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 2016  ottobre 22 Sabato calendario

DROGA IO SÌ TU NO


«La prima volta che ho preso l’Ecstasy ho provato una sensazione bellissima e, purtroppo, ho subito pensato: ne voglio ancora». Irene ha ricordi molto lucidi del periodo in cui è cominciata la sua dipendenza. Aveva 20 anni e tutto ciò che voleva era sentirsi felice, attiva, piena di energie. E non dormire mai. «La metilenediossimetanfetamina (Irene chiama la molecola per nome, ndr) era in assoluto la mia preferita, perché mi faceva sentire empatica, in armonia con gli altri. Presto però ho cominciato ad assumere anche anfetamine e farmaci stimolanti dall’effetto simile, che mi procuravo falsificando le ricette. Accedere alle droghe non è mai stato un problema, dal momento che vivevo, e vivo, in un quartiere di spacciatori: le vendevano i miei ex compagni delle elementari e delle medie. Ho continuato per cinque anni, finché un giorno mia madre ha chiamato l’ambulanza e la polizia. Nei miei cassetti hanno trovato tante pasticche, io non riuscivo più a camminare bene, ero diventata bulimica e molto aggressiva. C’è voluto un anno per guarire. Sono stata seguita da uno psichiatra e da un assistente sociale, ma se ne sono uscita è stato soprattutto grazie a mia sorella, che mi è rimasta sempre accanto». Nel periodo “buio”, Irene non usava altre droghe oltre agli stimolanti, né alcol. Non sa se ha una predisposizione alle dipendenze, ma è certa che la famiglia e l’ambiente in cui è cresciuta abbiano avuto un peso determinante. Ha cercato la felicità in una pasticca solo quando la situazione in casa era diventata insostenibile. Da qualche anno, ogni tanto fuma marijuana prima di dormire, per rilassarsi. Giada ha una storia molto diversa. A 16 anni ha iniziato a prendere acidi, ma solo il fine settimana. «Di droghe ne ho provate diverse: cannabis, Lsd, popper e un paio di volte la cocaina. Mai l’eroina: frequentavo chi la utilizzava, ne vedevo gli effetti e mi spaventava. Per me assumere allucinogeni era un fatto assolutamente personale, non sociale. Volevo sperimentare, vivere al limite, come Jim Morrison e altri idoli dell’adolescenza. Sono stati gli amici a farmi capire, dopo un po’ di tempo, che stavo esagerando, sebbene già sapessi quanto queste sostanze siano pericolose. E anche se la sensazione che mi davano era esaltante e inebriante, il mondo in cui circolano le droghe non mi piaceva per niente. Dopo tre anni ho realizzato di non volerne più fare parte, ed è stato facile uscirne, senza rimpianti. Smettere di esagerare con gli alcolici, come ho fatto per diversi anni, è stato molto più difficile. Il bicchiere è più subdolo».

IL TOSSICO DELLA DOMENICA (MAGARI SOLO UNA AL MESE) Perché alcune persone sviluppano una dipendenza così forte, come Irene, e altre no (almeno all’apparenza), come Giada? La risposta non è semplice, prima di tutto perché chi fa uso di droghe non si divide in addicted e not addicted: come a di re che non ci sono solo il bianco e il nero, ma c’è un continuum. Qualche esempio: molti fanno un uso di cocaina saltuario, magari solo nei weekend, e ci sono eroinomani che si bucano solo una volta al mese. Dov’è il confine, in questi casi? Non c’è, dicono gli esperti: ci sono, piuttosto, diversi gradi di addiction.
«È un messaggio delicato e complesso, ma la maggior parte delle persone che consumano droghe non ha bisogno di aiuto per smettere. Altro elemento, pur in assenza di stime: l’uso controllato è molto più frequente di quanto si immagini», spiega Paolo Jarre, direttore del dipartimento Patologia delle dipendenze della Asl 3 del Piemonte, una delle regioni in cui si fa più uso di stupefacenti. «Ciò non toglie che queste sostanze siano insidiosissime, a prescindere dalla dipendenza: per alcune droghe come l’eroina, l’uso abituale può essere meno pericoloso di quello saltuario, perché si sviluppa una tolleranza alla tossicità. Altre creano stati psicotici e alterano le percezioni e le emozioni; con le anfetamine si rischia il crollo fisico. Ancora: ci sono persone che al primo spinello finiscono nel reparto psichiatrico, e chi sostiene brillantemente gli esami all’università fumando 20 canne alla settimana (sebbene la norma sia un peggioramento delle prestazioni cognitive e della memoria). Tutti abbiamo un appetito per le sostanze psicoattive, ma ciascuno di noi possiede punti di forza e debolezza. Sono diverse la resistenza alla proposta, la capacità di guarigione, la vulnerabilità dal punto di vista genetico (che conta per una metà), familiare e ambientale (il restante 50%). Di fronte a un dolce, ci sono persone che si accontentano di una fetta, altre che sono a dieta e resistono, altre ancora che ne mangiano metà. Lo stesso vale per le droghe».

15 GIORNI E SI È LIBERI (FISICAMENTE)
Detto questo, alcuni comportamenti sono sempre un chiaro indice di dipendenza, come dedicare una buona parte del tempo alla ricerca delle sostanze psicoattive fino a compromettere lo studio, il lavoro o le relazioni; continuare ad assumerle nonostante problemi medici o penali; non riuscire a smettere pur volendo; sentirsi bene solo con il consumo. «Circa il 25% di chi fa uso di eroina ne diventa dipendente: la percentuale è simile nel caso del fumo di sigarette, mentre è del 15% per la cocaina e l’alcol, e del 9% per la marijuana», chiarisce Gaetano Di Chiara, docente di Farmacologia all’Università di Cagliari, tra i massimi esperti italiani di tossicodipendenze. «Difficilmente si esce dalla dipendenza da soli, senza un supporto». Il problema non è l’astinenza fisica: qualunque sia la droga, bastano un paio di settimane per portarla a zero. Lo scoglio sta nella memoria del piacere, o meglio, di un grande amore. «È l’effetto della dopamina», continua Di Chiara, «il neurotrasmettitore che produciamo in risposta a stimoli gratificanti. Tutte le droghe ne aumentano di molto i livelli, con l’effetto immediato di elevare il tono dell’umore. Lo stesso accade con gioco d’azzardo, shopping, sesso, cibo. La dopamina facilita l’apprendimento del comportamento gratificante, creando una memoria associativa. Per questo un fumatore desidera una sigaretta dopo il caffè, e un alcolista un bicchierino ogni volta che vede la pubblicità di un alcolico o che passa davanti a un bar».

SCUSI, DOV’È L’USCITA?
Come si contrasta questo “amore”? Le strategie sono diverse a seconda della sostanza, ma in generale si fa leva su ciò che ci rende resistenti agli appetiti: sul rinforzo dell’autostima, sulla lotta alla depressione, sull’indagine degli aspetti relazionali e familiari. «Nei più giovani, che fanno soprattutto uso di cannabis, è il caso di preoccuparsi quando il consumo va a interferire con i normali comportamenti fisiologici come mangiare o dormire», spiega ancora Jarre, «quando vi è un peggioramento del rendimento scolastico o vengono interrotte delle relazioni. È verosimile che la sostanza stia diventando così importante da mettere in discussione tutto il resto. Ovviamente ci sono mille sfumature: nelle situazioni meno gravi, il mio consiglio è di entrare in una logica di negoziazione: hai un esame o un’interrogazione? Per 15 giorni non fumare. Vuol dire sfidare i ragazzi a dimostrare di non essere dipendenti, di saper distinguere gli obiettivi importanti. Il divieto assoluto (“Non fumare mai più!”) non funziona». «Il fatto di provare una droga non è per forza sintomo di un disagio», rassicura Stefano Canali, docente di Filosofìa delle neuroscienze alla Scuola internazionale di studi superiori avanzati di Trieste: «Di certo la famiglia, le relazioni e l’ambiente giocano fin dall’infanzia un ruolo molto importante nel determinare le vulnerabilità e, viceversa, la capacità di resistenza. In un bambino che cresce in un ambiente difficile, con relazioni affettive problematiche, il sistema cerebrale della ricompensa (quello su cui agisce la dopamina, ndr) ha maggiore probabilità di non funzionare al meglio. Nel momento in cui il soggetto trova una sostanza o uno stimolo in grado di attivare quel sistema, facilmente vi si attaccherà in modo cronico, sviluppando una dipendenza. Per combatterla, il network sociale è molto importante. Una parola, un gesto, un’emozione: per il cervello tutto si trasforma in sostanza chimica. Che può avere un effetto farmacologico».