Francesco Borgonovo, LaVerità 25/10/2016, 25 ottobre 2016
«RISERVA DI ORGANI PER I TRAPIANTI. ECCO COME LA CINA USA I PRIGIONIERI POLITICI»
David Matas è un avvocato canadese e da dieci anni conduce una coraggiosa battaglia che gli è valsa, nel 2010, la candidatura al Nobel per la Pace. Come spiega in questa intervista concessa alla Verità, dal 2006 Matas si occupa di svelare al mondo come funziona l’industria dei trapianti di organi in Cina. Oggi, domani e dopodomani, l’avvocato parteciperà, a Roma, al congresso della Sito (Società italiana trapianti d’organo), grazie all’impegno della ong Dafoh. È proprio questa organizzazione a rendere noti i dati sui trapianti effettuati in Cina negli ultimi 16 anni. In questo arco di tempo, le strutture ospedaliere cinesi «hanno effettuato circa 60.000-100.000 trapianti all’anno. Questo numero non può assolutamente essere spiegato con le donazioni volontarie, il cui numero è, per ragioni culturali, irrisorio, sebbene in crescita». Che cosa si cela, allora, dietro questa industria del trapianto?
Secondo gli attivisti di Dafoh, «l’industria dei trapianti di organi in Cina è centralizzata e controllata dallo Stato attraverso politiche e finanziamenti nazionali e coinvolge sia ospedali militari che civili. I funzionari cinesi dal 2005 hanno iniziato ad affermare che la maggioranza degli organi proviene da prigionieri nel braccio della morte. In realtà ci sono solo alcune migliaia di esecuzioni capitali all’anno in Cina, e il numero è in decrescita. Ci sono prove inconfutabili che la discrepanza tra tali numeri debba essere, almeno in parte, spiegata con il prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza». Insomma, gli organi sarebbero prelevati ai prigionieri politici, quelli che si trovano in carcere per via delle loro idee o della loro fede. Matas ci ha raccontato come si svolge questa orrenda pratica.
Come ha iniziato a occuparsi del traffico di organi?
«In realtà, il mio obiettivo è più specifico del traffico di organi. Ciò di cui mi occupo è l’uccisione, in Cina, di coloro che praticano gli esercizi spirituali Falun Gong per i loro organi. Queste uccisioni fanno ovviamente parte del fenomeno generale del traffico di organi, ma hanno le loro caratteristiche specifiche. L’attenzione su queste uccisioni mi ha portato a prendere coscienza del contesto generale del traffico di organi. Ma questo contesto generale per me rappresenta una informazione di base che ho acquisito con lo scopo di affrontare una questione specifica. Il mio interesse per l’uccisione dei praticanti del Falun Gong per i loro organi è iniziata nel maggio 2006. Una donna - conosciuta con lo pseudonimo di Annie - ha affermato che il suo ex-marito aveva espiantato le cornee di praticanti del Falun Gong. Anche altri medici dell’ospedale in cui il suo ex marito lavorava avevano utilizzato altri tipi di organi. I corpi dei praticanti del Falun Gong, dopo l’estrazione degli organi, erano stati cremati. Il governo cinese ha smentito le affermazioni di Annie. Nel maggio 2006, una ong ha chiesto a me e a David Kilgour di indagare, e abbiamo accettato».
E che ricerche avete fatto?
«La mia ricerca sul tema è stata costante a partire dal maggio 2006. Assieme a David Kilgour ho prodotto tre versioni del rapporto intitolato Bloody Harvest, uscite nel luglio 2006, nel gennaio 2007, e in forma di libro nel mese di agosto del 2009. A seguito di questo rapporto, il medico statunitense Torsten Trey ha creato l’ong Medici contro l’espianto forzato di organi (Dafoh). Assieme a lui ho curato un libro di saggi sul tema intitolato State Organs, pubblicato nel luglio 2012. Il giornalista Ethan Gutmann ha intervistato me e David Kilgour sul nostro lavoro e poi ha scritto un libro sul tema chiamato The Slaughter, pubblicato nell’agosto 2014. Al nostro lavoro è dedicato anche il sito web creato dallo svedese Normann Bjorvand (endorganpillaging.org). Io, Kilgour e Gutmann abbiamo poi realizzato un aggiornamento del nostro lavoro, uscito nel mese di giugno e disponibile sul sito che le ho indicato. L’aggiornamento è di quasi 700 pagine e ha circa 2.400 note».
Dunque avete trovato parecchie prove.
«Come si può vedere dalla lista delle pubblicazioni che le ho elencato, le prove sono molte. Le categorie di prove includono, in primo luogo, il numero di trapianti. Non si può spiegare, se non con il fatto che i prigionieri politici, soprattutto i praticanti del Falun Gong, vengono utilizzati come fonte di approvvigionamento di organi. Poi ci sono le prove che vengono dagli informatori, dai “turisti dei trapianti”, dai prigionieri (sia praticanti del Falun Gong sia non praticanti) che sono usciti di prigione e dalla Cina. E poi ci sono le ammissioni degli ospedali e dei dottori contenute nelle registrazioni realizzate da investigatori che hanno finto di essere parenti di pazienti che avevano bisogno di trapianti».
Entriamo nel dettaglio. Durante le sue ricerche, che cosa ha scoperto sui prigionieri politici in Cina?
«In grande numero, nell’ordine delle decine di migliaia, vengono uccisi per i loro organi. Le vittime principali sono i praticanti del Falun Gong. Anche uiguri, tibetani e cristiani del movimento Folgore d’Oriente sono vittime, in numero minore».
Le è capitato di incontrare qualcuno di questi prigionieri politici? Che cosa le hanno raccontato a proposito delle loro esperienze?
«Ne ho incontrati molti. Quello che mi hanno detto è che i praticanti del Falun Gong sono stati sistematicamente sottoposti ad analisi del sangue e a esami degli organi. I prigionieri criminali comuni, diversamente da quelli condannati a morte, non sono stati sottoposti agli stessi esami. Questi esami non sono stati fatti nell’interesse della salute dei prigionieri, dal momento che i praticanti del Falun Gong non sono stati curati quando erano malati o feriti e sono stati perfino torturati per costringerli a ritrattare le loro convinzioni».
Pensa che questo traffico di organi ancora continui?
«Sì. E per quanto posso dire, è in aumento. La persecuzione nei confronti dei praticanti del Falun Gong continua. Non c’è altra spiegazione per il numero dei trapianti. E la possibilità di fare trapianti in Cina continua ad aumentare».
Il governo cinese ha sempre respinto queste accuse. Cosa risposta alle smentite?
«Non è realistico aspettarsi che degli assassini di massa confessino i loro crimini. Se le smentite avessero qualche fondamento, il governo cinese sarebbe trasparente e aperto al controllo sull’approvvigionamento di organi per i trapianti. Ma si verifica esattamente il contrario. Negli anni in cui ho lavorato sulla questione, il governo della Cina si è dimostrato via via più opaco, impegnandosi in sempre più elaborati occultamenti di informazioni sui trapianti di organi».
L’Italia è in qualche modo coinvolta in queste vicende?
«I crimini contro l’umanità coinvolgono tutta l’umanità. A meno che non facciamo tutto il possibile per fermarli e portare i responsabili alla giustizia, diventiamo complici. L’Italia può fare di più di quello che sta facendo. Potrebbe essere una legislazione extra territoriale che renda illegale l’intermediazione che aiuta il turismo dei trapianti. Si potrebbe prevedere la registrazione obbligatoria di tutti i casi di turismo dei trapianti. Ancora: il vostro Paese potrebbe procedere contro gli stranieri che si trovano sul vostro territorio e che risultano complici di abusi sui trapianti di organi all’estero. Si potrebbe anche negare l’ingresso nel Paese a qualunque straniero che sia complice di questi abusi. Si potrebbero anche prevedere eccezioni all’immunità garantita dallo Stato, consentendo cause civili contro i funzionari statali stranieri complici negli abusi sui trapianti all’estero».
Lei come sta continuando la sua battaglia?
«Ho scritto una autobiografia intitolata Why did you do that?, pubblicata in agosto dello scorso anno, che ha proprio lo scopo di rispondere a questa domanda. In poche parole, direi che non possiamo realisticamente aspettarci di poter rimuovere tutto il male e la cattiveria dal mondo. Rimuovere il male significherebbe cambiare la natura umana: è un obiettivo vano. Lo scopo del mio lavoro non è quello di porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani, cosa che non sarebbe realistica. Si tratta piuttosto di riduzione del danno. Ecco perché le persone a cui mi rivolgono principalmente non sono i colpevoli dei crimini. I colpevoli, proprio come fa il governo cinese, continueranno a negare e ad andare avanti per la propria strada. Le persone a cui mi rivolgo sono prima di tutto le vittime, le quali devono sapere che non sono sole e che nel mondo ci sono persone consapevoli della loro situazione».
Quali ostacoli incontra nel suo lavoro e chi crea questi ostacoli?
«L’occultamento continuo e crescente del governo cinese è un ostacolo. Io e gli altri ricercatori archiviamo sempre le nostre fonti. Tuttavia i flussi di dati che citiamo scompaiono più o meno sistematicamente, non appena li pubblichiamo, e vengono sostituiti da smentite e invenzioni. Un altro ostacolo è costituito dalla volontà di tutti (troppi) di prendere per buono tutto ciò che il Partito comunista cinese dice. Sia per lealtà verso di esso sia per naiveté sia per interessi politici ed economici. Il Partito comunista cinese domina su un grande, ricco e importante Paese. Per me, che sono soltanto un avvocato di Winnipeg, Manitoba, in Canada, oppormi a un colosso come il Partito comunista cinese può risultare scoraggiante».