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 2016  ottobre 14 Venerdì calendario

LA DONNA CHE HA DATO LO SFRATTO ALLA CAMORRA


TORRE ANNUNZIATA (NAPOLI). “Grattacielo delle catene”. Si chiama così perché è avvinghiato ai palazzi vicini. Stretto tra il Vesuvio da un lato e il mare dall’altro, sulla strada che taglia in due Torre Annunziata e corre da Pompei a Torre del Greco. Nell’androne al piano terra, telecamere e molti cartelli di divieti. Ai pianerottoli, su ogni porta, immagini sacre e invocazioni di pace, fino ad arrivare al sesto piano. Secondo ingresso a sinistra, interno 25. Carmela Sermino giocherella con le chiavi ancora un po’, poi apre la porta ed entra in casa. Accanto a lei c’è Ludovica, 10 anni. E paradossalmente la casa sembra piccola per queste due donne, nonostante i 100 metri quadrati. Ludovica ha visto suo padre l’ultima volta quando aveva 14 mesi. A uccidere Giuseppe Veropalumbo, il marito di Carmela, nella notte del 31 dicembre 2007, è stato un proiettile sparato dai clan, che festeggiavano a “loro modo” la fine dell’anno sui terrazzi. Un colpo che arriva da palazzo Fienga, la roccaforte della famiglia Gionta, ma soprattutto il Fortapasc, il fortino inespugnabile raccontato da Giancarlo Siani nelle sue corrispondenze. In una notte di festa, mentre è a tavola con la sua famiglia, Carmela a 27 anni diventa vedova di «una vittima innocente di mafia».
Questo alloggio dove finalmente entra non è una come gli altri. Rappresenta l’epilogo di una triste storia. La camorra ha ucciso per errore il marito di Carmela. Lo Stato, per risarcirla, decide di prendere la casa a un boss e affidarla a lei. Ed è la prima volta che un bene confiscato alla mafia viene affidato a un familiare di una vittima e non a un’associazione.
Quando muore Peppe, Carmela va via da Torre. Ci ritorna dopo otto anni. Ludovica corre lungo il corridoio e sceglie subito la stanza, è quella in fondo a destra: «Mamma, questa è mia, ci va anche un palcoscenico. È perfetta. Hai visto quanta luce c’è?». Ludovica danza e immagina di recitare davanti a un pubblico. In casa non ci sono ancora mobili. Carmela poggia la borsa per terra in cucina e, inavvertitamente, sfiora con la mano una porta di metallo a metà parete. È una cassaforte. La mano si ritrae. Chissà cosa ha contenuto? Carmela alza veloce le persiane della cucina e va sul balcone. Ha bisogno di vedere il mare, il suo mare, il mare di Torre Annunziata, con le spiagge di sabbia nera. Siamo a 25 chilometri da Napoli e in questo appartamento in via Vittorio Veneto 360 si è combattuta, e si continua a farlo, la lotta alla camorra. Una lotta che ha il volto di donna. «La città rimargina così una ferita» si legge nel decreto numero 150, del 31 agosto 2016 per l’assegnazione ufficiale dell’immobile, «La città non tentenna, gli spazi della camorra vanno azzerati». Carmela il decreto lo tiene in borsa, una borsa disordinata, insieme all’album delle fotografie del matrimonio. «Ho accettato questa casa perché ne ho bisogno e poi penso che se vedono me è come se vedessero ancora mio marito. E forse qualcun altro prima di impugnare una pistola e sparare ci penserà un attimo in più... Ho accettato perché ci vuole coraggio e io devo averlo, per mia figlia e per sentirmi ancora viva».
La casa non ha gli infissi, i fili elettrici sono ancora sradicati dai muri e conserva piccoli oggetti di un’altra vita (come un vaso, un porta occhiali, la sbarra per appendere una tv). L’appartamento apparteneva ad Aldo Agretti, 44 anni, cugino di Aldo Gionta e figlio di zì Carmelina, sorella del super boss Valentino. E Agretti, condannato per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, aggravata dalle finalità mafiose, l’appartamento bello nel “grattacielo delle catene” lo aveva regalato ai suoceri.
Il palazzo è tranquillo. Famiglie di lavoratori della media borghesia, come si diceva una volta. Carmela ci ha impiegato un po’ prima di prenderne possesso. «Ricordo quel 31 agosto, giorno della cerimonia di consegna. Con me entrò in questo appartamento Antonio Cesarano, il padre di Genny, il diciassettenne ucciso al Rione Sanità nel settembre dell’anno scorso. Il suo primo gesto compiuto tra queste mura fu prendere una scopa per raccogliere le carte e la sporcizia che si erano accumulati sui pavimenti. “C’è bisogno di pulizia”, mi disse. E quella frase mi è rimasta impressa nella testa. Devo ripulire questo appartamento», dice Carmela mentre rientra per preparare un caffè. Ha portato solo la piccola macchinetta che aiuta a recuperare quei piccoli gesti quotidiani, che sono anche gesti di possesso. «Accompagno Ludovica a scuola», in casa fa capolino Gino Monteleone, di Un Popolo in Cammino, associazione di volontari nata a Napoli per combattere la camorra. Carmela, presidente dell’Osservatorio per la legalità di Torre Annunziata, attorno a sé ha una rete solida. Ludovica dà un bacio alla madre ed esce. Ora è sola e torna sul balcone. «Quando abitavo con Peppe, da casa vedevo il mare e questo balcone mi ricorda i tempi in cui ero felice prima che accadesse quella tragedia. Poi pensavo che in fondo i camorristi si sparavano sempre fra di loro. Non immaginavo che potessero stravolgere la mia vita». Carmela e Peppe si erano conosciuti a scuola. Lui operaio, lei casalinga. «La cosa più brutta? La solitudine che implica anche dover fare scelte importanti e non avere nessuno accanto», spiega Carmela. Squilla il telefono: è Luciana Di Mauro, la moglie di Gaetano Montanino, la guardia giurata uccisa a Napoli il 4 agosto 2009. Carmela e Luciana sono diventate amiche. Come spesso accade in questa terra di clan condividono anche il dolore.
Le due donne si danno appuntamento. «Ti aspetto nel pomeriggio. Sì, vieni qui a casa mia», dice Carmela e sul mia, la voce prima trema per un attimo prima che il tono torni ad essere deciso. Mette giù il telefono e lava la caffettiera. Poi rimette in borsa l’album di fotografie e il decreto e scendiamo per le scale di casa. Nel palazzo nessuno la saluta. Ora bisogna andare in Comune dove la stanno aspettando. È il primo giorno nella nuova casa e il sindaco, Giosuè Starita, la vuole accanto. «C’è un pezzo di società che non combatte più e preferisce autoassolversi. Dare la casa di un Gionta a Carmela è un messaggio per tutti», spiega il sindaco. «Non mi preoccupano i camorristi, ma sono curioso di vedere come si comporterà la gente perbene. Carmela non deve restare sola». Lei accende una sigaretta e avverte sorridendo: «Sindaco, lei mi ha sistemato nel palazzo delle catene, ma io le catene le spezzerò. E non sarò mai sola».