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 2016  novembre 04 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - HACKER ALL’ATTACCO DELLE PRESIDENZIALI? REPUBBLICA.IT NEW YORK – L’Fbi lavora per il re di Prussia

APPUNTI PER GAZZETTA - HACKER ALL’ATTACCO DELLE PRESIDENZIALI? REPUBBLICA.IT NEW YORK – L’Fbi lavora per il re di Prussia. Cioè Donald Trump. La conferma che l’agenzia federale di polizia sta facendo di tutto per sabotare Hillary Clinton, ora viene da uno dei più fedeli alleati di Trump: l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani. Che fu a lungo un magistrato inquirente (procuratore) e come tale potrebbe essere proprio il titolare dei contatti privilegiati fra lo stato maggiore di Trump e l’Fbi. L’ammissione clamorosa di Giuliani: l’Fbi passò in anticipo ai repubblicani la notizia che stava per riaprire il caso email-gate. La conferma dei sospetti sull’Fbi arriva in un momento delicato per la candidata democratica. Il suo indebolimento nei sondaggi prosegue, e a quattro giorni dal voto molte proiezioni mettono in dubbio che Hillary possa superare la fatidica soglia dei 270 ’grandi elettori’, misurata nei pacchetti di voti espressi Stato per Stato. In base al sistema elettorale americano bisogna arrivare a quota 270 per conquistare la presidenza. L’ultimo sondaggio della Cnn, ha riesaminato le possibilità di vittoria Stato per Stato, e per la prima volta Hillary scende sotto la soglia di 270. La proiezione Cnn ha spostato Ohio, Utah e Maine dalla categoria di Stati indecisi a quelli che ’propendono verso Trump’. Il New Hampshire che era nella casella dei democratici è diventato uno Stato ’in bilico’, contendibile da ambedue i candidati. Con questi aggiornamenti i voti ’sicuri’ per la Clinton scendono a 268, due in meno del necessario. Sia chiaro: a Trump lo stesso scenario Cnn assegna solo 204 voti ’sicuri’, quindi i pronostici restano a favore di Hillary. Tuttavia dall’inizio della campagna elettorale il rapporto di forze non era mai stato così favorevole a Trump. Lo stesso giudizio emerge dall’ultima analisi dello specialista Nate Silver sul sito FiveThirtyEight: anche per lui è crollato il cosiddetto firewall, letteralmente la barriera anti-incendio (termine mutuato dai vigili del fuoco), cioè la barriera di Stati ’sicuri’ che dovevano garantire a Hillary il raggiungimento di quota 270. Decisivo nell’analisi di Silver è lo spostamento del New Hampshire nella lista degli indecisi. Chi sceglie il presidente. I grandi elettori sono coloro che formalmente eleggeranno il 19 dicembre il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Ogni Stato in base alla sua popolazione assegna un pacchetto di grandi elettori: si va dai 55 della California, con 38,8 milioni di residenti, ai soli 3 della sterminata quando disabitata Alska (736.000). Tranne che nel Maine e in Nebraska (che adottano un sistema proporzionale e assegnano 4 voti a testa), in tutti gli altri 48 stati dell’Unione chi conquista un solo voto in più si porta a casa tutto il pacchetto: "Winner-take-all" Hacker in agguato. Intanto il governo americano teme un massiccio attacco hacker dalla Russia o da altri Paesi con l’obiettivo di creare il caos nel giorno delle presidenziali, martedì 8 novembre. Per contrastare questo pericolo sta producendo uno sforzo senza precedenti coordinato dalla stessa Casa Bianca e dal Dipartimento per la sicurezza nazionale, col supporto del Pentagono e delle principali agenzie di intelligence, dalla Cia alla Nsa. Lo riporta la Nbc citando alti funzionari dell’amministrazione Obama. Massima allerta. A Washington - raccontano fonti dell’amministrazione alla Nbc - ci si prepara al peggio, compreso il cosiddetto ’worst case scenario’: quello di un massiccio cyber-attacco che mandi totalmente o parzialmente in tilt la rete elettrica o internet del Paese. Occhio ai social network. Ma si lavora anche per contrastare azioni di manipolazione e disinformazione attraverso i social media, a partire da Twitter e Facebook. Col timore della pubblicazione di documenti falsi che coinvolgano uno dei candidati in esplosivi scandali senza che i media possano fare in tempo a verificare e accertare la verità prima del voto. REPUBBLICA.IT L’ECONOMIA DA’ RAGIONE A HILLARY NEW YORK - E’ l’ultimo pezzo di "hard news" davvero concreto, a 4 giorni dal voto: ma conterà? Nella campagna degli scandali, dei veleni, della "nausea" che gli elettori confidano al sondaggio del New York Times, questo è un numero reale a cui i democratici possono aggrapparsi. Altri 161.000 posti di lavoro aggiuntivi, creati dall’economia americana nel mese di ottobre. Si chiude in bellezza la presidenza Obama: siamo ormai a 15,5 milioni di posti creati dalla fine della recessione. E’ un dato positivo questo del mese di ottobre, anche se non è uno dei migliori: ci furono mesi in cui l’occupazione cresceva di 250.000 posti. La disoccupazione scende comunque al 4,9% mentre Obama la ereditò al 10%. Il teorema "It’s the economy, stupid" (che andrebbe esplicitato così: "è l’economia l’unica cosa che conta, stupido!", lo slogan che portò alla vittoria Bill Clinton nel 1992) dovrebbe favorire i democratici, che hanno "firmato" la rinascita dell’economia americana dopo la crisi più grave del dopoguerra. Ma come sappiamo in questa campagna elettorale Trump è riuscito a imporre una narrazione alternativa, sul declino americano, che corrisponde a sentimenti diffusi. "It’s the economy, stupid!". Ricordiamo il contesto in cui nacque 24 anni fa uno degli slogan più celebri nel marketing politico americano. Alla Casa Bianca c’era George Bush padre. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, seguita dalla prima Guerra del Golfo, uno shock petrolifero aveva mandato l’America in recessione. Non una crisi grave, nulla di paragonabile al 2008. Però quella recessione bastò a far scendere i consensi verso Bush. James Carville, stratega della campagna elettorale di Clinton, capì che l’elezione del ’92 si sarebbe giocata sui temi economici. "It’s the economy, stupid!" divenne un pro-memoria diffuso tra i collaboratori della campagna democratica. Clinton ebbe anche l’enorme fortuna che ci fu in gara un terzo candidato, l’indipendente Ross Perot, decisivo nel sottrarre voti a Bush padre. E oggi? Si può contare sulla stessa saggezza convenzionale? Resta valida l’idea che l’elettorato si fa influenzare in modo determinante dalla situazione economica? E se questo fosse vero, in che modo giocherà nel risultato dell’8 novembre? I dati ufficiali dicono che l’economia americana sta bene. Cresce da sette anni, ha riassorbito lo shock del 2008, ha una disoccupazione vicina ai minimi storici. Questo spiega in buona parte il livello di consenso di cui gode Barack Obama, elevato rispetto ad altri presidenti giunti a fine mandato. Tutto ciò gioca a favore di Hillary la cui elezione viene percepita almeno in parte come "un terzo mandato Obama". Se nonostante l’ultima rimonta di Trump l’indice sintetico dei sondaggi (FiveThirtyEight) assegna ancora alla Clinton circa il 65% di chance di vittoria, una spiegazione fondamentale va cercata nel fatto che molti americani non se la passano troppo male. L’indice di Borsa è ai massimi malgrado i recenti ribassi, il dollaro è fortissimo. Le contro-argomentazioni? C’è una logica se Donald Trump è arrivato fin qui impostando una campagna prevalentemente negativa. Anche Bernie Sanders aveva accentuato i toni negativi, a sinistra. Tra le spiegazioni c’è il carattere diseguale della ripresa economica, i cui benefici sono andati ad arricchire in modo sproporzionato chi stava già molto meglio della media. Infine c’è il terrorismo, un mondo nel caos, un senso di declino americano che si nutre di aspettative decrescenti: i genitori temono che i figli staranno peggio di loro. Dunque c’è un forte elemento culturale, la capacità di imporre una narrazione, che prescinde dalle statistiche. L’incertezza sul futuro non si cura coi numeri. Forse nel 2016 l’economia non spiega tutto. "It’s not the economy, stupid?". Melania Trump: "Donald farà tornare grande l’America" "Donald Trump renderà l’America giusta, sicura, prospera e fiera". Parola di Melania Trump, che in uno dei suoi rari interventi in questa campagna elettorale è volata a Berwyn, alla periferia di Filadelfia, in Pennsylvania, per sostenere il marito. "L’8 novembre dobbiamo vincere e dobbiamo stringerci insieme come americani, dobbiamo trattarci con rispetto e gentilezza anche quando siamo in disaccordo", ha affermato la moglie del candidato repubblicano, che poi ha concluso il suo discorso citando lo slogan della campagna di suo marito e promettendo che "farà tornare grande l’America". Se Donald Trump sarà eletto presidente, Melania, di origini slovene, sarà la prima "First Lady" nata all’estero negli ultimi 187 anni RECUPERO DI TRUMP 750 Donald Trump sarebbe in grande recupero sul fronte del numero dei ’grandi elettori’ necessari per conquistare la Casa Bianca. E’ questo il vero campanello d’allarme per Hillary Clinton a cinque giorni dal voto. Ne servono almeno 270 su 538. Ora il tycoon - secondo il sito specializzato RealClearPolitics - ne avrebbe assicurati 180, contro i 226 di Hillary Clinton. Negli Stati in bilico resterebbero dunque in palio 132 ’grandi elettori’. Ma assegnando gli Swing State (gli Stati in bilico) a chi attualmente è in vantaggio nei sondaggi Trump è a quota 265, Clinton a quota 273. In termini percentuali a dividere i due candidati sono solo 1,7 punti a cinque giorni dal voto. La democratica è ora al 47 per cento, Trump al 45,3 per cento. Dunque, sebbene gli ultimi sondaggi diano ancora l’ex first lady in vantaggio, il distacco tra i due si è molto ridotto e le possibilità di vittoria di Trump sono cresciute notevolmente da venerdì scorso, quando l’Fbi ha scagliato un fendente contro Clinton riaprendo la vicenda delle email (la candidata democratica è accusata di avere usato un server di posta privato per l’invio di informazioni sensibili e legate alla sicurezza nazionale). L’ipotesi pareggio. Ma in molti avanzano altre due ipotesi: il pareggio oppure che nessuno candidato raggiunga la maggioranza di 270 voti elettorali. Aritmeticamente, il pareggio è possibile: il presidente è votato dal collegio elettorale, composto da 538 grandi elettori. Bisogna ricordare che gli elettori statunitensi non eleggono direttamente il presidente, ma i grandi elettori, divisi tra i 50 Stati (più il District of Columbia) in base alla popolazione: il candidato presidenziale che vince in uno Stato ottiene la totalità dei suoi grandi elettori (tranne in Maine e Nebraska), che poi eleggeranno il presidente; i sondaggi e alcuni degli ultimi scenari disegnati fanno pensare che non sia un’ipotesi da escludere completamente. C’è poi un’altra possibilità, ovvero che nessuno dei candidati arrivi ai 270 voti necessari, pur in assenza di un pareggio: in questo caso, probabilmente, il merito sarebbe di Evan McMullin, l’unico candidato alternativo con reali chance di vittoria in uno stato, lo Utah, che assegna 6 voti elettorali. Il Washington Post, per esempio, ha disegnato due scenari che porterebbero Trump e Clinton al pareggio: il primo, con Trump vittorioso in cinque Stati conquistati da Obama nel 2012, ovvero Florida, Iowa, Nevada, New Hampshire e Ohio; il secondo, con la vittoria di Trump in Wisconsin, su cui i repubblicani sono sempre più ottimisti, senza il New Hampshire e il Nevada. Nello scenario disegnato dal Liberty conservative, che prevede la vittoria di McMullin in Utah, Trump vincerebbe non solo negli Stati considerati sicuri, ma anche in Arizona, Nevada, North Carolina, Ohio e Florida. Servirebbe poi anche il New Hampshire: non impossibile, visto che i democratici hanno nettamente preferito Bernie Sanders a Clinton nelle primarie e che la delusione potrebbe portare molti elettori a disertare le urne, favorendo Trump. L’ultimo sondaggio di Wbur assegna un punto di vantaggio a Trump e il vantaggio di Clinton nella media di Real clear politics è sceso a 3,3 punti percentuali. Ipotizzando la vittoria di Trump negli Stati sopracitati, a Clinton mancherebbero due voti elettorali per diventare presidente, secondo i calcoli del sito conservatore. In questo caso, come in caso di pareggio, l’elezione del 45esimo presidente degli Stati Uniti finirebbe in mano al Congresso, come stabilito dal dodicesimo emendamento della costituzione, con la Camera incaricata di scegliere il presidente (con un voto per ogni Stato) e il Senato con il compito di eleggere il vicepresidente (un voto per ogni senatore). È Probabile che, in questo caso, vincerebbe Trump, anche se il Liberty conservative non esclude la possibilità che sia eletto McMullin grazie al compromesso tra repubblicani e democratici. Il blog del National constitution center ricorda che, nella storia degli Stati Uniti, il congresso ha deciso l’elezione di un presidente in due occasioni: nel 1800, quando Thomas Jefferson (poi presidente) e Aaron Burr ottennero lo stesso numero di voti nel collegio elettorale, con il vecchio sistema che prevedeva due voti per ogni elettore e nel 1824, con Andrew Jackson in vantaggio, ma senza la maggioranza assoluta dei voti; la Camera, poi, gli preferì John Quincy Adams. CORRIERE.IT Non bastano i timori, espressi da Cia e National Security Agency, di un possibile attacco da parte di hacker russi il giorno delle elezioni. L’intelligence americana — secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, che cita la tv Usa Cbs — ha lanciato un’allerta terrorismo per lunedì 7 novembre, il giorno prima del voto per l’elezione del presidente degli Stati Uniti. La notizia è stata riportata anche da Sky news che parla in modo più generico di un’allerta «nei giorni vicini all’8 novembre». Il timore è che Al Qaeda possa pianificare attacchi in tre stati americani: New York (luogo, oltre che degli attentati alle Torri gemelle, dove sia Donald Trump sia Hillary Clinton si preparano ad attendere i risultati elettorali), Texas e Virginia (dove si trova, tra l’altro, il Pentagono). shadow carousel New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano New York, Clinton e Trump alla cena di beneficenza: sorrisi e stretta di mano Prev Next L’allerta è massima, soprattutto a New York Le autorità americane hanno preso la minaccia molto seriamente e hanno alzato il livello di allerta ai massimi livelli, in vista delle elezioni americane e della quasi coincidenza, nella giornata di domenica a New York, della maratona alla quale partecipano oltre 50.000 persone. L’Fbi non ha rilasciato ulteriori commenti: «L’antiterrorismo e la sicurezza nazionale restano vigili e nella giusta posizione per difendere da attacchi qui negli Stati Uniti» si legge in una dichiarazione del Bureau, che fa sapere che sta lavorando a stretto contatto con autorità federali, statali e locali per identificare e fermare ogni potenziale minaccia. Tra le misure di sicurezza richieste, un maggior controllo ai seggi elettorali che potrebbero essere un obiettivo di lupi solitari o violenti.