VARIE, 21 ottobre 2016
PIANTE PER SETTE
Le piante, pur non avendo occhi, ci vedono e riescono a decifrare le cose che gli stanno intorno. Lo dice uno studio pubblicato su “Trend in plant sciente”, una delle più importanti riviste scientifiche di fisiologia vegetale. Stefano Mancuso, uno degli autori della ricerca: «Prendiamo il caso della Boquilla trifoliata, una pianta che vive in Cile: ha una straordinaria capacità mimetica, si arrampica su un albero e le sue foglie prendono le sembianze delle foglie della pianta a cui si arrampica. Cioè cambia la sua morfologia, il colore, la consistenza. Le sue foglie possono diventare più grosse, più sottili, possono persino mettere le spine. Perché si possa imitare qualcosa bisogna conoscere quello che si vuole imitare». Un altro indizio viene dalla Arabidopsis: «Se la isoliamo del tutto sotto una capsula di vetro cambia i comportamenti a seconda della pianta che le mettiamo accanto: per esempio, cresce di più o cresce di meno. Quello che vogliamo sostenere è che la visione non è propria degli organismi più complessi, ma anche dei livelli più semplici della vita a cominciare dagli unicellulari. Non si tratta di veri e propri occhi, ma di "lenti" capaci dalle foglie di convogliare i raggi della luce e delle immagini che ricevono» (Montanari, Rep).
Che le piante potessero in qualche modo vedere quello che hanno intorno era un sospetto venuto già nel Novecento al botanico tedesco Gottlieb Haberland: fu lui a dire che le cellule epidermiche della faccia superiore di molte foglie erano fatte come fossero lenti convesse, quindi in grado di far convergere in un punto la luce o le immagini che venivano da fuori.
In Irlanda un team di studiosi supportati dall’Eden Project, il giardino botanico più grande d’Europa, sta studiando un sistema che permetterà alle piante di parlare, o meglio di comunicare con gli uomini. L’idea alla base del progetto consiste nel convertire i segnali chimici in digitali attraverso una sofisticata tecnologia. Tra qualche anno, potrebbero essere le stesse piante a ricordarci di aver bisogno di essere bagnate o spostate in un posto più luminoso e caldo.
Negli anni ’70, due studiosi americani collegarono una pianta a una macchina della verità con risultati a loro dire sorprendenti. Il poligrafo avrebbe registrato infatti una reazione di paura nel momento in cui uno degli scienziati immaginava di bruciare una foglia. Altri scienziati sono invece convinti che nel momento della morte i vegetali emettano una sorta di grido di dolore che si concretizzerebbe in una scossa elettrica a basso voltaggio.
L’arabetta comune (Arabidopsis thaliana), una piantina annuale della famiglia delle Brassicacee o Crucifere (la stessa di cavolo e verza), riconosce il rumore del morso degli insetti e si difende. Lo dice uno studio dell’Università del Missouri. I ricercatori, usando come cavia un’esemplare di arabetta, hanno registrato il rumore delle vibrazioni che un bruco produce quando si nutre delle sue foglie ma anche quello di altri suoni naturali cui le piante sono avvezze, come il fruscìo del vento o il frinire di altri insetti. Quindi hanno fatto ascoltare ad altre piantine di arabetta i suoni registrati, scoprendo che solo in presenza delle vibrazioni prodotte dalla masticazione dell’insetto le piante hanno prodotto olii essenziali tossici che hanno inviato alle foglie, la parte più vulnerabile ai morsi dei predatori.
Secondo uno studio di un team di ricercatori torinesi e tedeschi pubblicato sulla prestigiosa rivista Plants Phisiology, le piante del fagiolo di Lima, del mais, del borlotto e di molte altre specie, "sentono" il pericolo e i denti di chi le divora e si difendono così: non appena percepiscono la saliva del bruco, attivano dei geni che si mettono a produrre una sostanza volatile, una specie di profumo di lavanda che attira le vespe, nemiche mortali dei bruchi. Le vespe pungono i bruchi, iniettando loro delle uova. Quando le uova si schiudono, i bruchi esplodono. Ma la sostanza volatile non attira solo le vespe. L’altra funzione è quella di avvertire le "sorelle vicine" e, come in una catena di Sant’Antonio, di indurle a produrre, a loro volta, il profumo che richiamerà le salvatrici.
Il famoso esperimento del dottor Chamovitz dell’università di Tel Aviv, pioniere degli studi sulle emozioni delle piante: la Mimosa che si chiude se si versano gocce di sostanza irritante, ma rimane aperta se prima si cosparge con un anestetico.
Una specie La Socratea exorrhiza, comunemente nota come “palma delle Ande”, ha sviluppato la capacità di camminare per beneficiare di una miglior posizione. Quando il suo ambiente non è più conveniente, quando gli alberi vicini o le costruzioni umane le oscurano il sole, si sposta letteralmente verso la luce formando nuove radici apparenti che la “trascinano” verso un altro luogo di soggiorno, mentre lascia morire all’ombra le vecchie. Naturalmente ci vogliono mesi per questo movimento ma i filmati ottenuti grazie alle riprese “fotogramma per fotogramma”, visionati a velocità accelerata, permettono all’occhio umano di vedere gironzolare questa palma.
Una pianta sudafricana, Ceratocaryum argenteum, per riprodursi camuffa i suoi semi da palline di cacca. L’obiettivo, come hanno scoperto all’Università di Città del Capo, è ingannare gli scarabei stercorari, che si nutrono appunto di sterco. La pianta produce infatti semi marroni, tondi e lunghi circa 1 cm: quasi indistinguibili dalla cacca di un’antilope locale, il bontebok. Non solo. Emettono anche la tipica puzza: rilasciano molecole volatili simili a quelle presenti nello sterco dell’antilope. E gli stercorari locali ci cascano: convinti di trovarsi di fronte al loro cibo, lo fanno rotolare via e lo seppelliscono come riserva. In pratica disperdono i semi, aiutando la pianta a diffondersi.
La ricercatrice Susan A. Dudley, studiando una pianta denominata “sea rocket” molto simile alla rucola, ha scoperto che se intorno a lei crescono piante che appartengono alla sua stessa famiglia, cresce insieme a loro adattandosi per “condividere” il nutrimento del terreno. Se invece sono piante di una famiglia diversa questa rucoletta sviluppa le radici in modo da respingere le piante vicine o comunque assorbire intorno a sé più nutrimento che può.
L’acacia cornigera, un piccolo albero che vive nelle foreste del Centro America, ha spine panciute all’interno delle quali le formiche depongono le uova. In cambio dell’ospitalità, le formiche difendono la pianta da altri insetti intenzionati a nutrirsi delle foglie.
Il leaf peeping, cioè l’attività di spiare le foglie, è popolarissimo negli Stati Uniti. Consiste nel camminare per i boschi in autunno fermandosi a fotografare, disegnare e riflettere sui mutamenti della natura. Trasmissioni televisive e radiofoniche, bollettini forestali e siti internet tengono aggiornati gli appassionati sul progressivo mutamento di colore del fogliame, soprattutti in territori come il New England.
I Greci e i Romani credevano che l’alloro potesse tenere lontane malasorte e malattie contagiose e li proteggesse contro i fulmini. Lo piantavano davanti alla porta di casa e, quando cominciava a tuonare, staccavano un ramicello che mettevano accanto alle giare perché il temporale non sciupasse il vino.
Secondo una tradizione contadina, addormentarsi all’ombra di un noce provocherebbe mal di testa e febbre. In effetti le radici e le foglie dell’albero secernono una sostanza tossica, la juglandina, che impedisce alla vegetazione di crescergli intorno. Questa caratteristica viene chiamata dai botanici allelopatia ed è presente anche nell’eucalipto, nella salvia, nell’assenzio e nella pilosella.
Come la pelle dell’uomo, la corteccia degli alberi è formata da cellule che con il tempo si sfaldano e cadono, lasciando sulla superficie inequivocabili tracce di invecchiamento. Nel platano, per esempio, la corteccia si stacca in placche che lasciano sul fusto toppe giallo-rosate, la betulla e il ciliegio si sbucciano in anelli circolari, gli eucalipti in modo irregolare, la vite sfilacciandosi.
Nel 2004 in Svezia fu scoperto un abete rosso di cui fu calcolata l’età con il metodo del radiocarbonio: 7.550 anni. In Italia l’albero più longevo si trova alle pendici dell’Etna, nel comune di Sant’Alfio: si tratta di un castagno della circonferenza di 52 metri che potrebbe avere fino a 4.000 anni. È soprannominato “castagno dei cento cavalli” perché una regina, probabilmente Giovanna d’Aragona, durante una battuta di caccia fu sorpresa da un temporale e vi trovò riparo per tutta la notte insieme ai cento cavalieri che l’accompagnavano.
La drosera è una pianta carnivora che attira gli insetti con una finta rugiada che è in realtà una colla che li immobilizza. La venere pigliamosche, invece, ricorre al sistema della tagliola: le sue foglie sono suddivise in due lobi dentati incardinati tra loro lungo una nervatura centrale; al minimo tocco, le due metà si chiudono a scatto imprigionando l’insetto. Le tropicali nepenthes si servono degli ascidi, foglie simili a otri colorate che oscillano all’estremità di lunghi piccioli, spargendo intorno suadenti profumi. Chi non sa resistere al richiamo precipita dentro l’ascidio e dove viene digerito dal liquido che ristagna nel fondo.
Una pianta, il gigaro mangiamosche, attira i mosconi fingendo di essere un cadavere, di cui imita alla perfezione l’odore pestilenziale. I mosconi, tutti contenti, depongono le uova nell’organo riproduttore della pianta, di cui garantiranno la fecondazione trasportando, a loro insaputa, il polline verso altri “fiori cadaveri”.
L’ofride specchio camuffa il centro del suo fiore come una vespa femmina, riproducendone rigorosamente forma e proporzioni: così il maschio, attirato dai feromoni sessuali che ha ugualmente saputo “imitare”, si precipita sul fiore per accoppiarsi. Quando si rende conto che è impossibile, riparte carico di polline, che così trasmetterà, di orchidea in orchidea, nel corso dei suoi insuccessi amorosi – grazie ai quali queste piante saranno fecondate.
Appassionato di botanica, Charles Darwin amava particolarmente le piante carnivore, tanto che le nutriva all’ora del tè. Scoperse così che la sua drosera disdegnava tè e biscotti, mentre andava pazza per il bianco d’uovo e le ossa di cosciotti macinati.
Il movimento dei girasoli riguarda solo i giovani capolini, ancora in boccio. Essi al mattino sono orientati a est, verso l’aurora, poi durante il giorno si muovono verso ovest, seguendo il cammino del sole. Dal tramonto in poi compiono il movimento inverso. Una volta che anche i petali esterni si saranno aperti, il fiore si bloccherà e rimarrà orientato verso il sole che sorge.
Il tagete, detto anche fiore dei morti o puzzolina per via dell’odore acre, è un efficace scudo per gli ortaggi. Secerne, infatti, sostanze tossiche per i nematodi, microscopici vermi che perforano le radici delle piante e ne aspirano i succhi vitali. Inoltre, l’odore del tagete difende le rose contro i pidocchi.
Intorno al 1620 un bulbo di Semper Augustus, rarissimo tulipano blu e bianco coltivato in Olanda, poteva arrivare a costare 3.000 fiorini, cifra equivalente al guadagno medio annuo di un ricco mercante. Nel 1637, narrano le cronache, un agricoltore barattò un solo bulbo con ventiquattro tonnellate di frumento e quattro di segale, dodici pecore, due botti di vino, quattro barili di birra, due barilotti di burro, un letto, alcuni indumenti e una coppa d’argento.
Versi di Angelo Maria Ricci, poeta della prima metà dell’Ottocento, sulla coltivazione della viola del pensiero: «La tricolore violetta a sdegno prende il sole, ama l’ombra e s’innamora d’assai pingue terren, d’umor non pregno». In pratica, terra non troppo umida e posizione all’ombra.
L’Amorphophallus Titanum, scoperto dal botanico italiano Odoardo Beccari, vive nell’isola di Sumatra e produce una delle infiorescenze più puzzolenti al mondo. In lingua indonesiana viene chiamato Bunga Bangkai, fiore cadavere, perché il fetore di escrementi e carne decomposta attira i Silfidi, i coleotteri osservati anche dalla medicina forense per determinare le varie fasi della decomposizione di un corpo e, quindi, risalire alla data del decesso.
L’Amorphophallus Titanum deve il nome alla forma mastodonticamente fallica.
Il fiore più grande mondo è sbocciato nei Kew Gardens di Londra nel 2002: era un fiore di Amorphophallus Titanum del peso di 75 chilogrammi per 3 metri d’altezza.
Linneo, denunciato per immoralità dal governo e sospettato di libertinismo dalla chiesa luterana per aver descritto nel Sistema Naturae (1735) la natura sessuale dei fiori e il loro ruolo nella riproduzione delle piante.
La robinia fu una delle grandi passioni di Alessandro Manzoni, botanico e agricoltore per diletto. Ne consigliava l’utilizzo per il rimboschimento e il consolidamento dei terreni collinari e ne aveva piantati due filari lungo un viale della sua villa di Brusuglio, in Brianza. Nel 1815, in omaggio alla moglie Enrichetta, ne piantò due intrecciate tra loro che curava personalmente.
Le squame delle pigne sono disposte secondo spirali che si avvolgono, delle quali 8 in senso antiorario e 13 in senso orario. Lo stesso accade per le spirali delle spine dei cactus, dei semi di girasole, delle cimette del cavolfiore o delle squame dell’ananas. Tutti loro seguono, dunque, la cosiddetta successione di Fibonacci, in cui ogni numero è uguale alla somma dei due che lo precedono: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, ecc.
La gigantesca sequoia battezzata Generale Sherman, in onore del generale statunitense della Guerra di Secessione: è l’albero più grande del mondo e l’essere vivente dal volume più imponente del pianeta (1.487 metri cubi). È alto 84 metri, pesa 5.445 tonnellate e ha una circonferenza (alla base) di 31 metri. Si trova in California nel Sequoia National Park.
“Matusalemme”, il pino, anche lui californiano, che detiene il record dell’albero più vecchio del mondo: 4.848 anni.
Gli Egizi associavano la rosa a Iside; per i Greci era il fiore di Venere. In epoca romana a maggio si svolgevano le "rosalie" o ludi floreali, feste sulle tombe dei defunti, tanto che al lungo roseto fu sinonimo di cimitero. Per non confondersi con l’uso pagano, i cristiani dapprima rifiutarono di onorare i morti con le rose; fu solo nel Medioevo che i conventi e l’Islam recuperarono il fiore per sfruttarne le proprietà medicinali e decorative.
«Cos’è un’erbaccia? Una pianta di cui non sono state ancora scoperte le virtù» (Ralph Waldo Emerson).
«Una radice è un fiore che disdegna la fama» (Gibran Kahil Gibran).