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 2016  ottobre 22 Sabato calendario

IL CODICE DELLA PERFETTA KARATEKA– [Sara Cardin] Di suo ha già vinto tutto (è campionessa europea e mondiale in carica) e, a 29 anni, è stata nominata dalla Federazione mondiale “icona del karate”

IL CODICE DELLA PERFETTA KARATEKA– [Sara Cardin] Di suo ha già vinto tutto (è campionessa europea e mondiale in carica) e, a 29 anni, è stata nominata dalla Federazione mondiale “icona del karate”. In più, il Comitato olimpico internazionale le ha dato un buon motivo per ripartire di slancio, inserendo il karate negli sport in gara all’Olimpiade 2020 di Tokyo. La trevigiana Sara Cardin, caporal maggiore dell’Esercito, dal 26 ottobre difenderà a Linz, in Austria, il titolo iridato (categoria kumite 55 kg) conquistato due anni fa a Brema, iniziando così il percorso verso i Giochi. Sara, che effetto fa sentirsi definire “icona del karate”? «È fantastico. Penso che il riconoscimento sia dovuto anche al fatto che negli anni sono riuscita a costruirmi una buona immagine per la mia sportività». La federazione giapponese l’ha pure invitata a Okinawa, patria di questa arte marziale. «Sì, visitare il castello di Shuri, dove c’erano i samurai, è stato molto emozionante. Era la mia prima volta in Giappone e sono stata trattata come una vip. I membri della loro nazionale erano molto curiosi delle mie tecniche di calcio perché loro hanno quelle di braccia velocissime, ma nei calci ancora sono in difficoltà rispetto agli europei». In estate c’era già stata l’emozione dell’inclusione del karate ai Giochi. «Fin da piccola guardavo le Olimpiadi, ma il mio sport non c’era mai e non riuscivo a capire il perché. Mi sembrava un’ingiustizia. Probabilmente all’inizio era considerato pericoloso, con troppi contatti. Forse il fatto di vedere ogni tanto qualche naso insanguinato o girato non faceva una bella impressione...». Come nasce la passione per il karate? «Ho iniziato a 7 anni, ero un po’ un maschiaccio. Ho provato con il calcio, poi mamma mi ha mandata a fare ginnastica artistica. Successivamente, su consiglio di nonno Danilo (con cui vedevo i film di Karate Kid e di Bruce Lee) ho provato il karate. Lui è un grande. Pensa, verrà anche a Linz al Mondiale. In più la settimana scorsa mi sono allenata con lui». Nel senso che ci ha combattuto? «No... Io ho il mio piano di allenamenti, ma allenarsi con lui che sta lì a guardarmi mi fa tornare la bambina che aveva appena iniziato a combattere. Riesce a trasmettermi la passione per quello che faccio. Lui è agonista dentro, anche adesso a 78 anni. Per dire: quando ero piccola cronometrava quanto tempo impiegassi a fare il giro di casa di corsa. Avere il nonno vicino che mi guarda e mi dice “ti vedo un po’ lenta” mi dà una carica eccezionale». Che cosa le è piaciuto di questo sport? «È uno sport completo, combattivo ma allo stesso tempo elegante, rispettoso, praticabile anche dalle ragazze senza diventare dei maschiacci. E poi è uno sport di astuzia e intelligenza, di precisione». Più donne dovrebbero fare karate? «Sì, ha tanti pregi. Aumenta la sicurezza nelle proprie capacità. Idem l’autostima: quando impari a conoscere il tuo corpo e la tua forza ti senti anche più sicura quando ti muovi nel mondo. In più trasmette sicurezza interiore, la condizione basilare in caso di situazioni di stress o, peggio, di aggressione. In pratica, così riesci anche a reagire con più lucidità». Ha approfondito anche la filosofia che sta dietro a questa arte marziale? «Per un karateka, l’arte marziale e la sua filosofia coincidono. Cambiano alcuni regolamenti visto che questa disciplina era insegnata per essere fatale... Praticandola assimili certi principi come il rispetto verso te stesso e verso gli altri. Ma anche l’autocontrollo: noi tiriamo colpi a velocità supersoniche e dobbiamo fermarci a pochi centimetri dal viso dell’avversario. Ecco perché diventa fondamentale saper gestire l’ansia e lo stress». Una vita per il karate anche nel privato visto che ha sposato il suo allenatore, Paolo Moretto. In casa si parla troppo di sport? «Ogni tanto diventa difficile distinguere i due piani, soprattutto a livello emotivo. Alcuni mi dicono: “Ah, che bello”. Insomma... Dopo che lui ha passato una giornata a dirmene di tutti i colori finché un esercizio non viene perfetto, arrivata a casa vorrei tirargli dietro una pentola! Poi però quando si vince si gioisce in due. E so che quando insiste a correggermi, lo fa perché ci tiene veramente». Fuori dallo sport Sara che persona è? «Una cui piace divertirsi e provare tutto. Se sono in compagnia di ragazzi che giocano a calcetto voglio farlo anch’io; se fanno il karaoke (anche se sono stonatissima...) voglio provarci. Non mi fermo davanti a niente. Poi mi piace tantissimo viaggiare. Sono innamorata dell’Africa. Ci sono stata due volte, in Kenya, e ho veramente il mal d’Africa: il contatto con la natura, con la gente che ha pochissimo eppure riesce a essere felice. Siamo andati a fare un safari e l’esperienza di dormire nelle tende chi se la dimentica più?». Ha una pagina Facebook con quasi 17 mila follower. Fa sempre più passerelle in tv e la si vede sui giornali: è diventata la donna immagine di questo sport? «È una situazione che affronto come tutto il resto: è nuova e mi mette alla prova. Non so se sono una donna immagine. Cerco di raccontare agli altri quello che il karate ha dato a me, di trasmettere la mia passione. Intanto impari cose nuove». Come si affronta questo Mondiale? Anche se non sono stati stabiliti i criteri di qualificazione ai Giochi, è un po’ il primo passo verso Tokyo. «Presentarsi a Linz come campione mondiale ed europeo in carica determina una pressione assurda. Tutto il mondo mi vorrebbe far fuori. Anche perché ormai da anni finisco stabilmente sul podio, quindi tutti si aspettano molto da me. Io in realtà vorrei essere la sconosciuta, in modo da affrontare la gara in libertà come mi viene». Come si batte la pressione? «Intanto, un po’ con gli anni l’ho superata. Quando sarò là penserò solo a me stessa, all’avversaria e al mio coach. Le prospettive di far bene ci sono, ma nel karate ci sono tante variabili. Non è come il nuoto, dove se stai bene il tuo tempo lo fai. Qui, oltre alle tue condizioni, c’è l’avversario, l’arbitro che magari ti dà un punto oppure no. Le prospettive di far bene ci sono, ma più che dire mi sento bene, ci credo, vado dentro per vincere, per ora non posso fare...».