(vedi testo), SportWeek 22/10/2016, 22 ottobre 2016
UNA VITA DI RICORDI
[Alex Zanardi]
Cifra tonda: 50. Un compleanno più importante di altri, dicono. Solo che, invece di farmi un regalo, gli amici di SportWeek mi hanno chiesto di lavorare: scegliere un episodio per ogni anno della mia vita. Una faticaccia... Mi sono fatto aiutare da mia madre, su quando ero troppo piccolo per ricordare. E ho scavato un po’ nella mia memoria, che con tutte le zuccate prese ho sempre pensato fosse un po’ labile. Mi sbagliavo. Alla fine è stato divertente. Spero lo sia anche per voi. Visto com’è andata col regalo, gli auguri me li faccio da solo...
1° ANNO Mia mamma dice che non tacevo mai, emettevo suoni senza sosta. Un giorno, tornando da un negozio in auto, non mi sentiva più e si è preoccupata. Si era ribaltata la spesa, mi era caduto addosso un sacchetto e mi stavo ciucciando una bistecca appena comprata...
2 Sempre una bistecca, che però stavolta non volevo mangiare. Una sera i miei mi hanno promesso di fare l’albero di Natale se avessi finito tutta la carne. Giravo in triciclo e mi facevo imboccare. Tutto bene, via con l’albero. Mi hanno messo a letto soddisfatto, poi mia mamma ha scoperto, dietro alla stufa dove facevo i giri in triciclo, tutti i pezzi di carne che avrei dovuto mangiare...
3 I miei rudimenti iniziali da bricoleur. A Natale il nonno mi ha regalato una moto a retrocarica, il motore mi affascinava e così l’ho smontata. Ma non avevo ancora capito come si rimontava, per cui è diventata inservibile. Il nonno, che si chiamava Anello Zanardi, non mi ha più regalato niente...
4 Tutte le sere pretendevo un biberon di latte. Quel giorno avevo già tirato giù di tutto dal balcone, mi avevano levato gli oggetti pericolosi dalle mani. In mancanza d’altro, una volta bevuto il latte, ho lanciato giù il biberon come fosse un missile. «E adesso come fai?», chiese mia madre. «Da domani bevo dal bicchiere».
5 La prima grande avventura. Volevo andare da un’amichetta conosciuta il giorno prima: sono uscito in triciclo dal cortile ma sono andato a sinistra invece che a destra. Mi sono trovato al paese successivo piangendo disperato. «Bambino, cos’è successo? Ti ricordi dove abiti?». «Via Dante Alighieri numero 18!», mia mamma me l’aveva fatto imparare a memoria. E mi han riportato a casa.
6 Il primo giorno di scuola. Piangevano quasi tutti, sono arrivato con le stesse intenzioni. Poi mi son guardato intorno e analizzare ciò che vedevo ha curato la mia insicurezza. È qualcosa che mi è rimasto, un bottone antipanico interno.
7 Dopo la prima lezione di nuoto ho detto a mio padre che mi avevano già tolto il salvagente. L’ho sparata grossa e lui ha replicato: «Bon, allora ti vengo a vedere». La sera dopo mi sono tuffato, contro il volere dell’istruttrice, e annaspando, muovendomi, agitandomi, a un certo punto sono riemerso e con uno stile tutto mio nuotavo.
8 I primi amici. Alberto abitava di fronte a casa. Ci separava una rete altissima (oggi quando vado da mia madre non arriva al petto...), che scavalcavamo per poi arrampicarci su un albero: ci sembrava un’avventura pazzesca. E Lorenzo, in un altro condominio. Scoprivamo di esserci facendo l’urlo di Tarzan: se l’altro rispondeva alè, si partiva.
9 Gianluca Giordani aveva due fustini di Dash pieni di pezzi di Lego. Quando li portava in cortile era come se mi aprissero Fort Knox. Ci facevo costruzioni pazzesche. Io lì – grasso e insicuro nei classici giochi da cortile con la palla – avevo momenti di rivalsa enorme.
10 A 10 anni ho sentito uno stimolo irrefrenabile per la gnocca: non capivo una mazza ma le pulsioni c’erano. Elisabetta, sorella di Gianluca, aveva capelli lunghi lisci ed era tanto carina. Abitavano al 3° piano e i balconi del nostro palazzo erano uniti tra loro da frangisole con mattoni traforati. Una sera arrampicandomi sono arrivato su. Ho bussato, lei mi è venuta ad aprire. La guardavo con occhio da pesce lesso, nient’altro. Nelle mie intenzioni c’era dedicarle l’impresa e poi tornare giù. Ma all’attacco della discesa sua madre mi ha sgamato e ha pensato bene di telefonare alla mia dicendo: «Anna, metti la testa fuori dalla finestra e guarda tuo figlio». A momenti sviene.
11 La bici “elaborata”. Una Graziella, smontata e riverniciata di rosso acceso con due tubi da mezzo pollice che reggevano una sella doppia del Ciao. Era del motorino di mia sorella ma aveva preso una multa perché viaggiavano in due, mio padre gliel’ha smontata e io gliel’ho fregata. Il pezzo forte erano gli adesivi TGM sul cannone: la TGM da cross era la moto dei miei sogni.
12 Non mi piace parlare delle mie sofferenze, sembra cerchi compassione. Ma ci sono state, è innegabile. Quando avevo 12 anni è morta mia sorella, in un incidente d’auto con il suo fidanzato. Forse il momento più brutto in assoluto, soprattutto per il dolore enorme imposto ai miei genitori.
13 L’arrivo del kart, nell’agosto 1980, e l’inizio sul circuito di Vado. Resta uno dei giorni più belli della mia vita: il primo giro è stato una gioia incontenibile, paragonabile a poco altro. L’avevo desiderato tanto e ho provato un’emozione che non so spiegare ancora oggi, così forte e grande che in quel momento ho deciso che avrei fatto di tutto perché pilotare diventasse la mia vita.
14 La gara sociale a Vado a fine 1980, divisi in due categorie: A e B. Ma non nell’ordine in cui uno potrebbe pensare: A stava per Amatori e B per Buoni... Con lo stesso kart abbiamo vinto sia io sia mio papà.
15 Qui l’universo femminile l’ho scoperto in senso pratico e non più solo teorico. Una sera mia madre andò a chiamare mio padre che dormiva bellamente sul divano: «Dino Dino, ci sono i ladri nella roulotte», che era parcheggiata nel giardino del condominio. Mio papà si affacciò alla finestra, vide che effettivamente la roulotte “scossava”. Ma vide anche il mio motorino parcheggiato nei pressi e disse: «Va là va là, l’è quel cretén ad to’ fiol». Dopo non stavo nella pelle, lo dovevo raccontare a qualcuno. Sono andato subito in giro ma non c’era un cane. Alla fine ho visto uno che conoscevo di vista e mi stava anche sulle balle, ma c’era lui e l’ho raccontato a lui. Non mi ha dato una gran soddisfazione...
16 L’arrivo della moto, che mi ha regalato una grande libertà. E Sergio Mantese, che produceva le gomme Vega per i kart e ha deciso di aiutarmi. Vincendo dovevo salire di categoria e servivano soldi che non avevamo. Il primo incontro fatidico della mia carriera.
17 Ho conosciuto il mio amico Filippo, a scuola. Evento fondamentale! Siamo legatissimi ancora adesso.
18 Ho vinto il mio primo campionato con i kart. Avevo conquistato molte gare, ma portare a casa un titolo ha significato tanto. Campione italiano: mi sentivo un altro.
19 La ribellione. Ho lasciato il team di vertice con cui correvo perché davano le gomme buone a un altro. Sono andato con un costruttore che tutti prendevano in giro perché era sempre nelle retrovie. E una settimana dopo ho vinto il titolo tricolore.
20 La grande frustrazione: tutti passavano alle auto, io non ci riuscivo. Ma poi è successo qualcosa di magico: Cesare Papis, il papà di Max, ha creduto in me e ha finanziato il salto in F.3. Senza di lui non sarebbe successo tutto il resto.
21 Il mio esordio in monoposto, con una F.3. Ma non è stato un granché.
22 Ho conosciuto mia moglie Daniela, che lavorava per un team di F.3. Tra i suoi compiti c’era prendere i tempi al muretto box. I sistemi di cronometraggio di allora usavano la tastiera del Pc con 26 possibilità su oltre 35 piloti in pista: l’anno prima aveva messo i più importanti secondo lei, e io non c’ero. Mi bruciava. La stagione seguente sono stato ingaggiato dal suo team, e lì abbiamo iniziato davvero a guardarci negli occhi...
23 Una stagione complicata. Sentivo troppo stretto il mondo della F.3, pensavo di averci passato già troppo tempo. Ho fatto 2° nel tricolore, la pole a Monaco e vinto la Coppa Europa. Ma ho sprecato molto.
24 II passaggio in F.3000. Giuseppe Cipriani cercava un pilota per il team Barone Rampante, mi proposi e mi presero. Forse perché l’anno prima lui correva in F.3 e mi aveva visto affrontare una curva a Pergusa in modo fuori dal normale. «Ma come fai?», mi chiese. «Se creo un team ti prendo come pilota». Lo fece davvero. E nel settembre 1991 ho esordito in F.l con la Jordan.
25 L’uovo! Ero collaudatore Benetton in F.l ma non avevo quasi mai girato. Poi si sono ricordati di me per un test a Le Castellet. Al 5° giro ho fatto il miglior tempo assoluto, e c’erano tutti i team. La considerazione nei miei confronti cambiò di colpo, mi diedero anche la giacca nuova della squadra e fu lì che Schumi mi ci ruppe dentro un uovo. Ci rimasi malissimo...
26 L’anno della riscossa: corsi il Mondiale di F.l con la Lotus. Ma anche quello del botto monumentale a Spa. Ho rischiato seriamente di non poterlo raccontare.
27 Si è ammalato e poi se n’è andato mio padre. In primavera ha iniziato a stare male e gli hanno scoperto un tumore, l’hanno operato ma ormai era troppo tardi. È stata una delle prime occasioni in cui, da adulto, ho dovuto fare i conti con la vita. Fino al momento in cui è mancato ero inconsciamente convinto che avrebbe trovato le energie per venirne fuori, l’aveva sempre fatto. Pensavo se la cavasse in qualche modo, invece il modo non c’era.
28 La disoccupazione. Ma in primavera è arrivata la telefonata di Rick Gorne, della Reynard che faceva i telai per la Indy. «Perché non ti fai vedere a un paio di gare in America?». Sono tornato con le orecchie basse, nessuno mi conosceva. Poi Daniela mi ha detto: «Dai, fai l’ultimo sforzo. Ti accompagno». Siamo andati alla gara finale a Laguna Seca, ho incontrato Chip Ganassi e il resto è storia.
29 II sorpasso al “Cavatappi”, proprio a Laguna Seca. Non c’è bisogno di spiegare, basta andare su YouTube e cercare “Zanardi the pass”.
30 Una vita bellissima, a Indianapolis. Sportivamente una magia totale, che conservo nel mio cuore. Ma viene prima qualcos’altro: il matrimonio con Daniela, a Las Vegas. Ci ha sposati un pastore belga, che però non era un cane. Ci hanno anche proposto un Elvis come testimone ma era un po’ troppo...
31 È nato mio figlio, e mi sono sentito strano. La paternità è un dialogo che quel giorno inizia, aumenta in modo esponenziale e non si ferma più. Vedi i film in cui alla vista del bambino gridano “Figlio miooo!” e son così gasati. A me non stava succedendo. Non ero io strano, ho scoperto: è qualcosa che deve crescere. E intanto vincevo: il momento dell’anno è stato la gara mega di Long Beach.
32 Niccolò ha detto la sua prima parola. È stata “papà” e sarei andato direttamente col libretto degli assegni a chiedergli: «Di cosa hai bisogno?». È solo un’immagine simbolica di tanti momenti belli che mi ha regalato in quel periodo.
33 Gli affetti intorno a me dopo aver chiuso l’esperienza con la F.l. Un anno duro, di passaggio e non passava mai. Ma anche bello, perché mi sono goduto un sacco mia moglie e mio figlio.
34 Socc’mel! Direi che l’incidente mette tutto il resto in secondo piano... Un giro di boa fondamentale nella mia vita. Fortuna che c’è stato anche il lato di ritorno.
35 II recupero. Il simbolo potrebbe essere il focolare della casa del dottor Costa sopra Imola. Le cene che organizzava con gli amici, le tagliatelle fatte in casa con il ragù buono, salsicce, salami e così via. Quel calore umano mi ha aiutato molto.
36 La saracinesca del box di Monza alzata per il mio primo giro nelle prove dopo essere tornato a correre nel Mondiale Turismo. Mi sono trovato davanti un muro umano, incredibile. Ci ho messo un po’ a riprendere il controllo.
37 L’anno dell’officina. Con i comandi al volante siamo passati dall’età della pietra alla crescita tecnica: prova, sbaglia, riprova, insisti, avanti così. Ha creato i presupposti di ciò che è arrivato in seguito.
38 Oschersleben nel Mondiale turismo. Sul podio, innaffiato dallo champagne di Andy Priaulx e Jorg Muller. Me li ero messi tutti dietro. Non ho mai considerato la mia disabilità un limite assoluto ma qualcosa su cui si poteva lavorare arrivando a risultati che in carriera avevo già ottenuto, cioè vincere. Riuscirci è stato bello.
39 Il test con la Bmw di F.l a Valencia. Quando Mario Theissen, responsabile della Casa tedesca, mi disse: «Congratulazioni, sei il primo uomo senza gambe a provare una F.l». E io: «Congratulazioni, sei il primo manager così matto da far guidare una F.l a uno senza gambe».
40 La scoperta della handbike, sul tetto dell’automobile di Podestà incrociato in un autogrill. Evento casuale ma fondamentale. Come fondamentale è stata la mia curiosità per capire di cosa si trattasse.
41 La Maratona di New York, nel novembre 2007, la prima gara di paraciclismo della mia vita.
42 L’ultima stagione piena nel Mondiale turismo. La fine di un viaggio divertente, bello, intenso.
43 Il giorno in cui ho preso la decisione di concentrarmi sulla handbike. A fine 2009 avrei comunicato alla Bmw che non sarei andato avanti con le corse in auto. Cambiavo binario, nella perplessità di tutti o quasi.
44 Il periodo in cui ho conosciuto a fondo Mario Valentini, ct della Nazionale paralimpica. Uomo importante per la mia carriera in bici e per la mia vita.
45 Tutti si aspettano le medaglie di Londra, ma nella mia testa c’è più un cielo azzurro al termine di una salita in cui ho fatto un buon allenamento con i Giochi come orizzonte. Ero ancora tanto ignorante, c’era spazio per essere curiosi e poter crescere.
46 La mia gara più grande in assoluto con la handbike: il successo nella corsa in linea al Mondiale canadese di Baie-Comeau. Con la metafora dei 5 secondi: se credi di essere morto e tieni duro altri 5 secondi è facile che mollino gli altri.
47 Il numero 147 tatuato sul braccio all’Ironman di Kona, il primo affrontato. E ciò che ha rappresentato quell’avventura meravigliosa.
48 I 3 ori ai Mondiali. Ma il momento emotivamente più magico è della settimana precedente, alla 24 Ore di Spa con la Bmw. Nel cuore della notte, verso le 3, quando – dopo essere ripartito da un pit stop – son venuto fuori dalla curva di Stavelot. Seconda e poi terza, con il suono meraviglioso di quell’otto cilindri aspirato che mi manca tantissimo. Poi quarta e quando con tutte le luci accese stavo per mettere la quinta ho infilato una nuvola bassa di umidità tipica delle Ardenne, l’ho attraversata e sono sbucato dall’altra parte. In quell’attimo, in cui mettevo la quinta e andavo verso la piega di Blanchimont, mi sono sentito così vivo ma così vivo, davo un senso pieno alla mia esistenza. Ci sono di certo cose più potenti, gli affetti, le relazioni umane. Ma nella mia stanza dei giochi stavo provando qualcosa di tale intensità e goduria da farmi dire: «Ma che culo ho nella vita?».
49La metafora di tutto ciò che ho provato sta nelle lacrime sul podio della crono di Rio. Riassume le gioie e le sofferenze che la vita t’impone. Lì c’era una somma di sentimenti che mi ha commosso molto.
50 Per mia fortuna non sto mai fermo. Sei giorni fa ho vinto con la Bmw GT nel campionato italiano al Mugello. Ciò che ha dominato la mia vita, dal punto di vista emotivo, è stato l’interesse per le auto. Magari nel mio cinquantesimo anno di età potrebbero tornare. Ma la sensazione più bella, qualunque cosa decida di affrontare, è sentirsi ancora per strada.
di Alex Zanardi
testo raccolto da Gianluca Gasparini