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 2016  novembre 04 Venerdì calendario

IL RICORSO DI ONIDA È PLATONICO

Quale che sia il giudizio che il tribunale di Milano, in composizione monocratica, esprimerà sul ricorso Onida, l’intera vicenda dell’intitolazione del referendum e dell’iter seguito dalla raccolta delle firme in poi insegna che bisognerà modificare qualche disposizione fra quelle che regolano i referendum, nel caso specifico quelli confermativi.
Non sarebbe certo la prima volta che si rimetterebbe mano a norme che riguardano lo stesso funzionamento della Corte costituzionale: basterà pensare ai processi contro i ministri, sottratti a palazzo della Consulta, cui competono oggi i soli casi d’incriminazione del presidente della Repubblica.
L’odierna esperienza dell’impossibilità per la Corte di rinviare lo svolgimento del referendum (se anche il ricorso Onida fosse accolto dal giudice milanese, i giudici costituzionali non sarebbero titolati a fermare la macchina referendaria) potrebbe persuadere a riscrivere qualche norma.
Quanto al titolo del referendum, andrebbe fatta chiarezza sulla denominazione dei referendum detti costituzionali.
Infatti, per i referendum abrogativi vige, dal 1995, questa disposizione: «L’Ufficio centrale stabilisce altresì, sentiti i promotori, la denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna delle schede di votazione, al fine dell’identificazione dell’oggetto del referendum».
Estenderla ai referendum confermativi sarebbe produttivo, per evitare fra l’altro denominazioni referendarie consistenti in un prolisso elenco di periodi e commi e articoli, incomprensibili alla lettura.
Altra questione riguarda la possibilità di ricorrere contro atti quali l’ordinanza della Cassazione, la deliberazione del Consiglio dei ministri, il decreto del presidente della Repubblica.
In materia elettorale ripetuti interventi sono stati attuati, tanto con nuovi procedimenti amministrativi favoriti da termini ultra ridotti, quanto con sentenze della Corte costituzionale, per non lasciare quelle che la stessa Consulta ha definito «zone franche» sottratte a giudizio.
Occorrerà, quindi, introdurre modifiche alla legge del 1970 sui referendum per consentire che non vi siano atti contro cui sia impossibile ricorrere, adeguando (come è stato fatto per alcuni procedimenti elettorali) tempi e modi.
Si dirà che, come sovente càpita, siamo nel campo de iure condendo, laddove oggi premono esigenze ben diverse.
Basta pensare al cosiddetto spacchettamento, ossia alla sottoposizione al voto popolare di una parte soltanto delle norme di modifica costituzionale.
Realisticamente, tuttavia, non si può che prendere atto dell’attuale impossibilità di uscire dallo stallo in cui ci si trova. Semmai, se ne deve ricavare una lezione per quelle che dopo le ultime esperienze paiono innovazioni necessarie.