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 2016  novembre 01 Martedì calendario

PIOLI, ALLENATORE GENTILUOMO

Prima di tutto, quello che Stefano Pioli non è. Non è mediatico, nel senso che non «buca» il video; non è integralista, nel senso che è sempre disposto ad ascoltare le idee altrui; non è esagerato, nel senso che una sconfitta non lo butta all’inferno e una vittoria non lo porta al settimo cielo. Vive con equilibrio, parla a voce bassa e con una gentilezza che nell’ambiente del calcio di oggi è difficile incontrare, raramente va sopra le righe. E, quando lo fa, un attimo dopo è il primo a scusarsi, tenendo sempre a mente la lezione che papà Pasquino e mamma Luisa hanno trasmesso a lui e ai suoi fratelli Leonardo e Danilo. Famiglia che vive di pallone, la famiglia Pioli. Quando i ragazzi erano giovani e pure adesso che sono uomini fatti: tutti allenano, il padre va ancora in giro a seguire figli e nipoti, e la madre non si perde una partita. Dicono che in famiglia sia quella che di calcio se ne intende di più.

TRASFERIMENTO Da calciatore era un difensore dai piedi buoni. Giocava da stopper nella Coop Nord Emilia. Un giorno si fece notare marcando a uomo, e annullandolo, un certo Roberto Mancini, allora centravanti nelle giovanili del Bologna. Quella partita, in realtà, doveva servire come provino per valutare le doti di suo fratello Leonardo. Finì che i dirigenti del Bologna scartarono Leonardo e fecero pressioni per avere Stefano: niente da fare. Restò alla Coop, poi andò al Parma, regalò alla sua città una magica promozione dalla C alla B fino a che Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni non videro in lui il futuro della difesa bianconera e lo portarono a Torino in cambio di un miliardo di lire. Però, e qui c’è un curioso incrocio con il presente, la sua destinazione doveva essere l’Inter. Quando partirono da Parma, papà Pasquino, il giovane Stefano e l’allora diesse emiliano Riccardo Sogliano il trasferimento ai nerazzurri sembrava cosa fatta. A metà del viaggio Sogliano si fermò all’autogrill di Piacenza, fece una telefonata, tornò in macchina e comunicò che si cambiava tragitto: si va a Torino, la Juve offre di più dell’Inter. Con i bianconeri il punto più alto lo toccò a Tokio, l’8 dicembre 1985, quando vinse la Coppa Intercontinentale: entrò in campo sostituendo nel secondo tempo Gaetano Scirea. Indimenticabile.

IDEE Da allenatore è partito dal basso, dai giovani. Poi ha conosciuto tutto il bello e tutto il brutto del mestiere: promozioni, vittorie, sconfitte, esoneri, incontri con presidente imbarazzanti. L’ultima esperienza è stata sulla panchina della Lazio: l’ha guidata al terzo posto in classifica e poi, la stagione successiva, qualcosa si è rotto ed è stato, come si dice in questi casi, «sollevato dall’incarico». Non è un fissato di schemi, moduli e altre diavolerie: ha utilizzato la difesa a tre e la difesa a quattro, il tridente in attacco oppure la mezzapunta. Come gli artigiani di una volta osserva il materiale a disposizione e lo adatta. Partendo da un principio sul quale non transige: il rispetto reciproco. Se c’è quello, si può andare lontano.