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 2016  novembre 02 Mercoledì calendario

IL PARLAMENTO DEI TRASFORMISTI. IL 27% HA CAMBIATO CASACCA

L’ultimo erede della lunga tradizione italiana del trasformismo parlamentare è Alessandro Pagano. Originario di un paesino in provincia di Caltanissetta, è stato l’ultimo deputato a cambiare casacca: ex Forza Italia, poi Area Popolare con Angelino Alfano, più di una settimana fa è approdato alla Lega Nord.
Lascia alle spalle il meridionalismo di un tempo – terreno fertile per la sua carriera politica siciliana: deputato all’Assemblea regionale, poi assessore varie volte – per prendere posto tra i padani. Se l’avvicinamento di Pagano a Matteo Salvini rappresenta a suo modo un gesto coraggioso – trattandosi di un passaggio dalla maggioranza all’opposizione – durante questa legislatura ci sono state trasmigrazioni più rappresentative dell’arte inventata addirittura nell’800 da Agostino Depretis: la corsa in soccorso del vincitore, ovvero il passaggio dalla dura vita dell’oppositore a quella più confortevole del parlamentare di maggioranza, caro al potere.
Intanto i numeri. Dal 2013 a oggi sono 263 i parlamentari che hanno cambiato gruppo, alcuni più volte, per un totale di 380 cambi di casacca. I dati li fornisce Openpolis che spiega come a Montecitorio 146 deputati hanno mutato gruppo almeno una volta, per un totale di 205 spostamenti di partito: in sostanza oltre il 23% della Camera ha cambiato posto. Al Senato, dove la maggioranza balla, le percentuali sono da record: 117 senatori coinvolti in 175 spostamenti totali, il 36,5% degli eletti non è più dove si trovava a inizio legislatura. In generale, ci dice Openpolis, il 27% dei parlamentari ha cambiato idea almeno una volta. Il risultato non è proprio un elogio del concetto di rappresentatività: tra nuove alleanze e relativi gruppi parlamentari, stando ai dati di Openpolis, “al momento alla Camera rimangono solo quattro gruppi riconducibili a liste elettorali che hanno partecipato alle elezioni”, cioè le Politiche del 2013.
Paradossalmente, si rivela sempre più vero che il trasformismo risulta incoraggiato da leggi elettorali che invece tendono a comprimere la frammentazione del quadro politico: in pratica, sulla scheda elettorale proliferano le liste uniche per prendere il premio di maggioranza o superare la soglia di sbarramento (e l’Italicum in questo non è diverso dal Porcellum) e poi, una volta occupata la poltrona, si dà inizio alle danze.
In questo Parlamento – che peraltro è stato eletto grazie a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta – la telenovela del cambio di casacca ha avuto varie puntate. A partire da quelle che hanno coinvolto Forza Italia: prima ci fu il distacco di Angelino Alfano e del suo Nuovo Centrodestra ai tempi del governo Letta; poi il gruppo Ala, voluto da Denis Verdini per puntellare Renzi durante l’approvazione della riforma costituzionale dopo il dietrofont di Silvio Berlusconi: la cosiddetta riforma Boschi è figlia del trasformismo. Recentemente, infine, la fusione alla Camera di Ala coi resti di Scelta Civica ha dato accesso ufficiale al plurindagato Verdini nella maggioranza. È stata, questa, l’ultima rottura nel partito creato da Mario Monti, nel frattempo scomparso completamente al Senato (il fondatore se ne sta malinconicamente nel Gruppo Misto): Enrico Zanetti, già segretario di Scelta Civica, ha sottratto il marchio all’ex premier e ha dato vita a “Scelta Civica verso i cittadini per l’Italia-Maie” (di cui fanno parte 16 deputati compresi i verdiniani). Qualcun altro dei deputati eletti con Monti è finito nel Pd, mentre una quindicina ha formato il gruppo Civici e Innovatori.
Tra loro c’è Stefano Quintarelli, le cui affiliazioni in questi tre anni raccontano le contorsioni del mondo “montiano”: prima Civici e Innovatori, poi democristiani di Per l’Italia, che diventano Scelta civica per l’Italia, poi il passaggio al Misto e infine, ad agosto, il ritorno a casa, Civici e Innovatori.
Istruttiva pure la storia di Paola Pinna: eletta col M5s, passata al Gruppo Misto, finita tra i Civici e Innovatori e ora nel Pd. Tre di casacca anche per Barbara Saltamartini: oggi vicepresidente del gruppo della Lega, ma eletta con Forza Italia – Pdl e poi passata con Alfano e dal solito Gruppo Misto prima di scoprirsi “salviniana”. Storia a parte quella di Sinistra e Libertà, che alle elezioni si presentò col Pd: dal 2013 ha perso 11 deputati in direzione democratica, mentre i dem hanno comunque subito la scissione a sinistra dei vari Civati, D’Attorre, Fassina, etc. Insomma, la geografia del Parlamento oggi è quanto di più lontano da quella decisa dagli italiani col voto del febbraio 2013.