Silvia Truzzi, Il Fatto Quotidiano 20/10/2016, 20 ottobre 2016
“SIAMO ANALFABETI STORICI E NON CAPIAMO IL PRESENTE”
[Intervista a Paolo Mieli] –
Nei suoi ultimi saggi Paolo Mieli – consigliere di Rizzoli libri, due volte direttore del Corriere della Sera – si è occupato di Storia e memoria. Lo fa anche con questo ultimo, In guerra con il passato, un viaggio nei secoli a caccia di manipolazioni contro l’uso strumentale del passato, tra eccessi di “museificazione” e idolatria da un lato, e rammendi dall’altro: da Isocrate a Cicerone, da Hitler a Stalin, passando per Rasputin e Mazarino. “Sono partito da una riflessione sul jihadismo. Una guerra che vinceremo solo dopo aver vinto quella con il passato”.
Perché?
La Spagna è stata per ottocento anni dominata dai musulmani. L’impero ottomano è durato per altri seicento anni. L’impero bizantino dal 300 al 1450, 1150 anni. Possibile che ne sappiamo così poco? L’epicentro del conflitto trova oggi cittadini completamente impreparati. A scuola non si studia, nei manuali si va a volo d’uccello. L’uso politico della Storia riguarda anche la narrazione dell’Europa, in cui si vuol affermare che esiste in embrione da duemila anni. Leggendo molti manuali sembra che ci sia un filo che collega Carlo Magno e l’attuale Ue, figuriamoci.
Tutto ciò che non fa quadrare il bilancio delle idee del presente non viene studiato.
La manipolazione della Storia ha anche effetti comici. Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, si è sentito domandare in un’intervista radiofonica “Come voterebbe Antonio Gramsci il 4 dicembre?”. L’operazione è trovare argomenti del passato per il presente, ma così si depositano nella memoria mistificazioni e confusioni. Cosa che accade in continuazione, quando sentiamo dire come si schiererebbero i grandi politici del passato al referendum costituzionale…
Lei dice: la Storia non la studiamo, ma la tiriamo da una parte o dall’altra a seconda delle convenienze. Non vale più “historia magistra”?
La Storia insegna moltissimo, se la osservi per avere conferme delle tue idee ma soprattutto se hai il coraggio di guardarla per smentire ciò che pensi. L’insegnamento della Storia non è quello di metterti in guardia dal male: per capire che la democrazia è meglio di una sanguinaria dittatura basta il buon senso.
Nel libro prende in esame singoli episodi: ci racconta quello di Abramo Lincoln?
Nella vulgata Lincoln viene presentato come uno che era nato abolizionista e che ha guidato l’America nella lotta per l’emancipazione degli schiavi, pagando il prezzo della Guerra di secessione. In realtà lui stesso ebbe molte esitazioni, fino a metà del conflitto. Ciò che portò alla fine della schiavitù fu un’evoluzione complessa che riserva infinite sorprese, tra cui quella della figura di Lincoln, non proprio granitico nelle sue convinzioni.
Anche Cicerone “non è come sembra”…
Le orazioni Verrine sembrano le progenitrici di tutte le lotte contro il malcostume politico e la corruzione. Ma Verre viene attaccato da Cicerone perché è un politico in disgrazia, legato al potere in declino di Silla. Cicerone, che si dimostrerà altrettanto corrotto, fa poi una brutta fine: i due muoiono nello stesso anno, anche se Verre fa in tempo a vedere la testa del nemico rotolare.
Si occupa anche del Vate.
Quella di D’Annunzio è una storia bellissima, perché lui s’illude di essere il vero Mussolini: dopo la Grande Guerra è l’uomo più popolare d’Italia, poeta, politico, playboy. In realtà il Duce, tributandogli tutti gli onori possibili, riesce a confinarlo nel ruolo di testimonial. Qui si vede l’abilità del vero politico nei confronti del demagogo.
Il professor Severino ama dire che non era Giovanni Gentile a essere fascista, ma il fascismo a essere gentiliano. D’accordo?
Ha perfettamente ragione. La grande capacità di Mussolini è di prendere i migliori intellettuali non semplicemente arruolandoli, ma facendo vivere dentro il Fascismo le loro idee. Dunque il Duce diventa D’Annunzio, diventa Gentile. Questo è un tratto di tutti grandi politici della Storia: i mediocri non riescono a farsi illuminare dagli intellettuali della loro epoca.
È di questi giorni la polemica sull’abbattimento della casa natale di Hitler in Austria: che ne pensa?
È come se noi distruggessimo il Colosseo perché lì i leoni sbranavano i cristiani. Dopo la guerra, gli alleati si batterono perché non fossero distrutti i lager, in quel caso perché sarebbero state distrutte anche le prove. Tra l’altro furono gli americani a salvare proprio la casa del Führer. Credo sia una dimostrazione di debolezza da parte dei politici che dimostrano di temere quattro ragazzotti che vanno a celebrare Hitler, per un po’ di pubblicità. La memoria giusta non si costruisce così. L’Austria vuole lasciare il peso del nazismo alla Germania, cancellando la propria parte. Ma i Paesi devono dirsi la verità, la memoria scomoda è la parte più importante della memoria.