25 ottobre 2016
Zanardi LaVerità Compie cinquant’anni oggi. E qualche giorno fa si è regalato un’altra vittoria: alla guida di una Bmw ha conquistato il Mugello per l’evento finale del campionato
Zanardi LaVerità Compie cinquant’anni oggi. E qualche giorno fa si è regalato un’altra vittoria: alla guida di una Bmw ha conquistato il Mugello per l’evento finale del campionato. Alex Zanardi, pilota e campione paralimpico, non si ferma più. Famosissimo in tutto il mondo per le sue imprese alle Paralimpiadi (due ori e un argento nel 2008 a Londra e stesso risultato un mese fa a Rio de Janeiro), ha dimostrato al mondo che alla sfortuna si può reagire. Lui ha perso entrambe le gambe il 15 settembre 2001 a causa di un incidente al Lausitzring (in Germania). «Adesso le gambe le ho nella testa», ha detto. ANAGRAFE Figlio di Dino l’idraulico (venuto a mancare poco prima dei due Mondiali di FKart nel ‘97 e ‘98) e Anna casalinga e camiciaia. Una sorella maggiore, Cristina (morta in un incidente all’età di 15 anni). Inizi coi kart, prima esperienza in Formula 1 dal 1991 al 1994 (con Jordan, Minardi e Lotus). Emigrato in America, nel 1997 e 1998 vince il campionato kart. Di nuovo in F1 nel 1999 alla Williams, «disgustato dalle corse» si prende una pausa di riflessione per poi tornare alla Formula Kart. CARRIERA «Una sera di dicembre del 1993 ero a cena in Inghilterra con il proprietario e il team manager della Lotus. Venivo dal brutto incidente di agosto a Spa: mi venne comunicato che non potevo finire la stagione in Formula 1. In pratica ero stato licenziato. Avevo solo 24 milioni di lire in banca. Dovevo ricostruire la mia vita. Mi sentivo tradito e stavo male, ancora peggio di quando mi sono svegliato senza gambe all’ospedale di Berlino» (il peggior momento nella carriera di Alex Zanardi). INCIDENTE Il giorno dell’incidente, era in testa alla corsa: «Sento la macchina rispondere ai miei comandi come non accadeva da tempo, mi diverto, sono felice, mancano solo 13 giri alla fine...». Imboccata l’uscita della corsia dei box che correva parallela al tracciato, «a metà di quella striscia di asfalto, irregolare e sconnessa, la macchina si è girata. Ho attraversato un pezzo di prato e sono finito in pista, cercando di controllare la monoposto in testacoda, mentre il gruppo arrivava a 340 chilometri orari. Poi, improvvisamente, è sceso il buio. Una parte della macchina rimase con me, l’altra se ne andò con una parte di me». INCIDENTE/2 Quel 15 settembre 2001 non erano in molti a guardare quella gara in tv. La formula kart non è una specialità tra le più seguite e, per giunta, da quattro giorni erano crollate le Torri gemelle. Zanardi era già stato due volte campione di Formula kart: era poi tornato in Formula 1, ma non aveva funzionato. Si era ritirato, poi ci aveva ripensato. Non una grande stagione, la 2001. Brutta macchina, poca fortuna. Poi, proprio quel 15 settembre, Zanardi è di nuovo primo. A 13 giri dal termine. Entra nei box, riparte e quando sta per tornare in pista perde il controllo dell’auto, che attraversa la pista nel punto esatto in cui si raggiunge la velocità massima. La vettura di Alex Tagliani lo centra in pieno, tranciando la parte anteriore e quindi le sue gambe all’altezza del ginocchio. Il capo dello staff medico, disperatamente, prova a fermare il sangue che esce a fiotti con le mani. Il cappellano gli dà l’estrema unzione. Arriva l’elicottero e lo porta all’ospedale di Berlino, ma per tutti è finita. Per tutti, tranne che per lui e per il famoso dottor Costa. Quando lo vede sul letto d’ospedale, dopo tre giorni di coma e 15 operazioni, Costa dice: «Questo uomo tornerà a fare tutto quello che faceva prima. Camminare, guidare, sciare e soprattutto portare in spalla suo figlio». UOMINI «Devo aver realizzato qualcosa solo quando, a un certo punto, guardai davanti: non c’era più la macchina e nemmeno le mie gambe» (dal libro di Alex Zanardi: frase con cui racconta l’incidente in cui perse tutt’e due le gambe). CONQUISTA «Quando mi presentai il primo giorno al centro ortopedico, i medici mi fecero vedere una persona amputata delle gambe all’altezza della coscia che secondo loro camminava bene. Io, lo confesso, mi dissi: caspita. Poi quando cominciai a sentire quanto le persone mediamente riuscivano a portare le protesi durante la giornata, mi demoralizzai un po’. Adesso non credo di essere l’unico al mondo che fa quello che faccio. Però, sicuramente, il 90 per cento delle persone nelle mie condizioni non camminano, usano le protesi per una questione estetica: andare al ristorante su una sedia a rotelle senza gambe è brutto. Io invece sono riuscito a tornare a una vita assolutamente normale, questa è la grandissima conquista» (brano tratto da un’intervista di Nestore Morosini). TRE MESI Neanche tre mesi dopo l’incidente, Zanardi si alzò in piedi dalla sedia a rotelle durante la premiazione dei Caschi d’oro. GAMBE Con due gambe artificiali che si è fatto montare al Centro protesi di Budrio, nel 2003 partecipò a una gara di kart nel Principato di Monaco, due mesi dopo percorse con la stessa vettura i 13 giri del Lausitzring che il destino gli aveva impedito di completare: il tempo realizzato lo avrebbe classificato al quinto posto. SFIGA «Se si è parlato tanto del mio incidente è soprattutto per la sua unicità: è veramente raro che un pilota perda entrambi gli arti. A me è capitato: e una sfiga tale non si ripete due volte. Se poi me le rompo di nuovo, basta una chiave a brugola del 4 e torno in piedi!». GRANTURISMO Tornato a correre, ha vinto il campionato italiano granturismo nel 2005, nel 2006 si è piazzato primo a Istanbul in una gara valida per il Mondiale. Dal 2007 ha preso a correre maratone con la handbike, compresa quella di New York (quarto con soli 20 giorni di allenamento). Due oro e un argento ai Giochi paralimpici di Londra 2012, stesso risultato a Rio quest’anno. L’11 ottobre 2014, ha partecipato all’Ironman. È anche tornato a correre in auto, nella Blancpain GT Series. MARATONA Com’è andata che Zanardi ha corso la maratona di New York: «Barilla mi aveva invitato al pasta party di New York alla vigilia della maratona. Be’, già che ci sono partecipo, ho detto io. E loro: ma sei fuori? Impossibile... Ecco, quando ho sentito »impossibile» mi è scattata quella cosa lì...». HANDBIKE Zanardi ha scoperto casualmente la handbike. «In un autogrill, nel 2007», ha raccontato prima delle Olimpiadi in Brasile. «Stavo per litigare con un altro disabile per l’unico parcheggio disponibile. Poi ci siamo chiariti. Abbiamo cominciato a chiacchierare. E a un certo punto mi sono accorto che il tizio aveva agganciato uno strano aggeggio con due ruote sul tetto della macchina. Si chiama Vittorio Podestà e fra pochi giorni difenderemo assieme i colori italiani sul circuito di Rio de Janeiro. Quando si dice il destino». Podestà ha poi vinto tre medaglie a Rio. SUDORE «Mi piace allenarmi, sentire il sudore sulla fronte, spostare il limite della fatica sempre più in là. C’è chi si esalta a scrivere canzoni, a dipingere, a progettare case. Ed è un talento. E c’è a chi piace vivere lo sport così, è un dono rispettabile anche questo» INFERNO «Se conosci l’inferno, quando ti svegli sei felice di essere vivo. Io l’inferno neanche me lo ricordo, ero in coma, ma al risveglio ero messo così male che non ho potuto far altro che apprezzare quello che era rimasto di me. È in quel letto che ho vinto le medaglie olimpiche. Non tutti ce la fanno, ma non mi sento di giudicarli. Guardare agli altri e lasciarsi ispirare, serve. In ospedale, il primario provava ad aiutarmi, ma quello che mi ha dato un ragazzo amputato bilaterale incontrato al centro di riabilitazione è stato tutto: se ce l’aveva fatta lui, potevo farcela anch’io. L’incidente è stato il mio Cepu, un corso accelerato di vita: oggi conosco le priorità e so affrontare tutto, anche se disabile». FOTO La foto di Alex Zanardi dopo le Olimpiadi di Londra nel 2008, a terra, sulle gambe che non ci sono, le braccia forti in aria a sollevare la bici, è diventata la foto-testimonial della pagina Facebook del Comitato Paralimpico Internazionale per rilanciare i Giochi 2016. INGHILTERRA Alex quell’immagine l’ha vista per la prima volta il giorno dopo: «Ero in un centro commerciale a Londra e una signora mi ha chiesto l’autografo per i nipoti. Mi sono stupito: in Italia succedeva, ma perché sapevano chi ero in Inghilterra? Mi sono girato e ho guardato l’edicola dietro di me: era tappezzata di non so più quale giornale con la mia foto in prima pagina. Sono rimasto a bocca aperta. Quasi non mi riconoscevo: per quanto sia fiero dell’oro, so che in quell’immagine c’è molto di più». FUTURO I programmi per il futuro sono «tornare a Kona, per fare l’Ironman veramente. Le altre due volte è andata bene, ma Craig Alexander ci ha messo solo 8 ore! Poi c’è Tokyo 2020, se il fisico tiene botta». VITA «Sandrino riempi giorno dopo giorno di arnesi la cassetta degli attrezzi. Più ne metti via, più ne avrai da usare nella vita» (il padre di Zanardi al figlio giovanetto).