Gino Gullace Raugei, Oggi 26/10/2016, 26 ottobre 2016
QUEL PRETE DEVE DIRE CIÒ CHE SA
[don Diego Lorenzi]
Roma, ottobre
Trentotto anni dopo, la misteriosa morte («per infarto», ha sempre sostenuto il Vaticano) di Albino Luciani, pontefice per soli 32 giorni e 33 notti resta un giallo. «Ma forse siamo ancora in tempo per avvicinarci alla verità», dice Alessio Grosso, giornalista scientifico, esperto del canale telematico meteolive.it, legato al Papa del sorriso da un rapporto particolare: lo incontrò da bambino, il 6 settembre del 1978, in Piazza San Pietro durante la prima udienza generale e ne ricevette un bacio; poi, appena 22 giorni dopo, rimase sconvolto dalla notizia che Giovanni Paolo I era «improvvisamente volato in cielo»; da allora lo studio del caso è per lui una vera e propria missione.
«UN GIORNO COME TUTTI»
«C‘è un uomo che sa e dovrebbe finalmente parlare», rivela Grosso. «Quest’uomo è don Diego Lorenzi, religioso dell’ordine di don Orione, per molti anni segretario personale di Albino Luciani, patriarca di Venezia, che da Papa lo volle con sé anche in Vaticano». Lorenzi dunque c’era quell’ultimo giorno e quell’ultima notte, ma non ha raccontato sempre la stessa verità. Il 29 settembre del 1979, un anno dopo la morte del Papa, in una lunga intervista concessa a Il Gazzettino, Lorenzi ricostruì minuziosamente l’ultima giornata del Santo Padre. «Quel 28 settembre del 1978», disse, «doveva essere una giornata come tutte le altre di quel caldo mese di fine estate: udienze private in mattinata, concesse a persone di cui egli conosceva già i nomi e, forse, anche i problemi che gli avrebbero sottoposto. Il pomeriggio», prosegue don Lorenzi, «vedevo il Papa occupato a leggere molto; quel giorno, verso le 17, salì in terrazza per poter combinare assieme la preghiera, la lettura e il moto fisico, un passaggio quasi quotidiano. Alle 18 e 30 ricevette in udienza il cardinale Villot, che si trattenne per oltre un’ora. Poco prima delle 20 eravamo in sala da pranzo per la cena. Terminato il pasto, il Santo Padre mi pregò di chiamare al telefono l’arcivescovo di Milano che avevo già contattato alle 19 e 30 e trovato fuori sede; mi assicurarono però che entro un’ora sarebbe rientrato da Cantù. Stabilii la conversazione col cardinale Colombo, annunciai il desiderio del Santo Padre e subito a questi passai la linea. Sull’apparecchio del mio studio comparve una spia luminosa che si spense alla fine della conversazione.
«Subito il Papa si affacciò alla porta del nostro studio augurandoci la buona notte... Spensi la luce alle 22 e 45. Erano le 5 e 45 quando mi sentii chiamare per nome... Corsi in camera del Santo Padre che era a letto, ben appoggiato ai cuscini, con la testa reclinata in basso, gli occhiali sul naso, la bocca leggermente aperta, le mani che reggevano saldamente alcuni fogli stampati».
«Nel 1986, Don Lorenzi», continua Grosso, «conferma l’identica versione dei fatti alla scrittrice tedesca Regina Kummer–, autrice del libro Una vita per la Chiesa, biografìa di Albino Luciani. Poi nel 1988 – colpo di scena – intervenendo alla trasmissione Giallo di Enzo Tortora – racconta tutta un’altra storia: nel pomeriggio del 28 settembre del 1978, verso le 15, Papa Luciani si era sentito male una prima volta avvertendo delle fitte al petto. Il malessere si era ripetuto verso metà della cena. “Alla nostra richiesta di convocare un medico”, disse Lorenzi, “ha risposto: mi sta passando, mi sta passando. E siccome la nostra educazione nel rispettare i superiori, tanto più un Papa, ci impediva di disobbedire, abbiamo ritenuto opportuno non chiamare il medico”».
BRUSCO E LACONICO
«Perché», dice Grosso, «don Diego Lorenzi ha taciuto per dieci anni un particolare così importante? E se il Papa era stato colpito da un malessere cardiaco rivelatosi poi fatale come può essersi recato in terrazza a fare moto per poi continuare fino a tardi il suo lavoro come se nulla fosse? E perché, quando alle 21.30 di quel giorno telefonò dal Veneto il dottor Antonio Da Ros, da oltre vent’anni medico personale di Albino Luciani, non gli fu rivelato nulla di quel malore e anzi il dottore disse poi che il Papa era sereno e stava bene? E perché, se anche il Papa non voleva essere visitato, non furono comunque avvisate le alte gerarchie vaticane?».
Proviamo a girare queste domande a don Diego Lorenzi, 77 anni, che rintracciamo presso un istituto religioso di Milano dove risiede da tempo. Ma lui ci congeda bruscamente. «Non parlo di Albino Luciani», ci dice. «Dopo tanti anni, per me è un caso chiuso». Ma Grosso non si rassegna: «Deve parlare».