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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

SORDI MI BACIAVA CON PASSIONE, MA A LETTO AVEVA POCA FANTASIA– [Patrizia De Blanck] Roma, ottobre Il pubblico che tanto amava, così come i suoi collaboratori, il personale dipendente e i giornalisti, non sanno quasi nulla della vita privata di mio zio Albertone – la mia parentela discende dalla mamma di Alberto Sordi, Maria Righetti – in quanto fece della riservatezza una ragione di vita

SORDI MI BACIAVA CON PASSIONE, MA A LETTO AVEVA POCA FANTASIA– [Patrizia De Blanck] Roma, ottobre Il pubblico che tanto amava, così come i suoi collaboratori, il personale dipendente e i giornalisti, non sanno quasi nulla della vita privata di mio zio Albertone – la mia parentela discende dalla mamma di Alberto Sordi, Maria Righetti – in quanto fece della riservatezza una ragione di vita. Per lui la privacy era fondamentale: proprio per questo motivo non ha mai voluto mostrare in tv o sui giornali la sua villa faraonica acquistata dopo anni di duro lavoro, una casa che per lui rappresentava il suo rifugio dalla folla; non ha mai raccontato pubblicamente i suoi amori così come non ha parlato della tanta beneficenza che ha fatto. Detestava anche l’ostentazione di lusso e ricchezza. Alle ostriche e allo champagne diceva sempre di preferire la bruschetta e un bicchiere di vinello fresco. Così anche i suoi amori sono rimasti un mistero tanto è vero che c’è pure chi ha ipotizzato che Alberto fosse gay. Ha cavalcato a suo favore sia la leggenda metropolitana dell’avarizia interpretando anche il film L’avaro sia il fatto di essere rimasto scapolo spiegandone i motivi con la celebre frase: «E che, me metto un’estranea dentro casa?». La fama di taccagno non la volle smentire perché, ci diceva, in quel modo nessuno lo avrebbe importunato. E non si sposò per evitare di sottrarre energie preziose alla sua professione: «Se mi sposassi», ci diceva, «sarei un pessimo marito e un pessimo attore». Ricordo che a una cena, negli anni Ottanta con i miei genitori e mio nonno, Alberto si mise a parlare di arte dato che mio padre aveva appena terminato una sua mostra a Parigi e lui era un grande collezionista di opere d’arte nonché amico di tanti artisti. Mio padre fece il nome di un suo caro amico pittore, Dario De Blanck, allievo di Marc Chagall. Anche Alberto lo conosceva e ci raccontò di una ragazza nobile, bellissima e ricchissima, con occhi verdi magnetici, che incontrò alla fine degli anni Sessanta. Con questa ragazza aveva avuto una appassionata love story. Si trattava della sorella di Dario, Patrizia De Blanck. Da sempre Patrizia fa parte del jet set internazionale. La sua villa di Montecarlo era frequentata da Churchill e Chagall. Nella sua biografia A letto col diavolo, scritta con Matilde Amorosi, Patrizia parlò di alcuni dei suoi amori: Alfonso di Borbone, Warren Beatty, Yves Montand, Mohamed Al Fayed, Walter Chiari, Raul Gardini e Farouk Chourbagi, un miliardario egiziano che, a Roma, fu ucciso per gelosia dalla sua ex amante Bebawi, che aveva lasciato proprio per la contessa. Nel suo libro, Patrizia accennò anche alla love story con mio zio Albertone, ma senza entrare nei dettagli. Dato che nessuno, a eccezione di alcuni noi parenti, conosce la vita privata di Alberto, ho chiesto a Patrizia di svelarla in esclusiva per Oggi. Patrizia, come fu il tuo primo incontro con Alberto? «Ci incontrammo per la prima volta alla fine degli anni Sessanta nella villa di Dino De Laurentiis a Cap-Ferrat, dove lui mi fece una corte serrata. Poi ci rivedemmo a Londra. Fu molto galante, ci prendemmo qualcosa da bere, parlammo tanto di Roma, di Londra...». E poi... «Mi accompagnò in camera e in corridoio mi saltò quasi addosso. Non mi aspettavo un approccio così irruento. Ricordo che rimasi perplessa. Aveva un modo di baciare molto passionale. Quante risate che mi sono fatta con Alberto, mi faceva ridere pure a letto. Anzi, proprio a causa delle risate una volta siamo caduti sulla moquette». Come era l’Alberto seduttore? «A letto aveva poca fantasia, era molto tradizionalista, non amava sperimentare. Una sera ordinai lo champagne sperando che le bollicine potessero aiutarlo nella fantasia. Poi gli dissi che doveva togliersi il vizio di portare i pantaloni ad altezza ombelicale come faceva sempre lui. Lo trovavo antierotico. Gli dissi che non aveva il pannolone per incontinenti e che quindi doveva portare i calzoni sui fianchi. Riconosco che fosse un bell’uomo, ma non era proprio il mio tipo. Lui puntava sulla simpatia: fu quella a colpirmi. Mi svelò che in genere preferiva donne importanti, più grandi di lui e dominanti. A differenza della maggior parte degli uomini, per lui il sesso non era un’esigenza primaria in quanto poteva distrarlo dalla sua carriera». Alberto amava frequentare i potenti e la nobiltà... «Era incuriosito dal nostro modo di vivere e di pensare. Mi raccontò che il suo sogno era quello di avere una storia con la regina Elisabetta». A mio padre, Alberto rivelò che tu lo colpisti per la bellezza, l’ironia e la franchezza. Che cosa, invece, ti piaceva di lui? «La sua curiosità, la sua ironia sagace e a volte spietata, la sua grande sensibilità verso gli anziani e gli animali. Tuo zio alternava momenti in cui era estremamente divertente a momenti in cui amava restare solo. Una solitudine relativa: era sempre occupato col lavoro, il suo vero grande amore». Che cosa ti piaceva meno? «La sua professione era sempre al primo posto. Era un perfezionista e non voleva mai deludere il suo pubblico. Era molto diffidente verso tutti anche per via delle tante umiliazioni sofferte da giovane per riuscire a farsi notare da registi e produttori. Mi raccontò che con Fellini avevano quasi sofferto la fame e mangiavano una sola volta al giorno. Questa sua diffidenza lo portava a frequentare solo pochissimi amici e alcuni parenti più stretti come tuo nonno e tuo padre. Tu eri comunque il suo nipote preferito: mi disse che come lui avevi l’orecchio assoluto per la musica e apprezzava molto la carriera nel mondo del giornalismo che stavi facendo solo con il tuo talento». Quanto durò la vostra storia? «Diversi mesi. Dopo Londra continuammo a frequentarci anche a Roma e a Montecarlo. Ma ci vedevamo poco, lui era sempre molto impegnato, come ben sai, e anch’io». Perché finì? «La nostra non aveva le caratteristiche delle classiche storie in quanto entrambi eravamo fuori dal comune. Lui era sposato con il suo lavoro, mentre io ho bisogno di tante attenzioni. Entrambi poi conoscevamo gli attori americani Warren Beatty e sua sorella maggiore Shirley MacLaine. Io mi fidanzai con il bellissimo Warren e lui mi disse che frequentò Shirley». Però ogni tanto avete continuato a vedervi e a sentirvi... «Certo, ci siamo rivisti a casa mia e nello studio di scultura di tuo padre in Maremma. Poi ci sentivamo per telefono. L’ultima volta che mi chiamò fu per le festività natalizie del 2002 e mi disse che non stava bene, ma non entrò nei particolari. Lui si sentiva immortale. Morì due mesi dopo. Al suo funerale andai con te, Giada, Dario e i tuoi genitori». Ti ha mai portato nella sua villa in via Druso? «No, mi diceva che le sue sorelle Aurelia e Savina non gradivano donne in casa. Ci siamo visti a Londra, a casa mia a Roma e in Costa Azzurra. Come mentalità eravamo molto distanti su certi argomenti. Io non sarei mai riuscita a vivere con fratello e due sorelle come ha fatto lui. Ma ad Alberto servivano: tutti lavoravano per lui. Erano loro tre la sua famiglia». Che cosa avevate in comune? «Il non prenderci troppo sul serio, l’amore per i cani e i cavalli, per l’arte e l’antiquariato e, come me, Alberto era convinto che nell’Italia politica degli ultimi anni ci fosse tanta mediocrità e che il popolo non fosse sovrano di niente». Quali erano le sue abitudini? «Amava il pane fresco e mi raccontò che suo nonno a Valmontone (città a 35 chilometri da Roma, ndr) faceva il fornaio. Anche suo padre Pietro era nato lì e Alberto ci trascorse tanti anni della sua infanzia e dell’adolescenza. Teneva tanto anche a presentarsi con un aspetto curato. Non l’ho mai visto con la barba non fatta». Ti ha mai fatto commenti su alcuni suoi colleghi? «Aveva una pessima opinione dei critici cinematografici: diceva che con la loro aria di superiorità apprezzavano i grandi talenti solo dopo morti. Forse è proprio per questo che Alberto non è mai stato candidato dall’Italia all’Oscar. Mi disse che Manfredi era più taccagno di lui, che l’imitazione che gli faceva Max Tortora non gli piaceva e la trovava di pessimo gusto, che Federico Fellini era un grande bugiardo, ma anche un grande visionario e che quando girò il film Troppo forte con Carlo Verdone si trovò malissimo con lui. Mi rivelò che quello sarebbe stato il secondo e ultimo film con Verdone. Era molto amico di Vittorio De Sica e stimava tanto Totò». Igor Righetti