Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano 26/10/2016, 26 ottobre 2016
COSÌ SCOTT FITZGERALD DESCRIVEVA TRUMP NEL 1923
“Sulla parete, è appesa una foto del suo matrimonio, quando portava un ciuffo giallo alla Pompadour. Il ciuffo se n’è andato ora, sbiadito come il resto di lui, trasformandolo in un disegno di uomo, senza grazia né umorismo”. La descrizione è quella di un futuro presidente degli Stati Uniti, visto a pochi giorni dall’elezione nella sua casa, in compagnia di una moglie frivola e ambiziosa. L’uomo in questione ha il chiaro profilo di un ottuso: “Fissa il tappeto, sicuramente non per approvarne l’estetica, e rimane assorto nella propria assenza di pensieri. Sfoglia le pagine di una rivista, mentre sbadiglia e coi piedi accenna a un passettino di danza. Così finisce presto per distrarsi dalla rivista e guardarsi con indifferenza i piedi”.
Chi firma questo curioso reportage e chi è questo futuro presidente? Tutto lascerebbe pensare a un giornalista filo democratico intrufolatosi nella dimora privata del candidato alla Casa Bianca Donald Trump. In realtà, il testo ha quasi cento anni e fa parte di una commedia poco nota di Francis Scott Fitzgerald, andata in scena ad Atlantic City nel 1923 col titolo emblematico di The Vegetable or from President to Postman (Il Vegetale o Da Presidente a Postino), accompagnata dall’epigrafe: “Un uomo che non desideri farsi strada nel mondo, guadagnare un milione di dollari e magari anche mettere lo spazzolino da denti nel bagno della Casa Bianca, non vale più di un buon cane – non è nient’altro che un vegetale”.
Ha avuto l’ottima idea di tradurla (grazie a Nicola Manuppelli) e pubblicarla con copertina con l’elefantino conservatore (disegnato da Christian Dellavedova) la casa editrice Aliberti, che lo manda in libreria il 4 novembre con il titolo del protagonista, Jerry Frost. Che è, appunto, il futuro presidente e al tempo stesso l’uomo medio che sogna di diventare presidente. La casa di Frost, impiegato delle ferrovie, è infatti fatta di “roba pagata a rate, in simil pelle, oggetti tristemente consunti e vecchi”. La libreria, scrive con ironia Fitzgerald, “deve avere ospitato una copia di Ben Hur quando era un best-seller, e ora cerca di digerire I capolavori della letteratura del mondo e Arguzia e umorismo degli Stati Uniti in 6 volumi. E quella parete, mio Dio! Sopra c’è appena l’intera storia della fotografia americana: bambini con sguardi lascivi e deprimenti, ragazzi con cravatte strette o lasciate sventolare in conformità di qualche antiquato criterio di dandismo borghese”.
La moglie Charlotte “parla con tono lamentoso e pessimista e con una sorta di egoismo sciatto”. Discutono di futuro, e di ambizioni, insieme al padre di lui, Dada, semicieco e appassionato di Vecchio Testamento (unico libro letto), e Frost rivela che da piccolo voleva fare il presidente. D’altronde sono alla vigilia di una nuova elezione, Jerry è agitato e tra una gaffe e l’altra con il fidanzato della cognata chiama l’ufficio informazioni per sapere chi è stato eletto. Magicamente, però, bussano alla porta e un noto politico viene ad annunciargli che il nuovo presidente è lui.
La scena cambia. Siamo alla Casa Bianca e la First Lady cammina carica di pacchi da shopping. Frost ha eletto il padre 80enne ministro del Tesoro, convinto che abbia letto un sacco di libri, deve tenere a bada il capo dell’esercito che vuole trovare un nemico per far la guerra, ma soprattutto fronteggiare la richiesta di dimissioni della popolazione dell’Idaho. Si fa allora abbindolare da un furfante che si spaccia per ambasciatore della Polonia Irlandese e scambia lo Stato dell’Idaho con le fantomatiche Isole Buzzard, salvo scoprire poi che il capo dell’esercito ha deciso di dichiarare guerra alla Polonia Irlandese e che attaccheranno proprio le Isole Buzzard.
Disperato, rivela che in realtà da piccolo voleva fare il postino. Improvvisamente tutto cambia e lui si trasforma in un felice postino. Ma a due settimane dal voto in noi rimane dentro come una specie di grottesco incubo: quello di avere un Segretario del Tesoro americano come Dada, una First Lady come Charlotte, e soprattutto un presidente degli Stati Uniti competente, specie in politica estera, come Jerry Frost (Trump). Lungimirante Fitzgerald.