Pierluigi Diaco, Oggi 2/11/2016, 2 novembre 2016
VOGLIO FARVI STARE MEZZ’ORA SENZA TOCCARE IL TELEFONINO– [Roberto D’Agostino] Roma, novembre C’è chi lo ama e chi lo detesta
VOGLIO FARVI STARE MEZZ’ORA SENZA TOCCARE IL TELEFONINO– [Roberto D’Agostino] Roma, novembre C’è chi lo ama e chi lo detesta. Chi tenta, invano, di lisciargli il pelo e chi lo combatte apostrofandolo come un «testa di...». Chi lo legge quotidianamente e chi, mentendo, sostiene di non farlo. Ma Roberto D’Agostino di giudizi e pregiudizi non se ne cura affatto: del resto, se non fosse così, il suo Dagospia non sarebbe diventato quel tempio dell’informazione a portata di clic in cui si mescolano divinamente il sacro e il profano, la preghiera e il peccato, Keith Richards e Maria Elena Boschi. «Non riesco a capire cosa sia la noia», confida a Oggi. «Non ho tempo di rompermi le scatole». Tanto da riaffacciarsi di nuovo in tv. Da venerdì 11 novembre torna con Dago in the Sky: dopo le tre puntate andate in onda nella primavera scorsa, lo aspettano altre sette prime serate su Sky Arte. Che tv ci “apparecchierai”? «Un tv multitasking, contemporanea allo smartphone, dove il piacere estetico ha sempre la meglio sul tran-tran della tv radiofonica del secolo scorso. Devo riuscire per 30 minuti a non far venir la voglia allo spettatore di afferrare il telefonino: una battaglia durissima». Passi tra le 12 e le 14 ore al giorno davanti al computer. Nemmeno questo ti annoia? «No. Primo, l’astinenza fa male. Secondo, la funzione sviluppa l’organo». Sei patologico... «E pensa che hai pure dimenticato di citare Pastorale Americana, il ciclo di dieci film che presento in questi giorni sul canale Cielo e Dagocafonal su Instagram, l’app più avanti del momento. E se qualcosa poi non va, succede nella mia vita, ho sposato quell’aforisma di Samuel Beckett che dice: “Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio”». Prima del successo di Dagospia quante volte hai fallito e quante hai ricominciato? «Ho cambiato vite e mestieri, perché la società era eccitante, di cambiamenti. Sono entrato in banca nel ’68 a vent’anni, ho mollato nel 1980 perché già scrivevo per varie testate di rock e costume. Nel 1985, grazie a Renzo Arbore, ho partecipato a Quelli della notte e mi è andata bene. Fino a quando, un giorno del 2000, ho deciso di mettermi a capo di questa portineria elettronica chiamata Dagospia». Quando leggo il tuo sito ho una visione: mi sembra di vedere, seduti allo stesso tavolo, Satana e Dio che si prendono il caffè. (ride) «Se la metti così, visto che la vita è incerta, li vedo iniziare col dessert... Comunque in Dagospia, come in ognuno di noi, c’è il buono e il cattivo, l’autentico e l’artificiale, il vero e il verosimile. È normale, siamo fatti male. Credo che nessuno di noi possa riconoscersi in un un’unica dimensione. Siamo tutti Caino e Abele, Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Abbiamo la libertà di decidere di volta in volta chi vogliamo essere, in barba a tutti i moralisti». Citamene qualcuno. «Basta citare quei moralisti radical-chic, ormai sconfitti dalla storia e dal web, che per anni ci hanno voluto inculcare la loro scala dei valori. Tipini fini con il ditino puntato che pretendono, ancora oggi, di dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato, come dobbiamo vivere e chi dobbiamo frequentare». Renzi li ha rottamati? «Renzi è un bulletto di provincia che è passato dal flipper di Rignano sull’Arno alla stanza dei bottoni di Palazzo Chigi. Niente di male: purtroppo è in preda a un’overdose di spacconeria da pokerista agitato che tradisce la sua insicurezza caratteriale. Quindi, per difendersi si barrica con i suoi compaesani (Boschi, Lotti, Carrai) dietro una concezione vecchia del potere, quasi feudale. Sta lì arroccato con il suo Giglio Magico e non si accorge che il mondo muore ogni sera e rinasce diverso ogni mattina: non è Bruxelles, non è Juncker, non è la Merkel. Quella è l’apparenza del potere». E qual è? «Piuttosto è quella dozzina di aziende della Silicon Valley, da Google a Facebook, da Amazon a Apple, che ha in mano il mondo grazie alla Rete». Che nostalgia! Poveri libri e povera carta... «Al contrario, più dilaga la tecnologia e più c’è bisogno di un libro, di una visita a un museo, di un film. Perché ognuno vede quello che sa». Tipo? «Un libro di Camus o di Tolstoj, un salto al Museo Archelogico di Napoli, una gita a Bologna per visitare la mostra di David Bowie fa bene anche per debellare gli attacchi di “ego-nomia”: ti senti subito quel niente di ignoranza che siamo». E quando ti senti solo? «Solo? Io? Ho sempre qualcosa da scrivere, da vedere, da leggere o da fare. Pensa che, ogni tanto, la sera, metto ancora musica in discoteca». Ma quando Dago, come tutti, salirà definitivamente “in the sky”, lo accompagnerà anche Dagospia? «Spero di no, spero che i ragazzi che lavorano al sito possano continuare il mio lavoro e mi auguro che lo facciano con lo stesso spirito». Ovvero? «Non avere paletti, steccati o ideologie. Bisogna sempre essere aperti, curiosi e interdisciplinari». Con o senza cuore? «Io amo la poesia di Sylvia Plath: “Indossa il tuo cuore sulla tua pelle in questa vita”». Pierluigi Diaco