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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE MAIL INGUAIANO UN’ALTRA VOLTA HILLARY IL POST 30/10 – Da un paio di giorni l’argomento più discusso per quanto riguarda le elezioni presidenziali negli Stati Uniti – che si terranno martedì 8 novembre, tra nove giorni – è un nuovo sviluppo nella storia delle email di Hillary Clinton, candidata Democratica alle elezioni

APPUNTI PER GAZZETTA - LE MAIL INGUAIANO UN’ALTRA VOLTA HILLARY IL POST 30/10 – Da un paio di giorni l’argomento più discusso per quanto riguarda le elezioni presidenziali negli Stati Uniti – che si terranno martedì 8 novembre, tra nove giorni – è un nuovo sviluppo nella storia delle email di Hillary Clinton, candidata Democratica alle elezioni. Venerdì 28 ottobre James Comey, il direttore dell’FBI, ha detto di aver trovato nuove email “pertinenti” all’indagine – chiusa a luglio – sulle migliaia di email che Clinton mandò e ricevette da un indirizzo di posta elettronica privato, invece che da quello istituzionale, mentre era segretario di Stato, durante la prima amministrazione Obama. Le mail sono state trovate dall’FBI mentre indagava su un’altra vicenda, totalmente scollegata e piuttosto famosa nella politica americana recente: quella di Anthony Weiner, ex politico di successo che negli ultimi anni è stato coinvolto in moltissimi scandali sessuali. A nove giorni alle elezioni, Clinton è data per favorita sull’avversario Repubblicano Donald Trump, ma quello di venerdì potrebbe essere un incidente grave per la campagna elettorale di Clinton. Il problema principale è che nessuno sa che cosa ci sia nelle nuove mail trovate dall’FBI: potrebbero essere totalmente irrilevanti, potrebbero essere mail in realtà già in possesso dell’FBI o potrebbero essere mail con contenuti tali da mandare all’aria la candidatura di Clinton. Le premesse La questione riguarda le email che Clinton mandò tra il 2009 e il 2012, quando era segretario di Stato, l’equivalente americano del ministro degli Esteri. Durante quei quattro anni Hillary Clinton ha usato il suo indirizzo privato di posta elettronica anche per le cose di lavoro. Usando un indirizzo privato Clinton non andò contro a nessuna legge. Fino all’estate 2014 la cosa non fu anzi mai notata – o perlomeno menzionata – dal dipartimento di Stato. Successe però che a un certo punto proprio il dipartimento di Stato dovesse consegnare al Congresso degli Stati Uniti le email spedite e ricevute da Clinton, scoprendo così che nell’indirizzo governativo di Clinton non c’era nemmeno una email. Quasi due anni dopo che Clinton terminò il suo mandato da segretario di Stato, il dipartimento di Stato le chiese le email spedite negli anni in cui era stata segretario di Stato. Lei disse che circa metà delle email erano personali e le cancellò, facendo invece avere le altre (quelle professionali) a chi di dovere. Clinton consegnò 30.490 messaggi spediti o ricevuti dal suo indirizzo privato, e ne tenne per sé altre 31.830, ritenute personali. Delle email di Clinton si iniziò a parlare nel marzo 2015, grazie a un articolo del New York Times, che per primo raccontò la vicenda. Di quelle email si parlò molto soprattutto dopo che l’FBI aprì un’indagine per capire se l’uso di una casella di posta privata avesse creato problemi per la sicurezza nazionale, e per verificare se fu fatto per nascondere qualcosa al governo. Clinton ha detto più volte che usare il suo indirizzo privato per le cose di lavoro è stato un errore, fatto per una questione di comodità e cioè per non portarsi sempre dietro due smartphone (cosa che secondo lei sarebbe stata necessaria perché il dipartimento di Stato non le permetteva di avere indirizzi email multipli sul BlackBerry fornito dal governo). Clinton inoltre aveva sempre detto di non aver inviato o ricevuto email contenenti informazioni riservate o “top secret” – il livello più alto di segretezza – dal suo indirizzo di posta, e aveva detto che il suo server era sicuro. Dall’inchiesta dell’FBI è venuto fuori che non c’è stata nessuna intenzione criminale da parte di Clinton, che non voleva nascondere niente al governo, e che non ci sono prove certe che questa condotta abbia messo a rischio la sicurezza nazionale. Lo scorso luglio l’FBI ha raccomandato quindi al Dipartimento di Giustizia di non aprire un’inchiesta su Hillary Clinton, che quindi non è stata indagata. Il direttore dell’FBI, James Comey, aveva fatto però anche una cosa inusuale: durante una conferenza stampa aveva smentito molte delle cose che Clinton aveva detto su questa storia, giudicando «estremamente superficiale» la sua condotta e aggiungendo che «qualunque persona ragionevole nella sua posizione o in quella di chi corrispondeva con lei avrebbe dovuto sapere che quell’indirizzo email non era adatto a inviare o ricevere quelle informazioni». Cosa è successo venerdì Una questione che sembrava ormai archiviata, perché l’FBI se ne era interessata senza però trovare elementi per continuare un’indagine, è stata riaperta, a dieci giorni dalle elezioni. Il problema è però che non si conosce praticamente nessun dettaglio sulla scoperta dell’FBI. Quello che si sa è solo che il 28 ottobre Comey, il direttore dell’FBI, ha fatto sapere al Congresso americano che la sua agenzia ha scoperto nuove email “pertinenti” all’indagine compiuta nei mesi scorsi su Clinton. In una lettera, Comey ha spiegato che le email sono emerse in un’indagine separata e che l’FBI deve ancora esaminarne il contenuto: Nella mia precedente testimonianza al Congresso, ho detto che l’FBI ha completato l’inchiesta sulle email di Hillary Clinton. Alla luce di alcuni fatti recenti, vi scrivo per integrare la mia testimonianza. Durante un’indagine su un caso non collegato a questo, l’FBI ha appreso dell’esistenza di email che sembrano pertinenti a quell’indagine. Vi scrivo per informarvi che abbiamo intrapreso i passi necessari alla revisione di queste email, per capire se contengono informazioni riservate e se sono rilevanti ai fini dell’indagine. Per quanto non possiamo ancora dire se si tratti o no di materiale importante, né prevedere quanto tempo sarà necessario per esaminarlo, credo sia importante aggiornarvi alla luce della mia precedente testimonianza. Poco dopo Comey ha anche inviato una lettera ai dipendenti dell’FBI per spiegare perché si è sentito in dovere di aggiornare il Congresso sull’indagine in corso (una cosa che l’FBI non è tenuta a fare e che di solito non fa). Comey ha scritto: «Credo che non farlo sarebbe stato scorretto nei confronti del popolo americano. Allo stesso modo, dato che non sappiamo ancora se questo materiale sia rilevante o no, non voglio dare impressioni sbagliate. Volevo che lo sapeste direttamente da me proprio per il rischio di essere fraintesi, dato che ci troviamo in mezzo a una campagna elettorale». E quindi? L’FBI non ha dato molti elementi per capire se e quanto la nuova indagine è una cosa grossa, che potrebbe rappresentare un problema serio per Clinton. Tutte le informazioni in più arrivano in modo non ufficiale, da fonti nell’FBI dei principali giornali statunitensi. Dicono che le nuove email sono state trovate nel corso dell’inchiesta dell’FBI su Anthony Weiner, ex politico di successo che negli ultimi anni è stato coinvolto in moltissimi scandali sessuali. Weiner è marito (anche se i due stanno divorziando) di Huma Abedin, storica assistente personale di Hillary Clinton. I giornali americani scrivono che l’FBI sta indagando Anthony Weiner perché sarebbe sospettato di aver mandato fotografie del suo pene a una quindicenne, con cui avrebbe avuto una specie di relazione online. Nel corso di quest’indagine è stato sequestrato un computer portatile che veniva utilizzato a casa sia da Weiner che da Abedin. Le email di cui si parla – che sarebbero migliaia, vecchie o nuove – sarebbero state trovate dentro questo portatile. Alcuni scrivono che sono email in cui Abedin parla di cose di lavoro ma non con Clinton, altri dicono che sono email in cui Abedin parla di cose di lavoro con Clinton, altri ancora dicono che sono email già esaminate. Non sono però fonti ufficiali, e non c’è quindi modo di sapere con certezza di quante mail si tratti e di cosa parlino quelle mail. Perché l’FBI ha fatto quello che ha fatto? Comey ha detto di aver deciso di far sapere dell’indagine per una questione di trasparenza. Il problema è che senza sapere nient’altro sull’indagine non c’è modo per gli elettori americani di farsene un’opinione fondata. Donald Trump ha subito attaccato Clinton, e Clinton ha subito attaccato Comey, che ha 55 anni ed è a capo dell’FBI dal 2013, quando fu scelto da Barack Obama. In precedenza era stato un funzionario governativo nominato da Geroge W. Bush al Dipartimento della Difesa. È quindi stato scelto sia da un Democratico che da un Repubblicano per ruoli importanti e nella sua storia personale non ci sono elementi per poterlo posizionare particolarmente vicino a Trump o Clinton. In molti ritengono sbagliata la sua decisione di parlare dell’indagine senza dirne granché, in pochissimi credono che dietro la sua indagine ci sia un chiaro scopo politico: se avesse voluto mettere in difficoltà Clinton avrebbe per esempio potuto non chiudere l’indagine di luglio, e invece decise di farlo. Quando si saprà qualcosa in più? Non si sa. Clinton ha chiesto all’FBI di diffondere tutte le mail relative all’indagine, perché «è nell’interesse del popolo americano conoscere tutti i fatti immediatamente». Trump – che in passato aveva molto criticato Comey per come aveva gestito l’indagine su Clinton – ha detto di avere «grande rispetto per l’FBI per avere avuto il coraggio di correggere il terribile errore che avevano fatto» e che quello delle mail di Clinton è il più grande scandalo della politica statunitense dai tempi del Watergate. È però indubbio che una situazione di questo tipo – con poche cose certe e tante ipotesi non confermabili – avvantaggi Trump, che fino a qualche giorno fa sembrava praticamente spacciato. Che conseguenze avrà, nell’immediato? Francesco Costa ha spiegato nella sua newsletter sulle elezioni americane: Quel che è certo è che gli elettori indecisi in questi giorni sentiranno parlare soprattutto di una storia che rinforza gli oppositori di Clinton e chi pensa sia disonesta e inaffidabile. Che agli elettori di destra scontenti di Trump sarà ricordato quanto non gli piace Clinton, e alcuni potrebbero essere invogliati a turarsi il naso e votare Trump piuttosto che farla vincere. Che gli elettori di sinistra che avrebbero votato Clinton senza entusiasmo potrebbero essere ulteriormente scoraggiati: anche perché Clinton è ancora in grande vantaggio nei sondaggi, quindi potrebbero pensare che il loro voto non è nemmeno necessario per fermare Trump. Potrebbero dire: «A me non piace, la voterei solo per fermare Trump: a questo punto non la voto, tanto vincerà comunque». Tanto più che i sondaggi ci metteranno almeno tre o quattro giorni ad assorbire le conseguenze di questo colpo di scena, e tra dieci giorni si vota. Dall’altro lato, è vero anche che dopo due anni di campagna elettorale la grandissima maggioranza degli elettori ha già deciso cosa pensare dei due candidati, ed è difficile che questa storia – peraltro non completamente nuova: da mesi si parla di queste benedette email – sposti un numero significativo di voti. Inoltre, anche nei suoi momenti migliori, anche quando Comey disse che Clinton era stata irresponsabile nella gestione delle email, Trump non è mai andato stabilmente in testa alla media dei sondaggi nazionali: e oggi è ancora piuttosto indietro. *** REPUBBLICA.IT WASHINGTON - La notizia scuote alle fondamenta ogni certezza sulla corsa alla Casa Bianca. E anche Wall Street trema. L’Fbi ha riaperto le indagini sull’uso di un account privato di posta elettronica da parte di Hillary Clinton quando era Segretario di Stato, sulla base di nuove e-mail venute allo scoperto. Lo rende noto il direttore dell’agenzia, James Comey, in una lettera ai membri del Congresso. "L’Fbi - si legge - potrebbe intraprendere gli appropriati passi investigativi" per esaminare le "mail potenzialmente rilevanti", in particolare se contengano "informazioni classificate". Nella lettera Comey osserva doverosamente come l’Fbi non possa ancora dire che la corrispondenza di Hillary Clinton sia "significativa" né quanto tempo impiegherà per analizzarla. Cautele che non arginano il pensiero che adesso attraversa la mente degli americani: se l’Fbi irrompe così pesantemente nelle presidenziali, deve avere scovato qualcosa di veramente grave. Il direttore dell’Fbi James Comey ha spiegato con una lettera ai dipendenti del bureau le ragioni della comunicazione al Congresso con cui ha reso noto la riapertura di fatto dell’inchiesta relativa alle mail di Hillary Clinton affermando di aver "sentito un obbligo" ad agire in questo senso. "Naturalmente di solito non parliamo al Congresso delle indagini in corso, ma in questo caso sento un obbligo a farlo considerato che negli ultimi mesi ho ripetutamente testimoniato che la nostra inchiesta era conclusa. Credo inoltre che sarebbe fuorviante per il popolo americano non fornirne nota", si legge nella lettera ottenuta da diversi media americani. Comey ha inoltre sottolineato la consapevolezza che vi sia il rischio di generare fraintendimenti, data la necessità di bilanciare le informazioni in una comunicazione breve e considerata la tempistica "nel mezzo di una stagione elettorale". L’ANALISI DI RAMPINI: FBI, INCHIESTA INQUIETANTE "L’Fbi è venuta a conoscenza"delle nuove mail "gestendo un caso non collegato" spiega ancora Comey nella missiva al Congresso che non chiarisce da dove provengano le mail di Hillary Clinton che hanno indotto l’Fbi a riaprire l’indagine, né chi le abbia inviate o ricevute. Secondo il New York Times, che cita fonti investigative, le nuove mail sono state scoperte sui dispositivi elettronici che l’Fbi ha sequestrato a una collaboratrice di Hillary Clinton, Huma Abedin, e a suo marito, l’ex membro del Congresso Anthony Weiner, dal 2011 coinvolto ripetutamente in scandali a sfondo sessual-telematico. Il più recente esplode lo scorso settembre, quando una ragazza di 15 anni del North Carolina rivela la relazione con il politico in un’intervista al Daily Mail. Weiner finisce con l’essere indagato dall’Fbi e dalla polizia di New York per aver scambiato con la minorenne un messaggio di contenuto esplicitamente sessuale. Sempre a settembre il procuratore federale di New York, Preet Bharara, emette il mandato di sequestro dello smartphone e altri dispositivi elettronici di Weiner. Questo, dunque, il "caso non collegato" a cui Comey fa riferimento. Huma Abedin lo scorso agosto aveva annunciato la sua intenzione separarsi da Weiner. C’è poi un anonimo esponente dell’amministrazione americana "informato sui fatti" ma "non autorizzato a parlarne pubblicamente" che dichiara all’Ap che le mail che hanno portato l’Fbi a riaprire il caso "non provengono dall’account privato" di Hillary. Secondo questa fonte, la corrispondenza è emersa solo di recente e non in conseguenza dell’indagine federale condotta sulle interferenze degli hacker russi sulla campagna presidenziale. Alla notizia, al New York Stock Exchange la giornata vira inesorabilmente verso la chiusura in rosso: il Dow Jones perde lo 0,05% a 18.161,33 punti, il Nasdaq lo 0,50% a 5.190,10 punti e l’indice S&P500 lo 0,31% a 2.126,42 punti. Ma è un colpo durissimo soprattutto alle ambizioni presidenziali di Hillary Clinton, a dieci giorni dalle elezioni a cui si stava avvicinando col netto favore dei pronostici. Stando a quanto riportato da un giornalista della Cnn che viaggia al seguito della candidata democratica, Clinton e il suo staff apprendono della riapertura dell’inchiesta come chiunque altro, quando la notizia è resa pubblica. Atterrata a Cedar Rapids, nell’Iowa, dove fa tappa per un evento elettorale, Clinton rimane per almeno 25 minuti chiusa nell’aereo con il suo entourage. Pare che durante il volo non fosse disponibile il servizio wi-fi. Una volta scesa a terra, Hillary ignora le domande sull’inchiesta dell’Fbi letteralmente urlate dai giornalisti che l’attendono sulla pista, rispondendo con sorrisi e salutando con la mano. Poi al termine del comizio, finalmente risponde: ’Il popolo americano merita i fatti al completo, immediatamente’’. ’’E’ imperativo che l’Fbi spieghi. Sono sicura comunque che le nuove mail non muteranno le conclusioni già raggiunte dal Federal Bureau’’; lo scorso luglio, infatti l’Fbi aveva archiviato l’inchiesta escludendo responsabilità penali. ’Ho visto la lettera inviata al congresso dal direttore Comey. Mancano 11 giorni da quella che è forse l’elezione più importante delle nostre vite, il voto è già in corso, per cui il popolo americano merita di avere immediatamente i fatti al completo’’, ha detto Hillary Clinton prendendo la parola in conferenza stampa. ’’Lo stesso direttore Comey ha detto di non sapere se le mail cui si fa riferimento nella lettera siano rilevanti o meno - ha aggiunto -; io sono certa che qualsiasi esse siano non cambieranno le conclusioni raggiunte a luglio. E’ perciò imperativo che il bureau spieghi la questione e sollevi i quesiti che ritiene, senza ritardi’’. Usa 2016: nuove mail, Hillary evita le domande dei giornalisti Condividi Durante il comizio, Hillary afferma che "tutto può succedere, Trump può ancora vincere", senza fare riferimento diretto al meteorite Weiner che, dopo aver orbitato per cinque anni nel gossip della politica, rischia di travolgere anche lei fino a farla affondare. E’ stato per primo capo della sua campagna elettorale, John Podesta, a sua volta al centro di un caso di mail violate dagli hacker e diffuse da Wikileaks, a chiedere all’Fbi "di rivelare più informazioni" sulle mail e sulla loro scoperta perché "lo deve al popolo americano". Deciso a raffreddare il clima attorno a Hillary, Podesta si dice anche fiducioso in una "nuova inchiesta dalle conclusioni non diverse da quella chiusa in luglio" con la non incriminazione dell’ex Segretario di Stato. Dalla Casa Bianca un portavoce fa sapere che l’amministrazione non è stata "preventivamente avvertita" dall’Fbi di quanto stesse incombendo, sottolineando poi che "l’inchiesta non pregiudica il sostegno di Obama a Hillary". Il Dipartimento di Stato si dice pronto a offrire "piena collaborazione" all’indagine dei federali. E lo speaker repubblicano della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, rinnova la richiesta ai vertici dell’intelligence americana di interrompere il flusso di informazioni classificate indirizzato a Hillary Clinton in qualità di candidata alla presidenza degli Usa "finché la vicenda non sia stata chiarita". Usa 2016, Trump e le nuove mail di Hillary: "L’FBI rimedia ai suoi errori" Condividi Poche ore prima della lettera di Comey, il candidato repubblicano Donald Trump dall’Ohio insisteva ancora sull’apertura di un’inchiesta federale su di lei. Desiderio finalmente esaudito e corsa alla successione di Obama che torna in gioco. E’ praticamente in diretta, durante un comizio a Manchester, in New Hampshire, che Trump annuncia la riapertura dell’indagine, accolta dall’ovazione dei suoi sostenitori. "Ho grande rispetto per il coraggio dimostrato dall’Fbi nel correggere il terribile errore commesso" in precedenza sulle mail di Clinton, dice Donald, accusando la rivale democratica di "corruzione su una scala mai vista prima" e di voler "portare il suo schema criminale nello studio ovale. Questo caso è peggio del Watergate". La regista della sua campagna elettorale, Kellyanne Conway, esulta su Twitter: "Un grande giorno della nostra campagna è appena diventato anche migliore". Per Donald Trump, le mail di Hillary Clinton sono "il più grande scandalo politico dal Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta". Il candidato repubblicano ha sottolineato che l’Fbi non avrebbe fatto questo passo se non lo avesse ritenuto necessario. "La giustizia prevarra’", ha aggiunto il tycoon. Il presidente del Repubblican National Committee, Reince Preibus, non usa giri di parole. "L’Fbi che decide di riaprire l’inchiesta a dieci giorni dalle elezioni è una chiara indicazione di quanto grave deve essere quello che ha scoperto". Quindi, l’accusa diretta a Hillary Clinton di aver "messo a repentaglio informazioni classificate", una "leggerezza" per la quale "dovrebbe essere squalificata" dal ruolo di candidata alla Casa Bianca. E, come se non bastasse, arriva un’altra tegola sulla famiglia Clinton. Secondo fonti di stampa Hillary e Bill Clinton hanno di recente ristrutturato una proprietà immobiliare senza aver ottenuto i permessi necessari. Stando a quanto riferisce ’The Journal News’ la casa è stata acquistata lo scorso agosto per 1,6 milioni di dollari ed è ubicata proprio accanto alla residenza della candidata alla Casa Bianca e dell’ex presidente a Chappaqua nei pressi di New York. Avrebbero successivamente reso agibile una piscina, rinnovato la cucina e installato illuminazione ma tutto senza i dovuti permessi. Le autorità competenti avrebbero anche inviato sul posto un ispettore lo scorso 5 ottobre dopo aver ricevuto una lamentela GAGGI SUL CORRIERE DI STAMATTINA NEW YORK Un’altra, devastante «october surprise»: l’Fbi riapre l’inchiesta sulle email di Hillary Clinton quando era Segretario di Stato e la più incredibile e tormentata campagna elettorale del dopoguerra prende una piega ancor più drammatica. A 11 giorni dal voto il capo dei federali, James Comey, l’uomo che aveva archiviato l’indagine sostenendo che la candidata democratica alla Casa Bianca era stata sbadata, ma non aveva commesso reati criminali, ha informato il Congresso che le cose sono cambiate: «Da un’indagine non correlata con questo caso è emerso che esistono altre email significative, riguardanti il nostro caso. È, quindi, opportuno riaprire l’inchiesta per verificare se queste email contengono informazioni “top secret” e la rilevanza del caso. Non sono in grado di prevedere quanto tempo sarà necessario per questi accertamenti». Appena il presidente della Commissione giustizia del Senato rende nota la lettera, la Borsa e il dollaro scivolano, mentre Donald Trump esulta. Davanti a una platea di fan quanto mai galvanizzati, in New Hampshire, il miliardario scandisce: «C’era stato un aborto della giustizia, ora l’Fbi corregge l’errore orribile che aveva commesso. Dobbiamo impedire a questo personaggio corrotto a un livello mai visto prima in America di portare i suoi schemi criminali dentro lo Studio ovale» della Casa Bianca. Un balsamo, la decisione senza precedenti dell’Fbi, per la claudicante campagna del candidato repubblicano, fino a ieri incamminato verso la sconfitta, secondo gran parte dei sondaggi. E un macigno sulla strada della vittoria per Hillary che si è accorta in ritardo della gravità del caso perché, quando è esploso, era in volo col team della sua campagna e i giornalisti al seguito su un aereo privo di connessione wi-fi. Nessun commento dopo l’atterraggio a Cedar Rapids, nello Iowa. Molte le domande senza risposte che si sono affastellate in pochi minuti: perché una mossa così dirompente da un uomo equilibrato e rispettato come Comey? Cosa c’è nei nuovi messaggi? Dove sono stati trovati e chi li ha fatti emergere a pochi giorni dal voto? La sensazione è che nei documenti ci siano informazioni rilevanti per l’indagine, altrimenti Comey, un giurista di estrazione repubblicana (fu viceministro della Giustizia di George Bush) scelto da Barack Obama per guidare l’Fbi, verrebbe accusato di interferire in modo inaccettabile nel processo elettorale. Ma il modo in cui tutto questo è accaduto e gli sviluppi possibili non sono chiari: Comey ha detto di essere stato informato delle nuove scoperte la sera prima dal suo team investigativo e di aver subito deciso per la riapertura del caso. Chi sono questi investigatori? E cosa hanno trovato? Forse non lo sapremo prima del voto visto che un’inchiesta dei federali conclusa in meno di due settimane non si è mai vista. Adesso si è aperta la caccia alle email e nella stagione dei «leaks» sono prevedibili indiscrezioni quotidiane. Le prime dal New York Times : le nuove email verrebbero dallo scambio tra Huma Abedin, l’assistente di Hillary, e suo marito Anthony Weiner, travolto da un scandalo per l’invio di foto a sfondo sessuale in rete. I messaggi sarebbero emersi nell’indagine sulle molestie di Weiner a una 15enne. C’è anche la pista del New York Post, per il quale le 33 mila email segrete cancellate «per errore» dagli assistenti della Clinton non sarebbero state distrutte. Gli uffici di Hillary le avrebbero eliminate dal «veicolo» usato in rete, ma chi le ha cancellate, privo dei poteri informatici dell’amministratore del sistema, non le ha eliminate anche dalla «mailbox» del «server». Investigatori sbadati non si sarebbero accorti di questa possibilità. Altri, magari interessati, si sarebbero svegliati ora: il finale di questa brutta campagna è sempre più melmoso. Per fare luce alcuni democratici e Carl Bernstein, il giornalista eroe del Watergate, auspicano che il Congresso chieda e ottenga rapidamente chiarimenti dall’Fbi su ciò che è stato fin qui trovato. M. Ga. Difficile misurare l’impatto del nuovo caso sugli umori degli elettori negli Stati-chiave per il voto, anche perché i vasi continuano a esplodere, uno dopo l’altro. Ma, anche se la Clinton riuscirà a spuntarla l’8 novembre, come affermato dai sondaggisti, il dopo voto si presenta sempre più oscuro: da tempo la stampa registra i propositi insurrezionali di molti supporter di Trump che si dichiarano pronti a tutto pur di impedirle di prendere il potere. L’inchiesta dell’Fbi alimenta questi propositi e indebolisce ulteriormente, oltre a Hillary, l’immagine della democrazia Usa. Una costruzione solida nella quale si sono aperte crepe, ora in balìa di un populista che ha «sequestrato» il partito repubblicano e di una ex first lady arrogante e pasticciona. E ora anche, a quanto pare, di manovratori oscuri e di un mezzo maniaco sessuale, marito della sua assistente, che avrebbe rivelato segreti di Stato mentre adescava una quindicenne. MASTROLILLI SULLA STAMPA DI STAMATTINA L’Fbi riapre il caso delle mail di Hillary I file sospetti trovati nel telefono di Anthony Weiner, ex marito dell’assistente Huma Abedin Trump: forse sarà fatta giustizia. La campagna della democratica: non uscirà nulla di nuovo L’Fbi riapre l’inchiesta sulle mail private di Hillary Clinton, facendo esplodere una bomba elettorale a dieci giorni dalle presidenziali. Questa rivelazione può avere due effetti: influenzare il risultato in favore di Trump, o esporre gli Usa al rischio di eleggere un capo della Casa Bianca che subito dopo potrebbe essere incriminato. Un incubo per gli Stati Uniti, dove infatti Wall Street e il dollaro hanno perso terreno. Quando era segretaria di Stato, Clinton aveva usato un server privato per le sue mail. Lei sosteneva di averlo fatto per convenienza, mentre i repubblicani l’accusavano di aver cercato di nascondere così gli interessi privati che coltivava mentre era al governo, ad esempio favorendo la Foundation del marito Bill, oppure di cancellare gli errori commessi nel caso dell’assalto al consolato di Bengasi. L’Fbi ha condotto un’inchiesta durata un anno e mezzo, e a settembre l’aveva chiusa senza incriminare nessuno. Il direttore Comey aveva rimproverato a Hillary e ai suoi collaboratori un comportamento «estremamente irresponsabile», perché le mail transitate sul server privato contenevano in parte informazioni segrete, ma non aveva scoperto le prove di reati. Ieri però ha inviato una lettera ai leader del Congresso, per informarli del nuovo sviluppo: «In connessione con un caso non collegato, l’Fbi ha saputo dell’esistenza di mail che appaiono pertinenti all’inchiesta. Gli investigatori mi hanno informato di questo ieri, e io ho concordato che è appropriato compiere passi per esaminare le mail, determinare se contengono informazioni segrete, e valutare la loro importanza per l’inchiesta». Quindi Comey ha aggiunto: «L’Fbi non è ancora in grado di valutare se questo materiale è significativo, e non posso prevedere quanto tempo servirà per completare il lavoro». Le nuove mail sono state trovate in un apparecchio di Anthony Weiner, ex marito dell’assistente di Clinton Huma Abedin, sotto inchiesta criminale per aver scambiato messaggi a sfondo sessuale con una minorenne. Donald Trump ha subito sfruttato l’occasione: «Forse finalmente verrà fatta giustizia». John Podesta, leader della campagna di Hillary, ha commentato così: «Il direttore dell’Fbi deve immediatamente informare gli americani sui dettagli di cosa sta esaminando. Siamo sicuri che non produrranno nulla di nuovo». [p. mas.] BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 2 di 2 ANCORA MASTROLILLI SU STAMPA «In Florida hanno già votato 133.000 ispanici, cioè un aumento del 99% rispetto ai livelli di quattro anni fa. Continuiamo così, e la vittoria a novembre non potrà sfuggirci». Non sta facendo propaganda, Hillary Clinton, quando rivela queste cifre ai propri collaboratori. Mi hanno invitato a partecipare ad una conference call che la candidata democratica alla Casa Bianca ha programmato con gli operativi ispanici del partito, e quindi lo scopo di questa conversazione non è fare “spin”, ma dirsi esattamente come stanno le cose per definire la strategia da seguire negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale. Clinton comincia con i temi politici, che secondo lei fanno la differenza tra la sua candidatura e quella di Trump: «Come prima cosa, dobbiamo insistere sul fatto che il nostro obiettivo è costruire un’economia che dia lavoro e funzioni per tutti, non solo per le persone in cima alla scala sociale. Chi ha a cuore questo messaggio non può votare per Trump». È il primo punto sottolineato da Hillary, anche perché le serve a consolidare la base, convincendo gli elettori più scettici di sinistra che durante le primarie hanno appoggiato Bernie Sanders. Su questo aspetto stanno creando scompiglio le rivelazioni di Wikileaks, perché le ultime mail pubblicate descrivono i tentativi fatti dal braccio destro di Bill, Doug Band, per usare la Foundation di famiglia allo scopo di convogliare affari personali verso l’ex presidente. Brutta storia, per una candidata accusata di stare nelle tasche dell’establishment economico e politico. Il secondo messaggio di Hillary è rivolto all’elettorato latino: «Dobbiamo accogliere tutti gli immigrati e celebrare la nostra diversità, non consentire rastrellamenti e deportazioni di massa che dividono le famiglie». A questo fa seguire un altro segnale destinato ai cattolici ispanici, perché sembra preso direttamente dalle parole di Papa Francesco: «Bisogna costruire ponti, non muri, per far crescere il nostro paese e risolvere i problemi dell’instabilità globale». Copiando il linguaggio del Pontefice, Clinton spera di superare le polemiche legate alle mail di Wikileaks in cui alcuni suoi consiglieri parlavano della necessità di favorire una «primavera liberal» all’intero della Chiesa. A ciò si lega anche il messaggio lanciato all’Europa e alla Nato: «I successi in politica estera si costruiscono lavorando con gli alleati, non insultandoli e alienandoli». Definiti i punti politici su cui insistere, Hillary discute nei dettagli lo stato della corsa alla Casa Bianca: «In Florida hanno già votato 133.000 ispanici, e questo rappresenta un incremento del 99% rispetto ai livelli di quattro anni fa». Sta parlando delle zone democratiche, intorno a Orlando e Miami, e quindi il segnale per lei è molto positivo. Poi aggiunge: «Anche in North Carolina, Iowa e Virginia le notizie sull’ early voting (voto anticipato, ndr) sono incoraggianti: c’è stato un aumento dei votanti del 20%, nelle aree dove siamo favoriti. Nel Nevada, poi, durante il primo giorno di apertura anticipata dei seggi hanno votato 50.000 ispanici, in una zona dove alle ultime elezioni i democratici hanno preso il 55% e i repubblicani il 27%». La notizia più sorprendente, però, viene dall’Arizona, stato finora sicuro per i repubblicani: «Hanno già votato 300.000 persone, ma con una grande differenza. Nel 2012, in questa fase anticipata delle elezioni Romney aveva un vantaggio di 21.000 voti su Obama, mentre oggi siamo noi ad essere avanti di mille voti». Un’opportunità inattesa, che Hillary cercherà di sfruttare tenendo un comizio a Phoenix il 2 novembre. Nello stesso tempo la campagna di Clinton, che ha in banca 153 milioni di dollari ancora da spendere contro i 68 di Trump, non ha notato l’aumento delle registrazioni degli astensionisti su cui contava Donald per ribaltare i pronostici degli ultimi sondaggi, affidandosi al «voto segreto» che secondo lui può ancora cambiare il risultato. «Ora il nostro nemico – conclude Hillary salutando i partecipanti alla call – è il calo di tensione. Dobbiamo continuare a lavorare con questa intensità, per garantire la vittoria. Grazie a tutti, ho bisogno del vostro aiuto». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 3 di 3 *** Hillary Clinton: dal Sexgate al Mailgate, una vita a contrastare scandali Dal Sexgate al Mailgate, passando dallo scandalo Whitewater e della vicenda di Bengasi: sono innumerevoli le volte che Hillary Clinton, in decenni di vita pubblica e politica a Washington, si è trovata a doversi difendere con tutte le sue forze per sopravvivere ad uno scandalo. Ed anche questa volta la candidata democratica alla Casa Bianca sembra destinata ad una lotta all’ultimo colpo in questa ultima settimana di campagna elettorale per tentare di riuscire, nonostante l’insidia della riapertura dell’inchiesta Fbi sulle sue mail, a diventare ’Madam President’, la prima donna presidente degli Stati Uniti. Nata a Chicago il 26 ottobre 1947 Hillary Diane Rodham è una studentessa modello, membro del debate team, le squadre che nelle scuole americane si sfidano in dibattiti, preconizzando il suo futuro di avvocato e di politico. In quegli anni di teenager, Hillary si considera una repubblicana, come il padre Hugh - la mamma Dorothy invece era democratica, ha scritto Clinton in "Living History" - e nel 1964 sostiene la candidatura di Barry Goldwater, il senatore dell’Arizona che sfidò il presidente Lyndon Johnson per la Casa Bianca. Ma proprio preparandosi per un dibattito al liceo contro i democratici, ha raccontato ancora Clinton nel libro, si informò sul presidente democratico, che fece approvare le leggi sui diritti civili, e cominciò a cambiare posizione. Poi partì per il prestigioso Wellesley College, l’università femminile diventata la roccaforte del pensiero liberal e femminista, e Hillary si spostò completamente a sinistra, impegnandosi nel movimento politico studentesco. Diventa una leader della sua università, se nel 1969, anno della sua laurea, viene scelta da Life per un servizio fotografico insieme ad esponenti di quella ’class of 69’ protagonista di una stagione importante di proteste e trasformazione nelle università e nel Paese. "Stiamo mettendo in discussione tutte le nostre istituzioni, le nostre università, le nostre chiese, il nostro governo", diceva Hillary nel suo discorso di laurea. Da Wellesley alla Law School in un’altra università prestigiosa, Yale, dove incontra Bill Clinton, un altro giovane di talento e carismatico, studente di giurisprudenza che arriva dalla lontana Hope, in Arkansas. Su uno dei matrimoni e sodalizi politici più resistenti della storia - la coppia veniva chiamata Billary negli anni novanta - sono circolate moltissime voci e leggende. Ma nel discorso alla convention di Filadelfia che ha incoronato la moglie candidata alla Casa Bianca, Bill la scorsa estate ha raccontato la versione ufficiale del loro primo incontro, rappresentandosi come un timido ed intimorito studente che per settimane aveva cercato di avvicinarsi ed attaccare bottone con la compagna di corso. Ed alla fine fu lei a fare il primo passo: "Sono Hillary Rodham, e tu chi sei? Al momento rimasi senza parole", ha raccontato l’ex presidente famoso per la sua facilità di parola e il suo charme con le donne. Poi ci sono state le lezioni seguite insieme, la visita al museo di Yale: "E’ da allora che ridiamo, parliamo, camminiamo insieme, nei tempi buoni e quelli cattivi, nella gioia e nel dolore", ha rivendicato Bill, sorvolando sui dettagli dei tempi difficili, la serie infinita delle scappatelle e dei tradimenti culminata con il Sexgate, l’incredibile vicenda Lewinsky, la vergogna di un processo di impeachment - il primo della storia - per aver mentito su una relazione sessuale con una stagista nello Studio Ovale. "Ho sposato la mia migliore amica", ha concluso alla convention Bill, parlando di Hillary che gli è sempre rimasta al fianco, come nella canzone ’stand by your man’. Ed al fianco di Bill, l’avvocato Rodham Clinton - i due si sposano nel 1975 - vola in Arkansas, dove nel 1978 il marito diventa governatore. Ma Hillary non fa la moglie del governatore, anzi poco dopo l’elezione di Bill, diventa partner del Rose Law Firm, lo storico studio legale di Little Rock dove era entrata come prima donna ’associate’, che fu poi coinvolto nelle complesse trame della vicenda Whitewater, lo scandalo sugli investimenti immobiliari in Arkansas che aprì le danze di tutta la serie di scandali, ’gates’, inchieste speciali che tormentarono i Clinton per tutti i due mandati di Bill alla Casa Bianca. Anche perché alcune delle figure che furono poi coinvolte in quello scandalo - che alla metà degli anni novanta portò ad una serie di processi a Little Rock ed anche alle dimissioni del successore di Clinton alla guida dell’Arkansas, Jim Guy Tucker - si erano trasferite alla Casa Bianca, dopo la vittoria di Clinton che 1992 sconfisse George Bush padre negandogli un secondo mandato. Come Vincent Foster, collega di Hillary al Rose Law Firm e suo amico personale, diventato vice capo dell’ufficio legale della Casa Bianca, che fu trovato morto in un parco di Washington nell’estate del 1993. Le autorità stabilirono che si trattò di suicidio, ma per anni sono circolate teorie complottiste, che coinvolgevano ovviamente anche i Clinton. E sulla morte di Foster indagò anche Kenneth Starr, il procuratore speciale, vero e proprio inquisitore a cui nel 1994 fu affidato l’incarico di verificare l’eventuale coinvolgimento dei Clinton nel Whitewater. E dalla costola della sua inchiesta-monstre nacque il Sexgate, che Hillary, in una famosa intervista del 1998, dichiarò essere il frutto di una "ampio complotto della destra". Prima ancora degli scandali, Hillary era arrivata alla Casa Bianca intenzionata ad interpretare in modo radicalmente diverso il ruolo di first lady, più politico, con Bill che agli elettori prometteva che avrebbero avuto due presidenti "al prezzo di uno", appunto Billary. Ma tutto questo, forse, era ancora troppo per l’America, che non era pronta ad una first lady che pubblicamente rivendicava il diritto a conservare una propria autonomia, indipendenza professionale anche alla Casa Bianca. Il primo passo falso fu infatti la famosa intervista dei cookies ("sarei potuta rimanere a casa a cuocere i biscotti, ma ho deciso di realizzarmi nella mia professione, che ho iniziato prima che mio marito venisse eletto"). E poi l’incarico ufficiale che il presidente le diede, poco dopo l’insediamento, di stilare un’ambiziosa riforma del sistema sanitario (che sognava l’assistenza universale a cui poi si è avvicinato l’Obamacare), progetto che fallì clamorosamente. Anche per l’insofferenza da parte di un Congresso che si sentì bypassato dalla first lady. Probabilmente vanno ricercate allora, forse ancora più che nella più clamorosa stagione degli scandali, le radici di quell’animosità, antipatia, diffidenza che Hillary ha sempre suscitato in una parte dell’America, anche tra le donne che si sentirono offese da quella caratterizzazione negativa della ’staying home mom", la mamma che lavora a casa. E forse anche in quegli anni, mentre Clinton accetta un ruolo più tradizionale da first lady - mantenendo l’accento sempre sulla difesa dei diritti delle donne, come lei stessa ha ricordato con la partecipazione alla conferenza di Pechino del 1995 - comincia a maturare la decisione di una carriera politica in proprio. Nel febbraio del 2000 - esattamente un anno dopo che Bill fu assolto nel processo di impeachment e quando si accingeva a chiudere il secondo mandato con il tasso di popolarità nonostante tutto alle stelle - Hillary annuncia la candidatura al seggio del Senato nello stato di New York. "Forse posso essere appena arrivata in questa zona - disse Clinton, che fu criticata per essersi candidata, lei nata a Chicago, e poi passata da Little Rock alla Casa Bianca, in uno stato dove aveva preso la residenza solo qualche mese prima - ma le vostre preoccupazioni non sono nuove per me: la politica è l’arte di rendere possibile quello che sembra impossibile, ed è per questo che voglio essere vostro senatore". Così nel gennaio del 2001, lasciata a George e Laura Bush la Casa Bianca, Hillary si insedia al Senato, dove viene poi riconfermata nel 2006. Tra i tanti voti espressi durante i suoi otto anni trascorsi al Senato, quello che continua a perseguitare Hillary è quello icon cui nel 2002 si diede l’autorizzazione a Bush di attaccare l’Iraq. Quel voto in favore della guerra che la maggioranza degli americani non voleva più, fu infatti una delle carte vincenti di Barack Obama, il giovane e praticamente sconosciuto neo senatore dell’Illinois che nelle primarie del 2008 ostacolò il cammino di Clinton verso quella che sembrava una nomination annunciata. Dopo una durissima battaglia per le primarie, l’America ebbe il primo candidato, e poi presidente, afroamericano e decise che per la prima donna si poteva aspettare. Nonostante le ferite e le divisioni della campagna elettorale - durante un dibattito Clinton disse all’avversario ’shame on you Barack Obama’, vergognati - una volta chiusa la stagione delle primarie, Obama e Clinton mostrarono grande pragmatismo, disciplina e maturità politica. Così il presidente Obama chiamò la sua ex avversaria al suo fianco, affidandole l’incarico più importante dell’amministrazione, il posto di segretario di Stato. Durante i suoi quattro anni alla guida della diplomazia Usa, Clinton - che ha raccontato quegli anni nel libro "Hard Choices" con cui ha preparato la nuova campagna presidenziale - ha viaggiato in 112 Paesi, più di ogni suoi predecessore. Clinton ha guidato la risposta degli Stati Uniti alla Primavera Araba ed in particolare fu lei a convincere Obama, il guerriero riluttante, all’intervento militare in Libia. Una decisione che Clinton si è trovata a dover difendere più volte, di fronte al caos sempre crescente in cui è precipitato il Paese nordafricano, negli anni successivi ed ora durante la campagna elettorale. Ma a farla finire ancora una volta nel mirino dei innumerevoli inchieste del Congresso repubblicano - 10 commissioni al lavoro che hanno prodotto 13 rapporti al costo di 7 milioni di dollari dei contribuenti- è stata una vicenda dell’attacco al consolato Usa di Bengasi il 12 settembre 2012, in cui rimasero uccisi l’ambasciatore americano e 3 agenti dei servizi. Una vicenda tragica, segnata da confusione ed errori - che Clinton ha ammesso, senza nascondere la commozione per la morte delll’amico Chris Stevens, nel corso della deposizione di 13 ore al Congresso - da cui i repubblicani hanno comunque cercato in ogni modo una ’smoking gun’ per fermare la candidatura di Clinton. Come era successo ai tempi della presidenza del marito, è però da una costola dell’inchiesta di Bengasi che è nato lo scandalo più rischioso per Hillary, il famoso mailgate, cioè lo scandalo per l’utilizzo da parte della Clinton di un server di posta privato, invece che di quello governativo, quando era a Foggy Bottom. Uno scandalo che ora è riscoppiato, dopo che l’Fbi ha annunciato venerdì di aver riaperto l’incheista, come una sorta di pericolosa October Suprise. Anche qui la Clinton si è scusata, si è presa la responsabilità del proprio errore dettato da negligenza, ma si è difesa dall’accusa di aver voluto coprire sue attività o mettere a repentaglio segreti di stato. Nei mesi scorsi l’Fbi, pur definendo "molto negligente" il modo in cui l’ex segretario di Stato ha utilizzato informazioni riservate online, ha concluso che non vi siano prove di nessun comportamento illegale. Ma ora il direttore James Comey ha reso noto che vi sono nuovi elementi, nuove mail che devono essere indagate. La vicenda del mailgate, e soprattutto delle 30mila mail che Clinton avrebbe fatto distruggere perché personali prima di consegnare l’intero archivio al dipartimento di Stato, ha continuato ad essere usato dai suoi avversari. "Dovresti essere in prigione", le ha detto durante uno dei dibattiti Trump che spesso nei comizi viene acclamato dai suoi fan con lo slogan ’lock her up", mettiamola in cella. Il mailgate, come le polemiche per i discorsi alle convention delle corporation per i quali Clinton, lasciato il dipartimento di Stato, è stata pagata centinaia di migliaia di dollari, gli amici ricchi e potenti della Clinton Fondation sono stati però anche tra gli argomenti principali di un altro senatore, questa volta anziano ma capace di infiammare giovani e giovanissimi, che, con una replica di un copione implacabile, anche durante le primarie di quest’anno ha cercato di rovinare la festa della, seconda, nomination annunciata. Mentre a casa repubblicana Donald Trump sbaraglia ogni candidato dell’establishment, anche tra i democratici il 75enne Bernie Sanders, che si definisce ’socialista’ e da anni viene eletto come indipendente nel Vermont, riesce infatti in quello che fino a pochi mesi fa sembrava impossibile: costruire quella che lui ha definito una ’rivoluzione’, attirando milioni di voti di democratici, e vincendo così in molti stati, su una piattaforma esplicitamente di sinistra. Questa volta, però, il sogno della Clinton non viene bloccato, e la democratica diventa la prima donna candidata di un grande partito alla Casa Bianca. E che si trova davanti un candidato come Trump che, oltre alle posizioni anti-immigrate, razziste e xenofobe, sin dall’inizio della sua campagna si distingue per le uscite sessiste e misogine. Tanto che, soprattutto dopo lo scandalo scoppiato dopo la pubblicazione nelle scorse settimane del video in cui il candidato repubblicano si vanta di potersi permettere tutto con le donne perché famoso, l’otto novembre forse sarà proprio il voto delle donne, insieme a quello di ispanici ed afroamericani, decisivo per la vittoria di Clinton. Con Hillary alla presidenza non arriverebbe solo una madre ma anche una nonna: la figlia Chelsea infatti ha due bambini, Charlotte, di 2 anni, e Aidan, nato lo scorso giugno. E replicando a chi parla, in modo un po’ sessista, di ’grand mother in chief’, Clinton afferma che è stata proprio la nascita della nipotina a spingerla a candidarsi di nuovo alla Casa Bianca: "Diventare nonna mi ha fatto riflettere sulle responsabilità che abbiamo di guidare nel mondo che abbiamo ereditato e che dobbiamo lasciare, invece che farmi rallentare mi ha dato più grinta". IRAQ Tra i tanti voti espressi durante i suoi otto anni trascorsi come senatrice, quello che continua a perseguitare Hillary è quello con cui nel 2002 si diede l’autorizzazione a George W. Bush ad attaccare l’Iraq. Quel voto in favore della guerra fu poi una delle carte vincenti di Barack Obama nella sfida per la candidatura democratica alla Casa Bianca nel 2008. BISCOTTI «Sarei potuta rimanere a casa a cuocere i biscotti, ma ho deciso di realizzarmi nella mia professione, che ho iniziato prima che mio marito venisse eletto» (Hillary nel 1993).