Sara Faillaci, Vanity Fair 19/10/2016, 19 ottobre 2016
PER AMORE DI MIRIAM– [Miriam Leone] Miriam Leone è davanti a me con un vestito sottoveste e i tacchi
PER AMORE DI MIRIAM– [Miriam Leone] Miriam Leone è davanti a me con un vestito sottoveste e i tacchi. Quando è arrivata ancheggiando, le persone si sono appiattite contro le pareti del corridoio per farla passare e guardarla. Glielo faccio notare, lei ride e scuote i capelli rosso tiziano. Dice che si è vestita così per una conferenza stampa, e che di solito mette i jeans. Siamo abituati a vederla sempre diversa, camaleontica. In 1992 era la sensualissima Veronica, molto spesso nuda in scena, scalatrice di letti per aggiudicarsi un lavoro in Tv. In Non uccidere la poliziotta dal misterioso passato, con le occhiaie e nemmeno un filo di trucco. Per entrambe le serie è in lavorazione il sequel. Ma intanto, c’è il cinema. A tanti anni da Loren e Lollobrigida, Miriam è la prima ex Miss Italia (2008) a conquistarsi una parte in un film d’autore. Anzi, due: a novembre la vedremo nel cast di Fai bei sogni di Marco Bellocchio, tratto dal romanzo di Massimo Gramellini: e già dal 27 ottobre è la protagonista femminile di In guerra per amore, diretto e interpretato da Pif, una storia d’amore ai tempi della Seconda guerra mondiale. Nei panni di Flora, italoamericana nella New York del 1943, è – come si definisce lei stessa – «una caramella»: dolce, succosa, innocua. Anche determinata, però: promessa sposa al figlio di un mafioso, convincerà il cameriere che ama in segreto (Pif, appunto) ad arruolarsi e partecipare allo sbarco in Sicilia, dove dovrà andare a chiedere la mano a suo padre. La guerra personale dei due innamorati si interseca con quella collettiva contro il nazismo, ma anche contro la mafia, che tornerà al potere in Sicilia dopo aver aiutato gli americani. Un film ambizioso, con scene da kolossal come quella dello sbarco, ma dove l’ex Iena conserva intatto il suo tenero umorismo e sa far brillare la Leone, non solo per la sua incontestabile bellezza. Una siciliana che interpreta una siciliana: che effetto fa? «È un ritorno alle origini. Sono nata a Catania, cresciuta tra Aci Castello e Acireale. E poi Flora mi ricorda mia nonna Angela. Nel 1943 aveva 20 anni e si doveva sposare con Giovannino, ma alla festa di fidanzamento si innamorò del cugino di lui, cioè di quello che poi è diventato mio nonno Angelo. Come Flora, fa parte di quella generazione femminile che è riuscita a fare rivoluzioni senza bandiere né cortei di piazza ma tra le pareti domestiche, per fuggire da amori combinati, padri padroni, sistemi. Donne che ammiro e che ringrazio». Ma come ha fatto sua nonna a sposare il cugino del fidanzato? «In famiglia si tramandavano versioni edulcorate, vai a saperlo come andò realmente. Avranno fatto la classica fuitina. E non è stato certo l’ultimo scandalo in famiglia: mia madre si è messa con il suo professore di latino, che era vent’anni più vecchio di lei, e il risultato sono io. I miei nonni sono nati negli anni Dieci e Venti, mio padre negli anni Quaranta, mia madre nel 1964: diciamo che sono cresciuta con riferimenti generazionali variegati». Vent’anni non sono pochi: si sente la differenza di età? «Adesso di più, ma mio padre è stato la grande scommessa di mia madre, che ci si è dedicata totalmente. Credo ci siano momenti, nella vita di una coppia, in cui magari non sarebbe troppo tardi per iniziare un’altra storia ma, superato quel momento difficile, si riscopre il senso di avere un compagno di vita. E diventa prezioso quello che magari da giovane, con gli occhi di chi cerca emozioni forti, ti sarebbe sembrato cibo da ospedale». Come sono stati come genitori? «Diversissimi. Quando sono nata mamma aveva 19 anni, una bambina. Solo da grande ho capito che non è normale avere una madre che gioca a vestire le bambole, balla e canta tutto il tempo con te: era spensierata, per niente ansiosa. Papà invece era il classico padre professore, che ti mette alla prova: mi regalava solo libri, per compiacerlo ho imparato a leggere a quattro anni. Non era protettivo: se gli chiedevo aiuto con le versioni di latino, che lui conosceva a memoria, mi passava il vocabolario: “Trovi tutto qui”. E se tornavo a casa in lacrime perché a scuola Denise, una bambina grande e grossa, mi menava tutti i giorni, mi diceva che dovevamo chiarirci tra noi. L’altro giorno al telefono mi fa: “Forse non ti ho viziato abbastanza”. Mi sono commossa, perché gli sono così grata per quello che mi ha insegnato: l’indipendenza. E poi a prepararmi la colazione era sempre lui». Era brava a scuola? «Molto. Ho sempre amato studiare, e sono andata a scuola un anno prima. Sono l’unica nipote femmina della famiglia, quindi tutti mi adoravano e io ricambiavo organizzando spettacoli. Cucivo i costumi, scrivevo il testo, preparavo le scenografie: per i miei parenti ero un po’ un incubo». Davvero il suo fratello più piccolo si chiama Sergio? Sergio Leone? «Sì: i miei hanno sempre avuto gran senso dell’umorismo. È nato il 15 agosto, quando tutti erano al mare. Avevo tre anni, mi buttarono giù dal letto di notte, persi una scarpa in strada. Oggi è un pianista, bravissimo e dolce». Secchiona, figlia di un professore. Come è arrivata a Miss Italia? «Ho sempre avuto voglia di fuggire. Da piccola prendevo la valigetta verde del trapano di mio nonno, ci mettevo dentro il mio pupazzetto Milky e il mio vestitino feticcio – rosa, con un cravattino – e mi nascondevo anche tre ore sotto il letto. Immaginavo di essere a Parigi, vedevo nella mia testa le piazze affollate, le donne eleganti, le luci, il cinema. Dopo la maturità – liceo classico – sono anche andata a Roma a fare qualche provino, ma è stato un fallimento totale: non sapevo a chi rivolgermi, in un’agenzia mi hanno chiesto soldi e poi mi hanno detto che non solo non avrei mai potuto fare l’attrice, ma neppure la modella. Non mi sentivo forte né determinata abbastanza, quindi sono tornata a Catania e mi sono iscritta a Lettere. Mi mancano solo due esami, e prima o poi mi laureo». Dice che è stato «un fallimento totale». Perché, secondo lei? «All’epoca non indossavo nulla di femminile, al massimo una gonna sopra i pantaloni e ai piedi solo Dr. Martens. Mi tingevo i capelli – una volta verdi, un’altra fucsia –, arrivavo e parlavo di poesia. Probabilmente apparivo strana». Non mi ha ancora detto come è finita al concorso di bellezza. «I talent scout, quelli che girano in spiaggia, mi avevano proposto più volte di partecipare, ma non ci pensavo proprio. Durante una fuga a Roma per vedere una mostra di Rothko, sono capitata al piano di sopra, dove erano esposte le foto dei set di Kubrick. Davanti a un ritratto di Lolita ho pensato: chissà com’è l’attrice oggi. Ho visualizzato la mia faccia accanto alla sua, mi sono detta: neanche tu resterai così per sempre. E ho deciso che non potevo mollare il mio sogno senza neanche averci provato. Allora ho chiamato quel numero di Miss Italia, che avevo ancora con me: il provino era lì a Roma, due giorni dopo. Sono entrata da Zara, ho comprato un tubino nero e un paio di sandali, ho messo le Dr. Martens in un sacchetto e mi sono presentata». Secondo lei, perché ha vinto? «È una domanda cui non so rispondere. A quell’unico provino che ho fatto ero la più vecchia – 22 anni, le altre ne avevano 17 o 18 – e l’unica a essersi presentata lì sola. Dopo poco che ero uscita, mi hanno chiamato: “Per noi hai vinto tu”. Mi sono ritrovata in finale al concorso, a Rimini, senza aver fatto una piazza, un raduno: non ci sarei mai riuscita con il mio carattere. I miei amici erano sconvolti: per loro ero il topo da biblioteca, quella dei cineforum». L’anno di Miss Italia è subito diventata conduttrice di Unomattina: un bel salto. «Ho detto subito che non pensavo di essere all’altezza ma il capostruttura Rai mi aveva notato in un’intervista, sosteneva che avevo i tempi televisivi. Per anni ho fatto un doppio lavoro, conduzione e fiction, sempre piccole parti. Lavoravo 7 giorni su 7 e dormivo in camper: una gran fatica, ma anche un’esperienza meravigliosa. Recitare però era il mio sogno, così un giorno ho deciso di mollare il programma in Tv, e tutti mi hanno dato della pazza. Invece è arrivato 1992». Come? «Con un provino, dove ho subito tutto lo snobismo riservato a chi viene dalla televisione. Ma alla fine mi hanno presa. Ero spaventata perché era una parte vera, seria. E poi c’erano tante scene di nudo, che non avevo mai fatto». A vederla non sembrava impacciata. «Perché in quel momento non ero io. Mi calo completamente nel personaggio, tanto che ci metto un po’ a uscirne. Finite le riprese mi capitava di rispondere con la sua voce, o di vestirmi più sexy, come lei. E allora mi dicevo: “Veronica, esci da questo corpo!”». Lei non è sexy nella vita? «Non ho un atteggiamento sensuale né seducente. A differenza di Veronica, se devo uscire con uno che mi piace non mi metto il push up, che è anche una tortura. Mi diverto a mostrare altre parti di me, è più stimolante: la bellezza non ha merito e io vado a letto tranquilla solo se so di aver studiato, lavorato, sudato le cose». Che effetto le fa tornare a interpretare Veronica in 1993. «Una bella sfida con me stessa. Il personaggio cambia, spero di essere all’altezza». Negli ultimi quattro anni è stata legata a Davide Dileo, il Boosta dei Subsonica. Una storia importante. «La più lunga. Ma è finita da un anno, e oggi sono completamente da un’altra parte. Una nuova Miriam, perché ritrovarsi single a trent’anni è diverso che a venti: a rinascere è una donna». Da come parla, sembra che stia meglio da single rispetto a quando era in coppia. «Era un rapporto faticoso, non era la persona giusta. Non parlavo di questa storia quando stavamo insieme, a maggior ragione evito di parlarne adesso. Ma si può sintetizzare così: ci siamo conosciuti, poi siamo cambiati tutti e due, in un modo diverso, e le nostre strade si sono separate. Ho capito che l’amore per l’altro passa attraverso l’amore per se stessi: prima, devi comprendere e amare chi sei». Oggi si ama? «Sì, ma prima mi amavo meno. Certe insicurezze fanno parte dell’età: io non sapevo fino in fondo che cosa volevo, e infatti anche il mio percorso professionale non è stato immediato. Compiuti i trent’anni, mi sento cambiata: più serena, più istintiva, più sicura. Non cerco più di diventare quello che avrei voluto essere, o quello che gli altri vorrebbero che io fossi. Mi sento incamminata, finalmente, verso quello che davvero sono».