Davide Frattini, Sette 4/11/2016, 4 novembre 2016
I POLITICI CREDONO IN DIO?
ISRAELE
Vent’anni fa Haaretz – il quotidiano che
fa da bandiera alla sinistra israeliana e
che sempre meno persone comprano da
sventolare – aveva chiesto ai parlamentari di rispondere a una domanda breve
ma per alcuni non semplice: «Crede in
Dio?». Su 120 deputati 91 avevano detto
sì, 9 avevano dichiarato il loro ateismo,
20 si erano rifiutati di rispondere. Il
giornale ha ripetuto l’esperimento nelle
settimane che hanno preceduto quest’anno le festività ebraiche e che culminano con Yom Kippur, il giorno più sacro. Nei risultati del sondaggio sono aumentati quelli che hanno voluto proteggere la privacy religiosa (38 si sono rifiutati di affermare o negare la fede), 71 hanno risposto sì e undici hanno seguito il «no» di Yoel Razvozov di Yesh Atid (C’è un futuro), il partito che ha raccolto i voti della classe media anche promettendo di ridimensionare i privilegi della classe religiosa, gli ultraortodossi. Che sono rappresentati tra i banchi della Knesset: questi parlamentari si sono sentiti insultati dalla domanda di Haaretz come se non ci potessero essere dubbi (e per loro in effetti non ce ne sono). Altri meno certi hanno fornito spiegazioni sociologiche (Tamar Zandberg di Meretz, sinistra radicale: «Non credo in Dio eppure sono sicura che esista, non come un fenomeno soprannaturale ma politico»), altri hanno condiviso le loro oscillazioni teologiche fino al punto di non ritorno del pendolo della devozione così da rendere difficile capire la risposta (Nachman Shai di Unione sionista ha espresso al telefono – raccontano i giornalisti di Haaretz – le incertezze per poi inviare una lunga email in cui dettagliava le esperienze in sinagoga senza comunque chiarire). Tra chi ha scelto di astenersi, la maggior parte ha affermato di voler proteggere la sfera privata dall’ingerenza dei reporter mentre Abdullah Abu Maaruf della Lista Unita (partiti arabi) sembra aver voluto difendere la sfera pubblica dall’ingerenza della divinità: «Sono per la separazione tra Stato e religione».