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 2016  ottobre 31 Lunedì calendario

TEX, DYLAN E GLI ALTRI EROI DELLA FABBRICA DEI SOGNI

La fabbrica dei sogni è a due passi della fermata Buonarroti di Milano, al primo piano di un condominio apparentemente anonimo. Sergio Bonelli, negli ultimi anni, abitava in quel palazzo. Al quarto piano, per l’esattezza. Di fatto non usciva mai e il lavoro si confondeva con la vita. Più ancora, la vita si confondeva con la fantasia. Come sempre. Non appena varchi la porta, ed è un onore che la Sergio Bonelli Editore concede con parsimonia antica, non ti rendi conto subito di quanto la sede sia immensa. Sembra finita lì, e invece si rigenera in altre stanze, altre porte e altri spazi celati da finte pareti. Più che la sede di una casa editrice pare Altrove, l’immaginaria base segreta americana dell’universo di Martin Mystère, dove vengono nascoste le scoperte più inspiegabili agli occhi razionali della scienza. La Bonelli esiste dal 1940, fondata da Gian Luigi Bonelli, padre di Tex – che tra due anni ne compirà 70 – con Aurelio “Galep” Galeppini. Nel 2015 ha avuto un fatturato di circa 30 milioni di euro, con quasi due milioni di attivo nel bilancio. Le vendite medie complessive sono attorno alle 300mila copie.

L’età dell’oro di Tex e Dylan Dog è lontana, ma neanche troppo. Il fumetto, costretto a essere ancora (e per fortuna) artigianale, sta vivendo la crisi con meno sofferenza di altri settori. Tex vende 180mila copie mensili, semplicemente uno sproposito. Anche le 110mila copie di Dylan Dog, sottoposto di recente a un restyling che ha portato l’ispettore Bloch all’agognata pensione, sono tante. Gli altri eroi, su tutti Zagor, Martin Mystère e Nathan Never, stazionano tra le 20 e le 30mila copie mensili. Alla Bonelli diversificano sempre più. Nascono di continuo serie speciali e cicli di nuovi personaggi da uno o due anni (Lukas, Morgan Lost). Gli eroi storici si diramano in tante serie parallele, ora prequel e ora reboot, oppure semplicemente versioni ringiovanite del protagonista. È il caso di Martin Mystère – Le nuove avventure a colori, saga mensile di dodici episodi presentata in questi giorni al Lucca Comics and Games, insieme a tante altre novità. Alfredo Castelli, padre di Mystère, è un saggio signore di poche parole e moltissima fantasia, capace chissà come da 34 anni di inventarsi storie incredibili ma chissà come credibili, capaci di emozionare nonostante la smisurata logorrea del protagonista e i mugugni ben poco cool dell’uomo di Neanderthal Java. Il nuovo Mystère vuole essere ciò che è stata la serie Sherlock: la versione aggiornata ai tempi nostri di un professore che, nella serie ufficiale bimestrale, di anni ormai ne avrebbe settanta.

In Via Buonarroti 38 – ma ci sono propaggini anche al civico 42 – ognuno ha il suo ruolo. C’è la stanza Dylan Dog, quella Nathan Never, quella Zagor. I disegnatori lavorano a casa, mentre autori e redattori sono (quasi) tutti lì. Ogni stanza è piena di mirabilie riportate da Bonelli dopo i suoi lunghi viaggi, ora negli Stati Uniti e ora in Amazzonia. C’è anche la macchina da scrivere con cui Gian Luigi Bonelli creò Tex. Il nipote Davide, oggi a capo di questa sconfinata galassia di utopie e fantasie, la conserva giustamente come un cimelio. Davide è un uomo tranquillo e garbato, conscio di dover gestire (finora benissimo) un’eredità pesantissima. Il padre Sergio, in arte Guido Nolitta e creatore di Zagor, se n’è andato cinque anni fa. Da allora la Bonelli ha cominciato a pubblicare non solo albi mensili ma anche veri e propri libri, a colori e brossurati, per il mercato delle librerie: un ulteriore tentativo di allargare il pubblico.

Una serie recente come Dragonero (2013) dimostra come il livello qualitativo sia ancora alto. È lo stesso per Orfani, Storie, Greystorm. Vale anche per Adam Wild, ultima creatura di Gianfranco Manfredi, cantautore e padre del mitico Magico Vento, chiuso purtroppo anni fa come altri eroi (tipo Nick Raider) che meritavano invece di proseguire. Nathan Never sta festeggiando i 25 anni con una serie-prequel di sei episodi. Dylan Dog si divide tra storie post-moderne, all’interno delle quali lo stralunato Groucho usa lo smartphone, e versioni vintage “Old Boy” per soddisfare il pubblico più tradizionalista. Kit Carson è ancora il vecchio tizzone d’inferno, come quel satanasso di Tex. Ian “Dragonero” Aranill e Gmor Burpen si domandano perché i loro albi a colori (un’eccezione per la casa editrice) vendano molto di più di quelli in bianco e nero. Julia, la criminologa adorata da Guccini, forse non è mai stata così in forma. Zagor si presenterà a Lucca Comics anche in versione gadget: la maglietta rossa, i portachiavi con la scure, la tazza griffata, l’album di figurine Panini. E Tiziano Sclavi, nascosto tra i boschi nella zona di Varese, ha ricominciato per nostra fortuna a scrivere.

Non ci si rende probabilmente conto appieno di quanto sia difficile creare un fumetto: ogni albo richiede complessivamente un anno di lavoro (sì, un anno). Gli appassionati sono poi refrattari alle novità, notano ogni incongruenza e concepiscono il rito mensile come una liturgia. Guai, per esempio, a cambiare la trama (spesso fissa) di Tex: gli appassionati non lo perdonerebbero. Gli eroi della Bonelli rispettano sostanzialmente due strade creative. La prima è la ripetitività della sceneggiatura, per esempio Tex o Zagor che devono vendicare la morte di un amico. La seconda è l’invenzione inedita da cui partire, per esempio i misteri ogni volta nuovi di Mystère, su cui poi poggiare i consueti binari narrativi. Per niente facile, ma qui ci riescono. Fuori dagli uffici accade di incontrare capannelli di fan, a volte indossano la t-shirt rossa di Zagor e organizzano pizzate.

Negli uffici lavora ancora la signora che, per caso, ha creato decenni fa il font degli albi Bonelli: è semplicemente la sua grafia in stampatello, e se i fumetti Bonelli hanno la “s” cicciuta è solo perché è la “s” della signora. Un dipendente è adibito unicamente al ruolo di rispondere alle lettere dei fans. E sono ancora tante, sebbene il record imbattibile risalga a Il lungo addio di Dylan Dog, uscito nel novembre 1992 e apice creativo della saga di Dylan Dog assieme a Johnny Freak (entrambi firmati Sclavi, ovviamente). Al tempo erano migliaia, anzi decine di migliaia di lettere, e il povero scriba della Bonelli doveva rispondere a tutte. Ma proprio tutte. Attenzione: lettere, non mail. La Bonelli non fornisce la sua mail per “costringere” gli estimatori a fare uno sforzo suppletivo. Sergio Bonelli voleva che tutti avessero risposta, ma sarebbe impossibile rispondere oggi a tutte le mail: così, con questa cernita implicita, il mito del contatto diretto tra eroe e lettore può sopravvivere. C’è un che di costantemente surreale e anacronistico, nella Sergio Bonelli Editore. Ed è anche questa una parte integrante del suo fascino. Non c’è niente da fare: la Bonelli Editore era e resta una delle più grandi eccellenze artistiche di questo paese. Andrebbe dichiarata, seduta stante, patrimonio dell’umanità.