Lidia Baratta, pagina99 15/10/2016, 15 ottobre 2016
IL CUSTODE DI VETRO DELLA GIOCONDA
Ha messo sotto vetro la Gioconda, la Venere di Milo, l’Uomo vitruviano, i gioielli della Corona inglese e pure i Manoscritti del Mar Morto. Quello di Alessandro Goppion, 61 anni, è un nome noto tra i direttori dei musei e i collezionisti di tutto il mondo. La sua Goppion spa, fondata nel 1952 dal padre Nino a Trezzano sul Naviglio (Milano), realizza da più di 40 anni le “casseforti di vetro” che custodiscono i più grandi capolavori della storia. Non semplici vetrine. Se l’opera e il reperto sono unici, anche la teca deve esserlo.
«La vetrina è una tessera del mosaico attraverso cui si articola il percorso espositivo in un museo», spiega Alessandro Goppion al centro del laboratorio della sua azienda, là dove le sue “casseforti” vengono assemblate. Da un lato la maestria dei vecchi artigiani lombardi, alle prese con prototipi e seghetti; dall’altro, dietro una vetrata, un team di quindici persone fa ricerca su materiali e ingranaggi meccanici ed elettronici. «Siamo come i sarti: facciamo quello che i musei ci chiedono per vestire l’opera, offrendo un pezzo unico di tecnologia artigianale», dice Goppion.
Farsi scegliere in una gara internazionale per custodire un’opera come la Monna Lisa non è una passeggiata. La vetrina, realizzata nel 2005 per spostare il dipinto nella sala più ampia del Louvre, è così sicura che neppure dopo gli attentati di Parigi è stato necessario alcun intervento aggiuntivo. Il vetro, composto da molteplici strati, è a prova di bomba. L’anta della teca, da sola, pesa più di una tonnellata.
Inoltre, per garantire la salute del dipinto, è stato installato un sistema di stabilizzazione dell’umidità con filtraggio dell’aria, ma con due impianti, come per gli elicotteri militari: se si rompe uno, entra in funzione l’altro, in modo da evitare shock termici. E un sistema di sensori interni dà informazioni continue sullo stato del quadro, 24 ore su 24: se l’anta viene aperta, scatta l’allarme.
La sicurezza delle opere è una delle principali preoccupazioni dei direttori dei musei, che devono mettersi al riparo da malintenzionati, ladri e visitatori distratti. Soprattutto, spiega Goppion, «quando si tratta di opere che richiamano molti fruitori e che hanno un valore simbolico, e per questo motivo potrebbero essere oggetto di attentati terroristici». Quando la Goppion all’inizio degli anni Novanta si è aggiudicata la commessa per realizzare le vetrine dei gioielli della Corona nella Tower of London, contenenti il più grande diamante al mondo, i servizi segreti inglesi provarono addirittura a far esplodere il prototipo della teca. In quegli anni Londra temeva gli attacchi da parte dell’Ira.
Per le vetrine dello Shrine of the Book, il Santuario del libro di Gerusalemme, che custodisce la più antica collezione di testi biblici, è stato pensato invece un sistema per permettere uno spostamento veloce in caso di emergenza.
La vetrina a volte è “visibile”, cioè richiama stilisticamente l’epoca di appartenenza dell’opera. Altre volte tende a “sparire”. «Devo di volta in volta assecondare la richiesta che mi viene rivolta», spiega Goppion. «Nel caso dei gioielli della Corona fui io stesso a proporre l’uso del bronzo, che richiamava l’epoca vittoriana più del ferro scelto inizialmente dal museo. Altre volte invece devo essere il più discreto possibile, ridurre gli spessori, usare vetri non riflettenti, giocare con le luci». In qualche caso arrivano richieste più bizzarre. Come quella del Musée des Confluences di Lione, per il quale ha realizzato «una teca per farfalle grande quanto un miniappartamento». O ancora la vetrina della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, provvista di un piccolo accesso per permettere l’ingresso del restauratore.
Ogni teca è pensata, studiata, provata e riprovata. E l’innovazione tecnologica, anche in questo settore, è tutto. Con un fatturato nell’ultimo anno di circa 20 milioni di euro, da vent’anni ormai l’azienda reinveste gli utili in ricerca.
L’ultima trovata di casa Goppion si chiama “vetrina intelligente”: una teca che, seguendo i principi dell’Internet delle cose, contiene al suo interno un computer capace di comunicare in tempo reale a smartphone e tablet lo stato di salute delle opere. E per la Pietà Rondanini esposta al Castello Sforzesco di Milano è stata ideata una vetrina antisismica, che con un sistema di molle nascoste sotto il pavimento è in grado di attutire le scosse di un terremoto evitando la caduta e il danneggiamento dell’opera. Un sistema di cui, forse, avrebbero bisogno tanti musei italiani.
La Goppion spa l’85% del suo fatturato lo realizza all’estero. Prevalentemente in Europa, ma anche negli Stati Uniti, dove ha realizzato da poco la teca contenente l’abito a cui stava lavorando Rosa Parks quando fu arrestata, esposta al nuovo museo Smithsonian di Washington (inaugurato lo scorso 24 settembre da Barack Obama). «All’estero si fanno musei nuovi e si rinnovano costantemente quelli già esistenti», sostiene Goppion. «In Italia si fa un gran parlare di cultura e beni culturali, ma poi si fa ben poco».