Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 25 Martedì calendario

“IL TEATRO È COME LA SOCIETÀ: È SEMPRE IN CRISI. QUINDI NON MORIRÀ MAI” [Andrea Camilleri, Giuseppe Dipasquale] – Eccoli, maestro e discepolo

“IL TEATRO È COME LA SOCIETÀ: È SEMPRE IN CRISI. QUINDI NON MORIRÀ MAI” [Andrea Camilleri, Giuseppe Dipasquale] – Eccoli, maestro e discepolo. “Andrea ci faceva lezione raccontandoci i sogni”. La scuola è quella del teatro. L’eloquente fantasia di Andrea Camilleri – scrittore noto in tutto il mondo, padrone d’intere annate trascorse nelle classifiche dei libri più venduti – deriva da una precisa forgia: il palcoscenico. E a riavvolgere il nastro di quella esperienza fino a farne memoria dello spettacolo in Italia c’è Giuseppe Dipasquale, l’alunno per eccellenza del padre di Montalbano. In realtà non era proprio seduto al tavolo della commissione. Camilleri No, proprio no. Non amavo sedermi schierato come un plotone di esecuzione. Dipasquale Ricordo che dopo un’ora e mezza abbondante in cui avevo parlato di tutto e di più, e durante la quale questo signore non aveva proferito parola. Alla fine Andrea si rivolse a me e mi fece la domanda delle mille pistole. Te la ricordi? Camilleri No. Qual è questa benedetta domanda?Dipasquale Mi chiese cosa diceva una certa nota dell’appendice del Corso di Linguistica generale di Ferdinand De Saussure, del quale mi ero sventurato a parlare durante l’esame. Mi andò di fortuna e penso seppi rispondere, altrimenti non sarei qui oggi. Camilleri Questa era un po’ una mia tecnica. Quella di lasciar parlare molto. Se lasciavo parlare molto l’allievo m’interessava. Solo alla fine, la domanda carogna era come una conferma a un giudizio positivo, e vedevo come gli allievi se la cavavano. Ammetterai che una domanda così è una domanda carogna. Di pasquale Abbastanza! Infatti mi sentii perso. Camilleri Se tu avessi dato una risposta del tipo: nel mio libro non c’è, io non ti avrei squalificato. Mi capitò con un altro allievo tedesco. Gli dissi di dirmi i versi di un poeta tedesco, da me inventato sul momento. Mi disse che non lo conosceva ma era pronto a commentarmi i versi che io gli avrei proposto. Era un modo per vedere se si trattava di cultura autentica. Ma la risposta di Dipasquale quale fu?Dipasquale Parlai della metafora del treno che Saussure fa per spiegare il rapporto tra langue e parole. Camilleri Ecco. Mi interessava il modo di cavarsela. Che per un regista è fondamentale. Un regista deve sempre avere una soluzione, credibile, ai problemi che gli pone la scena. Quanto dello scrittore di oggi c’era già allora?Dipasquale Io posso dire come fosse oggi che Andrea non ci ha mai consegnato una pedante metodologia del saper fare il regista. Il mantra più forte che ci ha consegnato è stato quello che per fare il regista si dovesse esser capaci di raccontare una storia, meglio ancora un sogno. Andrea ci faceva lezione raccontandoci sogni. Camilleri Esatto, e poi vi obbligavo a raccontarvi il sogno come se lo aveste sognato voi al posto mio. Un esercizio che impone di raccontare le storie di altri, gli autori, ma come fossero le vostre. Il lavoro del regista è principalmente qui. Le varianti che si creano rispetto alla storia principale sono incredibili e rivelatrici e aprono una visione, quella del regista appunto, che permette al pubblico di godere della storia, originale sì dell’autore, ma interpretata dal regista. Cosa prende il pubblico di tutto ciò?Camilleri Di questo batuffolo di sogno a più capi che consegnamo al pubblico, ognuno prende il filo che vuole. Questa è la grande lezione del teatro. Il pubblico, anche di fronte a una visione già interpretata, afferma la propria libertà di prendere o non prendere un filo o più fili di quella storia e andarsene a casa con essi. Il Teatro è il modello politico per eccellenza, infatti. Il teatro può dunque spingere l’azione del pubblico?Dipasquale Non c’è teatro se in qualche modo non si accende un processo di rivoluzione, di cambiamento anche minimo, anche in uno solo degli spettatori, a mio avviso. Camilleri Sono d’accordo. E ne abbiamo esempi illustri. Pensiamo a Beaumarchais. Forse non c’è altro momento più coerente tra il teatro e il suo tempo. Beaumarchais immagazzina le istanze sociali, politiche del suo tempo, le mette in palcoscenico e le fa arrivare attraverso il sentimento. Dipasquale Il teatro è sempre nostro contemporaneo. Anche quando in scena non parla di storie contemporanee. Anzi personalmente diffido quando, oggigiorno ad esempio, per mostrare quanto complessa sia la nostra quotidianità, la si mette in scena senza veli, a carne nuda ad esempio, o addirittura mostrando atti di copula realistici. Il teatro, nella sua crudeltà, deve continuare a essere un sogno, una visione. Camilleri Ma certo, il teatro non può essere il vero, ma il verosimile. Ricordate il teatro di Andrée Antoine? Fu costretto, da una sera all’altra a sostituire i quarti di bue veri, che comprava in macelleria, che doveva guadagnare un botto allora per tutta la carne che Antoine aveva comprato da lui, con delle sagome dipinte. Perché il pubblico, che alla visione di quelli veri rideva, alla visione di quelli finti inorridiva. È inutile mostrare una copulazione autentica in scena. Bergman ci ha insegnato attraverso il cinema che cos’è l’allusione, il verosimile e quale forza abbia. Perché bene o male nel fondo del suo cuore lo spettatore più preso dallo spettacolo sa pur sempre che è di fronte ad uno spettacolo e non di fronte alla realtà. Dipasquale Fu Pina Bausch, che alla fine degli anni novanta ci fece vedere in scena un vero muro di cemento che crollava verso il pubblico, salvo poi continuare tutto lo spettacolo a raccontarci la poesia del mondo contemporaneo sulle macerie di quel muro. Berlino era in quel teatro dove si rappresentava lo spettacolo senza mai citarlo una volta. In teatro anche la poesia è politica, per questo credo che molti di quelli che incarnano la politica oggi – proprio perché ne hanno timore – reagiscono con indifferenza al teatro. Il teatro del sogno, come lo chiamate voi, è passatista; mentre moderno e contemporaneo è il realismo: mettere in scena persone affette da handicap, copulare in scena o addirittura mostrare il sangue eccetera. E il linguaggio della metafora?Dipasquale Non c’è bisogno di scomodare Jan Kott per affermare che i drammaturghi sono sempre nostri contemporanei. Anche quando non lo sono e non vogliono esserlo. Pensiamo a Pirandello, ai Sei personaggi. La prima al Teatro Valle fu un fiasco clamoroso. Il pubblico inveiva contro Pirandello. E lui si era limitato a giocare sulla finzione pura dell’Arte, recitando la verità a dispetto della mistificazione naturale che il teatro porta con sé. Ma Pirandello, non a caso, usa un paravento per mostrare l’oscenità dell’incesto tra Padre e Figliastra. Camilleri Che il pubblico del 1921 contestasse i Sei personaggi era più che giustificato, poiché intuì in quel preciso momento che stava avvenendo un omicidio. Cioè che si uccideva il teatro come fino ad allora era stato fatto e la concezione stessa che il teatro fino a quel 1921 aveva mantenuto. Il pubblico, inconsciamente, quando incominciò a gridare “manicomio, manicomio…” si rifiutava di accettare una rivoluzione, che non nasceva dal pubblico, ma che nasceva appunto dal teatro, dal palcoscenico. A proposito di Pirandello, voi avete scritto due testi tratti da altrettante novelle pirandelliane,La catturaeLa signora Leuca. Quanto è rimasto di Pirandello nella vostra scrittura?Dipasquale Le varianti di quelle due storie sono sostanziali e diverse. Non volevamo e non potevamo competere sullo stesso terreno e meccanismo di zio Luigi. Anche lui traeva il suo teatro dalle sue novelle. Ci siamo presi, pertanto, delle libertà. Per tutti, ad esempio, nella Cattura abbiamo introdotto nella storia un becchino che trafficava dal cimitero in cadaveri, ovvero vendeva ai nipoti di Guarnotta un cadavere sostituto, sì da permettere loro di dimostrare l’avvenuta morte e accaparrarsi dunque l’eredità. Camilleri Una immissione al limite dell’assurdo all’interno di una vicenda pressappoco realistica. Ma il teatro è il luogo delle libertà, si sa, e forse Pirandello ce l’avrebbe perdonato. In fondo non stavamo facendo altro che raccogliere un suo suggerimento datoci in un altro romanzo. Ma lei, Camilleri, ha sempre dichiarato che non ha mai scritto, né intende farlo, una storia originale per il teatro.Camilleri Lo confermo. Ne ho pudore, non ne sono capace. E poi, anche se non vale come regola, il migliore teatro è venuto fuori da racconti precedentemente scritti. Oltre a Pirandello pensiamo a Shakespeare che ha saccheggiato la novellistica cinquecentesca. Ma quanto bisogna tradire il racconto originario per essere credibili nella stesura teatrale?Dipasquale Il tradimento è necessario, quanto vitale, e si perpetua oltre la stesura teatrale tratta dalla narrativa, arriva alla scena all’interpretazione che di esso ne daranno registi, scenografi, costumisti, attori. Noi stessi siamo stati traditori di noi stessi. Nelle drammaturgie che abbiamo realizzato dal Birraio di Preston e dalla Concessionedel telefono già come autori fummo infedeli, io a Camilleri, Camilleria se stesso. Perché il teatro ha regole diverse rispetto alla narrativa. Camilleri C’è un aneddoto divertente che riguardaIl postino suona sempre due volte di James M. Cain del 1934. Lo volevano realizzare negli Usa ma censura e produttori non trovarono accordo immediatamente. Allora ci tentarono prima i francesi, con Le dernier tournant di Pierre Chenal, poi ci si mise Luchino Visconti con Ossessione, infine nel ’46 gli americani ne fecero un noir, di quelli meravigliosi che sembrano realizzati su carta patinata in bianco e nero ma che poco aveva a che vedere con il romanzo. Lo dissero a Cain con orrore e scandalo spiegandogli che avevano massacrato il romanzo, distrutto addirittura. Lui non si scompose, andò verso la sua libreria, tirò fuori il libro contenente il romanzo e disse stupito: “Vi sbagliate! Vedete il romanzo è qui, intatto, nessuno ha potuto distruggerlo!”. Dipasquale Però posso dire che nell’ultima trasposizione per il palcoscenico che ha debuttato a giugno al Festival dei Due Mondi di Spoleto, Il casellante, il tradimento è stato molto contenuto. Sarà perché è un racconto perfetto nel suo equilibrio tra prosa e poesia e portarlo al teatro secondo canoni usuali lo avrebbe potuto davvero allontanare dal risultato che poi invece ha ottenuto. Ma mi sono sentito, da regista oltre che da autore del testo teatrale, più interprete fedele che infedele, e questo mi ha dato una bellissima sensazione. Camilleri Il casellante, teatralmente parlando è di mano tua. Avere pensato di metterlo in scena in uno spazio scenico aperto per potere raccontare tutti i luoghi narrativi e averne fatto un’opera che teatralmente portava la prosa al canto è il corrispettivo di quello che mi ero riproposto scrivendolo. Poiché anche la scrittura è diversa rispetto gli altri miei racconti, pur mantenendo il suo rigoroso vigatese, è più ariosa, più aperta, più libera. Punta più alla fabula, alla melopea lirica, al canto insomma. In questo caso, forse narrativa e teatro sono stati più vicino di quanto possa immaginarsi. Verrebbe da chiedere se poi il teatro oggi è veramente in crisi.Camilleri Ma lo stato di crisi è lo stato migliore, per il teatro. Io credo che se dovesse morire, morirà in crisi. Anzi penso sia nato in crisi. Sono assolutamente certo che esiste un testo, purtroppo perduto, scritto da un signore che si chiamava Eschilo, dal titolo la crisi del teatro! Dipasquale Io credo che sia vero quello che dice Andrea, con una piccola postilla: finché anche la società in cui vive il teatro sarà in crisi (e a mio avviso lo è sempre stata e sempre lo sarà) anche il teatro avrà vita, sviluppando la sua vitalità anche sulla capacità di comprenderla e comunicarla questa crisi. Camilleri abbiamo cominciato con il ricordo di Dipasquale allievo di Camilleri all’Accademia “Silvio D’Amico”, ma anche Camilleri è stato allievo di un grande uomo di teatro come Orazio Costa.Camilleri Anche io feci l’esame di ammissione in Accademia come regista. Mi presentai in un bellissimo ottobre romano del ’49 al teatrino di via Vittoria per essere esaminato. Mi sedetti davanti a Costa che iniziò subito una sorta di sventramento sistematico, con una totale differenza di vedute, fino a discutere della Vedova allegra come spettacolo che io avrei messo in scena e che Costa vedeva come il Diavolo. L’esame si concluse con questa frase di Costa: “Sappia che quello di cui lei ha detto o scritto nulla è condiviso da me”. Me ne andai sconsolato, sicuro di non avercela fatta. Due settimane dopo venni rintracciato da mio padre che diceva mi dovevo presentare in Accademia, ero stato ammesso. Arrivai in ritardo e mi incontrai subito con Costa. Ero l’unico allievo regista ammesso. Subito mi fulminò chiedendomi perché così in ritardo. Mi giustificai ricordandogli la frase con la quale mi aveva congedato mi aveva fatto pensare di non essere stato ammesso. Allora lui, severo, ma preciso, mi fulminò una seconda volta: “Il fatto che io non abbia condiviso le tue idee non voleva dire che erano stupide! Voleva solo dire che non le avevo condivise.” Così conobbi la grandezza di Costa. E così si conferma la grandezza del luogo per eccellenza, il teatro.