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 2016  ottobre 16 Domenica calendario

IL VICEMINISTRO PER MERITI DI TALK SHOW


[Enrico Zanetti]

E così il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, ci ha mostrato l’altro lato della sua smaniosa personalità. Attraverso le provocatorie apparizioni tv lo conoscevamo come un tipo dalla lingua sciolta. Ora sappiamo che è anche di mano lesta.
Nei giorni scorsi, gli è riuscito di scippare nome e simbolo di Scelta civica a Mario Monti, fondatore del partito. Il povero professore ha tentato fino all’ultimo di fare valere la primogenitura, ma l’Ufficio di presidenza di Montecitorio gli ha dato torto. L’argomento con cui l’ha liquidato non è chiaro ma non importa. Monti conta ormai un baffo e chiunque può camminargli in testa. Perfino, il nostro Zanetti che non è un padreterno.
Col simbolo nel carniere, il viceministro ha potuto definitivamente sancire l’alleanza – nata in luglio – con Denis Verdini, il capo di Ala, ufficializzando la nascita di un nuovo gruppo parlamentare. È formato di sedici deputati – di cui solo quattro zanettiani, comprensivi del medesimo Zanetti – e si è dato per nome uno scioglilingua, Scelta civica verso i cittadini per l’Italia. Un’accozzaglia di vocaboli senza senso. Ma con un preciso significato politico: fare da stampella a Matteo Renzi e introdurre definitivamente Verdini – transfuga del Cav – nell’area del governo piddino. L’operazione è gradita al premier e ai suoi. Per nulla invece alla sinistra interna del Pd che considera Verdini, Belzebù. Quale opinione abbia invece di Zanetti e delle sue mene non sappiamo. Né ci interessa, poiché cercheremo di farcene una nostra.

FRENETICO SGOMITATORE
Zanetti che, come abbiamo detto, ha un seguito di tre deputati, tre, si fregia però del titolo di «segretario di Scelta civica». Una tipica esagerazione delle sue. Le cose in realtà stanno così. Zanetti, che è uno sgomitatore frenetico, divenne effettivamente segretario di Sc nel febbraio del 2015.
Il partito allora era mezzo morto. Monti l’aveva rinnegato l’anno prima. Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, che gli era succeduta alla guida, aveva preso una batosta alle Europee 2014, col crollo di Sc allo zero virgola (dal 10 per cento della Politiche 2013). Si era dimessa e, col solito sorriso a 32 denti, aveva fatto il salto della quaglia nel Pd. A questo punto Zanetti, commercialista di professione, ha fiutato l’affare. Capì che poteva impossessarsi del rottame con niente. Gli bastò, infatti, candidare sé stesso alla segreteria per ottenerla. Divenne così il capo di una ventina di deputati.
Un anno dopo, Enrico – allora oscuro sottosegretario di Piercarlo Padoan – fu fatto da Renzi, motu proprio, nientemeno che viceministro, sempre all’Economia. Era il segno di una benevolenza che doveva, per gratitudine, essere corrisposta. Così, il Nostro avviò la manovra che nei giorni scorsi ha portato alla confluenza dei verdiniani nell’alveo del renzismo. Solo così si spiega la decisione – altrimenti cretina – che Zanetti ha preso a metà dello scorso luglio: lasciare con i suoi tre gatti – lui che era il segretario! – l’intero gruppo, cinque volte più nutrito, per unirsi a Verdini.

L’ABBRACCIO A DENIS
Per di più, proclamando che – con la sua uscita e quella dei tre compari – era Scelta civica che se ne andava per convergere con l’ex berlusconiano. Quasi che i restanti quattro quinti fossero mucillagine. Non sono certo di avere descritto con chiarezza il maneggio. Non dubito però abbiate capito che Zanetti è capace di tutto. Solo tre anni fa, il quarantatreenne commercialista veneziano era un quidam de populo. Aveva lo studio in Laguna e si dava da fare con Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, di cui era responsabile fiscale. Da ragazzotto aveva bazzicato la Liga veneta e, appena più grande, era stato fervente berlusconiano. Poi, restò tanto deluso dal Cav che oggi lo denigra a ogni occasione. Comunque, si proclama liberale e – come Angelino Alfano, Verdini, ecc – sostiene di essere l’anima einaudiana del renzismo.
Nel 2013, il soave Montezemolo lo raccomandò a Monti che lo inserì nelle liste di Sc ed Enrico entrò alla Camera. Si impose presto all’attenzione con ingredienti semplicissimi. Inforcò occhiali con una gigantesca montatura rossa, che alternava con una azzurra, e divenne un’attrazione per la gente che bighellonava in Piazza Montecitorio.

MI MANDA MONTEZEMOLO
Fu poi scoperto dai giornalisti che compiaceva con dichiarazioni cervellotiche su Monti, i colleghi, l’economia. Ogni giorno un guizzo, finché si sono accorti di lui i talk show, chiamandolo a fare audience con le sue strampalataggini. Così, ce lo siamo visti – e lo vediamo – dalle sette di mattina a mezzanotte su tutte le reti. D’inverno con le scarpe blu elettrico, lucide e puntute. D’estate senza calzini.
Appena si è sentito un personaggio, Enrico ha alzato l’asticella delle sue mire. Per raffreddare questa incandescenza, giunto Renzi a Palazzo Chigi, Sc lo candidò a un posticino nel governo. Divenne sottosegretario di Padoan che, ignorando chi fosse, gli conferì poche deleghe di scarso significato. Zanetti reagì da par suo al declassamento, facendo il rompiscatole del governo di cui era parte.

LITIGIOSO PER PRINCIPIO
Trascorse l’intero 2015 a fare il dispettoso. Nel gennaio di quell’anno, il Gabinetto era orientato a varare un provvedimento che escludeva la punibilità di chi evadeva meno del tre per cento del reddito imponibile. Ossia, trecento euro su diecimila. Zanetti colse l’occasione per fare il virtuoso e mettersi in mostra. Disse, callidamente, che il beneficiario poteva essere il Berlusca, condannato e radiato dal Senato un anno prima proprio per un’evasione sotto il tre. Batté la grancassa, rilasciò interviste, strabuzzò gli occhi in tv. Divenne famoso. Sull’abbrivio, fece altre «battaglie», nessuna delle quali rientrava nell’ambito delle sue competenze governative. Infatti, con la scusa di essere – oltre che sottosegretario – capo di Scelta civica si impicciava un po’ di tutto, litigando in tv con chiunque gli capitasse a tiro. Dove c’era da fare casino, compariva lui. Non ha mai avuto il problema della coerenza. Quando la Consulta – nel maggio 2015 – dichiarò incostituzionale il blocco della scala mobile sulle pensioni, il Nostro attaccò la sentenza. «È immorale» disse, dall’alto della sua indennità di ventimila euro al mese, restituire il maltolto ai pensionati con una pensione sopra i tremila lordi (duemila netti). Insomma, per farsi notare, fece del populismo spiccio a spese della Corte.

RIBELLE ADDORMENTATO
Pochi mesi dopo, all’opposto, si erse paladino della sacralità delle sue pronunce, difendendo una sentenza costituzionale che annullava centinaia di assunzioni senza concorso all’Agenzia delle Entrate. Creò un bailamme, innescando una polemica con il direttore dell’Agenzia, Rossella Orlandi, che gli procurò tre giorni di titoloni sui giornali e il plauso di contribuenti ed evasori. Fu così che, per zittirlo, Renzi – che aveva perfettamente inquadrato il tipo – lo ha promosso viceministro.
Così, Zanetti si è acquietato. La sua verve televisiva non colpisce più l’Esecutivo e meno che mai Renzi. Se questo apre bocca, l’altro gli fa eco. L’ultima è di queste ore. Il governo, in chiave antievasione, si è detto pronto a entrare nelle nostre case per vedere se nascondiamo soldi. Roba da cubani contro cui un liberale, quale Enrico si dichiara, dovrebbe rivoltarsi. Invece, ha fatto il tirapiedi proponendo l’eliminazione della banconota da 500 euro, per ostacolare l’accumulo di contanti. Della serie: il ribelle è sazio e ronfa.