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 2016  ottobre 26 Mercoledì calendario

UE-CANADA, LA VERA STORIA DI COME I GOVERNI EUROPEI HANNO UCCISO IL CETA

Adesso che il trattato commerciale tra Ue e Canada, Ceta, è congelato per l’opposizione della regione belga della Vallonia, a Bruxelles in tanti cercano di capire se il fallimento segna una catastrofe irreversibile per l’Unione, proprio su uno dei dossier per i quali ha competenza esclusiva. Oppure è soltanto un incidente di percorso. Per stabilirlo, bisogna capire cosa è successo davvero e perché, il 5 luglio 2016, la Commissione europea ha fatto una scelta suicida, cioè spiegare al Consiglio dei capi di governo che il trattato Ceta era tutto di competenza europea ma, nonostante questo, suggeriva di trattarlo come “accordo misto”, sottoponendolo al voto dei Parlamenti degli Stati. E così la Vallonia, il cui voto è vincolante per il governo belga anche per l’approvazione provvisoria in attesa della ratifica, ha fermato tutto. Cosa è successo davvero?
In primavera la Commissione europea, e gran parte degli europarlamentari, non avevano dubbi: il Ceta è un accordo “Eu Only”, verrà gestito solo a livello comunitario, gli Stati (e i Parlamenti dietro i governi) hanno dato mandato negoziale ma hanno soltanto compito di approvare o respingere il testo finale. Il 13 maggio però si riunisce il Consiglio Affari esteri e commercio, cioè riunione dei ministri competenti in materia dei 28 Stati membri. Dopo quell’incontro, vengono prodotte ben due versioni di report riassuntivi (Follow up). Nella prima viene scritto che “tutti gli Stati che hanno preso la parola” hanno indicato che consideravano il Ceta come un “accordo misto”, cioè volevano che passasse dei Parlamenti nazionali. A tutti gli addetti ai lavori era chiaro che quella richiesta aveva un obiettivo chiaro: uccidere il Ceta. In questo clima politico è impossibile che un progetto così, considerato anche l’anticamera del Ttip con gli Usa, passi indenne dalle polemiche nazionali dopo essere stato discusso per anni solo a livello comunitario.
Nella seconda versione del report, che viene cambiato su input di alcuni governi, si legge addirittura che “gli Stati membri hanno dichiarato all’unanimità di considerare il Ceta un accordo misto”. E questo è un falso completo: il Belgio, per esempio, non si era espresso. Romania e Bulgaria avevano dubbi, ma soltanto riguardo alle restrizioni ai visti, da abbandonare in cambio del via libera al trattato. E, soprattutto, l’Italia non era affatto di quell’idea.
Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che capisce le implicazioni politiche di quella pressione dei governi sulla Commissione, rende esplicito il proprio dissenso con una lettera del 27 maggio alla commissaria al Commercio Cecilia Malmström: “L’Italia, dopo una valutazione tecnica, è pronta a sostenere l’accordo Ceta come Eu Only”, cioè di competenza tutta comunitaria senza passaggio dai Parlamenti nazionali.
Perché i rappresentanti dei governi europei sono arrivati a dichiarare il falso pur di condannare a morte certa il Ceta? Secondo i memo che il Fatto ha letto, è andata così: in quella riunione del Consiglio Affari esteri e commercio, la Francia, la Germania e l’Austria – tre Paesi con le elezioni imminenti –, hanno sostenuto che presentare il Ceta come accordo “Eu Only” sarebbe stato “percepito come una negazione della democrazia”. L’Italia si è subito posta la domanda di quale ripercussione avrebbe avuto la bocciatura del Ceta in un solo Paese. Se gli altri, cioè, avrebbero potuto proseguire l’iter di approvazione. Un modo per tenere sotto pressione gli oppositori. “Se passa il Ceta poi gli elettori penseranno subito al Ttip e le proteste sono assicurate”, è la sintesi della linea che da Parigi e Berlino veniva data ai propri rappresentanti a Bruxelles. Italia, Francia e Germania erano anche pronte a uno scontro finale in un Consiglio europeo straordinario nel caso la Commissione avesse deciso di ignorare le indicazioni e comunicare comunque che riteneva l’accordo Ceta “Eu Only”.
Alla Commissione è ben chiaro che perdere questa partita significa ridurre questo simulacro di governo europeo a una specie di segreteria degli Stati membri. E infatti il presidente Jean Claude Juncker insiste sulla sua linea: al Consiglio europeo del 29 giugno comunica ai governi che l’accordo Ceta sarà “Eu Only”, perché questo hanno stabilito i servizi giuridici della Commissione. Si mettano l’anima in pace. Ci sono anche le slide già pronte da distribuire pochi giorni dopo, in occasione della comunicazione ufficiale. “Se lo fate siamo morti”, è la reazione dei due capi di governo più esposti alle proteste e al rischio elezioni, cioè la cancelliera Angela Merkel e il presidente François Hollande. “Se la Commissione avesse seguito l’approccio suggerito dal servizio giuridico, il Ceta sarebbe rimasto ostaggio di una disputa istituzionale: gli Stati membri non avrebbero mai appoggiato un accordo Eu Only e non sarebbero mai riusciti a raggiungere il consenso unanime necessario per far trasformare la proposta della Commissione in un accordo misto”, spiegano fonti vicine alla Commissione.
Juncker prova, senza risultato, a difendere la posizione: anche un accordo misto è pienamente democratico, spiega, lo esamina il Parlamento europeo e, se un Parlamento nazionale vuole lo stop, vota per chiedere al suo governo di bloccarlo. Tutto inutile, quindi Juncker decide la tattica del suicidio, butta le slide sull’accordo esclusivamente comunitario e lo presenta come “accordo misto”, non prima di aver comunicato ai suoi collaboratori: “Mi assumo la responsabilità degli errori che sono costretto a fare”.