centro di un’operazione criminosa per costruire un inceneritore a Teramo. Di Zio prima avrebbe finanziato alcuni uomini di partito per ottenere l’appalto senza partecipare a gare pubbliche, poi avrebbe brigato per ridurre la quota obbligatoria di raccolta differenziata dal 40 al 25 per cento, in modo da avere più rifiuti da bruciare nel suo termovalorizzatore.
Secondo la procura che lo ha intercettato per mesi, l’imprenditore «dava soldi a tutti»: pagava senatori del Pdl come Paolo Tancredi e Fabrizio Di Stefano (di recente per loro l’accusa di corruzione è caduta), sindaci e assessori compiacenti, mentre 94 mila euro sembrano siano finiti in favore di candidati della lista del governatore Gianni Chiodi. Ma il signore della monnezza pagava anche qualche quadro del Pd. «Sono apolitico, nel senso che noi non facciamo politica» ragionava Di Zio in un’intercettazione, «non ho rapporti soltanto con la destra, io ce li ho anche con la sinistra». Si sa, gli affari sono affari. E per essere sicuro di farne di buoni, in Italia, è meglio ungere tutti.



Fonte: Davide Desario, Il Messaggero 15/3/2013

Testo Frammento
CERRONI, IL RE DELLE DISCARICHE CHE BLOCCA LA SVOLTA RIFIUTI -
Lo conoscono tutti come il “re dell’immondizia”. Nella recente inchiesta della Procura di Roma sulla gestione dei rifiuti della Capitale c’è chi lo ha ribattezzato «il Supremo». Da quarant’anni detta legge sullo smaltimento a Roma. E ora, che qualcuno sta provando a scalzarlo, ha affilato le armi. É pronto a tutto purché venga realizzata una nuova discarica a Monti dell’Ortaccio anziché permettere il doveroso aumento della raccolta differenziata e l’avvio di un ciclo virtuoso del trattamento.
IL PERSONAGGIO
Si chiama Manlio Cerroni ha 87 anni, originario di Pisoniano (un paesino di 700 anime sui Monti Prenestini di cui è stato anche sindaco democristiano). È il patron del Co.La.Ri, il Consorzio Laziale Rifiuti che gestisce da oltre trent’anni la discarica più grande d’Europa (250 ettari), quella di Malagrotta alla periferia Ovest della Capitale dove finisce tutta l’immondizia di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano. Con i rifiuti e le discariche ci è diventato ricco. Anche grazie al benestare di quasi tutti i politici che si sono alternati in Campidoglio e Regione. In particolar modo l’area del centrosinistra. Un nome su tutti l’ex assessore comunale alla Mobilità e poi amministratore delegato dell’Ama, Mario Di Carlo (scomparso recentemente). «Per me è come un figlio» diceva di lui Cerroni. E negli anni successivi il presidente della Regione Piero Marrazzo riuscì nell’impresa di assegnare proprio a Di Carlo la delega ai rifiuti. Altro fedelissimo di Cerroni è Bruno Landi, presidente della Regione Lazio negli anni Ottanta e ancora oggi influente in certi salotti della Capitale. Ma alla fine, silenziosamente, più meno tutti hanno fatto i conti con il “re dei riufiuti”.
L’IMPERO
Cerroni è un re il cui impero è invisibile. Ha messo su una ragnatela di società che, si stima, fatturino quasi un miliardo di euro all’anno. Lui appare in prima persona nelle più importanti. Nelle altre ha posizionato le due figlie e uomini di fiducia. Non ha banche di riferimento, non è quotato in borsa. E, così facendo, il suo impero è cresciuto al punto da arrivare a gestire il trattamento dei rifiuti non solo all’ombra del Colosseo ma anche a Brescia, Perugia, in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia fino in Australia. I suoi uffici sono in zona Eur. E all’Eur c’è Romauno, una televisione locale dove lavorano validi e giovani giornalisti.
IL DECLINO
Ultimamente, però, il suo core business, è a rischio. Con la giunta Alemanno sono state subito scintille. Sulla discarica di Malagrotta ormai lampeggia la scritta «game over». Dal 2005 va avanti solo grazie a proroghe annuali perché i politici romani non trovavano (o non volevano trovare?) un’alternativa a quello che ormai era diventato un monopolista assoluto. Nei giorni scorsi il ministro all’Ambiente Corrado Clini, dopo un incontro con il commissario Ue all’Ambiente Janez Potocnik, lo ha ricordato: «L’11 aprile termina la consegna dei rifiuti non trattati a Malagrotta che a giugno chiude. Finisce così il sistema su cui si è basata Roma per quarant’anni».
Una batosta che si aggiunge ad un altro stop improvviso a settembre del 2012 quando Alemanno ha scoperto che l’ad dell’Ama, Salvatore Cappello (subito messo alla porta), stava per siglare proprio con il Co.La.Ri di Cerroni un contratto che vincolava l’azienda a pagare 500 milioni di euro in dieci anni per il trattamento meccanico biologico (tmb). Un’operazione che - come ha detto il consigliere d’amministrazione di Ama Stefano Commini - non avrebbe fatto altro che potenziare il ruolo monopolista di Cerroni scoraggiando qualsiasi altra azienda del settore a lavorare su Roma.
LE INDAGINI
A peggiorare la situazione sono arrivate in questi ultimi anni le inchieste della magistratura. Molti i filoni: la gestione di Malagrotta e l’inquinamento delle falde acquifere; il sequestro del gassificatore entrato in funzione con un’autocertificazione irregolare; gli impianti per la produzione di cdr (combustibile ricavato dai rifiuti) che Cerroni ha realizzato ad Albano Laziale; e la recente vicenda dei lavori senza autorizzazione a Monti dell’Ortaccio. Per ognuna le ipotesi di reato sono diverse: associazione a delinquere, truffa, traffico illecito di rifiuti.
IL BLITZ
Il governo ha deciso di chiudere Malagrotta. Ma, d’accordo con Comune e Regione, non ha alcuna intenzione di aprire una nuova discarica a Monti dell’Ortaccio, a poche centinaia di metri da Malagrotta: in quella Valle Galeria che già ha pagato un prezzo altissimo in tutti questi anni. Il ministro Clini punta a potenziare la raccolta differenziata. Cerroni non ci sta: vuole aprire ad ogni costo la discarica a Monti dell’Ortaccio. E ancora una volta ha armato il suo esercito di avvocati, alla ricerca di escamotage e per riuscire a difendere il suo impero. Adesso ha impugnato un’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) rilasciatagli dal commissario Goffredo Sottile ma che ormai, secondo il governo, è priva di validità. Difficile che ci riesca e dispetto delle ragioni dei residenti e delle direttive del ministro Clini.


Fonte: Corrado Zunino, la Repubblica 8/3/2013

Testo Frammento
IL BUSINESS MILIARDARIO DEI SIGNORI DELLE DISCARICHE –
ROMA L’AVVOCATO Manlio Cerroni, 86 anni portati sulle spalle senza che si siano mai incurvate, possiede e controlla quotidianamente dal suo Suv la più grande discarica d’Europa, Malagrotta, 250 ettari nel quadrante ovest della capitale, tremila tonnellate di rifiuti
tal quale
inghiottiti ogni giorno da tutta Roma, Città del Vaticano compresa.
SONO i sacchi neri in polietilene di Alemanno e del Papa, tre ogni cinque finiscono qui. Oltre ai grandi crateri e gli alti colli, a Malagrotta ci sono un gassificatore, due impianti per la distribuzione del gas, quattro per lo stoccaggio di carburanti, una raffineria, un inceneritore per rifiuti ospedalieri, diverse cave. Su otto impianti a rischio di incidente rilevante esistenti a Roma, sei impattano in questa area. Dopo quarantotto anni di dura intrapresa e di intensi rapporti con le ventitré amministrazioni che si sono succedute nella capitale d’Italia, l’ex sindaco Dc di Pisoniano, paese fra i Monti Prenestini, si è allargato. Manlio Cerroni oggi smaltisce e (secondo alcune procure) inquina in Italia e nel mondo. Gestisce discariche e impianti di trattamento a Brescia, Collegno, sulla dorsale che da Roma raggiunge Perugia passando per il Trasimeno e l’Alta Valle del Tevere, fino a Tempio Pausania. In mezza Europa. A nord del Cairo, in Brasile, a quaranta chilometri da Sydney (c’era il premier del Nuovo Galles del Sud al taglio del nastro). Una ricostruzione consente di contare 114 siti nel mondo in cui è presente la mano di Cerroni, imprenditore che fin qui ha trattato 250 milioni di tonnellate di rifiuti per discarica, incenerimento, gassificazione, li ha trasformati in mangime e compost. Ma quanto è cresciuto l’avvocato di Malagrotta? Quali sono i confini del suo impero?
PATRIMONIO MILIARDARIO
Nel corso delle stagioni imprenditoriali Manlio Cerroni ha registrato alla Camera di commercio italiana 66 società, quasi tutte dedicate allo smaltimento. In diciotto ha quote pari a 64 milioni e 133 mila euro. Il sole Malagrotta, la Città delle industrie ambientali dove farà pagare il biglietto con sprezzo dei cittadini confinanti di Massimina che ne assorbono i miasmi dolciastri, è nato sulla voragine scavata per costruire l’aeroporto di Fiumicino. Nel 1975 Cerroni ci trasportava carcasse di bovini
prelevate dal mattatoio di Testaccio. Attorno al sole è cresciuta una rete satellitare di controllate e partecipate che oggi lo incorona imperatore dell’immondizia globale e lo certifica come uno degli uomini più ricchi d’Italia: due miliardi l’anno è il suo fatturato stimato.
Manlio Cerroni non si è mai quotato né indebitato, non ha una banca di riferimento, non ha mai accettato le
avance
parlamentari. Vive solo di rifiuti, e dalle sue colline controlla la politica. Il vantaggio competitivo « conquistato sul mercato» se lo è preso, però, senza gare d’appalto.
Ogni volta che l’amministrazione aveva un’urgenza — dal 2008 un’emergenza — l’avvocato era lì, pronto a scavare su un terreno appena intercettato. Manlio Cerroni oggi è al centro di quattro diverse inchieste penali convergenti: la procura di Roma gli contesta reati ambientali, traffico illecito di rifiuti, truffa, estorsione, associazione a delinquere. Per l’impianto di Albano Laziale, sette buche tutte sue, è accusato di aver intascato assegni superiori al servizio offerto per 9,2 milioni. Sulla futura discarica di Monti dell’Ortaccio, ancora, avrebbe effettuato scavi di allargamento abusivi. Per il gassificatore di Malagrotta avrebbe dichiarato il falso sulla portata dei depositi d’ossigeno. Sopra tutto, c’è un’indagine
confidential
in mano all’antimafia sui rapporti fra i grandi imprenditori dei rifiuti, Cerroni in testa. Da tutto questo, l’avvocato si sta difendendo alternando otto legali.
I PARTNER-CONCORRENTI
Il 24 giugno 2008 la Regione Lazio ha presentato il progetto per quattro termovalorizzatori dislocati in provincia di Roma: erano tutti targati Cerroni. Nel Lazio esistono, oltre Malagrotta, dieci siti autorizzati e valgono 200 milioni l’anno. Metà degli invasi appartiene a gruppi dell’avvocato. Per l’impianto di riciclaggio di Colfelice la Procura di Frosinone ha sequestrato i contratti tra la Reclas e i Comuni di Frosinone, Alatri e Anagni: l’azienda avrebbe gettato in discarica rifiuti destinati al riciclo. Per organizzare il suo impero Manlio Cerroni
si è circondato di uomini di fiducia a cui, spesso, ha lasciato casini e reati. Con loro, rapporti trentennali, ha costruito un ginepraio di incarichi societari difficile da attraversare: gli stessi notai gli hanno aperto spa in serie, liquidatori di sue controllate sono diventati sindaci e consiglieri in altre. Le aziende a controllo variabile di Cerroni possono essere concorrenti e partner allo stesso tempo. Alcune, capitali miliardari, sono nella disponibilità di società al minimo consentito dalla legge. Il braccio destro dell’avvocato è l’amministratore di Ecologia Viterbo, Bruno Landi, presidente della Regione Lazio da marzo 1983 ad aprile 1984 per conto di Fabrizio Cicchitto (Psi). Negli Anni Ottanta la Sogein di Cerroni — società vivente — ha finanziato tutti i partiti dell’arco costituzionale e Landi è ancora l’anello di congiunzione tra la multinazionale e i salotti politici. A fianco dell’avvocato ottuagenario c’è, poi, Francesco Rando: gli controlla Malagrotta e si è già preso cinque condanne in primo grado di cui tre confermate in Cassazione per aver fatto smaltire rifiuti pericolosi, per rumori molesti, per abusi. Per la discarica madre deve rispondere con altri otto di omicidio colposo. L’ingegner Rosario Carlo Noto La Diega con quote nel consorzio Gesenu e nella Reclas oggi consente all’amico Cerroni di essere maggioranza e imporre le sue politiche ai comuni di Perugia e Frosinone. Ecco, spesso Cerroni si affianca ad aziende pubbliche — a Roma lavora con le municipa-lizzate Ama e Acea — per governarle attraverso patti di sindacato favorevoli. La figlia Monica, va ricordato, risiede in 17 società del babbo.
Con il centrosinistra di sottogoverno Cerroni è cresciuto: Chicco Testa alla guida dell’Acea e Mario Di Carlo all’Ama sono stati presidente e vice della squadra di pallavolo Auselda, di proprietà del nostro. L’Arpa, Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio, nell’agosto 2008 assunse l’ingegner Fabio Ermolli, già direttore tecnico della Systema Ambiente, società di casa. Oggi Ermolli è chiamato a controllare per conto della Regione la
gestione di Malagrotta. Anche i tecnici della giunta Polverini, formalmente nemica, si sono “accerronati” nel tempo: nell’analisi dei siti della Regione Lazio hanno presentato schede riguardanti Quadro Alto e Pian dell’Olmo copiate dai dossier ufficiali dell’imprenditore, errori di ortografia compresi. Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini è arrivato a dire che a Roma i rifiuti — oggettivamente in mano a Manlio Cerroni — sono pure in mano alla malavita. «Bestialità», gli ha risposto l’imprenditore. L’avvocato si è incuneato anche nell’ultimo piano regionale per proporre i suoi terreni, precedentemente opzionati con contratti capestro per i venditori. Monte Carnevale, vicino a Malagrotta, e Monti dell’Ortaccio, a un chilometro da Malagrotta, sono proprietà del signor Cerroni. Pian dell’Olmo, vicino a Riano, è affittato dal signor Cerroni.
I VELENI DEI CASALESI
L’uomo è riuscito ad arrivare anche sulla discarica di Borgo Montello, la quarta d’Italia per grandezza. Per vent’anni, alle porte di Latina, sono stati interrati fusti tossici. Il pentito di camorra Carmine Schiavone ha raccontato: «Sono centinaia, sono arrivati con i camion dei casalesi». I veleni rivelati sono a pochi metri dalle falde d’acqua che alimentano una zona ad alta intensità agricola. L’ex direttore del sito, Achille Cester, ricorda: «Era un Far West, l’invaso S4 galleggiava sul percolato, il resto lo buttavano nel fiume Astura. Il mio compenso per approvare queste operazioni era una notte con due escort». Chi ha cercato di ricostruire la verità su quella collina artificiale, Don Cesare Boschin, è morto incaprettato. Era in canonica. Dalla fine degli Ottanta i cinquanta ettari di Borgo Montello sono stati gestiti dai fratelli Pisante, i padroni del gruppo Acqua spazzati da Tangentopoli. Poi è arrivata la Green Holding, dove due storici avversari, Manlio Cerroni e Giuseppe Grossi, si sono spartiti il tesoro. Negli ultimi 15 anni l’avvocato ha investito sui terreni attorno alla discarica: punta ad allargarla. Non è l’unico. Chi sono gli altri grandi imprenditori? Quali aree controllano?
GLI ALTRI BARONI
Fra i baroni dei rifiuti c’è un deputato leghista quarantenne, Giovanni Fava da Viadana, diploma tecnico commerciale, appena rieletto alla Camera. In portafoglio ha 17 società che si dedicano allo smaltimento. Nell’ultimo
mandato parlamentare è stato a lungo membro della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti e attraverso la Palladio Team Fornovo, di cui è consigliere, ha gestito in parallelo la discarica parmense di Monte Ardone, sequestrata dai carabinieri con 230 tonnellate di immondizia
abusiva.
Il ras di Pescara è Rodolfo Di Zio, 71 anni, proprietario della Deco, coinvolto in due inchieste, sotto processo per corruzione e smaltimento illecito. Possiede sei discariche delle sette presenti in Abruzzo, tutte al limite di capienza: gli fruttano un milione al giorno. Con la compiacenza dell’intero Pdl regionale ha frenato la raccolta differenziata, qui al 28 per cento. Ha imposto i suoi invasi e sviluppato la politica dei bruciatori: bioessiccazione di rifiuti Tmb, un affare da 15 milioni. La sua storia è già ascoltata: il privato finanzia un politico in sella che riceve, gli apre le porte delle società pubbliche e offre appalti senza gara. «Sono apolitico, finanzio tutti», ha detto, intercettato. Per le discariche di proprietà è in società con sei enti pubblici e ottanta comuni: decideva lui le tariffe, confezionava gli ordini del giorno per i Consigli comunali, ricordava ai politici distratti il modulo per il finanziamento elettorale. Rodolfo Di Zio i soldi alla politica li dava in chiaro, pretendendo comunque i ritorni.
La procura di Pescara ha individuato gli approdi dei suoi assegni: i senatori Pdl Paolo Tancredi e Fabrizio Di Stefano, il parlamentare europeo Pdl Crescenzio Rivellini, i sindaci di Teramo e Pescara eletti nella tornata del giugno 2009. Per due anni, 250 mila euro. La Deco, proprietaria dei locali della sede regionale del Pdl a Pescara, per mesi non ha chiesto l’affitto. E in un sms recuperato dagli investigatori, il presidente dell’Abruzzo, Giovanni Chiodi, ringraziava Di Zio per l’assunzione del genero del suo segretario. Ma perché oggi un pugno di smaltitori domina la scena?
LA RETE DI RELAZIONI
La scalata dei fratelli Pizzimbone,
viveur
imperiesi con le mani sulle
starlette
d’area e le
discariche dell’occidente ligure (iniziò il padre socialista con il sito di Vercelli), è partita quando il giovane Pierpaolo, favorito del vescovo Tarcisio Bertone, si è allacciato con Marcello Dell’Utri fondando il primo circolo ligure del Buon governo. Lo battezzò nella sede della discarica di Imperia, il primo di trentatré. Con l’acquisizione nella primavera 2004 del gruppo Aimeri, per un breve periodo nell’orbita Cerroni, i
brothers
liguri coprirono centinaia di comuni del Nord. Con il legame politico con Dell’Utri la Biancamano, spa di famiglia, si è allargata al Sud vincendo due maxi-appalti in Sicilia. Sulla vittoria per l’Ato Caltanissetta 2 l’allora sindaco di Gela Rosario Crocetta segnalò la gara vinta in solitudine, con un ribasso d’asta dello 0,1 per cento, alla faccia delle sette aziende concorrenti consorziate in un’associazione anti-racket. Pigi, il più vecchio dei fratelli Pizzimbone, un 14 metri ancorato nel porto di Savona, è stato condannato per false fatturazioni. La discarica Ponticelli di Imperia è sempre in proroga. Nel 2007 la società Biancamano è stata quotata in Borsa, con rapidi spostamenti delle controllanti in Lussemburgo e a Cipro. L’incontro del 2008 tra Gheddafi e Berlusconi aprì le porte al primo affare straniero dei fratelli: l’igienizzazione di Bengasi, appalto da 520 milioni. Lo scorso gennaio l’Aimeri Ambiente, che gestisce il servizio di igiene urbana a Catania, è entrata in un’inchiesta della Direzione antimafia:
27 arresti.
Il presidente del Crotone calcio, Raffaele Vrenna, secondo due procure in stretta relazione con uomini della ‘ndrangheta, è il titolare della più importante discarica in Calabria, la Columbra, di un inceneritore costruito dall’azienda di famiglia Mida e di sei società di raccolta rifiuti. Vrenna è passato alla storia giudiziaria perché, condannato in primo grado per mafia, si è scelto come amministratore dei suoi beni (e dei suoi rifiuti) il procuratore capo della Repubblica Franco Tricoli. La segretaria del procuratore capo, Patrizia Comito, era la moglie dell’imprenditore
dei rifiuti.


Fonte: Emiliano Fittipaldi, l’Espresso 25/10/2012

Testo Frammento
MONNEZZA CRIMINALE [ Truffa, estorsione, associazione a delinquere. Le carte segrete dell’inchiesta sul re della spazzatura] –
Associazione a delinquere, estorsione, truffa, traffico illecito di rifiuti: sono queste le ipotesi di reato di un’inchiesta segreta che sta facendo tremare mezza Roma e che potrebbe distruggere l’impero di Manlio Cerroni, l’anziano avvocato che controlla la discarica di Malagrotta e che gestisce, di fatto, la fetta più grande del business della monnezza della Capitale. L’indagine sull’"ottavo re di Roma" (che risulta indagato) sembra ormai alla fase conclusiva, e rischia di far saltare il sistema di monopolio assoluto che la politica locale ha subito e foraggiato per oltre un trentennio, affidando di fatto a un privato la gestione di un’attività - va ricordato - che è per legge di pubblico interesse.
A "l’Espresso" risulta che i filoni d’indagine sono tre. Riguardano la gestione di Malagrotta, gli impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (cdr) che l’imprenditore ha costruito ad Albano Laziale e la cava di Monti dell’Ortaccio, che nei progetti di Cerroni - e del commissario per l’emergenza rifiuti Goffredo Sottile - dovrebbe presto diventare la nuova mega discarica della capitale. Il fascicolo è così delicato che oltre ai due pm titolari Maria Cristina Palaia e Alberto Galante è sceso in campo anche il procuratore capo Giuseppe Pignatone, che ha deciso di coordinare in prima persona la fase finale dell’inchiesta.
«Il ministro Corrado Clini ha detto che a Roma i rifiuti sono in mano alla malavita? È una bestialità», commentò Cerroni qualche tempo fa, mentre spiegava che il suo sito a Monti dell’Ortaccio era già attrezzato per ingoiare le oltre 4 mila tonnellate di spazzatura prodotte ogni giorno dalla città eterna e dal Vaticano. Sfrontato, spregiudicato, ricchissimo (qualcuno calcola che abbia accumulato un patrimonio di oltre due miliardi di euro, le sue due società più grandi come la Colari e la E.Giovi fatturano - come si legge negli ultimi bilanci - circa 150 milioni l’anno), l’avvocato Cerroni, nato nel 1926 nel minuscolo paesino di Pisoniano in provincia di Roma, ha quasi novant’anni ma è ancora in gran forma e sicuro di sé, consapevole dell’enorme potere negoziale che ha con i politici: senza Malagrotta (che sarà probabilmente prorogata per l’ennesima volta) in pochi giorni le strade di Roma sarebbero invase dalla monnezza, con effetti più devastanti dello tsunami napoletano che fece scandalo in tutto il mondo. «Sa come lo chiama in un’intercettazione un ex dirigente del commissariato per i rifiuti nel Lazio?», chiosa un magistrato vicino al dossier ,«lo chiama "il Supremo". Un nomignolo che già dice tutto. È lui il protagonista assoluto di questa vicenda». Coprotagonisti di rilievo sembrano anche alcuni dirigenti regionali e alcuni uomini di Cerroni. Su tutti spicca Bruno Landi, presidente della Regione Lazio agli inizi degli anni Ottanta, che è considerato dagli inquirenti l’anello di congiunzione tra il gruppo Cerroni e la politica, una «testa d’ariete in grado di scardinare e penetrare i meandri dei salotti regionali».
DA ALBANO A POMEZIA. Andiamo con ordine, partendo da Albano Laziale. Qui i guai per Cerroni e il suo entourage cominciano nel settembre del 2009, quando il pm Giuseppe Travaglini in forza alla procura di Velletri chiede ai carabinieri del Noe di Roma comandati dal colonnello Sergio De Caprio - alias Ultimo - e coordinati dal capitano Pietro Rajola Pescarini di indagare sulla società Pontina Ambiente, un grande impianto di trattamento dei rifiuti che produce cdr per dieci cittadine della provincia di Roma. Il sospetto, infatti, è che l’azienda produca un quantitativo di cdr destinato ai termovalorizzatori assai inferiore a quanto dichiarato ai Comuni "clienti": una truffa (bruciare il cdr era forse troppo costoso: più economico e più comodo per Cerroni smaltire la monnezza nello sversatoio, anche se le volumetrie autorizzate in questo modo si sarebbero esaurite prima) che permetteva al gruppo dell’avvocato di incassare milioni di euro per un servizio mai svolto.
L’indagine dura due anni: i nomi di Cerroni e di suoi fedelissimi insieme a quelli di alcuni dirigenti di punta della Regione guidata da Renata Polverini (come Romano Giovannetti, capo della segreteria dell’assessore alle attività produttive Pietro Di Paolantonio, e Luca Fegatelli, fino al 2010 a capo della Direzione regionale Energia e rifiuti, oggi capo del Dipartimento del Territorio) finiscono prima nel registro degli indagati con ipotesi di reato gravissime come associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato, poi - lo scorso febbraio - nella richiesta d’arresto che il magistrato manda al gip. Il quale ad aprile ha dichiarato la propria incompetenza territoriale sul fascicolo («Il luogo in cui opera la prospettata associazione», scrive nell’ordinanza, «deve vieppiù individuarsi in Roma») che è finito sulle scrivanie dei pm capitolini.
TRUFFA MILIONARIA. Nella vecchia ordinanza del gip di Velletri, che "l’Espresso" ha potuto leggere, la lista degli indagati contava otto persone. Le aziende di Cerroni avrebbero incassato indebitamente per un servizio mai reso ben 9,2 milioni di euro, «incrementando la tariffa per la termodistruzione - anche sul quantitativo di cdr mai prodotto o comunque mai combusto - nel periodo 2006-2010». Un «disegno criminoso» - si legge nella richiesta di misure cautelari - effettuato «con artifici e raggiri, che inducevano in errore i comuni di Albano Laziale, Ardea, Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano, Lanuvio, Marino, Nemi, Pomezia e Rocca di Papa» in modo da procurare alle società del "Supremo" un «ingiusto vantaggio patrimoniale con danno di grave entità economica per le pubbliche amministrazioni»: per questo Travaglini contestò a Cerroni e alcuni suoi manager (tra loro c’è anche il suo braccio destro Francesco Rando) il concorso in frode e truffa ai danni dello Stato.
L’imprenditore, l’ex presidente Landi e i due dirigenti della Regione Fegatelli e Giovannetti risultano indagati per associazione a delinquere: avrebbero infatti armonizzato «le scelte politiche ed amministrative della Regione Lazio alle esigenze di profitto dell’azienda del Cerroni». I due dirigenti, secondo l’accusa, si muovevano sotto traccia per fare piaceri e servigi di ogni tipo: operavano per evitare la chiusura dell’impianto, rimuovevano «i funzionari non allineati», agevolavano «l’accoglimento delle tariffe proposte dal Cerroni». E brigavano affinché i comuni parlassero solo e soltanto con l’avvocato estromettendo di fatto le imprese concorrenti, omettendo pure di attivare le procedure di controllo di competenza della Regione. In un’informativa che nel 2011 il Noe manda al pm di Velletri - inoltre - sembra che non esista alcun documento ufficiale che autorizza i comuni dei Castelli romani e di città come Pomezia e Nettuno ad usare l’impianto della Pontina Ambiente: c’è solo «la compiacenza e il silenzio dell’amministrazione regionale». Nelle intercettazioni spunta anche il nome dell’assessore alle Attività produttive, che avrebbe avallato «i suggerimenti portati dall’avvocato Landi», mentre sappiamo che Renata Polverini fu invitata dai magistrati per rilasciare "sommarie informazioni" su alcune delibere della Regione che avrebbero favorito l’azienda di Cerroni: la presidente dimissionaria se ne sarebbe lavata le mani, spiegando che le decisioni erano state elaborate esclusivamente dall’assessorato ai rifiuti.
MALAGROTTA FOREVER. Sul tavolo dei pm romani c’è anche un corposo fascicolo su Malagrotta, l’enorme discarica gestita dalla Colari di Cerroni che da decenni accoglie sui suoi 250 ettari i rifiuti della capitale. In un’informativa di reato si ipotizza che Cerroni, con il contributo di alcuni suoi referenti politici (viene citato anche Mario Di Carlo, l’ex assessore regionale alle politiche della casa di Marrazzo, morto l’anno scorso) abbia più volte minacciato il sindaco di Roma Gianni Alemanno e la giunta regionale di chiudere Malagrotta e impedire gli smaltimenti. Minaccia lanciata direttamente o indirettamente per indurre gli enti locali a pagare subito un grosso debito (circa 135 milioni di euro, di cui 120 a carico dell’Ama) che le stesse amministrazioni avevano contratto «in epoca remota» con le società del "Supremo". «Bisogna fare qualcosa», spiegava nel dicembre del 2008 Cerroni mentre parlava al telefono con un dirigente della Regione, «perché sennò i romani fanno Natale coi rifiuti», mentre in un fax spedito a un dirigente di Federlazio scrive di «ricordare a tutti (Alemanno innanzitutto, ndr.) che i rifiuti sono solidi e non hanno colore, e che non metterli a nanna la sera crea problemi (e che problemi!) a tutti».
Gli avvertimenti hanno un solo obiettivo: «Intimorire e far ravvedere», si legge in un’altra informativa dei militari, «le rispettive posizioni», in modo da ottenere subito i soldi. Paradossalmente Cerroni avrebbe calcolato nel costo dello smaltimento anche «le somme provenienti da un illecito smaltimento di ingenti quantità di rifiuti».
ORO SUPREMO. Malagrotta, sito irrimediabilmente inquinato da sostanze tossiche, doveva chiudere definitivamente a fine 2007, quando entrò in vigore una direttiva dell’Unione europea che vieta di conferire in discarica monnezza allo stato grezzo. Malagrotta da allora è nella lista dei siti che «costituiscono una seria minaccia alla salute umana e all’ambiente». La telenovela si trascina da un lustro, con i politici incapaci di trovare uno straccio di alternativa a Cerroni. Le ipotesi di nuovi sversatoi a Corcolle, a due passi da Villa Adriana, a Riano e Pian dell’Olmo sono state bocciate senz’appello dal ministero dell’Ambiente. Mentre nessuno, tra commissari straordinari, governatori, sindaci e presidenti di provincia, ha tentato di costruire un vero ciclo integrato dei rifiuti nel Lazio, basato sulla differenziata e sul riciclo, con piccole quantità di cdr da incenerire, in modo da abbassare al minimo indispensabile - come avviene nel resto dei Paesi avanzati - i conferimenti negli sversatoi.
Così, nell’anno di grazia 2012, in molti per risolvere l’emergenza puntano su un’altra cava della sfortunata Valle Galeria, situata a pochi chilometri dall’invaso di Malagrotta. Anche questi terreni sono di proprietà dell’avvocato Cerroni, che per decenni ha scavato la buca di Monti dell’Ortaccio per coprire di terra i rifiuti della discarica. Ora, però, i magistrati sospettano che l’industriale non abbia le autorizzazioni necessarie per far funzionare davvero la nuova gallina dalle uova d’oro, un affare - hanno calcolato gli investigatori - che potrebbe valere oltre 150 milioni di euro.
Le indagini sull’invaso e sulla sua preparazione sono state fatte dal Noe e dai vigili urbani, il pm Galanti ha ipotizzato l’illecito edilizio e la deviazione illegale delle acque. Il commissario, il prefetto Sottile, nonostante tutto, sembra voler tirar dritto per la sua strada, e qualche settimana fa ha ribadito ad Alemanno che non ci sono alternative al nuovo sito sponsorizzato dal Supremo. «Io non ho paura di Cerroni. Non è che voglia fare la sua laudatio, ma è un imprenditore che sa fare il suo lavoro, non fa danno al cittadino», ha detto a giugno il prefetto davanti alla commissione Ecomafie del Senato. «È un sistema che forse ha dato troppa fiducia negli anni a Cerroni. Questo avvocato», ha aggiunto il commissario, «ha guadagnato per 30 anni, se ne guadagna per 33... Dobbiamo trovare il modo di lavorare insieme, per il bene della città di Roma». Di sicuro, Cerroni avrà apprezzato il suo intervento.


Fonte: Il Catalogo dei viventi 2009

Testo Frammento
CERRONI Manlio Pisoniano (Roma) 18 novembre 1926. Imprenditore. Nella sua “tenuta” di Malagrotta smaltisce dal 1975 l’immondizia prodotta ogni giorno da Roma e dalla Città del Vaticano • «Fuori dai confini laziali, l’ottavo re di Roma continua ad essere conosciuto solo dagli addetti ai lavori.
Merito soprattutto della riservatezza con la quale Re Manlio ha saputo
costruire sulla spazzatura e sui fanghi di scarto un impero gigantesco, capace
di operare a Brescia come in Australia, a Perugia come in Romania, in Puglia
come in Albania. E poi Francia, Brasile e Norvegia, perché sul suo impero non tramonta mai il sole. Il tutto senza una holding di
controllo, senza una banca di riferimento, senza una sola poltrona accettata
nel mondo della finanza o della politica. Cerroni ha messo su un impero a
ragnatela, con decine di società che fatturano almeno 800 milioni l’anno, ma poi lo trovi socio di riferimento solo della metà di Malagrotta e di poco altro. Per il resto, preferisce operare in consorzi
locali dove compaiono le varie municipalizzate dei rifiuti e dell’energia, dove è complicatissimo capire chi comanda a termine di codici, ma dove a mezza bocca
tutti dicono che comanda sempre lui. E dove non c’è lui ci sono le figlie (a Perugia e a Brescia) o collaboratori legati da
rapporti ultratrentennali. Secondo stime ufficiose che circolano in ambienti
bancari, l’impero di Cerroni varrebbe oltre due miliardi. Ma non essendosi né quotato né indebitato, sono cifre molto aleatorie. La sua forza non è solo l’evidente potere che gli conferisce il fatto di essere presente in mezzo mondo e
di essere “il monopolista assoluto dello smaltimento rifiuti” nei comuni di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano (come ha scritto nel 2004 la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti). La sua abilità è anche quella di non aver mai frequentato quei salotti della capitale dove il
potere romano si annusa, si struscia, ammicca, si esibisce e alla fine si
mescola in una macedonia ricca più di veleni che di vitamine. Al massimo “l’Avvocato”, come lo chiamano con deferenza i suoi dipendenti senza stare tanto a
sottilizzare se alla laurea in Legge sia seguita anche l’abilitazione professionale, lo puoi incontrare a piedi per l’Eur o sul suo Suv, mentre controlla personalmente le discariche di Malagrotta
(con i suoi 250 ettari, la più grande d’Europa) o i terreni di Albano laziale (ai Castelli)» (Francesco Bonazzi).




Fonte: Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 16/6/2011

Testo Frammento
CERRONI, L’OTTAVO RE CHE MINACCIA ROMA - Se il monopolista della spazzatura romana Manlio Cerroni decidesse di chiudere la discarica di Mala-grotta, le strade di Roma sarebbero invase da una quantità di monnezza da far impallidire i marciapiedi napoletani. Ma nonostante le norme comunitarie, secondo cui le attività della discarica sarebbero dovute cessare il 31 dicembre 2007, la vita di Malagrotta viene allungata, di anno in anno, dalle deroghe della Regione Lazio. Così l’“ottavo colle” di Roma continua a crescere: ormai ha superato i 40 metri d’altezza, su un’estensione di 240 ettari. È la discarica a cielo aperto più grande d’Europa. Da oltre vent’anni smaltisce ogni giorno circa 5000 tonnellate di immondizia (l’80 per cento dell’intera produzione di Roma, Vaticano , Ciampino e Fiumicino). In tutto questo periodo la politica comunale e regionale, di centrodestra e centrosinistra, non ha saputo e non ha voluto trovare un’alternativa.
LA NOVITÀ è che l’ennesimo annuncio dell’imminente saturazione di Malagrotta è stato dato dal suo stesso proprietario, Manlio Cerroni lo scorso 20 maggio: “La volumetria della discarica è quasi esaurita, entro settembre si chiude”. Destinatari, Gianni Alemanno e Renata Polverini. In meno di ventiquattro ore lo stesso Cerroni si è rimangiato tutto: “Mai fissato una data di chiusura”. Di recente, però, l’imprenditore ha mandato alla politica nuovi messaggi, comprando due pagine di pubblicità sui giornali nazionali (su Repubblica e Corriere della Sera, il 10 e 12 giugno) per ribadire che “Mala-grotta si avvia alla chiusura” e illustrare il “progetto di ripristino ambientale” dell’area: entro il 2016 Cerroni vorrebbe sigillare l’invaso della discarica e ricoprirlo con 340 mila piante.
Se Malagrotta è l’ottavo colle capitolino, Manlio Cerroni è l’ottavo re. L’ultraottantenne di Pisoniano è uno degli uomini più potenti del Paese, ma si sente un benefattore: rivendica che le tariffe applicate a Roma sono le “più economiche d’Italia”. Annunciando la chiusura di Mala-grotta ha indicato anche la soluzione. A pochi chilometri è già pronta la discarica di Monti dell’Ortaccio. Proprietario, neanche a dirlo: Manlio Cerroni. Efficiente e silenzioso “servitore della città”, Cerroni vede se stesso come il Mr Wolf di Quentin Tarantino: “Risolve i problemi”. Chissà cosa ne pensano gli abitanti di Valle Galeria, periferia ovest della Capitale, tra l’Aurelia e la Roma-Fiumicino. Qui, oltre alla discarica, ci sono l’impianto di trattamento meccanico-biologico e il gassificatore di Cdr (sempre di Cerroni), una delle raffinerie più grandi del centro Italia, un inceneritore di rifiuti ospedalieri, una centrale elettrica, una serie di depositi di gas e carburante e, assicurano i residenti, diverse cave abusive ancora in attività. Nell’aria è stata registrata una quantità di polveri sottili di 700 microgrammi per metro cubo, a fronte di un limite consentito di 50, e nelle falde acquifere uno studio dell’Arpa (febbraio-maggio 2010) ha rilevato livelli altissimi di materiali velenosi come ferro, nichel, manganese, arsenico e benzene. Secondo Cerroni e il suo braccio destro Francesco Rando, amministratore della società E. Giovi srl che gestisce la discarica, “non ci sono prove” che l’inquinamento delle acque di Valle Galeria dipenda da Malagrotta: il suo terreno sarebbe isolato da un diaframma impermeabile di 6 chilometri. Ma lo stesso Rando, nel novembre 2008, è stato condannato in primo grado a un anno di carcere per aver trattato nella discarica rifiuti pericolosi e fanghi tossici. E in quel processo il pm Giuseppe Corasaniti ha definito Malagrotta “una zona franca” dello smaltimento della spazzatura.
SE A VALLE Galeria, come ha suggerito Cerroni, autorizzassero l’apertura di Monti dell’Ortaccio per il dopo Malagrotta, “la gente sarebbe pronta a salire sulle barricate”, garantisce Maurizio Melandri, del Comitato di quartiere. L’ultima deroga scade il 30 giugno, ma il vicepresidente della regione Lazio, Luciano Ciocchetti, ha già ammesso che Malagrotta rimarrà aperta almeno fino al 2014, con buona pace del parco progettato da Cerroni. Un’alternativa non c’è: il Lazio conferisce in discarica una quantità di spazzatura enorme rispetto al resto del Paese: l’83 per cento (la media nazionale è il 52, dati Ispra, 2007). Il Piano regionale promette di diminuire di questa percentuale grazie alla costruzione di nuovi impianti di termovalorizzazione, ma non ha ancora specificato luogo e data della loro costruzione.
Lo stesso Piano regionale fissa la percentuale di raccolta differenziata da raggiungere entro il 2011 al 60 per cento. Un obiettivo completamente utopico: il Lazio è una delle regioni italiana che ricicla di meno (nel 2007 era al 12 per cento, a fronte di una media nazionale del 27,5 e di regioni come Lombardia e Veneto che sono al 44,5 e al 51,4 per cento). Nessuno crede davvero nel “miracolo” della differenziata: lo stesso piano regionale prevede uno “scenario di controllo” (ben più verosimile) che prescrive una crescita estremamente blanda (circa 1,3 per cento all’anno). D’altra parte Manlio Cerroni è proprietario anche dei termovalorizzatori di Malagrotta e Albano (chiuso per una sentenza del Tar, contro la quale la Regione ha presentato ricorso). Questi impianti producono (e rivendono) energia bruciando le ecoballe, composte di rifiuti solidi urbani: principalmente carta e plastica. Ovvero materiali riciclabili. Morale della favola: più spazzatura incenerisci, meno ne ricicli. E più ricicli, meno incassa l’ottavo re di Roma.



Fonte: varie

Testo Frammento
CERRONI Manlio Pisoniano (Roma) 18 novembre 1926. Imprenditore. «In Italia c’è un vecchietto [...] che se domani chiudesse i cancelli dei suoi terreni alla periferia di Roma farebbe cadere il governo in poche ore. Se questo signore con i capelli bianchi decidesse di buttare le chiavi della sua ”tenuta” di Malagrotta e bloccasse i camion della spazzatura all’ingresso, rispedirebbe al mittente le 4.500 tonnellate d’immondizia prodotte ogni giorno dalla capitale e dalla Città del Vaticano. La spazzatura di Gianni Alemanno e quella del Papa. Uno scenario di fronte al quale l’emergenza rifiuti della Campania sembrerebbe una passeggiata tra i colori e i profumi del Golfo, mentre le immagini del Colosseo inondato dai sacchetti spopolerebbero su Internet e sui telegiornali di tutto il mondo. Così, perfino Silvio Berlusconi, il premier che ha dichiarato di aver già ripulito Napoli, sarebbe costretto ad andare in pellegrinaggio dal signor Manlio Cerroni da Pisoniano, borgo di 700 anime arrampicato sui monti Prenestini, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Tutto questo per fortuna non accadrà mai, almeno finché Cerroni continuerà a comportarsi da imprenditore responsabile e avveduto. E finché la regione Lazio (nonostante le prediche e le multe minacciate da Bruxelles) consentirà alla discarica di Malagrotta di operare oltre il termine di saturazione, che dal 2005 continua provvidenzialmente a slittare. Tuttavia, lo scenario apocalittico della spazzatura che assedia il Cupolone e copre Piazza Navona aiuta a capire perché Cerroni sia diventato uno degli uomini più potenti d’Italia. Un personaggio con il quale i politici romani fanno i conti silenziosamente fin dal 1975, anno in cui si narra abbia esordito con lo smaltimento dei rifiuti del mattatoio di Testaccio, ma con il quale devono ormai misurarsi anche il governo nazionale e chiunque sia interessato alla gran corsa all’oro rappresentata dai nuovi termovalorizzatori. Fuori dai confini laziali, l’ottavo re di Roma continua ad essere conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Merito soprattutto della riservatezza con la quale Re Manlio ha saputo costruire sulla spazzatura e sui fanghi di scarto un impero gigantesco, capace di operare a Brescia come in Australia, a Perugia come in Romania, in Puglia come in Albania. E poi Francia, Brasile e Norvegia, perché sul suo impero non tramonta mai il sole. Il tutto senza una holding di controllo, senza una banca di riferimento, senza una sola poltrona accettata nel mondo della finanza o della politica. Cerroni ha messo su un impero a ragnatela, con decine di società che fatturano almeno 800 milioni l’anno, ma poi lo trovi socio di riferimento solo della metà di Malagrotta e di poco altro. Per il resto, preferisce operare in consorzi locali dove compaiono le varie municipalizzate dei rifiuti e dell’energia, dove è complicatissimo capire chi comanda a termine di codici, ma dove a mezza bocca tutti dicono che comanda sempre lui. E dove non c’è lui ci sono le figlie (a Perugia e a Brescia) o collaboratori legati da rapporti ultratrentennali. Secondo stime ufficiose che circolano in ambienti bancari, l’impero di Cerroni varrebbe oltre due miliardi. Ma non essendosi né quotato né indebitato, sono cifre molto aleatorie. La sua forza non è solo l’evidente potere che gli conferisce il fatto di essere presente in mezzo mondo e di essere ”il monopolista assoluto dello smaltimento rifiuti” nei comuni di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano (come ha scritto nel 2004 la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti). La sua abilità è anche quella di non aver mai frequentato quei salotti della capitale dove il potere romano si annusa, si struscia, ammicca, si esibisce e alla fine si mescola in una macedonia ricca più di veleni che di vitamine. Al massimo ”l’Avvocato”, come lo chiamano con deferenza i suoi dipendenti senza stare tanto a sottilizzare se alla laurea in legge sia seguita anche l’abilitazione professionale, lo puoi incontrare a piedi per l’Eur o sul suo Suv, mentre controlla personalmente le discariche di Malagrotta (con i suoi 250 ettari, la più grande d’Europa) o i terreni di Albano laziale (ai Castelli) [...]. E se gli altri suoi nomignoli locali sono ’il Re della monnezza’ o ”il Signore di Malagrotta” è solo perché giusto ai nomignoli bisogna affidarsi. Il suo volto non dice nulla né ai romani né agli italiani. Nessuno lo ha mai visto fare anticamere nei ministeri, né battere i corridoi dei palazzi regionali, del ministero dell0Ambiente o mostrarsi in foto o in tivù. Non rilascia interviste neppure al canale ”Roma Uno Tv”, che pure gli appartiene. Non ne ha bisogno. così ricco che se volesse potrebbe salvare senza fatica la Roma dai 300 e passa milioni di debiti che soffocano il suo vecchio amico Franco Sensi con l’ex Banca di Roma. Ma, anche se Cerroni è un supertifoso dei giallorossi, neppure Cesare Geronzi potrebbe mai chiederglielo sul serio perché lui non deve nulla a nessuno. L’unica debolezza, se proprio la si vuol chiamare tale, è quella per Pisoniano, del quale è un benefattore riconosciuto. Tempo fa ha salvato anche la locale squadra di pallone, ma senza impegnarsi direttamente: pure al suo paese ha preferito mandare avanti un giovane avvocato romano di sua fiducia. Bastavano pochi soldi (la squadra milita in serie D), eppure li ha fatti un po’ sudare. Forse non a caso Pisoniano è dominato da un monte di nome Guadàgnalo. Guadagnare consensi, al centro come a destra e sinistra, non è mai stato un problema per Cerroni. Nessuno conosce con esattezza le sue attuali idee politiche e neppure se ne abbia. Così si è sussurrato che fosse vicino ad Andreotti solo perché ha fatto fortuna nella zona dove meglio regnava il Divo Giulio, ovvero Roma e il basso Lazio. Ma tra le poche confidenze politiche mai sfuggitegli c’è semmai quella di una stima sconfinata per Alcide De Gasperi. Poi si è mormorato di una sua vicinanza alla Margherita e al centro-sinistra in generale, visto che gli impianti dove tratta i rifiuti sono in gran parte dislocati in aree amministrate da giunte di quel colore. Però è anche un fatto che non ha mai avuto problemi ad andare d’accordo con Francesco Storace, esattamente come non ne ha con Piero Marrazzo e con chiunque ne prenderà il posto alla regione Lazio nel 2010. Pare che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, non lo ami particolarmente, come neppure il neosenatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico, che con i suoi giornali si diverte a punzecchiarlo. Ma anche nel centrodestra riconoscono a ’Re Manlio’ equidistanza e professionalità. Certo, si potrebbe osservare che se nel Lazio la raccolta differenziata rimane a livelli da ridere (più o meno il 15 per cento), una qualche responsabilità l’avrà anche Cerroni. Ma a chi a quattr’occhi gli fa notare la faccenda, lui risponde con due dati di fatto e una cifra tutta sua: il gruppo da trent’anni smaltisce tutto quello che la città gli chiede di smaltire e applica tariffe tra le più economiche d’Italia ”grazie alle quali Roma ha risparmiato negli anni oltre un miliardo”. Intanto, Cerroni guarda al futuro: tanto che sta già investendo milioni nei termovalorizzatori di domani. Perché i rifiuti (e i politici) passano, Re Manlio no» (Francesco Bonazzi, ”L’espresso” 31/7/2008).



un modello di gestione che ha di fatto incoronato Manlio Cerroni – “l’avvocato”, il patron di Malagrotta, l’amico dei politici, il proprietario dell’emittente privata Roma Uno, da gennaio agli arresti domiciliari – come il salvatore della città nei moltissimi momenti in cui sembrava che Roma dovesse scoppiare d’immondizia (la serie di interviste che ha rilasciato un paio di mesi fa al Tempo sono molto istruttive).



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La discarica più grande d’Europa è chiusa dal 2013, ma lì ci sono ancora gli impianti di produzione del gas che funzionano, e ci va ogni giorno che Dio manda sulla Terra. Il 18 novembre compirà 90 anni. Da 70, era il 23 settembre 1946, è sulla breccia.

Sui rifiuti il Re della spazzatura ha edificato un impero ed è diventato potentissimo. A Roma ha avuto a che fare con 34 sindaci. E tutti pendevano dalle sue labbra. Acqua passata, si lamenta oggi: «Sono cancellato, non esisto più. A Virginia Raggi ho scritto due lettere. Non mi ha nemmeno risposto». Veramente tutti dicono che Cerroni sta per tornare in auge. Magari non riaprono Malagrotta, ma il suo impianto di trattamento di Rocca Cencia, quello sì.

«Se vogliono salvare Roma è l’unica soluzione. Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare» (a Sergio Rizzo).

C’è un’indagine della magistratura: non è una motivazione più che sufficiente? «Ma l’impianto è andato avanti tre anni. Se non era autorizzato perché lui ci mandava i rifiuti? La verità è che si doveva far fuori il Supremo. Non importava se era l’unica strada per risolvere il problema dell’emergenza».

«La domenica sera sono in ufficio. Amo così tanto questo lavoro che per me è un godimento. Mi ha dato soddisfazioni immense. Abbiamo fatto impianti in tutto il mondo, nel 2013 sono stati superati 150 milioni di tonnellate. E adesso avrei ancora la forza e la capacità di risolvere il problema di Roma».


Resta sempre la questione che su Rocca Cencia c’è un’inchiesta. Non è un dettaglio. «Se quell’impianto è fuorilegge, come dicono, allora quanti risarcimenti dovrei chiedere a chi ci ha dato le autorizzazioni? E poi, se davvero è abusivo, perché l’Ama voleva comprarlo?». Difficile che con un’indagine in corso qualcuno volesse acquistarlo. Ma risulta pure a lei che l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, per 12 anni consulente dell’Ama, punti a utilizzarlo? «È una persona di buon senso». In una sfuriata via streaming ha praticamente ordinato a Fortini, che poi si è dimesso, di riportare i rifiuti a Rocca Cencia. «Mi risulta che la Muraro gliel’abbia detto ancor prima, quando era consulente dell’Ama. Perché è l’unica cosa sensata. Ma non c’era certo bisogno di Paola Muraro per rendersene conto».

«Per i grillini noi non esistiamo. Tre volte in campagna elettorale Virginia Raggi ha nominato Cerroni come il Male assoluto». Quelli sono contro gli inceneritori, lo sa? «Quello di Malagrotta è un rigassificatore. Spento da anni. Stiamo ancora aspettando il via libera agli adeguamenti necessari che avevamo chiesto. Intanto la spazzatura di Roma trattata qui per essere bruciata nel nostro impianto viene spedita fuori».

Quanta immondizia è sepolta a Malagrotta? «Almeno 45 milioni di tonnellate. In trent’anni. E ce ne potrebbe stare ancora. Negli altri Paesi le discariche si riutilizzano a ciclo continuo».

Oggi sarebbero tre, quattro miliardi di euro? «Per quanto riguarda i soldi, le assicuro che ho reinvestito tutto. Vivo francescanamente».

Mai dato soldi ai partiti? «Contributi elettorali, regolarmente denunciati». Anche ai 5 Stelle? «Nossignore».

I sindaci migliori di Roma? «Amerigo Petrucci e Francesco Rutelli».

del milione e settecentomila tonnellate di immondizia prodotto ogni anno dai romani, solo settecentomila viene raccolto nei cassonetti differenziati e trasportato direttamente negli impianti di riciclo.


Quando i camion pieni di indifferenziata arrivano al Tmb di via Salaria la spazzatura viene divisa alla meno peggio in tre gruppi: il trenta per cento sono rifiuti combustibili, il quaranta – soprattutto laterizi – viene destinato alle discariche, il restante trenta è massa biologica. La parte combustibile finisce nei due inceneritori laziali, a Colleferro e San Vittore. L’umido, cioè la parte organica dei rifiuti da compostaggio, viene trasportata in vari impianti, ma soprattutto a settecento chilometri di distanza da ottanta autoarticolati, a Pordenone. Ogni anno ciò avviene per più della metà di 230mila tonnellate di rifiuti dei romani.


Dice Angelo Bonelli, storico esponente dei Verdi: «Con la chiusura della maxi discarica da 240 ettari di Malagrotta, Ignazio Marino ha posto fine ad un serio problema ambientale, ma mancano gli impianti necessari a gestire le cinquemila tonnellate prodotte ogni giorno».


Il milione di tonnellate di rifiuti indifferenziati prodotti ogni anno nella Capitale viene distribuito così: quattrocentomila si dividono fra via Salaria e Rocca Cencia, altri quattrocentomila finiscono nei due impianti privati di Manlio Cerroni a Malagrotta. Le restanti 200.000 tonnellate vengono trasferite in altri tre impianti: a Latina, Frosinone e Avezzano. Fatta questa complicata operazione di smistamento, solo trecentomila tonnellate vengono incenerite e trasformate in combustibile derivato, meglio noto come Cdr. La gran parte dell’immondizia che esce dai Tmb – ben 700.000 tonnellate di rifiuti pretrattati – viene a sua volta distribuita in altri impianti e discariche in giro per l’Italia e l’Europa. Costo medio del processo: 40 euro a tonnellata per il trattamento, 45 per il trasporto, 100 per l’incenerimento. Totale: 195 euro a tonnellata, un record europeo.


L’OMBRA LUNGA DI CERRONI
Ora la giunta Raggi dice di voler riscrivere il piano dell’Ama, ma non ha ancora detto come. Né ha chiarito le sue intenzioni Stefano Bina il quale – in attesa di un concorso per la scelta del management – è stato nominato direttore generale dell’azienda: «Discarica o inceneritore? Rifiuti zero significa nessun trattamento, quindi occorre un recupero complessivo dei materiali», ha abbozzato nella prima dichiarazione pubblica. In compenso Raggi e Muraro vogliono rimettere in funzione il tritovagliatore di Rocca Cencia, a disposizione del Comune con delibera della giunta regionale, oggetto di un’inchiesta penale e non più utilizzato dall’Ama sin dallo scorso febbraio perché considerato inutile e dannoso. L’assessore Muraro – per più di dieci anni consulente della municipalizzata – sostiene che in assenza di altre soluzioni è giusto utilizzarlo. Eppure quel tipo di impianto non ha nulla a che vedere con un trattamento avanzato dell’immondizia. Se un Tmb divide i rifiuti indifferenziati in tre tipi di materiali, il tritovagliatore si limita a separare la parte combustibile da portare negli inceneritori e la componente biologica. Questo significa che l’immondizia trattata nel tritovagliatore è persino più inquinante di quanto prodotto da un Tmb. L’impianto – ça va sans dire – è ancora una volta di Manlio Cerroni, il ribattezzato ottavo re di Roma, sotto processo per traffico illecito di rifiuti, truffa e disastro ambientale.

Un finto contratto di affitto quello per far sparire il nome del ras delle discariche Manlio Cerroni dalla gestione del Tritovagliatore di Rocca Cencia. A scriverlo ad Ama è stato lo stesso Cerroni. L’impianto della discordia, che l’assessore Paola Muraro avrebbe voluto utilizzare nonostante l’inchiesta della procura di Roma, in assenza delle autorizzazioni della Regione Lazio, affidando al ras altre tonnellate di rifiuti ogni giorno, con trattativa privata e senza la definizione delle tariffe, era oggetto di un accordo «per togliere d’impiccio Ama». È uno degli elementi dell’inchiesta dei procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino e del pm Alberto Galanti che ipotizzano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a danno di Ama e a vantaggio di Cerroni. E se l’assessore Muraro, indagata per reati ambientali e abuso d’ufficio, è sospettata dalla procura di avere favorito il ras dei rifiuti, aumentano gli interrogativi sulla posizione del grillino Stefano Vignaroli, il vicepresidente della commissione Ecomafie che, dopo essersi schierato contro il suo monopolio di Cerroni e avere sostenuto i comitati cittadini, senza alcun titolo, lo incontrava segretamente. Nei prossimi giorni, Alessandro Bratti, presidente della commissione, riceverà indicazioni per portare avanti l’anomalo iter e convocare in commissione il suo vice.

Il 30 settembre 2013 la discarica più grande d’Europa è stata chiusa. Per capacità esaurita: non era più possibile sfruttarne ulteriormente i terreni di raccolta, già saturi da anni, dopo il conferimento di più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti cittadini e fanghi civili accumulatisi nel corso di oltre 30 anni di attività. A tre anni dalla chiusura, da Malagrotta se ne sono andati quasi del tutto gli stormi di gabbiani che banchettavano tra i rifiuti; e il puzzo di oggi, se paragonato a quello denso e acre che ti tappava i polmoni appena presa la via per Casal Lumbroso, si direbbe ridotto a un lieve olezzo. Ora si attende la bonifica, impantanata nelle pastoie della burocrazia e dei ricorsi, tra le proteste degli abitanti della Valle Galeria. Solo pochi mesi fa si era ventilata perfino l’ipotesi della riapertura della discarica. Subito smentita dalla sindaca Raggi, e ormai «non perseguibile» anche per il consorzio di Cerroni. La gestione post-operativa durerà, comunque, almeno altri 30 anni.

«Cerroni, quando fui eletto, venne da me e mi disse con franchezza che dagli anni ’60 aveva incontrato tutti i sindaci, da quelli – così disse – voluti da Giulio Andreotti, sino agli ultimi eletti dal popolo: Rutelli, Veltroni, Alemanno. E a tutti spiegò la stessa cosa: “Lei da sindaco ha già tanti problemi, lasci che gliene risolva uno io. Lei avrà un problema in meno e la città sarà sempre pulita. Non se ne pentirà”. Devo dire che con la sua franchezza Cerroni ha detto di sé quello che effettivamente è ed è stato: una figura centrale, e tutta l’attività di raccolta e smaltimento e gestione dei rifiuti è stata disegnata intorno all’esistenza della più grande discarica d’Europa gestita dall’avvocato Manlio Cerroni» (Ignazio Marino).

Filippi ha scoperto che di quel tritovagliatore si può e si deve fare a meno se si vuole rendere Ama autosufficiente. Basta far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento Meccanico Biologico di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (a Rocca Cencia e sulla via Salaria) e due dello stesso Cerroni (a Malagrotta). Se ne è convinto soprattutto dopo “l’avvertimento” arrivato nell’estate del 2015, quando l’impianto TMB di via Salaria viene incendiato. Il Supremo, quel pomeriggio, è sconcertato dal candore dei suoi interlocutori. Ride sarcastico e dice: «Davvero pensate di poter cambiare l’Ama? Siete due illusi e vi cacceranno».


È un presagio facile facile. A liberarsi di Fortini, quando ormai Filippi è già fuori, pensano Paola Muraro e Virginia Raggi. Le due donne (la prima per giunta indagata), il 25 luglio, a Rocca Cencia, vendono trionfanti alla città la riapertura del tritovagliatore di Cerroni come il colpo di teatro che libera Roma dalla monnezza. Per giunta, nel singolare silenzio dei comitati di quartiere. È una menzogna. Il sistema di riciclaggio dei rifiuti indifferenziati, come Filippi ha dimostrato fino al suo addio, può stare in equilibrio con i 4 TMB, che sono in grado di smaltire le 2 mila e 800 tonnellate di indifferenziato che la città produce ogni giorno. Ma la Muraro ormai ha mano libera. E ha fretta di chiudere i conti.

ROMA. Fino a un paio di anni fa Manlio Cerroni non aveva una sua email. Normale per un pezzo da novanta, peraltro novantenne, che delega ad altri certe noie, ma adesso l’email ce l’ha e nel suo user name risalta una data, ovviamente senza spazi: 9gennaio14. È quella del suo arresto, ai domiciliari, per associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti e truffa.


Quando vai a Malagrotta, la discarica a cielo aperto più grande d’Europa chiusa nel 2013, per intervistare il signore della monnezza – detto anche er Monnezza tout court, o l’ottavo re di Roma che ha costruito un regno sui rifiuti, sulle emergenze, e sull’insipienza o la corruttela di politici e amministratori – ti aspetti un duro, e Cerroni lo è, ma quel 9gennaio14 dà anche l’idea di un leone ferito, di un trauma insuperato. Lui ammette che l’ha presa male, si è sentito oltraggiato, tradito, perché ha un’immagine di sé molto diversa da quella che gli hanno disegnato magistrati e nemici: si considera un eroe, un benefattore, un profeta, a volte perfino un angelo. Oppure un capro espiatorio. Ma, soprattutto, si sente un genio dei rifiuti: «Sono IM-PA-RA-DIG-MA-BI-LE». In quest’ultima autodefinizione dev’esserci del vero, se anche i Saint-Just del Campidoglio grillino si sono rivolti a lui.


con quell’eterno cappellino da pescatore che, in privato, portava anche Coburn. Invece è una debolezza, il cappelletto: «Senza, sono in difficoltà, è un talismano. Non so quanti ne ho avuti, e persi». Tornando al copricapo: «Me ne sono innamorato a sei anni, alla colonia marina di Anzio. Ero al paese, sotto il fascismo c’erano le segnalazioni sanitarie e il medico bussò in classe: “Questo ha avuto le polmoniti”. Mi mandò in colonia, dove c’era l’uniforme col cappelletto bianco. Quando mi vidi allo specchio, la meraviglia: e chi sono?».

Il paese di cui sopra è Pisoniano, antico borgo, una cinquantina di chilometri a est di Roma, dove è nato ed è stato sindaco, andreottiano, per tre mandati, dai Cinquanta agli Ottanta. «Io c’ho un Guinness: il sindaco più giovane d’Italia. Nel 1961, il Pci, che era il più forte, non trovò nessuno da mettermi contro in lista. Io gli avevo dato le fogne, le case, mi consideravano un angelo che il padreterno aveva mandato in terra per redimerli dalle loro miserie».

Passando ai rifiuti, elevati a categoria dello spirito, si fa aulico: «A me i rifiuti mi hanno stregato, nel senso che ho fatto tutto quello che gli altri nel mondo non hanno fatto. Sono un pioniere, l’oracolo di Delfi: ho recuperato questa ricchezza della cultura contadina che non buttava niente – neanche i peli del pennello da barba, quelli se li magnava lu porcu – trasformandola in un patrimonio non di famiglia, ma della famiglia universale. Tutte ’ste storie sulla differenziata: nessuno sa che, nei primi anni Quaranta, noi balilla ci portavano in giro tra boschi e fossi a raccogliere le latte dei pomodori arrugginite per il ferro alla patria».


Famiglia di braccianti, cinque figli, pochi soldi: per pagarsi la laurea in legge si mise a fare il cernitore con uno stipendio di duemila lire al mese, un euro di oggi. «A Roma passava il canestraio col sacco sulle spalle, lo riempiva con la monnezza delle famiglie, lo scaricava nel carriolo e lo portava agli orti, dove c’era una capanna vicino ai maiali. Lì si buttava tutto a terra ed entravamo in azione noi cernitori che, con lo zeppo, selezionavamo carta, ferro, vetro, da vendere e il residuo delle cucine che andava ai maiali. I maiali ingrassavano, defecavano e davano il letame per i famosi orti di Roma: indivie, fave, cucuzze, carciofi. Erano 240 gli ortaioli attivi a Roma, divisi in quattro settori: nord, sud, est, ovest».

Nei tempi eroici degli ortaioli e dei cernitori, Cerroni fece una fulminea carriera che lo portò in cima alla piramide dei rifiuti. E a lui si rivolsero un potente direttore di giornale e un inflessibile ministro degli Interni con scabrosi problemi di nettezza urbana. Il primo chiamò perché la sua amante segreta era affranta: per sbaglio, la domestica aveva buttato nella spazzatura le focose lettere che lui le aveva spedito. Si temevano scandali e ricatti. Il secondo chiese aiuto perché nella pattumiera della sua bella, altrettanto clandestina, era finito il sacchetto con le gioie di cui le aveva fatto omaggio. «Un dirigente di polizia con cui avevo fraternizzato nell’attesa del camion dei rifiuti mi disse che valevano 18 milioni. Ci credo che c’erano i celerini con le armi spianate». Efficiente e discreto, Cerroni reperì e restituì. L’amante del direttore lo abbracciò: «Avvocato: per qualsiasi cosa, a disposizione».

Quel mondo antico termina con le Olimpiadi di Roma. Nel 1960 l’approccio alla monnezza diventa industriale: il Comune bandisce un appalto-concorso per la raccolta e il trattamento dei rifiuti. Lo vincono quattro società, una è quella di Cerroni. Anni dopo – dice lui – «Quelli delle altre tre società si sono fatti anziani, hanno venduto e io ho comprato. Ma questa storia del monopolista non mi sta bene: dove sono i concorrenti? Mica li ho ammazzati, sono solo il più bravo». Nel 1964 affida a Leandro Castellani la regia di un film sul ciclo dei rifiuti nel suo futuristico stabilimento di Ponte Malnome. A vederlo oggi fa un certo effetto: differenziazione completamente automatizzata, riciclaggio spinto, biogas, metano. Vengono delegazioni da tutto il mondo, la Treccani cita il suo ciclo virtuoso.

Poi la politica, con la quale si è scambiato non pochi favori, gli si mette contro. «Con le giunte rosse, Pci e sindacati vogliono che la nettezza urbana sia pubblica, nel 1979 devo consegnare gli stabilimenti, vanno in tilt in pochi mesi. L’avevo detto a Petroselli che non potevano essere gestiti dalla pubblica amministrazione, erano come orologi da controllare notte e giorno. A Natale del 1980 gli impianti sono in crisi, 300 camion non sanno dove scaricare. Petroselli chiama, ammette che avevo ragione e che nel Pci lui era contro il passaggio dal privato al pubblico. Ma mi minaccia: “Se non mi risolvi il problema dirò a tutti che quel porco democristiano di Cerroni ci ha boicottato”. E io glielo risolvo: trovo una cava abbandonata alla Cecchignola, allora bastava una firma dell’ufficiale sanitario. E poi apro Malagrotta: ecco, sono qui, datemi i rifiuti». Come il MrWolf di Pulp Fiction, l’avvocato Cerroni risolve problemi.


all’assessore regionale del Pd Mario Di Carlo, quello che nella mitica intervista a Report raccontava la comune passione per la coda alla vaccinare, aveva forse pensato di passare le consegne. Di Carlo è morto nel 2011 e Cerroni per ora non cerca eredi, fa tutto lui.

A parte gli affetti, quanti politici ha unto Cerroni? «Beh, nel momento dello sforzo democratico sono tutti passati di qua». Per sforzo democratico leggesi elezioni, per passati di qua leggesi batter cassa. Dei 35 incrociati, il sindaco che gli è piaciuto di più è Rutelli: «Perché è venuto a Malagrotta, e si è appassionato al progetto del biometano prodotto qui che poteva alimentare tutti i camion Ama, i mezzi pubblici e pure qualche auto blu». Ha duellato anche con lui, quando non gli concedeva il cinquanta per cento nel consorzio per la raccolta differenziata. «Gli ho detto: “Tu sei come un principe siciliano spodestato, con le ghette sporche, e stai per inanellare una giovane sposa diciottenne con il latte che le schizza dal seno”».

Visitando Malagrotta, finiamo nel deposito del cdr, il combustibile da rifiuti ottenuto dall’indifferenziata (sui nastri scorre di tutto, segno che i romani non sanno o non vogliono fare la differenziata, magari anche qualcuno dei comitati contro i gassificatori): Cerroni guarda le balle caricate sui camion con l’amarezza di un padre che vede i figli partire per un sacrificio inutile. Produrrano energia altrove, non qui, nel suo nuovo gassificatore bloccato. Forse mi sbaglio, ma sembra che dia una pacca a una balla, come a un cavallo. O forse sta solo leggendo l’etichetta con la destinazione.

Manlio Cerroni è da decenni, di fatto, il monopolista dei rifuti a Roma. Criticato, temuto, trasversale. L’”ottavo re di Roma”. La politica ha spesso avuto bisogno di lui, e ci ha trattato. La magistratura se ne è dovuta interessare numerose volte. Lui ha resistito a tutto.

«Io sono in questo campo da 70 anni e a vario titolo mi occupo dei rifiuti di Roma. Favori e aiuti? Sono io che ogni volta che mi è stato richiesto di intervenire con soluzioni tecniche ed operative non mi sono mai tirato indietro. Sull’epiteto “ras” capisco che i giornali amino i nomignoli. Mi chiedo solo come mai quando si parla o scrive di altri imprenditori, ovviamente anch’essi alle prese con vicende giudiziarie (per giunta ancora in corso) non si usino appellativi tipo “il ras del mattone” o “il boss della finanza creativa” e così via».

«Se uso la parola “benefattore” o “salvezza” di Roma è senza intenti megalomani ma per rendere chiari i concetti. La discarica di Malagrotta che per 30 anni ha smaltito giorno e notte i rifiuti di Roma alle tariffe più basse d’Italia ha fatto risparmiare ai romani qualcosa come 2 miliardi di euro. Questa è la verità».

Ha ragione la Muraro a dire che per risolvere il problema rifiuti a Roma bisogna usare il suo impianto tritovagliatore, che Ama non usa da mesi? «Come abbiamo scritto al ministro Galletti, io credo che vadano utilizzati tutti quegli impianti disponibili e funzionanti in grado di risolvere il problema drammatico della pulizia di Roma. Per togliere d’impaccio la dirigenza Ama, ho ceduto con un contratto di affitto di ramo di azienda la Stazione di Tritovagliatura di Rocca Cencia a un’altra società. Io, noi, non c’entriamo più».

l’Anac di Raffaele Dice Cantone al Messaggero: “…Cerroni aveva il pregio di essere in grado di risolvere il problema dei rifiuti nell’immediato. Ma se dipendi dalle discariche, hai sempre bisogno di farne altre o, come è avvenuto, di ampliarle a dismisura”.

Ci sono dei responsabili, ovvio. In testa a tutti i politici che si sono alternati alla guida della città. Mostrandosi incapaci, nella migliore delle ipotesi, di concepire un disegno strategico serio. Molto più facile affidarsi a una persona, quel Manlio Cerroni che a ogni sindaco diceva la stessa cosa: «Lei ha già tanti problemi, lasci che uno glielo risolva io». E l’uomo, oggi novantenne, lo risolveva eccome. Buttava tutto a Malagrotta, una buca immensa di 250 ettari, e a prezzi che sembravano scontati. Lui costruiva il suo impero, abilissimo a gestire i rapporti con la politica. Al punto da stabilire una relazione quasi familiare con un ambientalista come Mario Di Carlo, presidente dell’Ama e assessore con Walter Veltroni prematuramente scomparso. Ma i politici non si rendevano conto che in quel modo, con una discarica enorme che prima o poi si sarebbe esaurita, al cospetto di norme europee sempre più stringenti e senza impianti sufficienti a fronteggiare il problema, un cappio si sarebbe stretto inesorabilmente intorno al collo della città intera. E che il costo più basso d’Italia per smaltire i rifiuti si sarebbe tramutato nel prezzo più alto da pagare per i romani. Cosa puntualmente accaduta. Alla faccia degli stipendi stellari dei manager e delle consulenze profumate andate avanti per anni e anni.


Sta di fatto che una sola persona in città sembra avere la lucidità necessaria per approntare una soluzione. Il signore non è un giovane ecologista: ha quasi novant’anni, si chiama Manlio Cerroni, ed è il padre-padrone di Malagrotta. È l’uomo dell’arrangiarsi capitolino. In campagna elettorale è stato dipinto come un mostro, un inquisito, il responsabile di sprechi e appalti oscuri – e sarà vero – ma in una memorabile intervista a Fabrizio Roncone, sul Corriere della Sera, l’ottuagenario “Re della Monnezza” si è tolto la soddisfazione di definire incompetenti e imbecilli tutti coloro che dopo di lui hanno messo mano al problema. Se si dovesse giudicare dai risultati, è difficile dargli torto. Il presidente dell’Ama, Daniele Fortini, ha messo in campo questo geniale proposito: bandire una gara europea per far portare i rifiuti indifferenziati all’estero. Come mai? Perché l’Ama non fa funzionare né il suo impianto di tritotovagliamento, né quello di Cerroni, né nessun altro. Perché? Ancora mistero? No, stavolta – come si dice a Oxford – mortacci vostra.
Luca Telese, Libero 3/8/2016


sono Manlio Cerroni di anni 89, leggendario e ricchissimo proprietario di oltre cento discariche sparse da Barcellona a Oslo, da Rio de Janeiro a Roma, Malagrotta, il più grande cratere del pianeta utilizzato per smaltire i rifiuti, duecentoquaranta ettari, come trecento campi da calcio su cui atterrano felici migliaia di gabbiani; arrestato a inizio del 2014 con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, ora libero, ma in attesa di sentenza


«Guardi, è semplice: mi chiusero la discarica di Malagrotta, senza però poi realizzare una discarica alternativa, come io avevo suggerito di fare. Ma una città è come un appartamento: non puoi avere il salotto e il tavolo da pranzo senza i servizi, giusto?».


«No, dico: vogliono che la città torni ad essere pulita? Devono venire da me. La soluzione è esattamente quella indicata dall’assessore all’Ambiente Paola Muraro, una che dentro certe faccende ci sta da tempo e che quindi sa cosa bisogna fare… Bisogna riaccendere subito il tritovagliatore di Rocca Cencia». Che è di sua proprietà. «Era della Colari, il Consorzio laziale rifiuti, di cui ero presidente: ma, visto che il mio cognome evoca disgusto e paura, l’ho affittato alla ditta Porcarelli». Quindi resta suo. «Sottigliezze. La notizia è che quel tritovagliatore rappresenta l’unica soluzione per Roma. Del resto, se il presidente di Ama, Fortini, cinque mesi fa non avesse deciso di spegnerlo, la città non sarebbe così sporca…». L’idea di Daniele Fortini era quella di ridurre, sia pure in modo progressivo, la dipendenza di Ama dai privati.


Senta, Cerroni: lei è molto sicuro e disinvolto. Ma appena due settimane fa, è stato rinviato a giudizio per la terza volta: la Procura crede che la discarica di Malagrotta avrebbe contaminato le acque del sottosuolo causando un disastro ambientale. «Ah ah ah! E allora scriva: Cerroni ha già denunciato il perito e tutti i magistrati! Questi non l’hanno capito: continuano cercare di infangarmi, ma io sono bello e lindo, profumo di innocenza come un fiore».

a bordo della sua traballante e vecchia Lancia Delta


Fuori dal Raccordo anulare probabilmente nessuno sa chi sia Manlio Cerroni. A novembre farà novant’anni ed è il titolare della più grande discarica d’Europa, quella di Malagrotta. Dal 1975 e per trentotto anni la discarica ha ospitato gli scarti della città, naturalmente non differenziati, e siccome il confine fra legale e illegale è un’opinione – soprattutto in Italia – mentre l’Unione europea dichiarava Malagrotta illegale, il Parlamento la ridichiarava legale con una righina in Finanziaria. Su quella montagna di proroghe e su quella montagna di spazzatura, Cerroni ha fatto montagne di soldi, e questo è soltanto uno degli aspetti biografici che fanno del Supremo (il soprannome è decisivo) un campione da Prima Repubblica (e Seconda). Arrogante il giusto, ruspante il giusto, guida Suv, non frequenta i salotti ma i politici sì, e con qualcuno di loro condivideva in trattoria la passione per la coda alla vaccinara. Due anni e mezzo fa è finito ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; poi è stato condannato soltanto per falso in atto pubblico, un anno di reclusione, ma la fama di sommo inquinatore non ne ha risentito. Nell’ultima campagna elettorale – e pure nelle precedenti – dire Cerroni era dire male assoluto, era dire quello che era stato e non doveva essere più, era l’aggettivo qualificativo della peggiore politica, arretrata, consociativa, lassista, vorace. Per i Cinque stelle, in particolare, Cerroni era «il mafioso», era «l’avvelenatore», e che destra e sinistra ci avessero brigato per l’eternità era la prova della generale furfanteria.


Lunedì il nuovo assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, scortata da attivisti social per la certificazione di purezza in diretta Facebook, ha bruscamente invitato il presidente della nettezza urbana, Daniele Fortini, a «stendere un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia. E che è Rocca Cencia, oltre a toponomastica evocativa? A Rocca Cencia c’è un impianto di trattamento meccanico biologico che appartiene a Cerroni. O forse no, ma non è così importante, nel senso che Cerroni ha affittato il ramo d’azienda a un terzo. E siccome si continua a essere maliziosi, si dice faccia capo a lui. Di certo era suo fino a poco fa, di certo ci guadagna ancora, di certo Rocca Cencia è una specie di pietra angolare della dottrina Cerroni. Infatti il Supremo oggi è un uomo felice e al Tempoha dichiarato: «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Eccolo qua, nel suo irrimediabile cinismo pratico, così diverso dal delizioso candore di Raggi che, appena eletta, andò a Tor Bella Monaca dove i ragazzini giocavano a contare i topi fra i cassonetti. «Mi raccomando, fate la differenziata», disse con commovente fiducia nella virtù popolare. Intanto il presidente della nettezza urbana si è dimesso: teme (esagerato!) che riapra Malagrotta e comunque con Cerroni non intende spartire nulla. Ora Raggi potrà mettere al suo posto uno meno idealista e più consapevole delle esigenze della realpolitik.
Se davvero era un complotto, è andato meglio di quanto ci si immaginasse: bentornato, Cerroni.


E i parlamentari potranno ricevere regali senza dover rendere conto a nessuno. “Ormai non sono più anni di vacche grasse, anche perché noi qui contiamo sempre meno. E poi, coi tempi che corrono, nessuno ha voglia di sputtanarsi…”, confida un parlamentare. Fino a qualche anno fa, però, si vedeva di tutto: vini pregiati, orologi, telefonini, cesti alimentari (tra i più famosi quelli del patron di Malagrotta Manlio Cerroni),

Negli anni Ottanta a Roma esisteva la Sogein, un’azienda mista pubblico-privata che gestiva lo smaltimento dei rifiuti. Ne facevano parte i grandi appaltatori di Roma, tra cui Cerroni. Nel libro “Roma come Napoli”, Paola Campana, ex assessore nel 1985 della giunta Signorello, racconta che “la Sogein doveva gestire il primo esperimento di raccolta differenziata, il Comune la pagava per questo. Invece i rifiuti finivano tutti a Malagrotta, nella discarica. Il costo era molto inferiore e i partiti intascavano la differenza”. Quali partiti? “Tutti. La Dc e i socialisti soprattutto. Allora tutti gli appalti passavano dal tavolo dell’andreottiano Elio Mensurati e del craxiano Paris Dell’Unto. Ma dentro c’erano proprio tutti, anche i comunisti e il Movimento sociale. L’amministratore della società era Manlio Cerroni, vicino a Mensurati, uomo di Andreotti. La Sogein era un canale diretto tra Cerroni e i partiti. Anche i comunisti. Perché furono loro, la giunta Vetere, a fondare la Sogein”.

Veramente tutti dicono che Cerroni sta per tornare in auge. Magari non riaprono Malagrotta, ma il suo impianto di trattamento di Rocca Cencia, quello sì.


Due anni fa il monopolista è finito ai domiciliari: è sotto processo per associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e falso (senza considerare i vecchi procedimenti per reati ambientali).



«Uno tsunami. Un ciclone che dopo tanti spifferi ha investito me, la mia famiglia, il mio gruppo. Con i carabinieri che un bel giorno si presentano con un mandato e arrestano 21 persone con accuse incredibili: io ero a capo di un’organizzazione malavitosa che teneva in ostaggio Roma e il Lazio. All’inchiesta è seguita una martellante campagna stampa denigratoria che mi dipingeva come un criminale, dominus di attività illecite mai contestate in più di 50 anni di attività con 33 sindaci da me conosciuti personalmente. Con una descrizione del genere era naturale che la gente applaudisse affinché fosse fatta giustizia. Nessuna voce si è levata in mia difesa, nessun politico che per anni mi era stato vicino ha detto una parola. Nemmeno voi, giornalisti, vi siete preoccupati di sentire l’altra campana. Che come vedete non suona ancora a morto. Perché io sono piùvivo di prima».

«Non l’ho creato io il monopolio. È il monopolio che si è portato a me».

«Nessun altro mai ha presentato proposte alternative sui rifiuti, nessuno era in grado di farle. Noi e solo noi abbiamo salvato Roma e gestito al meglio la monnezza di una Capitale europea. Negli anni sono sempre andato dagli amministratori pubblici e ho offerto soluzioni per risolvere i problemi e a detta di tutti l’ho fatto in modo egregio. C’era solo il mio gruppo. Nessun altro si è presentato. Io sono in grado di offrire servizi al 50 per cento in meno rispetto a quello che si paga a Milano. Sfido tutti. L’ho detto ai magistrati che mi ninterrogavano, l’avevo detto anche al prefetto Pecoraro nel 2011, durante un incontro con il dirigente regionale Marotta. Fui chiamato a risolvere il caso Roma, perché a Malagrotta erano esaurite le volumetrie e nel corso degli anni nessuno si era preoccupato di trovare un sito di riserva. Pecoraro mi chiese: "Allora avvocato, che si fa?". Risposi che c’era una cosa sola da fare: recuperare sui 120 ettari di Malagrotta le volumetrie necessarie ad affrontare l’emergenza. Così accesi i motori dei miei 57 mostri Caterpillar, lavorammo dal 10 settembre 2011 fino all’8 dicembre e facemmo il miracolo grazie anche al Padreterno che non fece piovere un solo giorno. Così abbiamo recuperato volumetrie per 1 milione e 280mila metri cubi. A Natale ci incontrammo di nuovo. Durante quella riunione ci è stato detto che Roma era salva e Pecoraro aggiunse, rivolgendosi a me: "Ancora una volta Roma si salva grazie a lei"».

«Ogni anno mandavo una bottiglia di champagne al sindaco, a presidenti, ai politici». Un solo regalo è tornato indietro, ed è un regalo che inviai alla dottoressa Pompa, che aveva sostituto Marotta alla Regione. Il resto della classe politica ha brindato grazie a me».


«E a chi altro avrebbero dovuto rivolgersi per risolvere i guai che loro producevano? Quello che ho fatto io in questo settore, ripeto, è imparadigmabile. Provate a trovare un altro nel mondo, un altro imprenditore dei rifiuti che abbia smaltito quello che l’Italia produce in cinque anni, cioè 150 milioni di tonnellate. Lo spazio per il business me lo sono creato da solo, perché trattare rifiuti è sempre stato il mio mestiere. Ho avuto rapporti con tutti, presidenti, ministri, assessori, consiglieri, erano loro che non potevano dire di "no" alle mie proposte. Erano loro che mi chiedevano di trovare soluzioni alternative, erano loro che mi dovevano pagare, non io pagare loro».


«No, no, ma che ritratto. Anzi. Rilancio. Osservatori attenti non fanno fatica a intravedere un guadagno enorme, pazzesco, per chi riuscirà - se mai ci riuscirà - a soppiantarmi. I rifiuti sono oro, e certa gente lo sa bene, per questo punta a prendersi il mercato che era, anzi è, mio».

«Sarò breve. Come sapete sono nato nella campagna romana, a Pisoniano. Da ragazzino vedevo i carri pieni di verdura partire per i mercati di Roma. Poi li vedevo tornare con gli scarti. Tanti scarti. Montagne di scarti. Allora pensai a cosa si potesse fare con quegli scarti. Da lì è nato tutto ed oggi produrre combustibile da rifiuti è il vero business legato alla monnezza. L’hanno capito in tanti. Forse troppi. L’aveva capito pure il sindaco Marino...».


«Mettiamola così. Ho pensato troppo a lavorare e poco alle pubbliche relazioni, si dice così? Public relations? Lavoro e famiglia, famiglia e lavoro. Non c’era altro per me. Posso dire di aver fatto una vita monastica, da vero missionario».


In più ho fatto fare una stele di marmo per la dipartita di Malagrotta, se volete saperla tutta intitoleremo lo stradone il "Viale della fortuna di Roma".




la galassia Cerroni ha elargito impianti urbi et orbi: dal Canada all’Australia, dal Giappone all’Argentina.


«Er Gallina, un mio dipendente, l’unico capace di trovare il famoso ago nel pagliaio. Riusciva a tirare su una moneta dispersa fra tonnellate di monnezza. Per una vita sapete quanta gente importante mi ha chiesto la cortesia di fermare i camion prima dello scarico in discarica e ripescare oggetti preziosi? Ricordo la signora Angiolillo, disperata per un confanetto di lettere finito nel cestino di casa. Oppure l’ex ministro Scelba che mandò un esercito di carabinieri a presidiare l’area per salvare un astuccio di pelle con 18 milioni di lire e un pacco di lettere. Ecco, er Gallina era una specie di mago, ed io un computer già allora. Conoscevo ogni camion, ogni tratta. Avevo, e ancor oggi ho, una memoria incredibile tanto che quando la polizia giudiziaria è venuta a perquisirmi l’ufficio s’è pure storta: "Cerroni, tiri fuori i computer, sappiamo che ce l’ha". Mai avuto un computer in vita mia, alla fine si son dovuti arrendere all’evidenza. Sono il computer di me stesso».

«Io sono entrato in questo regno nel settembre del 1946, alla società Satur di Enrico Brandizzi, un imprenditore agricolo di Roma (...) Il mio strumento di lavoro era la bicicletta Volsit, che avevano lasciato l’8 settembre a Mentana i militari italiani».

La svolta arriva nel 1960, con le Olimpiadi di Roma. La Satur si aggiudica il nuovo appalto per i rifiuti: «È stato realizzato il primo impianto, a Ponte Malnome, nel 1964 (…) tutto questo è stato in poco tempo una esplosione, per la prima volta questo problema dei rifiuti, che interessava tutto il mondo ha trovato questo esempio (…) al punto che l’Istituto Luce lo riprese». Racconta di aver ricevuto un elogio dal Conte del Merode, cugino del Re Baldovino del Belgio, a Roma nel ’69 per visitare gli impianti.


Dopo gli anni ’70 e i «socialisti al Comune» che si «prendono gli impianti, «arriva il momento delle discariche». «Entra Malagrotta il primo gennaio 1985, si costituisce il Colari, scrivo al sindaco Vetere che sarebbe stato bene che il Comune partecipasse. Disse: «No, no, per carità, non ne vogliamo sapere più niente». Il 30 settembre 2013 «Malagrotta chiude, abbiamo preparato la stele che credo che mureremo, in cui diciamo abbiamo servito Roma, per 30 anni notte e giorno, evitando emergenza, a costi particolarmente vantaggiosi (…) c’è stata un’economia di 2 miliardi».

«Io sono la monnezza». E tutti voi non siete...

Ovvero la spaventosa fossa che dal 1975 al 1 ottobre 2013 ha trangugiato, provocando il disgusto dell’Europa, l’agghiacciante mole di 40 milioni di tonnellate di rifiuti. La più vasta discarica del Vecchio Continente, 240 ettari tra la via Aurelia e Fiumicino, e non è una metafora. Materiale non adeguatamente trattato, sostiene l’Europa: e proprio per questo nell’ottobre 2013 è approdata alla Corte di Giustizia dell’Unione la procedura di infrazione a carico dell’Italia. Mille i pericoli per l’ambiente ipotizzati: inquinamento delle acque superficiali, delle falde freatiche, del suolo e dell’atmosfera. Perché in quel ventre ci sono anche i rifiuti speciali dell’aeroporto di Fiumicino e quelli poco spirituali ma assai prosaici della stessa Città del Vaticano.



A Roma Cerroni significa rifiuti e sterminata ricchezza mista a un potere autentico, quello di chi tiene in pugno intere amministrazioni comunali della Capitale di questo Paese. Un potere coltivato senza ostentazioni, anche se i dipendenti e sostenitori lo chiamavano «Il Supremo», ovvero il padrone dell’immondizia romana. Di quest’uomo incolore, sempre vestito di grigio e con la testa perennemente coperta da un berretto di cotone da un paio d’euro, non si hanno notizie né di ville né di suv. Però si conosce il suo dialetto laziale di Pisoniano, provincia di Roma, baricentro tra Tivoli, Subiaco e Palestrina. Così come è nota la sua religiosità, la sua antica amicizia con Amerigo Petrucci (sindaco andreottiano di Roma tra il 1964 e il 1967). Ha trattato con tutti i sindaci di ogni colore politico e di qualsiasi schieramento, in un’altalena infinita tra chiusure promesse, spesso minacciate, e improvvisi ampliamenti di terreni.





Contraddizione storica che si spiega facilmente con una sola, triste ovvietà: senza Malagrotta, Roma sarebbe morta soffocata dai propri rifiuti. Altro che Napoli. Altro che Palermo. Il ritmo è di 1.800.000 tonnellate l’anno, e appena il 38%, ma solo dalla fine 2013, è materiale differenziato. Cifre ufficiali, tutte da verificare. Ad ottobre Malagrotta è stata chiusa per sempre, non ci sarebbe stato alcun margine possibile di rinvio o di allargamento. Ed a ben riguardare tutta la storia del rapporto tra il Palazzo romano e Manlio Cerroni, l’unico ad essersi opposto fieramente a «Il Supremo» è stato tra il 2011 e il 2012 il commissario straordinario per il superamento dell’emergenza ambientale, l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Assicurò che Cerroni non sarebbe mai riuscito a speculare sulle possibili aree alternative a Malagrotta aggiungendo che la cosa «non gli interessava». Finì che Pecoraro si dimise nel maggio 2012 dopo un estenuante braccio di ferro con Cerroni e dopo aver puntato tutte le carte sull’area di Corcolle, contestata dagli ambientalisti perché ritenuta troppo a ridotto di villa Adriana a Tivoli. Cerroni rimase al suo posto, alla guida non solo di Malagrotta (che avrebbe chiuso ben sedici mesi dopo) ma del suo impero di gestione dei rifiuti che ha ricche propaggini in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia. Un «modello Roma» di rifiuti esportato nel mondo.


Torna in mente lo sprezzante orgoglio con cui Cerroni chiedeva che il sindaco di Roma, ai tempi Gianni Alemanno, venisse a prenderlo «in carrozza qui a Malagrotta per portarmi fino in Campidoglio e dirmi grazie. Perché io ho salvato Roma, Malagrotta ha rappresentato la fortuna e la salvezza di questa città». Così ragionava «Il Supremo», l’imperatore dei 40 milioni di tonnellate di rifiuti romani. Fino a ieri mattina.



Si è sempre considerato un paesano benefattore di Roma, l’ottantottenne Manlio Cerroni da Pisoniano, comune a 500 metri d’altezza con meno di mille abitanti a una cinquantina di chilometri dalla Capitale. A chi gli rimproverava di aver accumulato una fortuna immensa sulle disgrazie di una metropoli sventata, incapace di un minimo di programmazione per i rifiuti, replicava che senza di lui la Città eterna sarebbe già affogata da un pezzo nella merda. E qualche ragione ce l’aveva. Se non altro perché dell’affare monnezza è un intenditore. Partito nel dopoguerra con una bici Wolsit e un carrettino su cui sbatteva gli scarti dei mercati e degli ortolani che poi rivendeva alle porcilaie, aveva intuito prima di tutti che il pattume era un tesoro e ne aveva approfittato diventandone il Re con il suo gruppo Colari, decine e decine di società, miliardi di euro di fatturato e impianti in Australia, Brasile, Norvegia, Giappone, Canada, Francia. E in Italia a Milano, Brescia, Perugia, Viterbo, Foligno, Cassino.

la domanda è: Cerroni con la sua discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, 260 ettari di rifiuti tra la periferia nord-ovest e il mare di Fregene, ha tolto per decenni a buon prezzo le castagne dal fuoco alla politica romana incapace di guardare in faccia la grana dell’immondizia? Oppure ha brigato perché non si trovasse una soluzione o almeno l’ha rallentata corrompendo qua e là? Forse sono in parte vere entrambe le cose. Ma se Cerroni è colpevole, la politica è incapace e probabilmente pure smazzettata lo è più di lui. Forse non è un caso che l’abbiano beccato proprio ora che Malagrotta è chiusa e gli attuali amministratori stanno faticosamente cercando un rimedio. La discarica è stata sbarrata per decisione dello stesso Cerroni in autunno, ma da allora il gigantesco affaraccio della monnezza romana è tutt’altro che risolto, anzi, rischia di esplodere.


Le rarissime volte che ha accettato di parlare con qualche giornalista negli uffici della bella villa tra i pini di viale Poggio Fiorito all’Eur, in faccia a quella dell’ex sindaco Francesco Rutelli, Cerroni, l’eterno cappelletto a falde spioventi in testa, ha fatto capire di non poter fare a meno dei politici, tutti i politici, da quelli di destra a quelli di sinistra, senza amarli, però. “Sapeste quanti manifesti ho pagato ai democristiani, ai comunisti, ai missini, fino a quelli di oggi...” buttava lì, quasi soprappensiero con quei pochissimi di cui si fidava. L’unico con cui aveva stretto un rapporto di amicizia vera era Mario Di Carlo, ex presidente dell’Ama, poi assessore Pd alla Regione Lazio, morto nel 2011.


In gioventù anche lui, Cerroni, aveva fatto politica, sindaco democristiano di Pisoniano per tre legislature con una forte predilezione per la corrente andreottiana. Fu proprio con quelle credenziali che entrò in relazione con Amerigo Petrucci, l’andreottiano sindaco romano storico di metà degli anni Sessanta. Fu lui a spalancargli le porte della Capitale. E fu un altro democristiano, Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, che a Malagrotta aveva fatto scavare ghiaia per costruire le piste di Fiumicino, a consigliare a Cerroni di comprare quella terra perché lì sotto c’era uno strato di argilla di almeno 100 metri. L’ideale per una discarica. Cerroni comprò e si incoronò Ottavo Re di Roma.

Già, Cerroni. Manlio Cerroni 87 anni, originario di Pisoniano (un paesino di 700 anime sui Monti Prenestini di cui è stato, come nelle migliori tradizioni, anche sindaco democristiano). È il patron del Co.La.Ri, il Consorzio Laziale Rifiuti che gestisce da oltre trent’anni la discarica più grande d’Europa (250 ettari), quella di Malagrotta alla periferia Ovest della Capitale dove è finita tutta l’immondizia di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano: circa 4.200 tonnellate di immondizia al giorno e considerando che per ogni chilo il Comune pagava 0,044 euro ogni anno il ras dell’immondizia intascava 44 milioni di euro. Cerroni ha tre grandi passioni: il giardinaggio, la squadra della Roma e, appunto, i rifiuti.


Cerroni è un ras il cui impero è invisibile. Ha messo su una ragnatela di società che, si stima, fatturino quasi un miliardo di euro all’anno. Lui appare in prima persona nelle più importanti. Nelle altre ha posizionato le due figlie e uomini di fiducia come Francesco Rando (arrestato anche lui). Non ha banche di riferimento, non è quotato in borsa. E, così facendo, il suo impero è cresciuto al punto da arrivare a gestire il trattamento dei rifiuti non solo all’ombra del Colosseo ma anche a Brescia, Perugia, in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia fino in Australia. I suoi uffici sono in zona Eur. E all’Eur c’è Romauno, la televisione privata nella quale Cerroni ha investito ispirandosi all’americana New York One. Ultimamente, però, il suo core business è entrato in crisi. La discarica di Malagrotta dopo anni di proroghe è stata definitivamente chiusa. Una batosta che si aggiunge ad un altro stop improvviso a settembre del 2012 quando il Campidoglio scoprì che l’ad dell’Ama, Salvatore Cappello (subito messo alla porta), stava per siglare con il Co.La.Ri di Cerroni un contratto che vincolava l’Ama a pagare 500 milioni di euro in dieci anni per il trattamento meccanico biologico.


66 società fondate

«Scusa, danno la cittadinanza onoraria a Napolitano... Perché, ha fatto più Napolitano che io pe’ Roma?».

Oggi conta centoquattordici — 114 — discariche nel mondo. Barcellona, Oslo, Il Cairo, Rio de Janeiro. Sono, dati 2012, due miliardi di fatturato l’anno quando l’intero giro d’affari dell’immondizia italiana è di sei miliardi, criminalità compresa.

Malagrotta, quadrante ovest di Roma, un persistente odore dolciastro da Massimina a Torrimpietra, è il centro di tutto, l’inizio del viaggio imprenditoriale. Nel 1965 sito industriale — ancora oggi ci sono un gassificatore, una raffineria, un inceneritore per rifiuti ospedalieri, quattro impianti per lo stoccaggio dei carburanti, diverse cave —, dieci anni dopo diventa il cratere artificiale più grande nel continente, via via sempre più grande: Malagrotta uno, due, tre. Duecentoquaranta ettari, trecento campi di calcio, su cui volano sempre i gabbiani. Diverse le autorizzazioni temporanee, nel 2001 quella definitiva. «Non possono farne a meno», diceva ai suoi,

«senza di me Roma viene seppellita dalla spazzatura in una settimana, altro che Napoli ». Teneva bassi i costi, e ricattava una città. Boicottava la raccolta differenziata: l’inchiesta ne ha trovato tonnellate buttate nella sua discarica, tal quale da bruciare sprigionando nuove esalazioni.

Le inchieste di queste ore somigliano in maniera raggelante a quelle di trent’anni fa e segnalano trent’anni di politica romana così presente — alle cene, agli affari di Cerroni — da lasciare ogni amministrazione ambientale in mano a un uomo solo. Il presidente della Regione Lazio dal marzo 1993 ad aprile 1994, Bruno Landi, socialista di “Riformismo e libertà”, lo avvicinò a tal punto da diventare amministratore della sua Ecologia Viterbo. Negli Anni Ottanta gli appalti di Malagrotta passavano dal tavolo dell’andreottiano Elio Mensurati e del craxiano Paris Dell’Unto, oggi a Cerroni basta finanziare alcuni ambientalisti, nominare presidente della società di pallavolo posseduta Chicco Testa, fondare una tv locale all news (RomaUno) e tenersi stretti funzionari regionali sempre in carica, anche con il governo Zingaretti. L’ingegner Fabio Ermolli, già nella Systema Ambiente di Cerroni, è ancora il controllore della spazzatura che entra ed esce dalle discariche romane.



In cinquantacinque stagioni di affari — iniziò alla vigilia delle Olimpiadi di Roma, mise d’accordo e si mise in tasca gli artigianali imprenditori della spazzatura della capitale —, Manlio Cerroni non si è mai quotato né indebitato, non ha una banca di riferimento. E non ha mai accettato offerte parlamentari. Gli è bastato vivere di rifiuti e dalle sue colline controllare la politica.,,,

Si chiama Manlio Cerroni ha 87 anni, originario di Pisoniano (un paesino di 700 anime sui Monti Prenestini di cui è stato anche sindaco democristiano). È il patron del Co.La.Ri, il Consorzio Laziale Rifiuti che gestisce da oltre trent’anni la discarica più grande d’Europa (250 ettari), quella di Malagrotta alla periferia Ovest della Capitale dove finisce tutta l’immondizia di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano. Con i rifiuti e le discariche ci è diventato ricco. Anche grazie al benestare di quasi tutti i politici che si sono alternati in Campidoglio e Regione. In

Manlio Cerroni oggi smaltisce e (secondo alcune procure) inquina in Italia e nel mondo. Gestisce discariche e impianti di trattamento a Brescia, Collegno, sulla dorsale che da Roma raggiunge Perugia passando per il Trasimeno e l’Alta Valle del Tevere, fino a Tempio Pausania. In mezza Europa. A nord del Cairo, in Brasile, a quaranta chilometri da Sydney (c’era il premier del Nuovo Galles del Sud al taglio del nastro). Una ricostruzione consente di contare 114 siti nel mondo in cui è presente la mano di Cerroni, imprenditore che fin qui ha trattato 250 milioni di tonnellate di rifiuti per discarica, incenerimento, gassificazione, li ha trasformati in mangime e compost.


Nel 1975 Cerroni ci trasportava carcasse di bovini prelevate dal mattatoio di Testaccio.


due miliardi l’anno è il suo fatturato stimato. Manlio Cerroni non si è mai quotato né indebitato, non ha una banca di riferimento, non ha mai accettato le avance parlamentari.


Il vantaggio competitivo « conquistato sul mercato» se lo è preso, però, senza gare d’appalto. Ogni volta che l’amministrazione aveva un’urgenza — dal 2008 un’emergenza — l’avvocato era lì, pronto a scavare su un terreno appena intercettato.


La sua abilità è anche quella di non aver mai frequentato quei salotti della capitale dove il
potere romano si annusa, si struscia, ammicca, si esibisce e alla fine si
mescola in una macedonia ricca più di veleni che di vitamine. Al massimo “l’Avvocato”, come lo chiamano con deferenza i suoi dipendenti senza stare tanto a
sottilizzare se alla laurea in Legge sia seguita anche l’abilitazione professionale, lo puoi incontrare a piedi per l’Eur o sul suo Suv, mentre controlla personalmente le discariche di Malagrotta
(con i suoi 250 ettari, la più grande d’Europa) o i terreni di Albano laziale (ai Castelli)» (Francesco Bonazzi).


Così l’“ottavo colle” di Roma continua a crescere: ormai ha superato i 40 metri d’altezza, su un’estensione di 240 ettari. È la discarica a cielo aperto più grande d’Europa. Da oltre vent’anni smaltisce ogni giorno circa 5000 tonnellate di immondizia (l’80 per cento dell’intera produzione di Roma, Vaticano , Ciampino e Fiumicino)


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Il 30 settembre 2013, sindaco Marino, Malagrotta è stata chiusa. Per capacità esaurita: non era possibile sfruttare ulteriormente i terreni di raccolta, già saturi da anni dopo il conferimento di 45 milioni di tonnellate di rifiuti 38 anni di attività. Ora si attende la bonifica, impantanata nelle pastoie della burocrazia e dei ricorsi. Pochi mesi fa, in piena emergenza rifiuti per le strade di Roma, era stata ventilata persino l’ipotesi di una sua riapertura, subito smentita dalla sindaca Raggi e «non perseguibile» anche per il consorzio di Cerroni. La gestione post-operativa durerà, comunque, almeno altri 30 anni.
I romani producono ogni anno un milione e settecentomila tonnellate di immondizia, di cui un milione buttata nei cassonetti dell’indifferenziata che finiva quasi tutti a Malagrotta. Dopo la sua chiusura, un terzo dell’indifferenziata, circa 300mila tonnellate, fu dirottato nel tritovagliatore di Rocca Cencia (sempre di Cerroni). «Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare». Infatti nel febbraio 2016 l’Ama guidata da Fortini e dal direttore generale Alessandro Filippi decide di non servisene più perché oggetto di un’inchiesta penale e perché lo considerano inutile e dannoso.
Fortini e Filippi, avevano deciso che di quel tritovagliatore si poteva fare a meno se si voleva rendere Ama autosufficiente. Bastava far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento Meccanico Biologico (Tmb) di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (sulla via Salaria e ancora a Rocca Cencia) e due dello stesso Cerroni (ancora a Malagrotta dove ancora in funzione ci sono anche un gassificatore, una raffineria, un inceneritore per rifiuti ospedalieri, quattro impianti per lo stoccaggio dei carburanti, diverse cave).
Nei Tmb l’immondizia viene divisa in tre gruppi: il 30% sono rifiuti combustibili, il 40% sono laterizi, il restante 30% è massa biologica. La parte combustibile finisce nei due inceneritori laziali, a Colleferro e San Vittore. I laterizi vengono destinati alle discariche e l’umido, cioè la parte organica dei rifiuti da compostaggio, viene trasportata con i camion in vari impianti in Italia (Pordenone) che in Europa (Bulgaria).
Un tritovagliatore invece non ha nulla a che vedere con un trattamento avanzato dell’immondizia. Se un Tmb divide i rifiuti indifferenziati in tre tipi di materiali, il tritovagliatore si limita a separare la parte combustibile da portare negli inceneritori e la componente biologica. Questo significa che l’immondizia trattata è persino più inquinante di quanto prodotto da un Tmb.
È finita che sia Filippi che Fortini, i quali volevano rendere l’Ama autonoma da Cerroni, sono stati costretti alle dimissioni dalla Raggi. Il Supremo li aveva avvertiti: «Davvero pensate di poter cambiare l’Ama? Siete due illusi e vi cacceranno». Ora la nuova giunta capitolina dice di voler riscrivere il piano dell’Ama, stendendo «un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia e rimettendo in funzione il tritovagliatore. «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Ma quali «chilometro zero», «porta a porta», «isole biologiche», «rifiuti zero». Bentornato, Cerroni.

(parole dell’assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, fra l’altro indagata in un filone dell’inchiesta sul tritovagliatore di Rocca Cencia con l’accusa di aver favorito, quando era consulente Ama, proprio il Cerroni)

Lunedì il nuovo assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, scortata da attivisti social per la certificazione di purezza in diretta Facebook, ha bruscamente invitato il presidente della nettezza urbana, Daniele Fortini, a «stendere un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia. E che è Rocca Cencia, oltre a toponomastica evocativa? A Rocca Cencia c’è un impianto di trattamento meccanico biologico che appartiene a Cerroni. O forse no, ma non è così importante, nel senso che Cerroni ha affittato il ramo d’azienda a un terzo. E siccome si continua a essere maliziosi, si dice faccia capo a lui. Di certo era suo fino a poco fa, di certo ci guadagna ancora, di certo Rocca Cencia è una specie di pietra angolare della dottrina Cerroni. Infatti il Supremo oggi è un uomo felice e al Tempoha dichiarato: «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Eccolo qua, nel suo irrimediabile cinismo pratico, così diverso dal delizioso candore di Raggi che, appena eletta, andò a Tor Bella Monaca dove i ragazzini giocavano a contare i topi fra i cassonetti. «Mi raccomando, fate la differenziata», disse con commovente fiducia nella virtù popolare. Intanto il presidente della nettezza urbana si è dimesso: teme (esagerato!) che riapra Malagrotta e comunque con Cerroni non intende spartire nulla. Ora Raggi potrà mettere al suo posto uno meno idealista e più consapevole delle esigenze della realpolitik.
Se davvero era un complotto, è andato meglio di quanto ci si immaginasse: bentornato, Cerroni.

Ora la giunta Raggi dice di voler riscrivere il piano dell’Ama, ma non ha ancora detto come. . Né ha chiarito le sue intenzioni Stefano Bina il nuovo direttore generale dell’azienda. In compenso Raggi e Muraro vogliono rimettere in funzione il tritovagliatore di Rocca Cencia, a disposizione del Comune con delibera della giunta regionale, oggetto di un’inchiesta penale e non più utilizzato dall’Ama sin dallo scorso febbraio perché considerato inutile e dannoso. L’assessore Muraro – per più di dieci anni consulente della municipalizzata – sostiene che in assenza di altre soluzioni è giusto utilizzarlo.
Eppure quel tipo di impianto non ha nulla a che vedere con un trattamento avanzato dell’immondizia. Se un Tmb divide i rifiuti indifferenziati in tre tipi di materiali, il tritovagliatore si limita a separare la parte combustibile da portare negli inceneritori e la componente biologica. Questo significa che l’immondizia trattata nel tritovagliatore è persino più inquinante di quanto prodotto da un Tmb.
L’impianto della discordia, che l’assessore Paola Muraro avrebbe voluto utilizzare nonostante l’inchiesta della procura di Roma, in assenza delle autorizzazioni della Regione Lazio, affidando al ras altre tonnellate di rifiuti ogni giorno, con trattativa privata e senza la definizione delle tariffe, era oggetto di un accordo «per togliere d’impiccio Ama». È uno degli elementi dell’inchiesta dei procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino e del pm Alberto Galanti che ipotizzano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a danno di Ama e a vantaggio di Cerroni. L’assessore Muraro, indagata per reati ambientali e abuso d’ufficio, è sospettata dalla procura di avere favorito il ras dei rifiuti,
A liberarsi di Fortini, quando ormai Filippi è già fuori, pensano Paola Muraro e Virginia Raggi. Le due donne (la prima per giunta indagata), il 25 luglio, a Rocca Cencia, vendono trionfanti alla città la riapertura del tritovagliatore di Cerroni come il colpo di teatro che libera Roma dalla monnezza. Per giunta, nel singolare silenzio dei comitati di quartiere. È una menzogna. Il sistema di riciclaggio dei rifiuti indifferenziati, come Filippi ha dimostrato fino al suo addio, può stare in equilibrio con i 4 TMB, che sono in grado di smaltire le 2 mila e 800 tonnellate di indifferenziato che la città produce ogni giorno. Ma la Muraro ormai ha mano libera. E ha fretta di chiudere i conti.

Ha ragione la Muraro a dire che per risolvere il problema rifiuti a Roma bisogna usare il suo impianto tritovagliatore, che Ama non usa da mesi? «Come abbiamo scritto al ministro Galletti, io credo che vadano utilizzati tutti quegli impianti disponibili e funzionanti in grado di risolvere il problema drammatico della pulizia di Roma. Per togliere d’impaccio la dirigenza Ama, ho ceduto con un contratto di affitto di ramo di azienda la Stazione di Tritovagliatura di Rocca Cencia a un’altra società. Io, noi, non c’entriamo più».


«Se vogliono salvare Roma è l’unica soluzione. Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare»
C’è un’indagine della magistratura: non è una motivazione più che sufficiente? «Ma l’impianto è andato avanti tre anni. Se non era autorizzato perché lui ci mandava i rifiuti? La verità è che si doveva far fuori il Supremo. Non importava se era l’unica strada per risolvere il problema dell’emergenza».

l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, per 12 anni consulente dell’Ama, punti a utilizzarlo. In una sfuriata via streaming ha praticamente ordinato a Fortini, che poi si è dimesso, di riportare i rifiuti a Rocca Cencia. «Mi risulta che la Muraro gliel’abbia detto ancor prima, quando era consulente dell’Ama. Perché è l’unica cosa sensata. Ma non c’era certo bisogno di Paola Muraro per rendersene conto».
«No, dico: vogliono che la città torni ad essere pulita? Devono venire da me. La soluzione è esattamente quella indicata dall’assessore all’Ambiente Paola Muraro, una che dentro certe faccende ci sta da tempo e che quindi sa cosa bisogna fare… Bisogna riaccendere subito il tritovagliatore di Rocca Cencia». Che è di sua proprietà. «Era della Colari, il Consorzio laziale rifiuti, di cui ero presidente: ma, visto che il mio cognome evoca disgusto e paura, l’ho affittato alla ditta Porcarelli». Quindi resta suo. «Sottigliezze. La notizia è che quel tritovagliatore rappresenta l’unica soluzione per Roma. Del resto, se il presidente di Ama, Fortini, cinque mesi fa non avesse deciso di spegnerlo, la città non sarebbe così sporca…». L’idea di Daniele Fortini era quella di ridurre, sia pure in modo progressivo, la dipendenza di Ama dai privati.
Contraddizione storica che si spiega facilmente con una sola, triste ovvietà: senza Malagrotta, Roma sarebbe morta soffocata dai propri rifiuti. Altro che Napoli. Altro che Palermo. Il ritmo è di 1.800.000 tonnellate l’anno, e appena il 38%, ma solo dalla fine 2013, è materiale differenziato. Cifre ufficiali, tutte da verificare. Ad ottobre Malagrotta è stata chiusa per sempre, non ci sarebbe stato alcun margine possibile di rinvio o di allargamento. Ed a ben riguardare tutta la storia del rapporto tra il Palazzo romano e Manlio Cerroni, l’unico ad essersi opposto fieramente a «Il Supremo» è stato tra il 2011 e il 2012 il commissario straordinario per il superamento dell’emergenza ambientale, l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Assicurò che Cerroni non sarebbe mai riuscito a speculare sulle possibili aree alternative a Malagrotta aggiungendo che la cosa «non gli interessava». Finì che Pecoraro si dimise nel maggio 2012 dopo un estenuante braccio di ferro con Cerroni e dopo aver puntato tutte le carte sull’area di Corcolle, contestata dagli ambientalisti perché ritenuta troppo a ridotto di villa Adriana a Tivoli. Cerroni rimase al suo posto, alla guida non solo di Malagrotta (che avrebbe chiuso ben sedici mesi dopo) ma del suo impero di gestione dei rifiuti che ha ricche propaggini in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia. Un «modello Roma» di rifiuti esportato nel mondo.


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Il 30 settembre 2013 la discarica più grande d’Europa è stata chiusa. Per capacità esaurita: non era più possibile sfruttarne ulteriormente i terreni di raccolta, già saturi da anni, dopo il conferimento di più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti cittadini e fanghi civili accumulatisi nel corso di oltre 30 anni di attività. Ora si attende la bonifica, impantanata nelle pastoie della burocrazia e dei ricorsi, tra le proteste degli abitanti della Valle Galeria. Solo pochi mesi fa si era ventilata perfino l’ipotesi della riapertura della discarica. Subito smentita dalla sindaca Raggi, e ormai «non perseguibile» anche per il consorzio di Cerroni. La gestione post-operativa durerà, comunque, almeno altri 30 anni.
«Guardi, è semplice: mi chiusero la discarica di Malagrotta, senza però poi realizzare una discarica alternativa, come io avevo suggerito di fare. Ma una città è come un appartamento: non puoi avere il salotto e il tavolo da pranzo senza i servizi, giusto?».
Quanta immondizia è sepolta a Malagrotta? «Almeno 45 milioni di tonnellate. In trent’anni. E ce ne potrebbe stare ancora. Negli altri Paesi le discariche si riutilizzano a ciclo continuo».
del milione e settecentomila tonnellate di immondizia prodotto ogni anno dai romani, un milione va nei cassonetti dell’indifferenziata.
Questa prima andava tutta a Malagrotta (di Cerroni), poi dopo la chiusura voluta da Marino, andava al tritovagliatore. Dal febbraio 2016 però l’Ama ha deciso di non servisene più perché oggetto di un’inchiesta penale e perché considerato inutile e dannoso.
Filippi ha scoperto che di quel tritovagliatore si può e si deve fare a meno se si vuole rendere Ama autosufficiente. Basta far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento Meccanico Biologico di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (a Rocca Cencia e sulla via Salaria) e due dello stesso Cerroni (a Malagrotta).
va in 4 Tmb (due e due ancora di Cerroni). Qui viene divisa alla meno peggio in tre gruppi: il trenta per cento sono rifiuti combustibili, il quaranta – soprattutto laterizi – viene destinato alle discariche, il restante trenta è massa biologica. La parte combustibile finisce nei due inceneritori laziali, a Colleferro e San Vittore. L’umido, cioè la parte organica dei rifiuti da compostaggio, viene trasportata in vari impianti, ma soprattutto a settecento chilometri di distanza da ottanta autoarticolati, a Pordenone. «Con la chiusura della maxi discarica da 240 ettari di Malagrotta, Ignazio Marino ha posto fine ad un serio problema ambientale, ma mancano gli impianti necessari a gestire le cinquemila tonnellate prodotte ogni giorno».
Ora la giunta Raggi dice di voler riscrivere il piano dell’Ama, ma non ha ancora detto come. . Né ha chiarito le sue intenzioni Stefano Bina il quale – in attesa di un concorso per la scelta del management – è stato nominato direttore generale dell’azienda: «Discarica o inceneritore? Rifiuti zero significa nessun trattamento, quindi occorre un recupero complessivo dei materiali», ha abbozzato nella prima dichiarazione pubblica. In compenso Raggi e Muraro vogliono rimettere in funzione il tritovagliatore di Rocca Cencia, a disposizione del Comune con delibera della giunta regionale, oggetto di un’inchiesta penale e non più utilizzato dall’Ama sin dallo scorso febbraio perché considerato inutile e dannoso. L’assessore Muraro – per più di dieci anni consulente della municipalizzata – sostiene che in assenza di altre soluzioni è giusto utilizzarlo. Eppure quel tipo di impianto non ha nulla a che vedere con un trattamento avanzato dell’immondizia. Se un Tmb divide i rifiuti indifferenziati in tre tipi di materiali, il tritovagliatore si limita a separare la parte combustibile da portare negli inceneritori e la componente biologica. Questo significa che l’immondizia trattata nel tritovagliatore è persino più inquinante di quanto prodotto da un Tmb. L’impianto – ça va sans dire – è ancora una volta di Manlio Cerroni, il ribattezzato ottavo re di Roma, sotto processo per traffico illecito di rifiuti, truffa e disastro ambientale. Un finto contratto di affitto quello per far sparire il nome del ras delle discariche Manlio Cerroni dalla gestione del Tritovagliatore di Rocca Cencia. A scriverlo ad Ama è stato lo stesso Cerroni. L’impianto della discordia, che l’assessore Paola Muraro avrebbe voluto utilizzare nonostante l’inchiesta della procura di Roma, in assenza delle autorizzazioni della Regione Lazio, affidando al ras altre tonnellate di rifiuti ogni giorno, con trattativa privata e senza la definizione delle tariffe, era oggetto di un accordo «per togliere d’impiccio Ama». È uno degli elementi dell’inchiesta dei procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino e del pm Alberto Galanti che ipotizzano i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a danno di Ama e a vantaggio di Cerroni. E se l’assessore Muraro, indagata per reati ambientali e abuso d’ufficio, è sospettata dalla procura di avere favorito il ras dei rifiuti, aumentano gli interrogativi sulla posizione del grillino Stefano Vignaroli, il vicepresidente della commissione Ecomafie che, dopo essersi schierato contro il suo monopolio di Cerroni e avere sostenuto i comitati cittadini, senza alcun titolo, lo incontrava segretamente. Nei prossimi giorni, Alessandro Bratti, presidente della commissione, riceverà indicazioni per portare avanti l’anomalo iter e convocare in commissione il suo vice.
È un presagio facile facile. A liberarsi di Fortini, quando ormai Filippi è già fuori, pensano Paola Muraro e Virginia Raggi. Le due donne (la prima per giunta indagata), il 25 luglio, a Rocca Cencia, vendono trionfanti alla città la riapertura del tritovagliatore di Cerroni come il colpo di teatro che libera Roma dalla monnezza. Per giunta, nel singolare silenzio dei comitati di quartiere. È una menzogna. Il sistema di riciclaggio dei rifiuti indifferenziati, come Filippi ha dimostrato fino al suo addio, può stare in equilibrio con i 4 TMB, che sono in grado di smaltire le 2 mila e 800 tonnellate di indifferenziato che la città produce ogni giorno. Ma la Muraro ormai ha mano libera. E ha fretta di chiudere i conti.
«Se uso la parola “benefattore” o “salvezza” di Roma è senza intenti megalomani ma per rendere chiari i concetti. La discarica di Malagrotta che per 30 anni ha smaltito giorno e notte i rifiuti di Roma alle tariffe più basse d’Italia ha fatto risparmiare ai romani qualcosa come 2 miliardi di euro. Questa è la verità».

Ha ragione la Muraro a dire che per risolvere il problema rifiuti a Roma bisogna usare il suo impianto tritovagliatore, che Ama non usa da mesi? «Come abbiamo scritto al ministro Galletti, io credo che vadano utilizzati tutti quegli impianti disponibili e funzionanti in grado di risolvere il problema drammatico della pulizia di Roma. Per togliere d’impaccio la dirigenza Ama, ho ceduto con un contratto di affitto di ramo di azienda la Stazione di Tritovagliatura di Rocca Cencia a un’altra società. Io, noi, non c’entriamo più».

l’Anac di Raffaele Dice Cantone al Messaggero: “…Cerroni aveva il pregio di essere in grado di risolvere il problema dei rifiuti nell’immediato. Ma se dipendi dalle discariche, hai sempre bisogno di farne altre o, come è avvenuto, di ampliarle a dismisura”.




«Se vogliono salvare Roma è l’unica soluzione. Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare»
C’è un’indagine della magistratura: non è una motivazione più che sufficiente? «Ma l’impianto è andato avanti tre anni. Se non era autorizzato perché lui ci mandava i rifiuti? La verità è che si doveva far fuori il Supremo. Non importava se era l’unica strada per risolvere il problema dell’emergenza».

l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, per 12 anni consulente dell’Ama, punti a utilizzarlo. In una sfuriata via streaming ha praticamente ordinato a Fortini, che poi si è dimesso, di riportare i rifiuti a Rocca Cencia. «Mi risulta che la Muraro gliel’abbia detto ancor prima, quando era consulente dell’Ama. Perché è l’unica cosa sensata. Ma non c’era certo bisogno di Paola Muraro per rendersene conto».
«No, dico: vogliono che la città torni ad essere pulita? Devono venire da me. La soluzione è esattamente quella indicata dall’assessore all’Ambiente Paola Muraro, una che dentro certe faccende ci sta da tempo e che quindi sa cosa bisogna fare… Bisogna riaccendere subito il tritovagliatore di Rocca Cencia». Che è di sua proprietà. «Era della Colari, il Consorzio laziale rifiuti, di cui ero presidente: ma, visto che il mio cognome evoca disgusto e paura, l’ho affittato alla ditta Porcarelli». Quindi resta suo. «Sottigliezze. La notizia è che quel tritovagliatore rappresenta l’unica soluzione per Roma. Del resto, se il presidente di Ama, Fortini, cinque mesi fa non avesse deciso di spegnerlo, la città non sarebbe così sporca…». L’idea di Daniele Fortini era quella di ridurre, sia pure in modo progressivo, la dipendenza di Ama dai privati.
Lunedì il nuovo assessore comunale all’Ambiente, Paola Muraro, scortata da attivisti social per la certificazione di purezza in diretta Facebook, ha bruscamente invitato il presidente della nettezza urbana, Daniele Fortini, a «stendere un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Portando i rifiuti a Rocca Cencia. E che è Rocca Cencia, oltre a toponomastica evocativa? A Rocca Cencia c’è un impianto di trattamento meccanico biologico che appartiene a Cerroni. O forse no, ma non è così importante, nel senso che Cerroni ha affittato il ramo d’azienda a un terzo. E siccome si continua a essere maliziosi, si dice faccia capo a lui. Di certo era suo fino a poco fa, di certo ci guadagna ancora, di certo Rocca Cencia è una specie di pietra angolare della dottrina Cerroni. Infatti il Supremo oggi è un uomo felice e al Tempoha dichiarato: «Come volevasi dimostrare sono costretti a darmi ragione, per l’ennesima volta. Devo scendere ancora in campo per salvare Roma? Eccomi qua». Eccolo qua, nel suo irrimediabile cinismo pratico, così diverso dal delizioso candore di Raggi che, appena eletta, andò a Tor Bella Monaca dove i ragazzini giocavano a contare i topi fra i cassonetti. «Mi raccomando, fate la differenziata», disse con commovente fiducia nella virtù popolare. Intanto il presidente della nettezza urbana si è dimesso: teme (esagerato!) che riapra Malagrotta e comunque con Cerroni non intende spartire nulla. Ora Raggi potrà mettere al suo posto uno meno idealista e più consapevole delle esigenze della realpolitik.
Se davvero era un complotto, è andato meglio di quanto ci si immaginasse: bentornato, Cerroni.
Contraddizione storica che si spiega facilmente con una sola, triste ovvietà: senza Malagrotta, Roma sarebbe morta soffocata dai propri rifiuti. Altro che Napoli. Altro che Palermo. Il ritmo è di 1.800.000 tonnellate l’anno, e appena il 38%, ma solo dalla fine 2013, è materiale differenziato. Cifre ufficiali, tutte da verificare. Ad ottobre Malagrotta è stata chiusa per sempre, non ci sarebbe stato alcun margine possibile di rinvio o di allargamento. Ed a ben riguardare tutta la storia del rapporto tra il Palazzo romano e Manlio Cerroni, l’unico ad essersi opposto fieramente a «Il Supremo» è stato tra il 2011 e il 2012 il commissario straordinario per il superamento dell’emergenza ambientale, l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Assicurò che Cerroni non sarebbe mai riuscito a speculare sulle possibili aree alternative a Malagrotta aggiungendo che la cosa «non gli interessava». Finì che Pecoraro si dimise nel maggio 2012 dopo un estenuante braccio di ferro con Cerroni e dopo aver puntato tutte le carte sull’area di Corcolle, contestata dagli ambientalisti perché ritenuta troppo a ridotto di villa Adriana a Tivoli. Cerroni rimase al suo posto, alla guida non solo di Malagrotta (che avrebbe chiuso ben sedici mesi dopo) ma del suo impero di gestione dei rifiuti che ha ricche propaggini in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia. Un «modello Roma» di rifiuti esportato nel mondo.


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Fuori dal Raccordo anulare probabilmente in pochi sanno chi sia, ma a Roma il nome di Manlio Cerroni per decenni ha significato rifiuti e sterminata ricchezza mista a potere autentico. A capo di oltre cento discariche sparse per il mondo ma soprattutto padre-padrone di Malagrotta, il più grande cratere d’Europa utilizzato per smaltire i rifiuti, 40 metri di altezza per duecentoquaranta ettari. Trecento campi da calcio che dal 1975 hanno ospitato (e ancora ospitano) tutto quello che gli abitanti della capitale hanno buttato nei cassonetti dell’indifferenziata per 38 anni.

REGNO Nato nel 1926 in una famiglia di braccianti di Pisoniano, comune di settecento anime a una cinquantina di chilometri da Roma, è nel business dei rifiuti da settant’anni quando, per pagarsi la laurea in Legge, si mise a fare il cernitore. «Io sono entrato in questo regno nel settembre del 1946. Il mio mezzo di lavoro era la bicicletta Volsit, che avevano lasciato l’8 settembre a Mentana i militari italiani».

MAIALI Ricorda Cerroni: «A Roma passava il canestraio col sacco sulle spalle, lo riempiva con la monnezza delle famiglie, lo scaricava nel carriolo e lo portava agli orti, dove c’era una capanna vicino ai maiali. Lì si buttava tutto a terra ed entravamo in azione noi cernitori che, con lo zeppo, selezionavamo carta, ferro, vetro, da vendere e il residuo delle cucine che andava ai maiali. I maiali ingrassavano, defecavano e davamo il letame per i famosi orti di Roma: indivie, fave, cucuzze, carciofi».

OLIMPIADI Il mondo eroico degli ortaioli e dei cernitori finisce con l’inizio del boom economico e Manlio, poco più che trentenne, capisce che la spazzatura sta per diventare una gallina dalle uova d’oro e si mette in proprio. La svolta nel 1960 con le Olimpiadi di Roma: il comune bandisce un concorso per la raccolta e il trattamento dei rifiuti. Lo vincono quattro società, una è quella di Cerroni. «Anni dopo quelli delle altre tre società si sono fatti anziani, hanno venduto e io ho comprato».

OROLOGI Poi la politica gli si mette contro. «Con le giunte rosse, Pci e sindacati vogliono che la nettezza urbana sia pubblica, nel 1979 devo consegnare gli stabilimenti, che vanno in tilt in pochi mesi. L’avevo detto a Petroselli (sindaco comunista di Roma dal 1979 al 1981, ndr) che non potevano essere gestiti dalla pubblica amministrazione, erano come orologi da controllare notte e giorno. A Natale del 1980 gli impianti sono in crisi, 300 camion non sanno dove scaricare. Petroselli chiama, ammette che avevo ragione e che nel Pci lui era contro il passaggio dal privato al pubblico. Ma mi minaccia: “Se non mi risolvi il problema dirò a tutti che quel porco democristiano di Cerroni ci ha boicottato”. E io glielo risolvo: trovo una cava abbandonata alla Cecchignola, allora bastava una firma dell’ufficiale sanitario. E poi apro Malagrotta: ecco, sono qui, datemi i rifiuti».

OTTAVO In gioventù anche Cerroni aveva fatto politica: sindaco democristiano di Pisoniano per tre legislature (due, giovanissimo, all’inizio degli anni ‘50 e una nel 1980). Fu proprio con quelle credenziali che entrò in relazione con Amerigo Petrucci, l’andreottiano sindaco di Roma degli anni Sessanta. Fu lui a spalancargli le porte della capitale. E fu un altro democristiano, Giuseppe Togni, ministro dei Lavori pubblici, che a Malagrotta aveva fatto scavare ghiaia per costruire le piste di Fiumicino, a consigliare a Cerroni di comprare quella terra perché lì sotto c’era uno strato di argilla di 100 metri. L’ideale per una discarica. Cerroni comprò e si incoronò Ottavo Re di Roma.

SUPREMO Battezzato sulla stampa «Re della spazzatura», «er Monnezza», «Ras delle discariche», «Il Supremo», i malevoli lo definiscono «avvelenatore», «mafioso», «boicottatore della differenziata», «monopolista», mentre i suoi collaboratori lo chiamano «l’Avvocato». Eterno campione dell’arrangiarsi capitolino, nell’ultima campagna elettorale per il comune è stato dipinto da quasi tutti i candidati come un mostro, un inquisito, il responsabile di sprechi e appalti oscuri. Persone che forse avevano dimenticato che Cerroni ha trattato con 34 sindaci di ogni colore politico in un’altalena infinita tra chiusure promesse, spesso minacciate, e improvvisi ampliamenti di terreni. A chi gli rimproverava di aver accumulato una fortuna sulle disgrazie di una metropoli incapace di un minimo di programmazione per i rifiuti, replicava che senza di lui Roma sarebbe già affogata da un pezzo nella merda. Ed era vero.

RAGNATELA Oggi il suo gruppo, la Colari, è una ragnatela di 66 società con 114 impianti tra Italia, Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia, Canada, Giappone, Australia, che fatturano due miliardi di euro all’anno (dati 2012). Cerroni appare in prima persona nelle più importanti. Nelle altre ha posizionato le due figlie e uomini di fiducia. Non si è mai voluto quotare in borsa, non ha una banca di riferimento, né debiti.

CAPPELLO Arrogante e ruspante il giusto, molto religioso, sempre vestito di grigio e con la testa eternamente coperta da un cappelletto da due soldi («un talismano»), le uniche notizie sulla sua vita privata sono le domeniche sera passate in ufficio, la passione per il giardinaggio e il tifo per la Roma. Non ha mai accettato offerte parlamentari, non frequenta i salotti. L’unico sfizio è stato farsi una televisione privata, Romauno, fallita nel 2016. «Vivo francescanamente, per quanto riguarda i soldi ho reinvestito tutto».

CONDANNA Nel 2014 fu arrestato con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, truffa, frode in pubbliche forniture e falso. Alla fine è stato condannato soltanto per falso in atto pubblico, un anno di reclusione ai domiciliari, ma la fama di sommo inquinatore non ne ha risentito. Lui ha denunciato periti e magistrati, definendo incompetenti e imbecilli tutti coloro che dopo di lui hanno messo mano alla gestione rifiuti a Roma.

IMPARADIGMABILE Di sé ha detto: «Sono un pioniere», «l’oracolo di Delfi», «un benefattore», «il salvatore di Roma», più spesso diceva: «Sono imparadigmabile». Adesso dice: «Sono cancellato, non esisto più. A Virginia Raggi ho scritto due lettere. Non mi ha nemmeno risposto». In realtà tutti dicono che Cerroni stia per tornare nelle grazie anche del sindaco 5stelle. Sarebbe questione di pochissimo. Magari non riaprono Malagrotta, ma il suo tritovagliatore di Rocca Cencia sì (vedi articolo sotto). Auguri dunque all’Ottavo Re di Roma per l’ennesima rinascita. Soprattutto oggi che compie novant’anni.

Piedone basso 2515 battute

Il 30 settembre 2013 Malagrotta è stata chiusa. Per capacità esaurita: non era più possibile sfruttare i terreni di raccolta, già saturi da anni dopo il conferimento di 45 milioni di tonnellate di rifiuti in 38 anni di attività. Ora si attende la bonifica, per adesso ferma tra burocrazia e ricorsi ma che durerà, comunque, almeno 30 anni. Pochi mesi fa, in piena emergenza rifiuti per le strade di Roma, era stata ventilata persino l’ipotesi di una sua riapertura, subito smentita dalla Raggi e «non perseguibile» anche per il consorzio di Cerroni.
I romani producono ogni anno un 1.700.000 tonnellate di immondizia, più della metà è indifferenziata che prima finiva a Malagrotta. Dopo la sua chiusura, circa 300mila tonnellate vennero dirottate nel tritovagliatore di Rocca Cencia, sempre di Cerroni: «Nel 2013, dopo la chiusura della discarica, è stato grazie a quell’impianto da mille tonnellate al giorno che la città è stata salvata dall’emergenza. E poi un bel giorno che succede? Fortini (Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama, la società che gestisce i rifiuti romani, ndr) decide che lì i rifiuti non devono più andare». Infatti, nel febbraio 2016, l’Ama guidata da Fortini e dal dg Alessandro Filippi decidono che di quel tritovagliatore, fra l’altro oggetto di un’inchiesta penale, si poteva e doveva fare a meno. Bastava far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento meccanico biologico (Tmb) di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (sulla via Salaria e ancora a Rocca Cencia) e due dello stesso Cerroni (ancora a Malagrotta).
Nei Tmb l’immondizia viene divisa in tre gruppi: il 30% sono rifiuti combustibili, il 40% laterizi, il restante 30% massa biologica. La parte combustibile finisce in due inceneritori laziali. I laterizi vengono destinati alle discariche e l’umido, cioè la parte organica dei rifiuti da compostaggio, viene trasportata con i camion in vari impianti in Italia (Pordenone) che in Europa (Bulgaria).
È finita che Filippi e Fortini, i quali volevano rendere l’Ama autonoma da Cerroni, sono stati costretti alle dimissioni dalla nuova giunta capitolina. Il Supremo li aveva pure avvertiti in tempo: «Davvero pensate di poter cambiare l’Ama? Siete due illusi e vi cacceranno». Ora la Raggi dice di voler riscrivere «un piano operativo per il ritorno alla normalità». E come? Idea: portiamo i rifiuti a Rocca Cencia e rimettiamo in funzione il tritovagliatore. Ma quali «chilometro zero», «porta a porta», «isole biologiche», «rifiuti zero»: bentornato, Cerroni.