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 2016  novembre 02 Mercoledì calendario

PAOLA MASTROCOLA: «ABBIAMO PERSO ANCHE IL PUDORE» – Il libro è affascinante, con quella copertina Einaudi con un volto di Venere

PAOLA MASTROCOLA: «ABBIAMO PERSO ANCHE IL PUDORE» – Il libro è affascinante, con quella copertina Einaudi con un volto di Venere. Paola Mastrocola, scrittrice sperimentata, stavolta non usa graziosamente il mondo animale per raccontarci, in forma di romanzo, le nostre storie di uomini. Con L’amore prima di noi, da poco in libreria, questa torinese, classe 1956, premio Campiello nel 2004, ma anche saggista acutissima sui temi dell’istruzione, ci accompagna nei miti. Con leggiadria, riscrive la storia di dei, semidei, ninfe, di fughe e amori. Operazione non banale perché, ricorda lei stessa, «Lévi-Strauss ha scritto che i miti diventano pensiero nell’uomo a sua insaputa». Domanda. Si ha l’impressione, leggendola, che si sia molto appassionata e molto divertita, nello scrivere questo libro. Risposta. I miti sono in sé le storie più appassionanti del mondo. Sembra che siano dentro di noi da sempre, come se qualcuno ce li avesse raccontati prima che nascessimo. Io ho solo provato a ri-raccontarli per scritto, con le parole che oggi sono le nostre, perché tutti li avessimo sempre a disposizione. D. Qualcuna l’ha coinvolta più di altre? R. Da sempre mi piace Orfeo, ogni volta che ci penso mi commuove. D. Che va a riprendersi agli inferi l’amata Euridice. R. Certo, non si rassegna alla morte; e siccome sa cantare - è il primo poeta del mondo, altro che Bob Dylan! -, incanta con la sua musica le divinità infernali. Mi piace anche molto Pigmalione, che non trova mai la donna giusta, e allora se la scolpisce come vuole, in forma di statua... D. E chiede alla dea dell’Amore di renderla viva. R. Vede, i miti ci interrogano: l’amore dunque è costruzione, non è incontro fortuito? Ce la forgiamo noi da soli la persona da amare, a nostro piacimento? La mitologia è un modo per riflettere sui grandi temi della vita, attraverso storie che esistono già, che ci sono sempre state e continuano a parlarci. Anche Orfeo rappresenta tutti noi. Tutti noi vorremmo convincere il dio dei morti di ridarci la persona amata, ma possiamo farlo? D. Orfeo alla fine non ci riesce. R. Infatti. Il patto era che non si voltasse mai a guardarla, e invece lui a pochi metri dall’uscita si volta e la perde. Cosa vuol dire? Certo, che i confini tra vita e morte sono invalicabili. Ma forse anche che la perdita può essere. E che, una volta che arriviamo nel regno dei Morti, non desideriamo più così tanto la vita... D. Oggi non sapremmo fabbricare una storia così. R. I miti sono storie estreme, che osano l’impossibile. Oggi al massimo raccontiamo i sentimenti, ma non facciamo più incontrare l’umano col divino. Non c’è più il dio Amore, che viene ogni notte ad amare una fanciulla che si chiama Psiche e le chiede di non guardarlo mai in faccia, di lasciarsi amare al buio. D. E Psiche non ce la fa. R. E no, accende il lume e lo guarda. E il dio Amore la punisce, la abbandona. E allora, ci si chiede, cosa vuol dire? dobbiamo lasciarci amare senza voler sapere? l’amore è inconoscibile? D. Lei raduna alcune di queste storie sotto le voci «fuga» e «rapimento». R. È la situazione eterna e universale, l’uomo insegue e la donna fugge. Ma perché la donna fugge? Da cosa esattamente? Le risposte sono tante. Dafne scappa perché non ha capito che è un dio a inseguirla; sente uno che corre dietro di lei, che ansima, che la vuole prendere, pensa che tutto ciò sia un male e ha paura. Invece Atalanta è la ninfa che vuole restare libera, senza legami, e teme che l’amore la cambi, la snaturi. La giovinezza è anche questo: il rifiuto di qualcosa che ci appesantisce e ci imprigiona; qualcosa che, per esempio, ci conduce a procreare... D. Un mito che ci riporta a una deriva forse adolescenziale di alcune donne moderne? R. L’adolescenza è un’età ritrosa: si ritrae, vuol restare intatta. Le ninfe del mito, ad esempio le ninfe del corteo di Artemide, la dea cacciatrice che non vuole nozze, simboleggiano proprio questo. Oggi invece... D. Oggi invece? R. Mi pare che molti adolescenti brucino le tappe, e si neghino il bello di un’età che si fonda sull’attesa, su un futuro ancora soltanto sognato. Oggi crediamo che tutto sia in nostro potere, che si possano deviare le cose a nostro piacimento. Nell’antichità tutto era destino; non c’erano anticoncezionali, l’aborto, la fecondazione assistita. Eravamo immersi nel corso degli eventi, dominati da una divinità assoluta, Ananke, ossia la Necessità: ciò che non può non essere. Questo dava ai nostri gesti, e ai nostri amori, un velo fascinoso di ineluttabilità. D. Ananke, una dea vera e propria. R. Ma che non aveva fisionomia, né altari dove offrirle sacrifici. D’altronde, non si può pregare la Necessità. Regola la vita di tutti, uomini e anche dei, che non sono affatto onnipotenti, anch’essi assistono al compiersi delle leggi naturali, senza potersi opporre. D. Dei che si innamorano degli uomini. R. E’ quel che mi commuove di più, nei miti. Gli dei ci amano, ma sanno che con noi è per forza un amore a termine. Forse ci amano proprio per questo, perché siamo effimeri, perché non duriamo. D. Queste storie le ha anche insegnate, quando era in cattedra in un liceo scientifico. R. Ho amato moltissimo insegnare Epica. L’Iliade, l’Odissea Quando facevamo Epica eravamo tutti felici, le ore di lezione volavano, e non credo solo per me. Mi sembrava funzionasse. Quando interrogavo, i ragazzi sapevano, avevano conservato quelle storie nella loro memoria, magari senza studiare Vuol dire che anche solo il racconto in classe li aveva colpiti. D. Soddisfazioni. R. La speranza è che i miti se li ricordino per la vita, questo sì, mi piacerebbe. Anni fa, quando scrissi La scuola raccontata al mio cane (Guanda) me la prendevo molto con i miei colleghi che decidevano di non fare Epica, ma di far leggere i giornali in classe. Per carità, esiste la libertà didattica, però D. Però, pazzesco. E per lei? R. Per me è un crimine contro l’umanità. Uso sempre parole eccessive, lo so... E mi spiace dire questo a lei, che nei giornali lavora. D. Lo capisco, ma ogni cosa al suo posto. R. Resto convinta che non si possa privare i ragazzi di queste storie: Epica si fa solo un anno alle superiori, in prima (a meno che non si faccia il classico), quindi c’è un’unica occasione nella vita d’incontrare Achille, Ettore, Ulisse, la maga Circe. E poi bon, fine, i ragazzi non ne sentiranno più parlare. Le pare che possiamo fare che perdano questo incontro? D. A proposito di giovani, ma non solo, che senso può avere oggi riscrivere le storie della classicità, al tempo del socialnetwork? R. Viviamo immersi nei social, assorbiti da schermi e attaccati a tastiere. Però, vogliamo vederne il lato buono? D. Proviamoci. R. Gli amori virtuali che creiamo su Facebook possono anche assomigliare, in qualche modo, a un amore pensato, immaginato, ideale insomma, che attraverso internet si sublima. Qualcosa che assomiglia all’amor da lontano dei poeti del Duecento, o all’amore segreto di Achille per Elena D. Il lato cattivo? R. Il grande rischio, come dire, è svilire i sentimenti in pochi tweet. Oppure che tutto questo «condividere», come si usa dire, finisca per annientare il sentimento del pudore. D. Ah, pudore l’è morto. Come la pietà. R. Eppure è un sentimento antico. Oggi mi chiedo se ce lo possediamo ancora, se riusciamo a provare vergogna Perché pudore significa proprio questo: vergognarsi; significa che certe cose sono solo nostre e dovremmo vergognarci a mostrarle. E invece... D. E invece ci scotenniamo pur di mostrarci. R. Infatti, c’è chi condivide l’ecografia della moglie in attesa, la pizza che mangia, i gesti più intimi... D. Con conseguenze drammatiche. R. Dovremmo recuperare un confine fra pubblico e privato. E tenerci ciò che è privato molto stretto, perché è solo nostro. D. I miti ci suggerirebbero di tornare al pudore? R. Le faccio un esempio dall’Odissea: quando Ulisse torna a Itaca, fa strage dei Proci e poi arriva da Penelope, e lei, la moglie, non lo riconosce, non crede. D. Gli chiede una prova. R. Nulla la convince, e allora lo sfida: chiede ai servi di portare lì, davanti a loro, il loro talamo. Ulisse sa bene che non è possibile, avendolo scolpito lui nel tronco di un ulivo, e lo dice. Penelope allora riconosce il marito, che le mancava da vent’anni. Ecco, questo è un esempio di cosa sia privato: solo loro due sapevano. Ma ci sono altri esempi. D. Prego, Mastrocola. R. Fedra, la sorella di Arianna, quella che Teseo abbandona su un’isola. Teseo sposerà poi Fedra. La quale si innamorerà di Ippolito, figlio di Teseo, ma non glielo dirà mai, per pudore appunto. Sarà la nutrice a farlo, e finirà malissimo, Fedra che si uccide, e tutto il resto. D. La lezione qual è? R. Che tenerci un segreto è bene, può salvare le nostre vite. D. E invece mostriamo persino la pizza che stiamo per mangiare. R. Una cosa che mi stupisce ogni volta: cosa ci sarà di tanto straordinario nel piatto che abbiamo davanti al ristorante? D. Che risposta si è data? R. Be’, la più facile: è questa voglia irrefrenabile di essere protagonisti, di mostrarci, il bisogno di un palco quotidiano, di riflettori, anche sul nulla. D. I famosi quindici minuti di notorietà di cui parlava Warhol, ma dilatati all’infinito. R. È che il mondo ci mette sempre davanti al successo di quei pochi che diventano famosi, così troviamo banali le nostre esistenze, troppo nascoste, troppo insignificanti. Invece è bellissimo vivere nell’ombra, nascosti, anonimi. La vita di ognuno può essere un capolavoro, anche se non è di dominio pubblico. La felicità, in fondo, non è mai così condivisibile D. Come scrive in una nota finale, «A un certo punto gli dèi ci hanno abbandonati. O noi abbiamo abbandonato loro, decidendo di non crederci più». Ma una religiosità à la Papa Francesco, per intenderci, non risponde oggi, in un modo moderno, allo stesso bisogno interiore che ha generato i miti? R. A me pare che la vera religiosità sia andata perduta. E forse i miti potrebbero aiutarci. Ci riportano a un’umanità bambina, delle origini, senza Chiesa né scienza, quando l’uomo era solo davanti alla natura e alle grandi prove della vita: la morte, il tradimento, l’amore D. Il mito era un modo di rispondere ai nostri interrogativi. R. Alle domande eterne che non trovano risposta. Il mito era trovare il divino in ogni cosa: l’albero non era mai solo un albero, ma una ninfa. Un fiume poteva essere un dio. E le stelle siamo noi quando moriamo, e un dio per pietà ci trasforma D. Il panteismo. E oggi? R. Oggi siamo lontani mille miglia, non stiamo certo coltivando la nostra parte più spirituale. Ora, lei rammentava Papa Francesco, che ha una grande audience, un grande seguito, ma copre altri bisogni secondo me, direi più sociali. Il suo appeal appartiene a un’altra zona, la retorica dei buoni sentimenti, il politicamente corretto. Il suo è un messaggio certamente utile, ci aiuta a essere buoni - pensi al tema dei migranti, o della povertà. Ma la spiritualità è un’altra cosa, è la vita dello spirito, staccata dalla realtà concreta, è il pensiero astratto, il dialogo interiore D. Ce ne sarebbe bisogno? R. Direi di sì. Oggi viviamo tutti troppo collegati, relazionati, sempre all’esterno, “fuori di noi”. Forse ci manca un contatto con noi stessi, con un “dentro” che si chiama vita interiore. D. Lei, alla fine, ricorda i tanti scrittori che hanno riscritto i miti e di cui dice d’essere tributaria. Qualcuno più di altri? R. Ovidio, senza dubbio. Le Metamorfosi, le Eroidi. La mia prima lettura mitologica è stato lui. Ma anche I dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, me lo porto dietro dall’età del liceo. E, tra i più recenti, senz’altro Roberto Calasso. D. Mastrocola, ma perché oggi, nell’anno 2016, ha senso scrivere e parlare di miti? R. Perché non ci parlano del presente, se Dio vuole. Ci parlano di un “non tempo” che comprende tutti i tempi, illuminandoli. È proprio andando nell’inattuale che possiamo meglio capire l’oggi, non certo affondando, e annaspando, nell’attualità.