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 2016  ottobre 21 Venerdì calendario

I VECCHI– [TUTTO È SUPERFICIE E CHI SI FERMA (O SOFFERMA) È PERDUTO. MA CLAUDIO BAGLIONI, IN CONTROTENDENZA, DEDICA UNA CANZONE AGLI ANZIANI]


1981 Sua Evanescenza, anno uno. Noto come da qualche tempo si stia riconsiderando il decennio Ottanta, più o meno nei termini raccontati qui, in Storie (di) note. Va tramontando il compiacimento con il quale si guardava a quegli anni, come momento d’oro della creatività, scaturita quasi per magia dall’effimero per strada. Quel decennio, a tratti santificato, viaggia con l’inflazione in doppia cifra, con le scorie armate di un terrorismo non ancora sconfitto, con la prevalenza dell’immagine sull’immaginario e l’immaginazione. Quante volte ho ricordato come i sentimenti, tutti i sentimenti, finiscano davanti alle telecamere: risse, insulti, lacrime, sangue, amori, odi trasformando ogni cosa in spettacolo, perché la vita è come una diretta tv. E così è la fine dello spettacolo pensato in quanto tale. Il decennio si apre alla prevalenza del facile, ben diverso dal semplice. Da questo momento il vero si confonde con il verosimile, il fatto con l’apparenza del fatto, la notizia con il pettegolezzo. Tutto tende a viaggiare velocemen te, in superficie e chi si sofferma è perduto. Lo stile è irripetibile, anche in senso stretto. Disegna il periodo come poche altre volte nella storia del costume, perché se i Settanta si distinguono per negligenza diffusa nel vestirsi (tra zampe di elefante e abiti usati), negli Ottanta si studia il look e nascono i lookologi, coloro i quali sanno come far apparire più trend l’apparente. E mai come nel decennio di Sua Evanescenza l’apparenza ha ingannato. Tutti appaiono più alti, perché gelati nei capelli, laddove gelati non è indicazione pasticciera, quanto capigliatura pasticciata con dosi incredibili di gel, tali da sparare i capelli dritti verso l’alto. Poi l’evanescenza va rinforzata e il mondo giovanile dei paninari (i ragazzotti trend, contrapposti ai trozzi, lontani dai trend) va gonfiandosi in giubbotti trapuntati, a coprire giacche spallinate, il tutto montato su pantaloni a sigaretta corti alla caviglia a mostrare calzettoni bianchi da ginnastica dentro scarpe da vela. Una moda orrenda, percepita come tale da pochi quando dilagava per le strade: ma sfido chiunque a non rendersi conto oggi di quanto ieri fosse ridicolo quel look.
Se fa tenerezza rivedere foto dei Sessanta cogliendovi speranze e ingenuità, se quelle dei Settanta rivelano tensioni
e contraddizioni, le immagini degli Ottanta restituiscono vacuità arrogante
e caratterizzano perfettamente quegli anni, distinguendosi con chiarezza dal prima e dal dopo. Questo è senza dubbio un aspetto considerevole del problema: la moda degli Ottanta è irripetibile ed è datante come il Carbonio 14 in archeolo gia. Se la cronologia di un pantalone a zampa
di elefante può oscillare tra la fine dei Sessanta attardandosi fino ai primi Ottanta, una giacca color vinaccia con spalline appartiene esclusivamente agli Ottanta ed è un terminus post quem non, per dirla con gli archeologi. 1981. In un momento del genere stupisce abbastanza la profon dità di alcune canzoni, perché anche la musica si riempie di vuoto. «I vecchi sulle panchine dei giardini / succhiano fili d’aria e un vento di ricordi / il segno del cappello sulle teste da pulcini / i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi / i vecchi che si addannano alle bocce / mattine lucide di festa che si può dormire / gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce / per una malattia difficile da dire». Così Claudio Baglioni ne I Vecchi, un piccolo capolavoro di intensità, scritto per il LP Strada facendo, nel 1981. Come in una ripresa al rallentatore, Claudio fotografa riti, gesti, caratteristiche legate alla vecchiaia fermando la nostalgia e i ricordi, scorta inevitabile di questi ragazzi di -anta anni. Più o meno centottanta anni prima di Claudio, Friedrich Hölderlin, tedesco, poeta, ispirato dai classici e trasportato dallo spirito romantico, scrive riflessioni brevissime sulla vecchiaia, anche questa territorio senza confini del luogo comune. Hölderlin vive tra 1770 e 1843 e considera in Allora e ora: «Era lieto il mattino ai giorni di giovinezza; / e la sera era pianto. Ora sono più vecchio: / apro il giorno nel dubbio / ma il suo finire mi è sereno e sacro». Dietro alla parola “vecchio”, c’è tutta la dignità dell’esperienza, dei racconti, delle tradizioni, dei ricordi, delle consuetudini, dei gesti da trattenere per non perdere la memoria di noi. Nell’epoca della rottamazione, ci si dimentica come la rottamazione – se applicata – è una ruota. Girando, rottamerà domani il rottamatore di oggi. Con la parola “vecchio” Claudio disegna il mondo dei vecchi senza l’ipocrisia del nascondersi dietro alle locuzioni “fili d’argento”, “la terza età”, “gli anziani”. Un anno per scrivere questo capolavoro di emozioni, mi disse Claudio. «Sedia sediola / oggi si vola / e attenti a non sudare».