Alessandro Pace, Il Fatto Quotidiano 4/11/2016, 4 novembre 2016
COMMI, VIZI E STRAZI DELLA DITTA BOSCHI, RENZI E NAPOLITANO
È in edicola con Il Fatto Quotidiano “La Costituzione e i suoi disegni” in collaborazione con il Comitato per il No nel referendum sulle modifiche della Costituzione e con l’Associazione Salviamo la Costituzione. Con testi di Luca Alessandrini, Umberto Allegretti, Ugo De Siervo, Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Raniero La Valle, Tomaso Montanari, Umberto Romagnoli, Massimo Villone e Valerio Onida. Pubblichiamo stralci dell’intervento di Alessandro Pace, “Le ragioni del No alla riforma Renzi-Boschi”
Tra poche settimane saremo chiamati a votare per confermare o meno la riforma Boschi che modifica ben 45 articoli dei 139 della Costituzione. Modifiche pasticciate se non addirittura irrazionali, le quali, ancorché situate nella seconda parte della Carta concernente l’ “Ordinamento della Repubblica”, pregiudicano gravemente almeno due tra i più importanti “Principi fondamentali” della nostra Costituzione: il principio della sovranità popolare (articolo 1) e quello dell’eguaglianza (articolo 3), entrambi ritenuti “supremi” nella giurisprudenza della Corte, non modificabili nemmeno con una legge costituzionale (sentenza numero 1146 del 1988), come appunto la legge Boschi. (…) Molti dei vizi che inficiano la riforma Boschi derivano dal contesto e dai modi nei quali è stata concepita e realizzata. Non è quindi un caso che, nella sesta e ultima votazione, solo 361 deputati abbiano votato a favore, anche e soprattutto perché il percorso della riforma era stato concepito e realizzato nonostante la sentenza numero 1 del 2014 della Corte costituzionale, appena quattro mesi prima, avesse dichiarato l’incostituzionalità delle leggi elettorali sulla cui base la XVII legislatura era stata eletta. (…) La Corte costituzionale aveva però avvertito che, grazie al “principio della continuità degli organi dello Stato”, le Camere non avrebbero dovuto essere sciolte immediatamente (…).
Ciò nondimeno, nelle battute finali della sentenza, la Consulta ha bene evidenziato che il principio della “continuità degli organi costituzionali” (…) non è privo di limiti temporali, rinvenendo una sua base normativa negli articoli 61 e 77 della Carta, dai quali si deduce che il principio di “continuità” può, tutt’al più, valere soltanto per qualche mese. (…) Ma c’è di più. Il fatto che la riforma Boschi consegua da un’iniziativa governativa – e non parlamentare, come avrebbe dovuto essere – è stata la causa (prevedibile) dell’improprio condizionamento dei lavori parlamentari da parte dell’indirizzo politico della maggioranza di governo con l’arbitraria sostituzione di parlamentari nella commissione Affari costituzionali del Senato; con l’utilizzo della tecnica del “supercanguro” per impedire il voto su emendamenti sgraditi dal governo; con l’esclusione della figura del relatore di minoranza nei lavori del Senato dopo lo scioglimento del Patto del Nazareno tra Pd e Forza Italia e infine con la manifesta violazione del precedente parlamentare del 1993 – autore, addirittura, l’allora presidente della Camera Napolitano – in forza del quale, anche nell’ultima delle deliberazioni del procedimento di revisione costituzionale, è possibile, in omaggio alla superiorità della Costituzione, votare emendamenti soppressivi di commi già votati dai due rami del Parlamento. (…)
Il costituzionalismo moderno ha sempre ritenuto essenziale la presenza di contropoteri. Mentre il Senato non costituirebbe più un contropotere “esterno” nei confronti della Camera a causa del superamento del “bicameralismo perfetto” e non rappresenterebbe affatto le autonomie territoriali nei confronti dello Stato, perché avrebbe natura politico-partitica (e non territoriale), non sono stati previsti – come sarebbe stato logico e come era stato prospettato nel corso dei lavori parlamentari – i contropoteri “interni” alla Camera, quale, ad esempio, il potere d’inchiesta da parte di una minoranza qualificata. (…) Secondo la riforma Boschi, la Camera dei deputati eserciterebbe la funzione legislativa insieme col Senato in un limitato ma importante numero di materie relative (nuovo articolo 70 comma 1), tra le quali spicca però l’assenza, da parte delle due Camere, della delibera dello stato di guerra.
Nelle restanti materie l’intervento del Senato sarebbe o eventuale o paritario rafforzato o non paritario o non paritario con esame obbligatorio. Dai due procedimenti legislativi attualmente esistenti, oltre al procedimento di revisione costituzionale, si passerebbe a otto o più procedimenti formalmente differenziati, col rischio di non infrequenti conflitti procedurali (…). In conclusione, non si può non accennare agli errori di tecnica legislativa e di lingua italiana che caratterizzano un testo che, per sua natura e funzione, dovrebbe essere tecnicamente ineccepibile e accessibile a tutti. In questa linea di pensiero, i costituenti avevano invece addirittura affidato la revisione del testo costituzionale a Concetto Marchesi, italianista di fama e membro dell’Assemblea costituente, prima dell’approvazione finale poi avvenuta pressoché all’unanimità. Ben diversamente, l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi – dopo il voto conclusivo della recente riforma, avvenuto l’11 gennaio 2016 alla Camera dei deputati – hanno entrambi candidamente ammesso che il testo approvato richiederebbe degli aggiustamenti.
Il che, se da un lato contraddice la superiorità formale e sostanziale della riforma teste approvata dalle Camere, dall’altro ne testimonia la superficialità di scrittura. Per questo motivo, nel volume viene riproposto, per un raffronto con la riforma Boschi, il testo della Costituzione vigente, arricchito dalle illustrazioni generosamente donate da vari autori e dai commenti di illustri giuristi ai Principi fondamentali della nostra Costituzione. Elaborando i quali i nostri indimenticabili Padri costituenti avevano delineato – dopo l’esperienza del Fascismo e all’indomani della guerra – il disegno della “casa comune” che, con l’avvento della Repubblica, intendevano costruire.