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 2016  ottobre 14 Venerdì calendario

CINA-RUSSIA LA DIPLOMAZIA DEL GELATO


PECHINO. La guerra fredda è finita da un pezzo ma chi l’avrebbe mai detto che a riscaldare ancora di più i rapporti tra Mosca e Pechino sarebbe bastato un gelato? Ah, i tempi in cui il riavvicinamento (allora tra Oriente e Occidente) passava per la diplomazia del ping pong. Oggi il servizio, per dirla in tema, mica puoi farlo più a mani vuote, e infatti Vladimir Putin si è presentato in Cina con una scatola piena di gelati per tentare gli amici-nemici di sempre, a partire dal grande capo Xi Jinping, reo confesso di ex sovietica golosità: «Sono così cremosi i vostri, ogni volta che qualcuno va in Russia me li faccio portare». Che trovata, quella dello zar Vladimir, mica per niente nipote del cuoco che lavorò per Lenin. La sua diplomazia del gelato ha fatto subito scattare in piedi i professionisti della propaganda. Fiumi di inchiostro sui giornali di qui, l’incontro al gelato tra Russia e Cina moltiplicato sugli schermi di tv e telefonini, e le importazioni della prelibatezza improvvisamente schizzate, udite udite, del 267 per cento. Ma non basta. Il botto ha fatto sobbalzare anche le diplomazie dell’Occidente: vuoi vedere che a colpi di plombir, lo stecco russo da pochi copechi, si stanno sciogliendo le ultime diffidenze che impedivano a Vladimir e Xi di fare blocco comune ai danni di Usa e Ue? Riuscirà un umile briket, la pallina di vaniglia o cioccolato da incartare e portare a casa, a rotolare su secoli di guerre e guerrette e a cementare il nuovo sodalizio sino-russo, dando corpo a quella “soft alleanza” pronosticata con timore da un policy brief del Consiglio europeo degli affari esteri?
C’è poco da riderci su. L’offerta pubblica di Putin a Xi, presentatosi al G20 di Hangzhou con i gelati al seguito, è già entrata nella storia: basta guardare i replay del video, per gli allergici al cirillico, sugli inglesissimi schermi di RT, la Cnn del Cremlino. «Gli uomini d’affari cinesi dicono che lei sia goloso dei gelati russi» dice Putin rivolto a Xi «e così le ho portato un’intera scatola». E cosa potevano fare i cinesi se non rispondere a tono? Vai dunque con la leggenda del tocco di Xi, quella secondo cui tutto quello che il nuovo Mao incrocia diventa fenomeno. L’agenzia giornalistica Bloomberg si è divertita a raccoglierlo, l’elenco dei miracoli. Xi si ferma a mangiare al Qing Feng Steamed Dumpling Shop? Trenta persone in fila ogni giorno. Xi visita un pub inglese con l’allora premier David Cameron? Le importazioni della Greene King Ipa inglese salgono da 6 mila a 80 mila bottiglie al mese. Xi va in vacanza in Nuova Zelanda? Il turismo cinese agli antipodi balza del 34 per cento.
Intendiamoci. Il gelatino russo non può competere, per ora, con marchi prestigiosi come l’occidentalissimo Magnum (da noi una volta era Algida, ormai globalizzata in Unilever), non può scalzare i prodotti anche italiani che si sono ritagliati una nicchia fin qui, da Granarolo in giù. Per non parlare poi del dominio degli americani, da M&M a Ben & Jerry e soprattutto Häagen-Dazs, il brand forse più noto, che malgrado il nome finto-danese è stato partorito da due immigrati ebreo-polacchi in un cucinino del Bronx. No, il gelatino russo non può farcela contro i giganti di questo mercato che lo scorso anno ha sorpassato perfino quello Usa: 11,4 contro 11,2 miliardi di vendite. Anche se, certo, il pacco di stecchi russi da 100 grammi, venduto per 10 yuan, cioè 1 euro e 33 centesimi, è quantomeno economicamente più appetitoso degli 81 grammi che Häagen-Dazs fa pagare ai cinesi più di 3 volte tanto, cioè 33 yuan.
Il fatto è che qui non stiamo parlando solo di economia, ma soprattutto di politica. E non è un caso che il siparietto dei gelati arrivi esattamente due anni dopo il divorzio tra la Russia e la Ue. Divorzio per colpa, si sarebbe detto una volta, visto che è stata l’occupazione della Crimea a spingere la Ue verso le sanzioni con Mosca e a spingere Mosca nel tunnel di due anni consecutivi di recessione: fino ad alzare bandiera gialla. Spiega ancora June Teufel Dreyer, politologa dell’Università di Miami che su Foreign Affairs s’è specializzata nel decifrare le ombre dei rapporti cino-russi: «Certo che qui sotto c’è molto più che un gelato. L’esaltazione dei cornetti è probabilmente parte di uno schema più ampio, che tende a rafforzare i legami attraverso quella che una volta si chiamava diplomazia a tu per tu, creando un’immagine favorevole dei prodotti e di altri aspetti della cultura russa». E quindi? «E quindi» continua la prof intervistata dal Venerdì «prepariamoci ad assistere a sempre più scambi di questo genere: l’Opera e gli acrobati cinesi che si esibiscono a Mosca e Pietroburgo, il Balletto del Bolshoi, il coro militare Aleksandrov e i ballerini cosacchi in tour per le città cinesi...». Eccoli dunque i cosacchi che si abbeverano a Tiananmen. Ecco l’incubo che portò al clamoroso divorzio tra Mao Zedong e Nikita Krushev: una rottura da guerra fredda nella Guerra Fredda che per trent’anni – e fino all’ennesima meritoria opera di distensione di un certo Mikhail Gorbaciov – alzò una cortina di diffidenza lungo gli oltre 4 mila chilometri di confine tra gli odiatissimi vicini. Eccolo dunque l’Orso russo allungare nuovamente i suoi zamponi sul Dragone: come quando gli fregò Vladivostok, che quattro secoli fa era ancora cinese.
Tutto quadra? Per la verità le cose sono un pochino più complicate. Innanzitutto, oggi è il Dragone – seconda potenza mondiale – a rivestire la parte dell’Orso. E più che un’invasione, quella russa, se non è una questua certo ci somiglia. Epinduo, uno dei massimi importatori del genere, ha comprato in un anno 14 tonnellate di gelati russi, giura a China Daily di voler aprire presto 300 negozi in tutta la Cina e dichiara di fatturare oltre 200mila yuan al giorno. Ma non saranno certo l’Orso Polare e l’Unione Sovietica – si chiamano proprio così gli ex gelati dei Soviet più venduti – e meno che meno mai il cornetto casualmente chiamato Presidente a congelare i rischi di una débâcle economica di Mosca. «Certo la Cina è diventata un mercato crescente per i russi ed è uno dei suoi partner commerciali più importanti, ma le esportazioni rappresentano per ora appena il 10 per cento, molto meno degli scambi con l’Europa» dice alla tv americana Cnbc l’economista William Jackson.
I numeri raccontano una storia che neppure il successo dei gelati riesce a sciogliere: nei primi sei mesi del 2016 il volume dei commerci tra Pechino e Mosca è crollato del 5 per cento toccando (in basso) la cifra di 28 miliardi di dollari nei primi sei mesi. Giusto per avere un raffronto, nello stesso periodo i rapporti tra Pechino che sogna il China Dream (copyright by Xi Jinping) e l’America che il suo sogno l’ha lasciato ormai alle spalle (di Donald Trump e Hillary Clinton) hanno prodotto la bellezza di 263 miliardi di dollari. Ok, nella svalutazione della bilancia Russia-Cina pesa il crollo del prezzo del petrolio, cioè l’oro di Mosca. Ma anche facendo tutte le tare, Zio Sam batte zio Vanja moltiplicato per 10: di che cosa stiamo parlando?
«Stiamo parlando di soft power» giura sempre Teufel Dreyer. «È questo clima che serve a contestualizzare per esempio le esercitazioni militari congiunte e le altre manifestazioni di quell’hard power che abbiamo visto in azione negli ultimi tempi. Non solo il pattugliamento congiunto nel Mar della Cina delle isole contese, ma anche le manovre di terra previste dal patto di Shanghai». La crema dell’affare, dunque, è tutta qui? «Le tensioni latenti tra i Paesi restano: alla Russia non piace il fatto di essere diventata il “fratello minore” nei rapporti con la Cina. Ma forse è davvero il gelato che riuscirà a farlo mandar giù».
A Mosca si raccontano proprio questo. I giornali sono pienissimi di articoli che con soddisfazione rilevano quanto piaccia ai cinesi quel prodotto che è sempre costato pochi copechi. Il gelato è un pezzo della storia nazionale – malgrado pare sia stato inventato, ironia della storia, proprio in Cina duemila anni fa, timido impasto di riso e di latte. E l’impegno di Pechino ad aprire una fabbrica direttamente in casa propria, con le materie prime che arriveranno da Saratov, e soprattutto di seguire il metodo Gost, lo standard che ha garantito la qualità del gelato russo dai tempi dei Soviet a oggi, beh, tutto questo non fa che riaccendere l’orgoglio dei russi a cui parla la propaganda di Putin: più dei contratti miliardari sugli oleodotti, più delle joint venture dove sono sempre i cinesi a metterci i soldi veri, più della tratta ferroviaria Mosca-Kazan – una delle più attese lungo la nuova via della seta agognata da Xi Jinping – che costerà 15 miliardi di dollari e un giorno farà viaggiare a 400 chilometri all’ora dalla capitale russa fino a Pechino. Un giorno: sempre che la diplomazia del gelato, sotto il sole troppo tiepido di questa crescita sempre più anemica, non finisca per squagliarsi prima.
Angelo Aquaro