Luigi Panella, la Repubblica 31/10/2016, 31 ottobre 2016
LA SFIDA DI DE CAROLIS “IO, PUGILE NORMALE SUL TETTO DEL MONDO”
È un pomeriggio di pioggia in cui sembrano echeggiare le parole del “Meraviglioso”, Marvin Hagler: ‘’Da quando ero ragazzo amo l’odore del pugilato’’. Quello che sembra invadere l’aria all’ingresso di questo capannone, un parallelepipedo piazzato alla Montagnola, quartiere della zona sud di Roma. Questo è il regno della Team Boxe: umidità diffusa e la sensazione di entrare in un girone dantesco. Niente di infernale però. Nessuna anima dannata qui, semmai anime determinate a trovare una falla in un fato complesso per infilarci dentro i sogni.
Il pavimento reso viscido dal clima induce a una teatralità surreale. Via le scarpe per non scivolare, tanti giovani pugili in calzini: chi salta a corda, chi si scruta davanti allo specchio cercando di perfezionare le combinazioni di colpi. Jab sinistro doppiato dal destro, gancio, e poi il montante, infido e fascinoso, pericoloso per chi lo prende e per chi lo porta. «Questi menano come fabbri, non valgono meno dei migliori giovani europei. Peccato qui non ci siano gli stessi mezzi economici...». Parola del pugile più famoso della palestra, il campione del mondo dei pesi supermedi, Giovanni De Carolis.
Sabato prossimo a Potsdam, trenta chilometri dal Berlino, ha dato appuntamento all’ennesimo miracolo sportivo della sua carriera: salvare la corona dall’assalto di Tyron Zeuge, emergente e protetto talento della boxe tedesca. Dovesse riuscirci, sarebbe il completamento di un puzzle ricco già di tasselli importanti, come la conquista del titolo contro Vincent Feigenbutz, e la difesa, dopo un sofferto ma meritato pari, contro lo stesso Zeuge. Una gloria non effimera, ma comunque relativa. Nonostante abbia ridato all’Italia un titolo mancante da anni, i livelli di popolarità toccati da altri campioni, da Oliva a Parisi, senza scomodare i miti Benvenuti, Loi, Arcari ecc. sono ancora sconosciuti al pugile romano. «Provo a ragionare da imprenditore», spiega De Carolis. «Se la boxe in Germania e nel Regno Unito, per non parlare degli Stati Uniti, funziona, allora perché non dovrebbe succedere la stessa cosa anche in Italia?».
Tutto vero, tutto giusto, se non fosse che in Italia c’è una conclamata crisi di vocazioni dovuta anche ai pochi quattrini in circolazione, al disinteresse delle tv in chiaro e alla tendenza di qualche organizzatore a mandare in scena incontri improponibili. Un complesso di colpe che ha spinto verso il basso la noble art in Italia. Risollevarla è compito arduo. De Carolis potrebbe farlo dando una impronta diversa ad una percezione del pugile spesso distorta. Lui non è certo il Jake LaMotta del Toro Scatenato di De Niro e Scorzese, brutale sul ring e intrattabile fuori. È più il John Wayne versione irish di
Un uomo tranquillo di Ford: i pugni sono esistenza, ma la famiglia viene prima. «Al mattino la prima cosa è svegliare i miei bambini e portarli a scuola. Poi inizio ad allenarmi, faccio un salto nella palestra che gestisco con mia moglie a Monterosi, in provincia di Viterbo, quindi vengo alla Team Boxe. Il tutto stando molto attento all’alimentazione: proteine, carboidrati, il fisico è una macchina da far funzionare al meglio».
Normalità, dunque. Le storie maledette abitano altrove. Forse anche per questo De Carolis non è personaggio, non il classico predestinato. «Mica ce l’avevo scritto in fronte che sarei diventato campione del mondo». Già, su quella fronte proprio non c’era scritto. Due falliti assalti al titolo italiano, anche una sconfitta salutare. «In Ucraina, contro Bursak, quando combattevo nei medi. Abituato ai ring italiani, è stato come tuffarsi in una vasca d’acqua gelata. Tanta gente, l’attenzione dei media, un altro mondo. Il match l’ho perso prima del limite e ci sono stato male, ma in quel momento ho cercato e trovato dentro di me la forza di reagire».
Poi, le sliding door: un’organizzazione tedesca lo studia nel match perso onorevolmente con Arthur Abraham. Forte sì, ma abbordabile abbastanza per glorificare l’idolo di casa Feigenbutz. E invece... De Carolis si ritaglia uno spazio di prima grandezza in una categoria ricca di grandi nomi, al punto che siti specializzati faticano a vederlo in classifica tra i primi 20. Intanto però il campione è lui, e la sfida di sabato potrebbe essere un crocevia per incontri dalla borsa importante: contro Ramirez, DeGale, Groves, Smith, persino il miglior pugile pound for pound, dominatore dei medi, Gennady Golovkin, che potrebbe affacciarsi nella categoria superiore sicuro della sua devastante potenza. «Sono abituato a guardare a un match per volta e penso solo a Zeuge. Certo, mi piacerebbe affrontare anche Golovkin. È come se a un ragazzo si proponesse di giocare una finale di Champions League contro Ibrahimovic. Sa che sarebbe durissima, ma ti direbbe di sì». Prossima
sliding door, Potsdam, la Versailles tedesca cara ai sovrani prussiani. La legge della boxe però è spietata, sabato qualcuno scenderà da quel ring senza corona.