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 2016  ottobre 24 Lunedì calendario

“NEL ’56 STAVO CON NENNI, MA SCELSI TOGLIATTI” [Achille Occhetto] – Il 23 ottobre di sessant’anni fa, a Budapest, migliaia di studenti ungheresi si ritrovarono per una manifestazione di sostegno ai compagni polacchi anti-stalinisti, incarnati dal revisionismo socialista di Gomulka

“NEL ’56 STAVO CON NENNI, MA SCELSI TOGLIATTI” [Achille Occhetto] – Il 23 ottobre di sessant’anni fa, a Budapest, migliaia di studenti ungheresi si ritrovarono per una manifestazione di sostegno ai compagni polacchi anti-stalinisti, incarnati dal revisionismo socialista di Gomulka. La piazza però ben presto divenne la base dell’insurrezione contro il regime filosovietico dell’Ungheria. La rivolta fu stroncata nel sangue: nella notte del 4 novembre, 4mila carri armati con la stella rossa di Mosca entrarono a Budapest, sotto la guida del Maresciallo Konev, comandante delle forze del Patto di Varsavia. I fatti d’Ungheria furono un trauma per il Pci, il più grande partito comunista d’occidente. Togliatti, Ingrao e Napolitano si schierarono con la repressione sovietica. Achille Occhetto, l’uomo della Bolognina, aveva 20 anni nel 1956 e scrisse un articolo per difendere gli insorti: “Quello choc fece danni anche alla mia Svolta”. Gli ottant’anni di Achille Occhetto e i sessanta della repressione sovietica a Budapest. La conversazione con l’ultimo segretario del Partito comunista italiano, nonché protagonista della Svolta dell’Ottantanove, principia da una sottrazione. Lei aveva vent’anni precisi, in quel tragico autunno. Vivevo già a Milano (Occhetto è originario di Pinerolo, in Piemonte, ndr) ed ero segretario del circolo universitario Antonio Banfi. E scrisse un articolo per il numero zero di Nuova Generazione, il settimanale dei giovani comunisti che proprio nel 1956 cominciò le pubblicazioni. Sandro Curzi fece questo titolo al mio pezzo: Il furore alberga nel cuore dei giovani comunisti. Riconobbe le ragioni dei rivoltosi ungheresi. Ero profondamente colpito. Fino a quel momento avevo un’idea idilliaca dell’area che rappresentavamo. Ci sentivamo come gli apostoli del Risorgimento: eravamo usciti dalla lotta antifascista nel nome della libertà, che aveva riunito insieme comunisti, cattolici di sinistra, socialisti, azionisti. Invece, l’intervento a Budapest fu il contrario della libertà. La mia crisi di coscienza fu totale. Ci veniva consegnato un dato drammatico: i carri armati con la stella rossa erano gli stessi che avevamo visto liberare Berlino. Il Partito, con la maiuscola, non la rimproverò? Ero giovanissimo, non successe nulla, ma ricordo un episodio. Racconti. La federazione di Milano fu assalita dai fascisti ed io ero sulle gradinate che rispondevo alle sassate, fianco a fianco con gli stalinisti. Mi rivolsi a loro insultandoli: “Se questi sassi arrivano è colpa vostra”. All’epoca, nel Pci di Milano, c’era un’atmosfera cupa, successivamente i dirigenti furono accusati per eccesso di stalinismo. In ogni caso, lei scelse di non andare via dal Pci. Al contrario di tanti, citiamo Antonio Giolitti per tutti. Rimasi in bilico. Apprezzavo la posizione di Nenni e del Psi e mi trovai in una forte contraddizione psicologica e morale. La rottura col Psi fu irreversibile. Storicamente, i socialisti hanno avuto ragione sulla mancanza di libertà nell’Unione sovietica. Dall’altro lato, c’era l’alterità nobile ma su basi sbagliate del Pci. Nel Partito, Ingrao da sinistra e Amendola e Napolitano da destra si allinearono a Togliatti nel 1956. Ingrao ancora non me lo spiego, anche se so che ne ha parlato più volte. In un libro-intervista uscito in estate, L’utopia possibile, curato da Carlo Ruta, lei ha detto che i fatti d’Ungheria determinarono nel Pci una lacerazione tra verità e rivoluzione. In nome del fine, cioè la rivoluzione, si giustificava ogni mezzo. Questo giustificazionismo c’è sempre stato nel Pci. Anche la destra del Partito, in seguito chiamata migliorista, fu giustificazionista e filosovietica. Era la stessa generazione, da Napolitano a Macaluso, che poi avrebbe voluto fare un patto a tutti i costi con il Psi di Craxi, che non era quello di Nenni. Ecco, trent’anni dopo, ritrovai tutte filocraxiane le stesse persone che avevano contribuito a rompere con Nenni, impedendo così la nascita di un grande partito unitario di sinistra. Questione cruciale, quella dei rapporti con il Psi, che tornò, appunto, nell’indimenticabile Ottantanove della Svolta. Craxi più che altro voleva l’annessione nel nome della Storia, non dell’unità a sinistra. Io ci provai. V’incontraste nella sede del Psi. La mia premessa fu: “Caro Craxi tra i nostri due popoli c’è un astio profondo”. Quindi? Proseguii: “Se vogliamo ricostruire un’unità vera dobbiamo fare un rilevante passaggio comune. Tu sei nel pentapartito e non ci puoi chiedere di entrare nel pentapartito. Costruiamo piuttosto un’opposizione che ci premi”. E lui? Scribacchiava su un foglio, faceva dei ghirigori. Mi rispose: “Non ci sono i numeri”. Craxi era un empirico. Ribattei: “I numeri non sono fatti di eventi statici. Pensa alla novità che si creerebbe. I numeri lieviteranno”. Craxi non cedette. Rimase un paio di minuti in silenzio. Poi? Mi guardò e disse: “Caro Achille non posso andare all’opposizione neanche un giorno, anzi neanche un’ora, altrimenti questi qui mi cacciano”. Parlava e indicava con il dito, intorno, tutti gli uffici del suo partito. Il governismo, malattia endemica e trasversale. Diciamo che c’erano delle convenienze a rimanere nel governo. Alla fine di maggio il Fatto ha pubblicato due speciali sui report dell’ambasciata americana in Italia del fatidico Ottantanove. Inclusa la possibilità di un governo Craxi con lei vicepremier. Craxi non fece alcun riferimento a questo. I contenuti di quel colloquio li sto rivelando adesso e la questione non fu affrontata. In ogni caso, per tornare al 1956, lei decise di rimanere nel Pci. Lo feci per motivi esistenziali e culturali. Ero un gramsciano e quello era il partito di Gramsci. E poi non consideravo il Psi sufficientemente capace di battersi con vigore per le istanze dei più poveri, dei più deboli. Nonostante quell’errore tragico, Togliatti aveva dato un’impronta originale al partito. La celebre doppiezza: da un lato la fedeltà a Mosca, dall’altro la via italiana al socialismo. Più che doppiezza in senso ambiguo, come per ingannare, era l’effetto di contraddizioni reali. Il Cinquantasei, nell’immediatezza, fece danni perché rompemmo con il Psi e per un decennio, fino al Sessantotto, quando ci fu il dissenso di Longo sull’invasione di Praga, battemmo la fiacca. Tutto questo ci spinse sulla strada del rinnovamento nella continuità. Formula magica per tenere tutto insieme. Una tesi che aveva i suoi meriti ma anche i suoi limiti, a causa di quell’involucro ossificato che stava diventando il Pci. Ma senza quel processo avviato da Togliatti non ci sarebbero state alcune pietre miliari di Berlinguer: la dichiarazione sull’esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre; il discorso a Mosca sul valore universale della democrazia; infine l’intervista sul valore positivo dell’ombrello della Nato (Occhetto sorride, ndr). Perché sorride? Se allora ci fossero stati i social network chissà quanti insulti avrebbe avuto Berlinguer, soprattutto sull’ombrello della Nato. Venne infine la sua Svolta. Oggi però si tende sempre a rimuovere chi è stato in mezzo tra Berlinguer e Renzi. Cioè lei. Forse perché sono un dissacratore. Io mi ritengo un eretico da sempre a favore della contaminazione. A volte si riduce la Bolognina al coraggio di una sola giornata. Invece. C’è stata una dissipazione interna della cultura politica che conteneva la mia Svolta. È vero che Renzi ha fatto un’Opa, ma l’ha fatta sulle macerie. Quelli prima di lui avevano già distrutto tutto. Il Pds avrebbe avuto bisogno di almeno dieci anni di consolidamento vero, non di convenienze e gestionismo. Forse oggi non ci sarebbe la mutazione genetica, governando con il peggio del berlusconismo. La sinistra, per avere una speranza, dovrebbe uscire dalla morsa tra l’opportunismo moderato, che tende all’affarismo e alla corruzione, e l’antagonismo impotente. Lei andrà a votare il 4 dicembre? Non ho deciso ancora. Occhetto, oggi come si definirebbe? Un democratico di sinistra.