Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 18 Martedì calendario

NOSTRO PADRE ERA IL VERO 007. LA SPIA CHE CI AMAVA


James Bond era un inglese cresciuto in Italia, bello come un attore del cinema, spericolato fin da bambino. Ha svolto due missioni decisive nel nostro Paese durante la Seconda guerra mondiale, poi si è stabilito in Veneto e oggi è sepolto in Toscana. Si chiamava Richard “Dick” Mallaby e il Comune di Asciano, il paese della sua infanzia vicino a Siena, gli ha reso onore di recente con una medaglia d’oro al valore. L’hanno ritirata i suoi tre figli, che vivono in Italia. Sono loro a raccontare a Gente la storia del padre.
Li incontriamo a Milano, a casa di Richard junior, 60 anni, l’ultimogenito di Dick. Ci sono anche le sorelle Elizabeth, 65, e Caroline, 69, venute per l’occasione. Manca alla riunione di famiglia un altro fratello, Christopher, morto nel 2012 a 60 anni per una malattia al cuore. Richard ci mostra foto d’epoca, ritagli di giornale e una piccola raccolta di libri riguardanti il padre. Tra loro ha un posto di primo piano L’inglese che viaggiò con il re e con Badoglio (Leg Edizioni, 24 euro) dell’avvocato e storico Gianluca Barneschi, biografia uscita nel 2013, che ha reso note in Italia le imprese di Dick Mallaby.
«Lui non ne parlava mai con noi figli», ricorda Richard. «Sapevamo che durante la guerra aveva fatto parte del Soe (Special operations executive), la sezione dei servizi britannici incaricata delle missioni più pericolose. Qui aveva conosciuto nostra madre Christine, che ora ha 92 anni, ausiliaria degli agenti segreti nel corpo paramilitare volontario delle Fany. Crescendo abbiamo capito che Dick Mallaby aveva compiuto qualcosa di importante, ma ignoravamo cosa. Il segreto militare lo vincolava al silenzio fino a 50 anni dai fatti e lui non l’ha mai violato. È scomparso prima che scadesse il termine, nel 1981, per un infarto a 62 anni».
All’epoca di quei fatti Ian Fleming, creatore del personaggio letterario di James Bond, era ufficiale nel servizio informazioni della Royal Navy e aveva frequenti contatti con il Soe. Si ispirò a un membro di questa unità d’élite quando scrisse nel 1952 Casino Royale, primo romanzo sull’agente 007. E alcuni particolari lasciano supporre che il modello di Fleming sia stato proprio Dick Mallaby. «Credo di sì», dice Richard. «L’ambiente descritto nelle pagine di Fleming è quello del Soe, dove già si usavano i mini sommergibili radiocomandati che sono un elemento ricorrente nella saga di Bond. Ma ci sono altri indizi. Molti dettagli delle missioni svolte da mio padre ricordano le modalità di azione di 007».
Dick Mallaby nasce a Ceylon nel 1919 da genitori inglesi, che si spostano con lui bambino ad Asciano, dove hanno ricevuto in eredità un podere. Qui il piccolo si distingue come uno scavezzacollo. «Era un vero monello», dice Caroline. «Vicino alla stazione c’è ancora un muro alto e stretto, in forte pendenza. Lui vi montava sopra in bicicletta e si lanciava giù a tutta velocità. Gli piaceva molto anche salire sui ponti e tuffarsi nei torrenti in un metro d’acqua». Allo scoppio della guerra Dick studia per diventare ingegnere, ma a 21 anni pianta tutto e fugge ad arruolarsi a Londra. Finisce in Nord Africa come radiotelegrafista dell’esercito e viene incaricato di istruire un agente del Soe. Ma all’ultimo momento questi rifiuta di partire in missione e Mallaby si offre di prenderne il posto.
«L’aspettativa di vita di chi entrava nel Soe era di sei mesi appena», spiega Richard. «Bisognava infiltrarsi da soli e in borghese in territorio nemico, con il rischio costante di essere scoperti e fucilati all’istante». Nell’agosto del 1943 Dick è paracadutato di notte nel lago di Como, con una muta da sub a tenuta stagna che protegge gli abiti. Altre dotazioni in stile James Bond sono i codici segreti nascosti nel dentifricio, il quarzo per costruire una radio nel pennello da barba, le pellicole fotografiche nelle pile della torcia e il coltello sotto un braccio. Ma non ha fortuna, viene catturato subito e imprigionato. Avrebbe dovuto organizzare la resistenza dei partigiani, ma nel suo perfetto italiano convince i carcerieri di essere stato mandato per trattare la resa del nostro governo agli Alleati. Portato davanti al maresciallo Badoglio a Roma, ne diventa il tramite con Londra. «Era il solo a conoscere i codici», racconta Richard. «Ma non si fidava. Il primo messaggio al telegrafo fu per la fidanzata, la mia futura madre. Lei gli rispose e così lui seppe che la linea era sicura». Si arriva così all’armistizio dell’8 settembre e alla successiva fuga da Roma di Badoglio e di Vittorio Emanuele III verso Brindisi. Assieme a loro viaggia un giovane inglese, protagonista sconosciuto di questa svolta storica.
Tornato a Londra, Dick entra ancora clandestinamente nel Nord Italia nel 1945 dal confine svizzero. Finisce presto nelle mani delle SS, ma si salva come la prima volta, proponendosi come mediatore tra Karl Wolff, comandante delle forze tedesche, e gli Alleati. Grazie a Mallaby i nazisti in Italia consegnano le armi.
Finita la guerra, Dick si congeda da capitano e si trasferisce a Verona, dove lavora come traduttore presso il comando della Nato. «Era allegro e disponibile, ma non parlava degli anni di guerra», dice Elizabeth. «Aveva anche ricordi dolorosi, era stato torturato». È stato Richard, operatore cinematografico, a iniziare a raccogliere materiale sul padre dal 1995, quando il segreto è caduto. Ora ne ha abbastanza da realizzare un film su di lui e sta cercando un produttore. E così girerà la storia del vero 007.
Igor Ruggeri