Alessandra Bocci, La Gazzetta dello Sport 26/10/2016, 26 ottobre 2016
CHIAMBRETTI: «IO, SINISA, IL TORO. UNA STORIA LUNGA TUTTA LA VITA» – Le maglie dei calciatori stese ad asciugare al sole nell’antistadio, l’odore del sapone
CHIAMBRETTI: «IO, SINISA, IL TORO. UNA STORIA LUNGA TUTTA LA VITA» – Le maglie dei calciatori stese ad asciugare al sole nell’antistadio, l’odore del sapone. «Era un altro calcio, un’altra Torino. Una Torino operaia, near Milano, nessuno sapeva dove fossimo. Faceva freddo. Ora Torino è una città diversa, solare, una delle più belle d’Italia. Ma lo spirito di quel periodo resta: saltavo la scuola e andavo a vedere gli allenamenti al Fila. Non è nostalgia, è la nostra storia». Erano gli anni del tremendismo, dice Piero Chiambretti, di un Torino combattivo e di nuovo campione a metà degli anni 70, dopo la tragedia di Superga, il declino, e il filo granata che i nonni annodavano ostinatamente per i nipoti. Perché è diventato torinista? «Perché sono sempre stato contro. Quando ero alle elementari per la verità vinceva l’Inter, ma la Juve dominava a Torino e a me è sempre piaciuto star fuori dal coro. Aggiunga la fede granata del nonno, e soprattutto l’episodio della morte di Gigi Meroni. Ero piccolo, ma ricordo il tam tam della notizia: una serata di pioggia, due giocatori del Toro che attraversano la strada nella penombra, l’incidente e la morte di un grandissimo talento». I tifosi del Toro sono ancora legati a questo fascino dolente: un po’ troppo forse? «E’ inevitabile provare questo senso di appartenenza dopo Superga e altre disgrazie. Ci sono squadre sopravvissute alle tragedie, ma non tante. Se devo trovare un parente al Torino dico Manchester United». Del Toro attuale che cosa dice? «E’ una squadra che entusiasma. Sinisa Mihajlovic è un guerriero, non era facile raccogliere l’eredità di Ventura. Sinisa trasmette l’agonismo che mi piace. Per mezzora domenica siamo stati al terzo posto. E’ di nuovo paradiso granata, come quando avevo la Cinquecento e festeggiavo lo scudetto del 1976». Il presidente granata Cairo all’inizio è stato contestato, adesso piace. «E’ stato contestato più che altro nella girandola pre-Ventura, ma diamo a Urbano quel che è di Urbano: acquisti, risultati, valorizzazione dello staff e di tanti giocatori. Cairo ha fatto un grande lavoro, insieme al d.s. Petrachi. Cairo è uno che sa far quadrare i conti e far funzionare le cose». Di solito i tifosi non sono molto interessati ai conti. «Senza conti in regola un club muore». Ma lei una volta era Pierino la peste: ci racconti le sue incursioni nei ritiri. «Per i giocatori di quegli anni ero un marziano. Ricordo che una volta ci siamo introdotti nell’albergo del Milan, a Torino. Per primo mi sono ritrovato davanti Van Basten, in ascensore. Gli ho detto: “Sa che lei ha i piedi a banana?”. “Le banane mi piacciono molto”, ha risposto. Poi sono sceso in sala da pranzo e Sacchi quando mi ha visto è sbiancato. Dopodiché il direttore dell’albergo ha chiamato e ci ha ordinato di stare tranquilli». Altri disordini provocati? «Nel ritiro del Napoli ho bussato alla porta di Maradona fingendo di essere Gianni Minà. Quando ha aperto la porta era nudo. L’ha richiusa subito». “Va’ Pensiero”, “Prove tecniche di trasmissione”: ha costruito uno stile. «Allora si poteva. In “Prove tecniche di trasmissione” facevo la moviola umana, mimando i gesti più importanti della domenica. Capitava di entrare in campo con i giocatori e pensi il loro sconcerto nel vedere un nano in smoking in mezzo a loro». A sessant’anni, si sente ancora Pierino la peste? «Cerco di non perdere il mio carattere, ma bisogna adattarsi allo spirito dei tempi». E’ per questo che le piace Mihajlovic? Per lo spirito giusto? «Con lui è tornato il tremendismo granata». Il suo Torino è soprattutto quello del ‘76? «Inevitabile ricordare quella sera, con la gente pigiata a festeggiare in piazza Castello. A un certo punto ci dicono che ci sono alcuni giocatori, Agroppi e non ricordo più chi, chiusi in un’utilitaria in mezzo ai tifosi, un mare di tifosi. Sa, non è che allora girassero in pullman scortati dalla security». Ancora il gusto vintage. «Non se ne può fare a meno. Comunque se mi chiede quali partite ho amato le dico il derby vinto 3-2 ma anche la finale di coppa Uefa con l’Ajax, una partita sfortunata. Mi rivedo in mezzo al campo con il loden, mentre i giocatori dell’Ajax stanno facendo il torello. Portai via il pallone e andai di corsa verso la porta a fare gol. Erano stupefatti». A proposito di Ajax, in Inter-Torino ci sarà in panchina il pericolante De Boer: che partita si aspetta? «Dipenderà dall’Inter e dal suo pubblico. Credo comunque che sarà una gara più facile di quella con la Lazio: la fragilità psicologica dell’Inter potrebbe giocare a nostro favore. L’Inter ha campioni che devono essere accesi, ma se proverà a fare la partita vedrà che il Torino in contropiede sa essere micidiale. Belotti sembra due Belotti, un giocatore in attacco e uno in difesa. Pazzesco». Le ricorda qualcuno? «Nessuno. E’ un bestione sempre in piedi e dopo averlo visto da vicino capisco perché sia difficile buttarlo giù: in tv sembra più gracile. Paragonarlo a Pulici o Graziani mi pare un errore, lui torna in difesa a prendersi la palla. E’ una furia, ma mi emoziona anche Iago Falque, mi piace Ljajic e ho simpatia per il portiere e per Barreca». Che effetto le fa Ventura c.t. azzurro? «Sono contento per lui, che è un maestro di calcio. Arrivare in Nazionale era un sogno nel cassetto che mi aveva confessato qualche anno fa. Vedo che una parte della stampa è diffidente, d’altronde arrivare dopo Conte non sarebbe stato facile per nessuno. Alla lunga si capirà il valore di Ventura». Conte, la Juventus. Lo Stadium le piace? «Bellissimo, ma non ci vado. Costruirsi uno stadio è fondamentale per un club e sono contento perché sta per rinascere il Fila. Non ci giocheremo, però ci saranno il museo, la sede. Sarà la nostra casa». Ecco che ripensa al passato. «Gliel’ho detto: noi granata siamo tutti un po’ vintage».