Andrea Giambartolomei, Il Fatto Quotidiano 23/10/2016, 23 ottobre 2016
«LONTANO DALLA REALTÀ. MA STIMOLA LA CHIESA A RACCONTARSI MEGLIO»
Ciao Roma, ciao mondo!”. Nel suo onirico discorso d’insediamento dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, Pio XIII saluta i fedeli come una rockstar e mosse da divo. E i numeri ottenuti venerdì sera da Sky sono da rockstar. Sono stati 953mila gli spettatori medi per i primi due episodi per la serie “The Young Pope” trasmessa su Sky Atlantic e Sky Cinema, il 45 per cento di spettatori in più rispetto all’esordio di “Gomorra” e il 42 per cento in più rispetto a “1992” di Stefano Accorsi, tre volte più di “Game of Thrones” e sei più di “House Of Cards”, le serie tv americane di maggior successo. Buona la prima, quindi, per il regista e premio Oscar Paolo Sorrentino e il suo pontefice yankee Lenny Belardo, interpretato da Jude Law.
Nella serie tv, una produzione originale Sky, Hbo e Canal+, prodotta da Wildside e coprodotta da Haut et Court TV e Mediapro, Belardo è il primo pontefice statunitense, eletto dal conclave a 47 anni. Nonostante la giovane età, però, è un conservatore. Nulla a che vedere con papa Francesco. Inoltre, come ha detto Sorrentino in un’intervista al Fatto Quotidiano l’11 ottobre, è una storia “depurata da scandaletti e omicidi”, un aspetto che fa la differenza in un’epoca di Vatileaks, trame e corvi, dove ciclicamente si torna a parlare della scomparsa di Emanuela Orlandi.
Non è bastato tenere lontani gli scandali per ottenere la collaborazione del Vaticano: “Non ci ha aiutato, ma era prevedibile”, aveva spiegato il premio Oscar sempre in quell’intervista. E sembra che a San Pietro le prime due puntate di The Young Pope non abbia suscitato entusiasmo e curiosità: “Ieri sera non ho visto le puntate, non so se riuscirò a farlo”, afferma monsignor Dario Edoardo Viganò, ex direttore del Centro televisivo vaticano e prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede. Difficile anche immaginarsi altri prelati e cardinali passare il venerdì sera seduti a guardare un pontefice giovane e tabagista e una suora, suor Mary (interpretata da Diane Keaton), che indossa una t-shirt con scritto “I’m a virgin but this an old shirt”. Eppure tutto ciò non può creare scandalo, tanto è il distacco dalla realtà.
Almeno così crede don Davide Milani, presidente della Fondazione ente spettacolo e della Commissione nazionale di valutazione dei film per conto della Cei: “Dal punto di vista della scrittura e della tecnica è ben fatto, chapeau – spiega –. Come in altre serie televisive di successo sono i dialoghi che mandano avanti la storia e non la trama. Poi il dispiego di mezzi non è da poco”. Secondo lui una produzione internazionale, capace di piazzare il prodotto in 110 paesi diversi, “dimostra l’interesse globale per la figura del papa”.
Certo, poi la storia è ben diversa dalla realtà: “Da una serie tv gli spettatori non si aspettano veridicità o la verosimiglianza. Non è neanche quello l’obiettivo di chi ha prodotto The Young Pope. Lo dichiara anche il procedimento narrativo usato, con il sogno e il ribaltamento continuo”. Se la figura di Pio XIII è distante da quella di papa Francesco, anche il popolo dei credenti non viene rappresentato fedelmente: “È poco più di una macchietta che fa da contorno alle trame dei palazzi, spettatori di quanto avviene dentro”. Insomma, The Young Pope non può suscitare dubbi negli spettatori: “Non è quella realtà lì, ma è talmente evidente che non c’è di che scandalizzarsi”.
E c’è un altro spunto che don Davide Milani apprezza: “Guardare una serie tv così fa emergere nella Chiesa italiana il bisogno di una grande professionalità nei racconti televisivi. Questo può essere uno stimolo – spiega –. La chiesa deve raccontarsi di persona perché è lo stesso Gesù, anticipando Sorrentino, a dire ‘Venite e vedete’ e noi dobbiamo imparare a raccontarci”. Viene da pensare che allora tutte le produzioni tv sulle storie dei pontifici siano state troppo nazionalpopolari e didascaliche. Milani non è della stessa opinione: “Cinque anni in televisione, nella narrazione e nei linguaggi sono delle ere geologiche”.