Fabrizio Salvio, SportWeek 22/10/2016, 22 ottobre 2016
SONO QUI PER FARE LA STORIA– [Gianluca Lapadula] Nella Serie A che d’incanto si riscopre giovane (nelle prime 7 giornate sono scesi in campo 65 Under 21, stranieri per la maggior parte; tra i grandi campionati europei solo la Ligue 1 francese ha fatto meglio con 92), c’è un esordiente che giovane forse non è mai stato e fatica a trovar posto in un Milan non proprio irresistibile, nonostante porti in dote il titolo di capocannoniere dell’ultima Serie B (30 gol in 44 presenze, più quello di vicecapocannoniere – 21 centri – in Lega Pro l’anno prima) e sia stato l’acquisto più costoso (9 milioni al Pescara) del mercato estivo rossonero
SONO QUI PER FARE LA STORIA– [Gianluca Lapadula] Nella Serie A che d’incanto si riscopre giovane (nelle prime 7 giornate sono scesi in campo 65 Under 21, stranieri per la maggior parte; tra i grandi campionati europei solo la Ligue 1 francese ha fatto meglio con 92), c’è un esordiente che giovane forse non è mai stato e fatica a trovar posto in un Milan non proprio irresistibile, nonostante porti in dote il titolo di capocannoniere dell’ultima Serie B (30 gol in 44 presenze, più quello di vicecapocannoniere – 21 centri – in Lega Pro l’anno prima) e sia stato l’acquisto più costoso (9 milioni al Pescara) del mercato estivo rossonero. Si chiama Gianluca Lapadula, è nato a Torino, ha 26 anni e questa è la sua storia. Per capirla fino in fondo bisogna partire dall’inizio. Famiglia? «Papà Gianfranco, mamma Bianca, peruviana, arrivata in Italia a 20 anni. Ha incontrato mio padre al mercato di corso Racconigi, a Torino, dove lui vendeva dolci. Più tardi, intorno ai 15 anni, a quel banco ho dato una mano anch’io. Poi mia nonna lasciò ai miei il suo negozio di fiori. Lo hanno chiuso da poco, dopo 30 o 35 anni di attività. Ho un fratello, Davide, più grande, e una sorella, Anna, più piccola. È la mia cocca perché per me c’è sempre stata, soprattutto nei momenti bui. In quelli belli si defila». Che bambino è stato? «Quello che nessun genitore vorrebbe avere. A 6 anni, uscito da scuola, invece di tornare a casa andavo all’oratorio del Sacro Cuore a prendere botte sul campo di calcio dai più grandi». Già allora faceva gol? «No, ho iniziato in porta. Mio padre è stato un portiere dilettante e io volevo imitarlo. Anche quando sono entrato piccolissimo alla Juve stavo tra i pali, ed ero pure forte; poi a 7 anni mi spostarono attaccante: dribblavo e segnavo. Tre stagioni così e poi mi riportarono dietro, a fare il mediano di rottura. Numero 5, parastinchi, cavigliera e scarpe nere. Menavo e la passavo al compagno più vicino». È vero che la Juve non l’ha tenuta perché non studiava? «È vero. Anch’io non mi sarei tenuto. Ero troppo vivace». Cosa l’ha calmata? «In realtà non mi sono mai calmato. Sono sempre stato un tipo elettrico. Ho solo imparato a tirare fuori l’energia al momento giusto». È sembrato elettrico alla sua prima da titolare col Milan, contro la Samp a Genova. Non solo per gli scatti sul campo: sollevava di continuo la testa per alzare il ciuffo che le cadeva sulla fronte. Sembrava un tic. «Me lo ha detto pure mia sorella. Il giorno dopo ho tagliato i capelli. Ma in quella partita mi sentivo benissimo. Sui giudizi ha pesato l’occasione davanti alla porta sprecata per troppa frenesia». Quindi non si aspettava il cambio? «No. Quando gioco male sono il primo ad ammetterlo e non era quello il caso». Lei ha girato l’Italia: 11 squadre prima del Milan. «E mettiamoci pure il Treviso, dove giocai negli Allievi dopo essere stato scartato dalla Juve a 12 anni. Feci bene, ma non mi tennero. Al Parma segnai 13 gol nella Primavera, ma cominciarono a mandarmi in giro come un pacco postale. All’inizio credevo per farmi fare le ossa. Poi ho capito che non credevano nel sottoscritto». Eppure già 4 anni fa ha un’occasione in B, ma a Cesena gioca solo 9 partite. «Mi trovarono del liquido in un ginocchio e fui costretto a fermarmi. A gennaio il Parma mi mandò a Frosinone». Dove neanche lì va bene... «Prima di firmare un contratto io voglio sapere qual è il progetto tecnico. Mi dicono: giochiamo col 4-3-3. Rispondo: e in che ruolo mi mettete? E loro: a Stellone, l’allenatore, piacciono gli esterni coi piedi invertiti. E io: No. Io sono un centravanti. Risultato, alla prima partita Stellone mi piazza esterno. Non è che non voglio farlo, è proprio che non riesco. Sulla fascia faccio danni. Anche a Galliani ho chiesto come pensassero di impiegarmi. Eppure andavo al Milan, e a prendere uno stipendio che mi cambiava la vita: avrei potuto star zitto, e invece. Gli ho pure detto che ero messo male fisicamente. A Pescara, da gennaio a maggio, avrò fatto sì e no 10 allenamenti. Giocavo la partita e stop. Fascite plantare, guai alla caviglia, al tendine d’Achille e al bacino: problemi che mi hanno costretto a saltare la preparazione estiva al Milan. Ora sto bene. Ora comincia la mia storia in rossonero». A un certo punto di lei si erano perse le tracce nel Nova Gorica, in Slovenia. «C’erano 5-6 squadre di C che mi volevano, ma mi ero rotto le palle dell’Italia: continui prestiti, club dove giocavo falliti, soldi persi. Il Nova Gorica stava diventando una succursale del Parma e pur di andarmene all’estero accettai di fare di nuovo l’esterno. In campionato segnai 14 gol e vincemmo la coppa nazionale. Alla finale si presentarono Ghirardi e Leonardi del Parma. Anche lì, da febbraio non vedevamo lo stipendio. Dissi a Leonardi: direttore, io ho una bimba e mi sta per nascere la seconda, come facciamo per i soldi? Rispose: c’è un tempo per i fagioli e uno per il caviale. Questo è il tempo dei fagioli. Mi rassegnai a tornare in Italia». A Teramo ancora una mazzata: promozione in B cancellata per illecito. «E vicecapocannoniere e titolo di miglior giocatore della Lega Pro. A fine stagione mi ritrovai svincolato dal Parma. Il mio destino era stare in trincea». La tira fuori il Pescara, in Serie B, l’anno scorso. E tutti scoprono Lapadula. «Il Pescara mi ha fatto sentire importante. Mi ha responsabilizzato». Perché ha scelto il Milan? «Perché facevo fatica anche solo a immaginare che uno con la mia storia potesse essere accostato al Milan. Così, dissi al mio procuratore, Libertazzi: non mi interessano altre trattative. Se davvero il Milan mi vuole, fermo tutto il resto. Per un po’ non seppi niente, poi, quando sembrava vicina la firma con un altro club...». Il Napoli... «Anche (ride)... Galliani mi disse: sei una scelta del presidente, poi mia, infine degli allenatori contattati per la nostra panchina. Tutti hanno detto sì al tuo acquisto». E Galliani non le disse che Bacca sarebbe stato ceduto? «No, né io gli chiesi niente al riguardo, giuro. Mi parlò invece di un 4-3-1-2 che a me piacque molto. Oggi giochiamo col 4-3-3, ma quando ho firmato l’allenatore non c’era ancora. E comunque io insieme a Bacca mi vedo bene». Farebbe la seconda punta? «Le mie migliori stagioni le ho disputate in quel ruolo. L’anno scorso è stato il mio primo da centravanti e ho battuto il record personale di gol, ma a livello di prestazioni non ho fatto così bene come quando giocavo da seconda punta». Come farà a conquistare Montella? «Bella domanda. Io sono arrivato al Milan e mi sono steso sul lettino del medico. Oltre a perdere gli allenamenti ho fatto fatica a entrare in sintonia coi compagni e con i tecnici. Un mese e mezzo così. Ma sono ancora in tempo». Quante volte in questi mesi ha pensato che, avesse fatto una scelta diversa, adesso sarebbe titolare in A? «Io penso che se fossi andato al Crotone ultimo in classifica, ora non giocherei lo stesso. Sono arrivato in A spremuto». E se a gennaio proprio il Pescara le chiedesse di tornare, solo in prestito, per aiutarlo a salvarsi? «Ho imparato che nel calcio, se vai in prestito, non funziona. Perciò, se dovessi andar via, ovunque fosse, chiederei la cessione a titolo definitivo. Ma prima devo giocarmi tutte le mie carte al Milan. Significa arrivare fino a maggio. Ma ho firmato un quinquennale e voglio entrare a far parte della storia di questa squadra». Si è tatuata l’immagine di William Wallace. Cosa sa di lui? «Il film sulla sua storia, Braveheart, mi ha segnato. Lui nel 1200 combatté gli inglesi per l’indipendenza della Scozia. Io ho combattuto per me stesso. Troppe volte mi sono sentito dire: non puoi, non ce la fai. Nonostante tutto sono al Milan. Capisce cosa vuol dire?».