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 2016  novembre 03 Giovedì calendario

“OBBLIGATO AL SUCCESSO, A TEATRO COME A TENNIS” [Intervista a Umberto Orsini] – Il destino, quando si palesa, non è sempre oscuro, contorto e indecifrabile, magari basta seguire solo le tracce di un enorme sigaro: “Erano i primi Anni Cinquanta, ero in treno, a un certo punto si apre uno scompartimento e un omone viene preceduto da una nuvola di fumo

“OBBLIGATO AL SUCCESSO, A TEATRO COME A TENNIS” [Intervista a Umberto Orsini] – Il destino, quando si palesa, non è sempre oscuro, contorto e indecifrabile, magari basta seguire solo le tracce di un enorme sigaro: “Erano i primi Anni Cinquanta, ero in treno, a un certo punto si apre uno scompartimento e un omone viene preceduto da una nuvola di fumo. Poco dopo riconosco Orson Welles…”. Il mito. “Non c’è stato gran dialogo, ma anni dopo ci ho lavorato. Chissà, forse quell’incontro potrà diventare l’inizio di un mio possibile libro”; il libro di Umberto Orsini, 83 splendidi anni, nessuna gratuita malinconia nei ricordi e nel presente, una voce da attore teatrale, un vigore da tennista incallito: “Scendo in campo due volte la settimana, e non ci sto a perdere”. Ora è in teatro a Roma con Il giuoco delle parti, una delle commedie di Luigi Pirandello, “e per portarla in scena sono andato a recuperare le sue vecchie novelle, le stesse che poi hanno ispirato la piecè: ho ritrovato la parte più scura della storia, la stessa che poi addolciva nella trasposizione teatrale”. E cosa ha scoperto? Più che scoperto, abbiamo un finale a sorpresa bellissimo, per una commedia non semplice, nella quale si affrontano temi come la violenza sulle donne, l’adulterio, un doppio tentato omicidio. Ci tengo molto, anche perché sento la responsabilità della compagnia, del mio gruppo. Sono obbligato al successo. Tensione allentata con il tennis. Gioco anche in tournée: purtroppo quando chiamo un circolo e mi presento, vengo sempre sfidato dal presidente che cerca lo ‘scalpo’ celebre, ed escono match agguerriti. Lei non molla. Sono più bravo adesso di una tempo. Tutti quelli che mi fottevano, se sono ancora vivi, li frego oggi. La sua bestia nera? Franco Interleghi: mi buttava sempre la palla dalla mia parte, mi mandava fuori di testa. Però anche Zagrebelsky… Con lui due set bestiali, non me lo aspettavo. Con quale personaggio viene identificato? Karamazov. È l’immagine più forte nel pubblico. Allora c’erano 22 milioni di persone davanti la televisione. Altri tempi, altri numeri. Prodotti belli, studiati e pieni di ottimi attori. Un po’ quello che sta avvenendo ora con le grandi serie. Cosa segue? House of cards: ha un andamento shakespeariano, con l’idea del monologo verso la telecamera, come Iago quando parla al pubblico. Non ha fatto molta Tv. Mi sono staccato per il teatro: in realtà ho trascinato il pubblico televisivo in sala, e non ci siamo più lasciati; ho capito che il teatro paga, nel senso che la continuità, l’affetto del pubblico, crea un mondo. Non mi interessa essere noto a milioni di spettatori, punto al target dei 400 mila che frequentano il teatro. Hanno mai provato a commercializzarla? Nel teatro no, mentre nel cinema ho raccolto quello che mi offrivano, però ho la fortuna di aver girato quattro, cinque film importanti, anche con Visconti o Magni. La sua qualità? Sono bravo nel leggere le sceneggiature. E conosco il francese e l’inglese e non aspetto la traduzione. Quando ha imparato l’inglese? A 11 anni a Novara, con il contrabbando delle sigarette. Poi negli anni Cinquanta sono partito per l’Inghilterra grazie alla Dolce vita. Perché? Con i soldi guadagnati sono riuscito a pagarmi un corso e nonostante non fossi uno degli attori principali, quasi sempre inquadrato dalla vita in giù, con Fellini a giustificarsi: “Umberto ti devo un bel primo piano”. Oltre Fellini, Visconti… Con lui ho vissuto uno dei momenti più emozionanti: dovevamo portare in scena Vecchi tempi, ma era appena stato male, dirigeva da seduto, le prove a casa sua perché non riusciva a uscire. Ma la sera della prima, la meraviglia: erano presenti i suoi attori, da Alain Delon a Claudia Cardinale; da Burt Lancaster a Sophia Loren; alla fine tutti in piedi verso il palco dove stava Visconti, e lui con le ultime forze in piedi a prendere l’applauso. A vederla oggi fa impressione, è una sfilata di morti, mi sento un sopravvissuto. Un sopravvissuto che domina il palco e il campo da tennis.