Gaia Piccardi, Sette 4/11/2016, 4 novembre 2016
SPAGHETTI, POLLO E BRESAOLA: LA DIETA DI SUPERPIPPO– Non è Ferran Adrià né Gordon Ramsay e nemmeno Massimo Bottura
SPAGHETTI, POLLO E BRESAOLA: LA DIETA DI SUPERPIPPO– Non è Ferran Adrià né Gordon Ramsay e nemmeno Massimo Bottura. Però il suo personalissimo menu ha fatto il giro del mondo, rotolando ai quattro angoli del pianeta (calcio) come i suoi 70 gol realizzati nelle coppe europee, quarto calciatore di sempre dietro a Cristiano Ronaldo, Messi e Raùl. Nell’ordine di portata, senza sgarrare per quarantatré anni: pasta in bianco («Al pomodoro se vuole fare un colpo di vita» lo sfotte ancora oggi papà Giancarlo), petto di pollo, biscotti Plasmon come dessert. E bresaola condita con olio e limone, a tonnellate, stesa come una rassicurante coperta di Linus per stomaco, fegato e intestino su vent’anni di carriera ad altissimo livello (Juve e Milan, più tutto il resto). Così parlò, e mangiò, Filippo Inzaghi da Piacenza, attaccante puro in campo, poi allenatore del Milan e ora del Venezia neo-promosso in Lega Pro, difensore catenacciaro a tavola. Pippo perché tanta morigeratezza monastica anche oggi? «Perché sono abituato sin da bambino a mangiare regolare e bene. Forse sono stato un po’ troppo precisino ma ormai è andata così: se oggi sgarro, la pago». Partiamo dall’inizio: il cibo del cuore? «I dolci di mamma Marina. Da ragazzino ne andavo matto. Profiteroles e tiramisù, con il caffè e i savoiardi come da ricetta classica. Buonissimi. Io e mio fratello Simone l’aiutavamo a cucinarli. Poi i dolci ho dovuto abbandonarli, a malincuore». Chi è stato il primo tecnico a dire basta? «Al Piacenza, inizio anni Novanta, c’era Gigi Cagni. Io ero nelle giovanili ma lui era molto attento e rigoroso anche con noi ragazzi. Diceva che dopo la partita era importantissimo mangiare bene per recuperare lo sforzo. Ricordo ancora certi brodini col prezzemolo...». Ospedalieri... «Eh...». Però ormai il dado era tratto. «Sono sempre stato ligio, per natura: a scuola, per dire, non ho mai mangiato merendine all’intervallo». Cucinare con mamma era anche un modo di passare del tempo insieme? «Sì, certo. Era un modo per darle una mano e stare con lei. Mi piaceva molto preparare la tavola e accompagnarla a fare la spesa: io guidavo il carrello. Anche oggi mi pia ce girare per il supermercato». Sfatiamo la dieta-Inzaghi, co raggio. Ormai il reato è prescritto. «C’è poco da sfatare: pollo alla griglia, verdure, riso o pasta in bianco, bresaola. È tutto vero. Una volta alla settimana, da giocatore, mi concedevo la carne rossa. Oggi preferisco il pesce». La bilancia le sarà grata. «Peso 77 chili, come quando giocavo». Uno splendido 43enne, scapolo d’oro. «Ormai sono abitudini consolidate. E poi è il mio metabolismo: vivo tutto a trecento all’ora, brucio molto, appena posso vado a correre con la musica nelle orecchie e gioco a calcio-tennis con i miei collaboratori al Venezia». Come si trova in laguna dopo tanti anni nella metropoli? «Benone. Ho preso una casettina a Mestre, vicino al campo. È una città a misura d’uomo, ho trovato un ristorante che mi piace, dove vado quasi tutti i giorni. Nel giorno libero, lunedì, torno a casa, a Piacenza, dai miei. A Milano è un bel po’ che non vengo». Non si può certo dire che le manchino il risotto giallo e l’ossobuco... «Avevo i miei ristoranti di riferimento. Non è che mi sia sbizzarrito più di tanto, essendo un abitudinario. La tavola non è il mio ambiente preferito, lo ammetto. Ci sto il giusto, per mangiare». E bere? «Macché. Non do soddisfazione nemmeno in quello: sono totalmente astemio». Pippo, che noia. «Mai presa una sbornia in vita mia. Nemmeno quando ho vinto la Champions League con il Milan: e le ho detto tutto! Già che ci siamo, confesso fino in fondo: mai fumata una sigaretta in 43 anni, mai nemmeno provato a dare un tiro. Solo e sempre calcio, purtroppo!». Se ne deduce che non cucina, fino a prova contraria. «Esatto. Mai. O sono al ristorante o al campo o da mamma Marina. Mi preparo solo la colazione, perché mi piace farla a casa. Fette biscottate con la marmellata e tè al limone». Non beve nemmeno il caffè! «Molto di rado. Mi sono abituato a quello d’orzo...». Ma nella famiglia Inzaghi sono tutti ligi come lei? «Noooo... Papà e Simone mangiano di tutto. Almeno loro fanno onore alla tavola di mamma». Gli chef che impazzano in tv su di lei non esercitano alcun fascino, evidentemente. «Da Cracco sono stato con Fondazione Milan quando allenavo a Milano, e sono stato bene. È che non vado in cerca di ristoranti particolari, nemmeno quando porto fuori una ragazza». Il gelato di Milanello ai tempi di Sacchi era famoso. Come ha fatto a resistergli? «Oh, per me è stato facile. Ma tutti i compagni, al Milan, erano rigorosi: nessuno si sarebbe mai permesso di chiederne una seconda porzione. Poi, certo, con il fisico che avevano Ibrahimovic e Gattuso avrebbero potuto mangiarne quanto ne volevano». Pasta preferita? Corta o lunga? Liscia o rigata? «Spaghetti. Ora e per sempre». Per chiudere, Pippo: mi faccia fare almeno uno scoop, mi dica che quella dei biscotti Plasmon a merenda, da adulto, è una leggenda metropolitana. «Al Milan prima della partita era una piacevole abitudine. Nessuno mi chiedeva di mangiarli: era un rito tutto mio, che mi faceva stare bene. Siccome in Champions League segnavo parecchio (sua la doppietta che il 23 maggio 2007, ad Atene contro il Liverpool, ha regalato al Milan l’ultima Champions, ndr), era diventata anche una questione scaramantica. Quando l’hanno saputo, hanno voluto mangiarli anche i compagni».