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 2016  ottobre 15 Sabato calendario

CENSURA SUL WEB IN UN ANNO PERSI 2,4 MILIARDI


La censura governativa su Internet non rappresenta solo una grave violazione dei diritti fondamentali dell’uomo – come stabilito dall’Onu in una risoluzione della scorsa estate che per la prima volta ha riconosciuto la necessità di tutelare anche online la libertà di informazione «che le persone hanno offline» – ma comporta anche un grave danno economico per i Paesi che la praticano. In uno studio appena pubblicato, Darrell M. West, direttore del Center for Technology Innovation della Brookings Institution di Washington, ha calcolato che solo nell’ultimo anno gli episodi di disattivazione dell’accesso a Internet dei cittadini messo in atto da 19 governi per le più svariate ragioni – dalla necessità di controllo a quella di mantenere l’assetto politico esistente censurando le opposizioni – sia costato a quegli Stati 2,4 miliardi di dollari.
Lo studio di West prende in considerazioni 81 episodi di interruzione temporanea delle attività sul web avvenuti tra il primo luglio 2015 e lo scorso 30 giugno e ne stima l’impatto economico sul Pil dei Paesi coinvolti. Secondo i calcoli del ricercatore, in questo periodo l’India ha perso 968 milioni di dollari, l’Arabia Saudita 465, il Marocco 320, l’Iraq 209, la Repubblica del Congo 72, il Pakistan 69, la Siria 48, la Turchia 35. Si tratta di stime prudenziali, avverte West nel suo paper, che considerano solo la riduzione dell’attività economica legata a Internet e non tengono conto del minor gettito fiscale, del calo della produttività, della perdita di fiducia da parte di investitori e consumatori. «Man mano che l’economia digitale si espanderà», prosegue West, «per gli Stati spegnere Internet diventerà sempre più costoso. Senza un’azione coordinata della comunità internazionale, in futuro questo tipo di danno è destinato ad aumentare, andando a indebolire ulteriormente lo sviluppo economico globale».
Nella maggior parte degli episodi presi in considerazione dallo studio – come il divieto di accesso ai social media in Turchia – dietro alle decisioni dei governi sembra esserci l’evidente necessità di controllare le opposizioni e il dissenso. In altri, invece, lo spegnimento di Internet non è legato alla censura in senso stretto, ma al bisogno di garantire la legalità. È il caso dell’India che, come Algeria, Iraq e Uganda, lo scorso anno, durante il periodo degli esami scolastici, per evitare copiature, ha deciso di interrompere l’accesso a Internet in determinate aree del Paese dalle nove all’una del mattino. In altri casi, come quello dell’Arabia Saudita e del Marocco, l’interruzione dell’accesso a servizi come WhatsApp, Facebook e Messenger sembra invece essere legato soprattutto alla necessità di salvaguardare i ricavi delle società di telecomunicazione nazionali, fortemente intaccati dall’uso di queste app.