20 ottobre 2016
APPUNTI PER THE YOUNG POPE– *** Fonte: Paola Zanuttini, il venerdì 30/9/2016 Testo Frammento IL MISTERO DELLA FEDE E ALTRI DOMANDONI– [Paolo Sorrentino] ROMA
APPUNTI PER THE YOUNG POPE– *** Fonte: Paola Zanuttini, il venerdì 30/9/2016 Testo Frammento IL MISTERO DELLA FEDE E ALTRI DOMANDONI– [Paolo Sorrentino] ROMA. Nei cassetti di Paolo Sorrentino: appunti di ricordi insulsi o fondativi destinati a esplodere in scene fiammeggianti, o a delineare personaggi. Ritagli. Immagini. Sentimenti lasciati a galleggiare in attesa che si palesino. Progetti saltati, rimandati, ripresi, che tengono a bada l’horror vacui. Insomma, era il 2013 e il regista aveva il suo da fare montando La grande bellezza, ma nei cassetti scivolò la storia di un giovane papa americano fico, conservatore e pieno di contraddizioni. A dire il vero, lui era preso da un’altra santità, quella di padre Pio: aveva letto la biografia di Sergio Luzzatto e gli era piaciuta molto. Lorenzo Mieli, il produttore prodigio della Wildside, sapeva di questa passione e gli aveva proposto di farne una serie: «Ma in tv di padri Pii ce n’erano stati già due, e un terzo, per quanto diverso, non mi pareva il massimo. Gli ho prospettato invece questa storia sul Vaticano e mi sono messo a scribacchiarla, sicuro che, in un Paese come il nostro, sarebbe stata lettera morta. Invece Mieli mi ha preso sul serio, ha combattuto per realizzarla; è intervenuta massicciamente Sky, poi siamo andati da Hbo, che per la prima volta ha coprodotto una serie europea. È un pionierismo di cui siamo fieri: ha aperto la strada a progetti come la saga della Ferrante e il Limonov di Carrère. I più grandi producer di serie tv al mondo chiedono a noi italiani se abbiamo qualcosa di buono e dicono: bene, facciamola insieme». Aleggia quindi il miracolo, e non solo produttivo, su The Young Pope, che debutta il 21 ottobre su Sky Atlantic e ha già fatto parlar bene di sé alla presentazione dei due primi episodi a Venezia. Ricapitolando: Jude Law/Lenny Belardo, 47 anni, è Pio XIII, primo papa americano della storia, appena eletto; nostalgico della messa tridentina, labbra alla Mick Jagger, un gran bel sedere che si vede subito nelle abluzioni mattutine, e un passato di abbandono dato che i genitori fricchettoni l’hanno mollato in un orfanotrofio cattolico quando aveva sette anni. Diane Keaton/sister Mary è la suora che lo ha accolto, educato e spinto verso la brillante carriera ecclesiastica. Silvio Orlando/ cardinal Voiello è il segretario di Stato che ha gattopardescamente brigato in favore dell’epocale elezione di Belardo per fare in modo che tutto rimanga com’è, ma ha sbagliato previsioni. Tutto intorno, la curia e le mene per il potere. Ma niente scandali, delitti, misteri alla Dan Brown. L’unico mistero è quello della fede. Appunto: lei l’ha fatta la comunione? «Certo, anche la cresima. E l’ambiente religioso lo conosco abbastanza perché ho studiato dai salesiani, al liceo. Sono mondi particolari, a connotazione sessuale unica: solo maschi o femmine, quindi prevedono tutte le aberrazioni del caso». Come vanno i suoi rapporti con Dio? «Non so: ho fatto dieci puntate – dovevano essere otto, ma mi sono allungato – su delle persone presumibilmente immerse nella fede e non ho ancora le idee chiare. Confido nella seconda serie». E il suo papa? Al confessore dice che non crede in Dio, ma poi fa marcia indietro: «Stavo scherzando». «Una cosa l’ho capita: la domanda fondamentale non è credi? Non credi? Ce n’è una più decisiva: perché non si può fare a meno dell’esigenza di Dio, di un rapporto di negazione o di abbraccio? Nessuno, neanche un agnostico, riesce a eludere questo domandone: essendo superiore alle mie possibilità io non ho trovato risposta, ma uno più intelligente di me, lo studioso di teologia Jack Miles, autore di Dio: una biografia, sostiene che è il più grande personaggio letterario mai esistito, così grande che lo conosciamo abbastanza in dettaglio anche senza aver letto la Bibbia. È così potente che ci invade la vita al di là dal nostro assenso. The Young Pope è un’indagine su uomini e donne, ma sono soprattutto uomini, che fanno un matrimonio molto stretto con qualcosa che materialmente non c’è, Dio. Su una relazione con Dio vissuta in modo diverso da noi, che ogni tanto ci ricordiamo di lui e continuiamo a farci i fatti nostri. No, quello è un rapporto ingombrante, è come aver un marito o una moglie che ti dice continuamente cosa fare o non fare». Raccontata così, la serie potrebbe scoraggiare chi il domandone non se lo pone, ma c’è molto altro, anche se Sorrentino è abbottonatissimo sulla trama, perché al pubblico televisivo non va rivelato alcun passaggio o dettaglio, pena la disaffezione. Visto che gli aspetti più noti del Vaticano sono gli scandali, lui è andato a cercare il lato in ombra: il tran tran amministrativo, il menage sconvolto dal nuovo papa che fa colazione solo con la Coca-Cola Zero alla ciliegia (un’eresia), la redazione di un’enciclica, le relazioni tra i cardinali, il marketing della fede, spiragli e correnti della Chiesa. Insomma, è entrato in Vaticano come in uno studio legale o in una stazione di polizia per raccontarne la quotidianità. La quotidianità di un minuscolo Stato che non ha niente se non i palazzi, i quadri, le statue, la diplomazia. E la forza della guida di un leader monocratico cui fa capo un miliardo di fedeli. E c’è il mistero, una suspense mistica, quasi hitchcockiana che crea l’attesa del miracolo, dell’irruzione del soprannaturale. Sister Mary porta dei guanti a mezze dita: avrà le stigmate? «No, i guanti se li è voluti mettere Diane Keaton per motivi suoi, forse per coprirsi le mani. Ma la propensione al soprannaturale della Chiesa cattolica è uno dei motivi che mi ha spinto a fare questo lunghissimo film, che non considero una serie, ma un film come gli altri che ho girato, più libero nella scrittura, quasi come un romanzo, senza il limite delle due ore, e molto più faticoso. L’unica regola televisiva che ho osservato è l’elemento di interesse alla fine di ogni episodio che fidelizza il pubblico. Ed è vero che c’è la suspense: ho disseminato quello che i credenti definiscono il mistero non umanamente comprensibile, la dimensione del prodigio, che il mago Silvan definirebbe un trucco, mentre Wojtyla obietterebbe che è Silvan a essere un cialtrone. La Chiesa prevede una messinscena suggestiva di santi, beati, miracoli, rivelazione: una sfida irresistibile per un regista». Per un regista napoletano, figlio di una città che nel pensiero magico ci sguazza, questo imprinting sarà stato utile. «Vengo da una famiglia dove tutti i parenti avevano visto fantasmi o munacielli e raccontavano cose incredibili. Sono cose che mi hanno molto impressionato da bambino, influendo sul mio rapporto con la realtà e la paura. Ma oltre le superstizioni la materia è molto più affascinante. Anche se uno come me fatica ad afferrarne il senso: l’altro giorno parlavo con una donna di una certa età che mi sembrava di un’intelligenza meravigliosa, che poi ha detto: “Ora vado a messa, come tutti i giorni”. Mi ha colpito: la sua razionalità, la larghezza di vedute stridevano con la fede, c’è un corto circuito che non riusciamo a capire, come se credere nel trascendente fosse un attentato all’intelligenza. Invece la maggior parte degli studiosi del cattolicesimo sono fra gli intellettuali più attenti, profondi e speculativi, proprio perché sono abituati a porsi domande». Il suo papa obbliga il padre confessore a riferirgli le confessioni dei cardinali e in Vaticano non hanno gradito, sostenendo che nessun sacerdote tradirebbe il sacramento. Come pensa sarà accolta la serie da San Pietro in giù? «Anche i mariti e le mogli non vorrebbero tradire il sacramento del matrimonio, ma succede. Il mio bravo consulente per le cose vaticane Alberto Melloni, che ne sa più di me, dice che sarà amata dai preti intelligenti. Da quelli che vogliono capire i lati oscuri e meravigliosi delle loro biografie. C’è anche chi ha avuto da ridire sul fatto che ho raccontato un papa conservatore mentre adesso Francesco sta rivoluzionando la Chiesa. Sempre Melloni mi ha avvertito che non è affatto improbabile che il prossimo papa sia un restauratore del vecchio ordine. È l’alternanza». Perché il padre confessore a un certo punto dice: «Mi fanno male i capelli», battuta feticcio di Deserto rosso? «Perché è molto sciocco. E la battuta, che è la quintessenza della stupidità, gli si addice. Questa citazione di Antonioni l’avevo già inserita in This Must Be the Place: anche a Sean Penn facevano male, i capelli, poi l’ho tagliata». Continuando il gioco delle citazioni, al postfelliniano Sorrentino qualche omaggio al Maestro è sfuggito. Lui ricorre alla proprietà transitiva: il Vaticano ha un senso altissimo dello spettacolo, Fellini ha un senso altissimo dello spettacolo, filmando le cose vaticane non si può non essere felliniani. Anche la strategia dell’assenza di papa Belardo che non vuol mostrarsi ai fedeli, né apparire sui gadget della Santa Sede, e cita Salinger, Kubrick, Banksy, Daft Punk e Mina come campioni della fama e dell’invisibilità, ricorda un altro regista italiano, Nanni Moretti, non quello di Habemus Papam, ma quello di Ecce Bombo: «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?». Adesso, invece, ci addentriamo in memorie più personali. Belardo fuma, come sister Mary e il Cardinal Dussolier, compagno di orfanotrofio del futuro papa. C’è un senso nascosto in questo fumo che aleggia? «No. E comunque pure Ratzinger fumava. Le Marlboro, lo so per certo. È un tratto comune agli orfani, anche sister Mary lo è: dipende dallo stress e dalla libertà di abbracciare tutti i vizi». È un tratto comune alla sua storia, anche lei ha perso i genitori da ragazzo. «È irrilevante». Mica tanto. «Uno parla sempre di se stesso, a volte in maniera più diretta altre meno». Nel primo episodio c’è una scena splendida in piazza San Marco: da una piramide di neonati apparentemente morti ne emerge uno vivo. Che vuol dire? «Non lo so, non lo so. A volte mi vengono queste immagini, le trovo potenti, intense decido di metterle, con disinvoltura, perché nascono con un’intuizione istintiva. Poi affiora un collegamento con la storia, una plausibilità che, in questo caso, devo ancora scoprire. Un bambino di sette anni abbandonato ha necessariamente a che vedere con la morte. E quella è una piramide di morte perché quando i tuoi genitori ti abbandonano – non muoiono, ti abbandonano, ed è ancora più doloroso – non c’è niente di più vicino alla morte. Il fatto che Belardo, diventato adulto, esca da questa morte e diventi una guida dei vivi è una specie di resurrezione». A quanto pare anche le serie tv si sono fatte adulte. Ce n’è qualcuna che le è piaciuta particolarmente? «Twin Peaks ha rivoluzionato il genere. E recentemente mi sono piaciute molto True Detective e Fargo. È meravigliosa, True Detective, perché indaga la storia dei due poliziotti, le relazioni, le donne, il Delta, ma non mi ricordo chi è morto all’inizio e chi è il colpevole alla fine. Invece mi ricordo l’atmosfera, la fatica di stare al mondo dei personaggi. Forse quel che ho fatto è simile, perché in The Young Pope le storie ci sono, c’è il rapporto tra religione e potere e la buona fede o la malafede che possono segnare questo rapporto; c’è l’eterno conflitto con il segretario di Stato progressista; c’è il vecchio cardinale mentore di Belardo che voleva diventare papa e, quando viene eletto il suo discepolo, cade in depressione, ma poi si rimette in gioco; c’è un accenno alla pedofilia, c’è tanta narrazione che di solito non metto nei miei film, ma non solo quello. Il centro di una serie su delle persone che se la vedono con Dio non può essere solo la trama: sarebbe stata un’occasione sprecata. Perché la cosa che mi piace nelle storie belle è proprio il racconto della fatica di stare al mondo». Paola Zanuttini *** V come Vaticano Con The Young Pope di Sorrentino non è mai stato così cool. Jude Law-Pio XIII porta strani ricami dorati sull’abito bianco, un cappello a tesa larga pure bianco e le scarpette rosse di Ratzinger. Tom Ford rosica. *** Fonte: Mariarosa Mancuso, Il Foglio 1/10/2016 Testo Frammento L’ARCITALIANO DEL CINEMA– Già avevamo un prezioso “Sorrenthanks”, che in automatico rilasciava ringraziamenti alla maniera di Paolo Sorrentino. Lo avevano messo su internet Mirko Centrangolo e Davide Orsini, all’indomani del discorso da Oscar che riunì in singolar quartetto Fellini, Scorsese, Maradona e i Talking Heads, sue fonti di ispirazione. Al clic, produceva altre eccentriche squadrette. Per esempio “Grazie a Fausto Brizzi, Francesco Graziani, Mara Maionchi e le emoticon su Whatsapp". Oppure: “Grazie a Ron Howard, Oscar Pistorius, Biagio Antonacci e il kebab senza cipolla”. Annunciato subito dopo l’Oscar a “La grande bellezza” con le parole “Non sarà un’altra storia di solitudine, stavolta parlo di amicizia” – infatti i vecchi amici Michael Caine e Harvey Keitel raccontano le soste in bagno, “tutta la pisciata minuto per minuto” – “Youth" ha ispirato un altro generatore automatico. Sputava fuori “Scene dal prossimo film di Sorrentino”, senza dover neppure mettere la monetina. Non è un gioco nuovo, lo praticava Umberto Eco nel suo periodo smagliante, prima di leggere Kant di sera e frequentare Gustavo Zagrebelski di pomeriggio. Analizzava la filastrocca “Tre civette sul comò” come se fosse Dante, recensiva il biglietto da diecimila lire (critica tiepida, ma “Ringraziamo l’editore che ha fornito l’esemplare per recensione”). Parodiava Luchino Visconti (per il suo cinema di aristocratica decadenza) e Michelangelo Antonioni per il suo “cinema da carro attrezzi”: strade e piazze vanno sgombrate in nome e per conto dell’incomunicabilità (copyright Rodolfo Sonego sceneggiatore di Alberto Sordi). Sostenevano Guido Almansi e Guido Fink – curatori dell’antologia di falsi letterari “Quasi come” – che la parodia, meglio ancora se feroce, va considerata un omaggio. E una scorciatoia per capire lo stile dei venerati maestri. Il generatore automatico di scene sorrentiniane – sul sito Libernazione – confermava i vezzi che avevamo annotato guardando i film del regista. L’animale che non c’entra, per esempio: i fenicotteri e la giraffa nella Roma di “La grande bellezza”. Puntuale, nell’ultima fatica “The Young Pope” – si usa dire così per le opere dei Venerati Maestri, va segnalato però che quando diventano tali non fanno più la fatica necessaria per completare davvero l’opera – nei sotterranei del Vaticano appare un canguro saltellante. E via con i personaggi patchwork (“una spogliarellista cingalese, una contorsionista armena, un’indossatrice irachena”). I paesaggi già molto visti – dalla Città Eterna all’Engadina, che allevia la fatica allo sceneggiatore perché un artista con la tubercolosi rimane sempre impigliato tra le cime e la terrazza solarium. I rumori della carta di caramella che si mischiano con la colonna sonora cool. L’alto e il basso che si mischiano, anche se poi quel che Paolo Sorrentino e i suoi fan considerano “alto” è posizionato all’altezza del “midcult”. Pensate ai quadri degli impressionisti sulle scatole dei cioccolatini (copyright William Somerset Maugham, “La luna e sei soldi”). Dopo le dichiarazioni su “Fuocoammare” urge generatore automatico per le frasi da guru che Paolo Sorrentino sempre più spesso rilascia. No twitter, no social network: il nostro – classe 1970 – ha capito che in Italia nulla paga più del buon tempo antico, soprattuto quando la carta stampata si dà una rinfrescata di modernità (poi casca sulle promozioni: La Repubblica l’Espresso regala il Dvd – dicesi Dvd, il computer su cui scriviamo neanche ha più la feritoia adatta – di “Reds”, film sulla rivoluzione d’ottobre con Warren Beatty (magnifico ottantenne ma pur sempre 80 sono). Sorrentin-guru ha appena distrutto il documentario di Gianfranco Rosi, candidato italiano agli Oscar. Nella commissione selezionatrice c’era Paolo Sorrentino, che ha messo agli atti il suo rapporto di minoranza. Lo fece qualche anno fa Laura Morante al Festival di Locarno, contro il Pardo d’oro a “Verso la rivoluzione sulla due cavalli” (bisognava essere lì per vedere la faccia attonita della giurata americana Janet Maslin). Vezzo arcitaliano, e va detto che Sorrentino dell’arcitaliano ha tutte le caratteristiche: nel resto del mondo i giurati dopo il verdetto tacciono – se non per sempre – almeno per un po’, non fanno la fronda un quarto d’ora dopo. “Scelta masochistica” ha fatto sapere il nostro, elencando le ragioni tecniche. Sacrosante: esiste una categoria per il documentario e una per i film, avremmo potuto candidare due titoli. Ineccepibile, ma era più utile convincere gli altri giurati prima del guaio, che elimina dalla corsa all’Oscar “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti: il più bel film italiano da anni, l’unico che parla il linguaggio internazionale dei supereroi. Farlo fuori è in effetti una “scelta masochista” – nell’italiano più sciolto e svelto che fu, quando le scelte avevano “motivi” e non “motivazioni”. Ma la premessa “Fuocoammare è un film bellissimo” suona come “ho molti amici neri” (o ebrei, o gay). Fa immaginare un Oscar svilito da un documentario su Lampedusa con cadaveri in primo piano (“necessari”, spiega Gianfranco Rosi che si è posto la questione etica e si è assolto, sperando nell’effetto Meryl Streep, che tra le lacrime ha caldeggiato l’Orso d’oro a Berlino). Per sabotare retroattivamente “La grande bellezza” era difficile trovare un’idea più astuta. Roberto Saviano ha espresso opinioni dalla cannabis libera ai bambini da fare o da non fare, ed è in pista da troppo tempo (l’Italia funziona come il “marziano a Roma” di Ennio Flaiano: un giorno son tutti a osservare l’extraterrestre, dopo una settimana al solo nominarlo sbuffano, guardate la “rivoluzione” Virginia Raggi). Paolo Sorrentino potrebbe subentrare. Per configurare l’algoritmo che produrrà le dichiarazioni – o a ispirazione degli umani che si nasconderanno nella macchina, come i nani nell’automa scacchista del Settecento – suggeriamo la dichiarazione rilasciata a Concita De Gregorio (quando una giornalista è con te, e non ti fa il contropelo, vengono più memorabili): “Dopo ‘La grande bellezza’ una signora ha pianto per venti minuti tenendomi la mano”. “Sembra più la reazione a un trauma che l’entusiasmo di una fan sfegatata”, avrebbe potuto dire Concita. “‘The Young Pope’ parla di fede e tradimento, mantenere Higuain ricorda i due concetti”. Fu la dichiarazione in conferenza stampa, dopo l’anteprima a Venezia di due episodi della miniserie (10 in tutto, su Sky Atlantic dal 21 ottobre), accompagnati da risatine – non previste dal copione – quando Silvio Orlando faceva battute su Higuain. Scritte, recitate, montate parecchi mesi addietro. Bel doppio salto mortale senza farsi (troppo) male. Resta una questione, non solo sorrentiniana. Chi scrive romanzi o gira film debba avere un orizzonte un po’ più distante degli amici e dai conoscenti, e anche dei napoletani, e perfino degli italiani. Soprattutto in una produzione internazionale con Jude Law e Diane Keaton nel cast: Papa Pio XIII e Sister Mary che lo ha cresciuto in orfanotrofio. Invece no: si ride per un cardinale – Silvio Orlando, appunto – che si chiama Voiello e tifa Napoli. Un venerato maestro fa scattare la competizione. Un articolo a firma Paolo Nizza su “The Young Pope” – assai promozionale, lo pubblica il sito di Sky Atlantic – attacca cosi: “Paolo Sorrentino ha 46 anni e non ha certo la morte negli zigomi (per citare il Tony Pagoda del romanzo ‘Hanno tutti ragione’). Ma capisce lo stesso molto bene le cose. Il tempo al cinema è sempre risicato, in televisione invece si può dilatare”. Henri Bergson vorrà perdonarci, con i suoi ragionamenti sul tempo e la durata. Ma le manfrine sul tempo al cinema son sempre scuse per l’indugio, come le manfrine sul superamento della narrazione nascondono l’incapacità di costruirne una. Per un generatore automatico di motti sorrentiniani sulla vita, sull’arte e sull’universo mondo non serve faticare. Il regista ha provveduto personalmente con “Tony Pagoda e i suoi bon mots”. Non un gruppo musicale alternativo, è il nostro modo per riferirci al già citato “Hanno tutti ragione”, romanzo di Paolo Sorrentino uscito da Feltrinelli assieme al sequel “Tony Pagoda e i suoi amici”. Parecchio materiale viene ripreso nei monologhi di Jep Gambardella, parecchio altro materiale nelle battute del giovane Papa americano e dei suoi cardinali. A Paolo Sorrentino non interessa il pontefice, e neppure il salottiero disincantato (da quando una femmina gli spezzò il cuore). Interessa occupare per intero lo schermo, e non scansarsi mai per farci vedere il film (copyright Dino Risi a proposito di Nanni Moretti: “Scansati e fammi vedere il film”) Presto servirà un generatore automatico di giudizi sorrentiniani sui concorrenti al Rischiatutto, essendo il regista tra i giudici che fanno i provini e i quiz di cultura generale ai concorrenti di Fabio Fazio (da giovedì 29 settembre, titolo della trasmissione “Prova Pulsante”). Servirà anche un generatore di citazioni sorrentiniane dentro i film di Paolo Sorrentino: Lenny Belardo alias Papa Pio XII sogna Piazza San Marco allagata di notte, proprio una scena di “Youth” – la migliore, quel che è giusto è giusto, mentre il pratino in discesa con i fiorellini e le muse ispiratrici era da antologia del kitsch. Ultimo nella lista – non meno importante, per come si stanno mettendo le cose – servirebbe un generatore automatico di film sorrentiniani ispirati ai film di Nanni Moretti. Lo rende necessario l’annuncio del prossimo film dedicato a Silvio Berlusconi, dieci anni dopo “Il caimano” (tra “Habemus papam” e “The Young Pope” ne sono passati solo cinque, ma in mezzo ci sono state le dimissioni di un Pontefice). Anche il jepgambardelliano “non volevo essere invitato alle feste, volevo farle fallire” si può pensare come versione più adulta e sofisticata del morettiano “mi si nota di più se vengo e me ne sto in un angolo, oppure se non vengo del tutto?”. Tra i film che vorremmo rifatti è “Bianca”, suggeriamo il vero Maradona per giocare sul tappeto-campo di calcio nella cameretta, o il finto Maradona scritturato per “Youth” (Higuain si darà assente). Ora si esercita pure Fiorello, nella parodia del maestro. Annunciando e facendo circolare un video: “Sarò nel prossimo film di Sorrentino, ecco in esclusiva le prime scene”. *** Fonte: MAURIZIO CRIPPA, Il Foglio 14/9/2016 Testo Frammento I PRETI DI ROVO DI QUEL GENIO DI FELTRI E IL SINODO SU EBAY – Giusto qualche giorno fa su queste pagine si rendeva omaggio al talento di Vittorio Feltri nel fare i titoli dei suoi giornali. E siccome Feltri è un califfo dei titoli che interessano alla gente, ieri Libero se n’è uscito con questo, dritto al cuore del papato, come gridavano i contestatori d’antan: “Preti e uccelli di rovo – Inchiesta sulla vita agra dei sacerdoti”. Lo spunto è la storia di due preti, uno di Treviso che s’è n’è andato chissà dove, pare per una ragazza, e uno di Venezia, che s’è tagliato la barba da simil-pope ortodosso e ha annunciato dal pulpito (e da Facebook, che ha la stessa funzione canonica) che si prenderà una pausa dal sacerdozio. Pare sempre per una sottana, ma la chiesa è discreta su queste cose, pure in epoca di Vatileaks. E però Feltri, che è un califfo di buon senso, e in questo è molto più simpatico di quelli che devono sempre insegnare qualcosa al Papa, la prende terra-terra. Lui non è proprio un clericale, ma ha capito che la chiesa fa bene a non farli sposare, i preti: “Se un prete si sposa si espone al rischio di una moglie infedele, oggetto di pettegolezzi infamanti, o addirittura figli scapestrati, drogati e viziosi”. Geniale. Ma perché, uno che si sposa no? Comunque sia, sembra che l’ora di un bel Sinodo sul celibato sia proprio arrivata. Del resto c’è pure un burlone che ha messo la moglie all’asta su internet: “E’ usata, ma in buone condizioni. Sono sicuro che un’altra persona potrà farne miglior uso”. Magari un prete. Ma allora il Sinodo, tanto vale organizzarlo su eBay. CONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA, Il Foglio 14/9/2016 *** Fonte: Vins Gallico, il Fatto Quotidiano 7/9/2016 Testo Frammento IL DUELLO SORRENTINO-MORETTI, SORPASSO A DESTRA CON TANTO DI SBERLEFFO – A due fra i nostri più noti registri, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino, sta avvenendo qualcosa di strano sul concetto di originalità. È come se il secondo stesse ripercorrendo le vie tematiche del primo, rilanciando e scombinando l’idea matrice (e ottenendone maggiore visibilità e riscontri). Il recente annuncio dato alla Mostra del cinema di Venezia che Paolo Sorrentino, fresco di The Young Pope, l’anno prossimo inizierà a girare un film su Berlusconi e la sua cerchia s’inserisce in questa supposizione. Non bastava il papa, adesso anche si bissa anche Silvio. Se proprio volessimo tentare una bozza di filologia tematica si potrebbero trovare dei punti di contatto anche fra il primo episodio del trittico in Caro Diario e alcuni passaggi de La Grande Bellezza: la solitudine di Moretti in Vespa fra panorami assolati e desertici in una topografia estiva di una Roma periferica si trasforma in Sorrentino in una piazza Navona elegantissima e notturna per le passeggiate di Jep Gabardella. Anche se in quel caso chi prende spunto da chi? Moretti da Pasolini? Sorrentino da Fellini? Va riconosciuto che con Habemus Papam Moretti ha teorizzato, anzi profetizzato che un pontefice potesse lasciare il proprio incarico. La trovata anticipa la scelta rivoluzionaria ed estremamente politica di Ratzinger. Un colpo da maestro, dunque. La finzione che brucia sul tempo la realtà. Quelle cose che solo i grandi intellettuali… Probabilmente Habemus Papam aveva ulteriori ambizioni, non soltanto nella ricerca introspettiva del personaggio, ma anche rispetto ai possibili riconoscimenti che poi non sono arrivati. Ma nell’ambito di una sfida ideale, se uno anticipa la realtà, l’altro allora cosa può fare di più? Ci fa una serie, The Young Pope, dando il ruolo di sua santità a uno strafigo come Jude Law, che interpreta Pio XIII, un papa americano giovane e ambizioso. Indipendentemente dal valore delle dieci puntate di Sorrentino, è un sorpasso a destra con sberleffo. La sicumera di chi sa stare al passo con i tempi e ha la volontà di parlare un linguaggio cosmopolita rispetto a chi invece è quasi rimasto incastrato nei propri drammi personali, cittadini, nazionali, bene che vada. L’Oscar conquistato da La Grande Bellezza è la prova che una scelta semantica di Sorrentino fra il provincialismo romano e l’immaginazione che avvolge il caput mundi è di interesse molto più vasto. Certo, si potrebbe obiettare che non si tratti neppure di una sfida a distanza, che – nonostante la vicinanza delle rispettive abitazioni, 4-5 km che a Roma sono poca cosa – non ci sia un duello frontale, e che probabilmente Moretti e Sorrentino ormai viaggino su due territori differenti. Così come in fondo vengono da due mondi differenti: uno, il romano nato sulle montagne, l’altro il napoletano orfano da ragazzo. E ancora di più si potrebbe obiettare dunque che il riferimento dell’annunciato film su Berlusconi per Sorrentino non sarà Il Caimano di Moretti. Forse il regista napoletano si confronterà con se stesso. Come aveva raccontato la storia di Giulio Andreotti ne Il divo, scompigliando le scelte stilistiche del cinema italiano, insistendo sull’aspetto caricaturale, macchiettistico di una generazione di politici Dc, così in Loro (o “L’oro”), il film dedicato a Berlusconi, Sorrentino affronterà la mutazione antropologica provocata da vent’anni di berlusconismo. La vera sfida sarà parlare di nuovo a un pubblico globale e non solo quello del nostro Paese, che in fondo ha assistito allo spettacolo-farsa di Berlusconi giorno dopo giorno. E questa volta le riprese non saranno prodotte da Berlusconi, ovvero da Medusa, dove hanno appreso con stupore e dalla stampa la notizia di un film sul loro capo. Ma non ci saranno grossi problemi di finanziamenti per Sorrentino, tanto alla fine si scoprirà che lui è un autarchico. Vins Gallico, il Fatto Quotidiano 7/9/2016 *** Fonte: Massimiliano Panarari, La Stampa 4/9/2016 Testo Frammento LA SORRENTINOLOGIA SPIEGATA AI PROFANI – Nel giorno di The Young Pope, come da previsioni, sono scese in campo le diverse correnti della Sorrentinologia. Il Pontefice americano è solo l’ultima allegoria che il regista ha gettato nell’agone delle mille interpretazioni possibili, mai «autorizzate» in via ufficiale. Metafore, allusioni e simboli che rendono indispensabile il lavoro (e il lavorìo) di una disciplina alimentata dai critici, da intellettuali e opinion-maker, dai sorrentinologi loro malgrado e dai sorrentinologi anti-sorrentiniani. La necessità di una sorrentinologia deriva innanzitutto dal suo stile ellittico (a volte, fin sornione): si tratta, dunque, di un’ermeneutica e non di una scienza esatta, chiamata a decodificare e squarciare il velo di Maya delle atmosfere oniriche e crepuscolari. C’è la corrente del realismo magico (molto in voga quando la location-soggetto delle pellicole era Napoli), la fazione dell’esegesi in chiave politica (Il divo e La grande bellezza), quella delle «operette morali» (L’amico di famiglia, La partita lenta, e ancora La grande bellezza), la scuola dell’individualismo intimista (L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore), quella calcistica (il calcio supermetafora di ogni cosa). E c’è, da This Must Be the Place a Youth, l’ala musicologica: e su questa, e la centralità della musica per la sua narrazione, c’è il timbro di certificazione di Sorrentino medesimo. Massimiliano Panarari, La Stampa 4/9/2016 *** Fonte: Emilliano Morreale e Arianna Finos, la Repubblica 4/9/2016 Testo Frammento SUL GIOVANE PAPA DI SORRENTINO CHE FUMA, BEVE COCA-COLA ALLA CILIEGIA E NON CREDE IN DIO – [2 articoli] – Eugenio Morreale per la Repubblica Si rimane spiazzati davanti al papa giovane della miniserie di Paolo Sorrentino. In anni di pontificato sociale e di ritorno all’umiltà, il film propone una figura inclassificabile, che non è nemmeno quella ratzingeriana o wojtiliana, ma una fantasia del tutto personale, cui è difficile attribuire un referente anche indiretto nella storia di oggi. Il giovane cardinale americano Lenny Belardo (Jude Law) è stato appena eletto Papa, ma nessuno lo conosce davvero, e il suo arrivo prende tutti di sorpresa. Autoritario, imprevedibile, altero, maltratta ogni sottoposto e governa da subito con pugno di ferro. Non sembra avere punti deboli nel presente e nel passato, e si serve di una diabolica finezza psicologica e del proprio carisma per ridurre tutto al proprio disegno. Anche il suo uso dei media è sottile: via il merchandising e la paccottiglia, ritorno a un’essenzialità quasi iconoclasta. Perfino la sua immagine dovrà essere nascosta, e la prima omelia la farà in silhouette, sagoma nera invisibile ai fedeli. Comunicare attraverso la lontananza, allontanare la chiesa dai fedeli e puntare sulla soggezione. L’inizio del pilot sembra una sorta di teaser del cinema di Sorrentino: sogni, visioni, carrelli avanti in soggettiva con gli astanti che guardano in macchina. Poi ci si trova davanti a qualcosa di piuttosto diverso, una commedia del potere in cui ha spazio soprattutto il talento di sceneggiatore e dialoghista dell’autore. Le batttute sentenziose che appesantivano Youth qui sono invece precise e leggere, facendo progredire per piccoli tocchi la descrizione dei personaggi. Su tutti la suora che aveva cresciuto il giovane Lenny in seminario (Diane Keaton) e soprattutto il cardinal Voiello (Silvio Orlando): un rappresentante del vecchio potere, una specie di versione porporata del Divo Giulio, che dietro il cinismo crede però ancora in Dio o almeno nella Chiesa (infatti chiede perdono per quello che sta per fare a maggior gloria di essa), mentre il nuovo Papa è oltre tutto questo. Sorrentino è un regista ateo, come lo era il Moretti di Habemus Papam (cui questo lavoro sembra a tratti debitore, compresa una partita di calcio tra suore al ralenti che richiama la pallavolo tra preti). Certo lo attrae la superficie del glamour vaticano, le porpore, i cappelli, le stanze. Ma soprattutto, come è in molta serialità moderna (dai Soprano a Game of Thrones) il tema vero è il potere e il suo mantenimento. Ma se manca l’elemento del sacro, sembra lontano anche il fascino degli arcana imperii, i sotterranei del Vaticano. Siamo lontani anni luce da Dan Brown: non sembra esserci nulla di sinistro in questi giochi di potere, solo una stanchezza diffusa e cinica. Queste le prime impressioni, suscitate da un piccolo assaggio di The Young Pope (a Venezia si sono viste le prime 2 puntate su 10 totali). Lasciati in asso da un discorso-shock del pontefice, viene la curiosità di seguire il resto. Molte piste vengono aperte. L’enigma al momento, non solo per gli altri personaggi ma anche per lo spettatore, è proprio la figura centrale, questo Papa reazionario e postmoderno che è in fondo anche un regista, che impone la propria visione con la forza e non col compromesso. Chi è davvero? Qual è il suo scopo? E poi: rappresenta qualcos’altro? L’America, un nuovo potere che scaccia il vecchio? Un fondamentalismo che supera la visione cattolica del potere e della morale? Davvero non crede in Dio, come cinicamente proclama? O invece è paradossalmente un santo, come qualcuno insinua a un certo punto? *** Arianna Finos per la Repubblica Un papa che fuma, adotta un canguro, indossa infradito bianche e beve Coca cola alla ciliegia. Piccole eccentricità di un giovane pontefice, Jude Law, a cui si affiancano prese di posizione forti sulle più grandi questioni della Chiesa. Alla Mostra si sono visti due dei dieci episodi di The Young Pope. E questo assaggio di film lascia grande ambiguità sulla natura conservativa o innovatrice del papa incarnato da Jude Law. Interrogato sulle possibili reazioni della Santa Sede, Sorrentino replica: «Cosa penseranno in Vaticano? Problemi loro...chi avrà la pazienza di arrivare fino in fondo capirà che non si tratta di sterile provocazione né una forma di pregiudizio o intolleranza nei confronti della Chiesa, ma il tentativo onesto e curioso di indagare le contraddizioni, le difficoltà e il fascino del clero. Cardinali, sacerdoti, suore e un prete diverso da tutti gli altri che è il papa». Un papa, il suo Pio XIII, che al contrario di papa Francesco sceglie di avvolgere la sua immagine nel mistero: «Il nostro pontefice è diametralmente diverso da quello attuale, ma questo non significa che non possa essercene uno anche in un futuro prossimo. È illusorio pensare che la Chiesa abbia imboccato un percorso verso la liberalità, anzi è verosimile che dopo questo Papa ne venga uno di segno contrario». Nel ricco cast ci sono Diane Keaton, Javier Camara, Silvio Orlando, cui spetta il ruolo dell’antagonista. «Ringrazio la mezza dozzina di dialogue coach che ho sterminato in questa esperienza e chi mi ha accompagnato in questa avventura da cui sono uscito vivo », scherza Orlando. Sette minuti di applausi alla proiezione per il pubblico, The Young Pope ha convinto, con poche eccezioni, la stampa italiana e internazionale, a partire da Variety e The Hollywood Reporter. Gli americani non possono resistere all’accostamento con altre serie come House of cards e Mad Men. Per gli italiani si tratta di puro immaginario sorrentiniano, compreso quell’umorismo che il regista sfodera a proposito di Higuain, attaccante passato dal Napoli alla Juve: «La chiesa si occupa con una certa frequenza di fede e tradimento, mantenere Higuain con la maglia del Napoli aiuta a ricordare questi due concetti». Emilliano Morreale e Arianna Finos, la Repubblica 4/9/2016 *** Fonte: Paolo Mereghetti, Corriere della Sera 26/6/2016 Negli ultimi tempi ha lavorato solo a «The Young Pope»… «Quasi due anni e sono un po’ stanco. Andrò in vacanza per tre mesi, come si faceva da bambini. E aspetto che ricominci la scuola a settembre». Saranno dieci episodi che si vedranno in autunno su Sky. Che rapporto ha con la televisione? «Non sono uno spettatore bulimico di serie. Bertolucci mi ha suggerito di vedere “True Detective”, e io ho obbedito. È un progetto favoloso, che stravolge il genere. Poi ho visto le due meravigliose serie di “Fargo”. La buona televisione offre questa folgorante opportunità di prolungare il rapporto con la forza delle immagini cinematografiche e, allo stesso tempo, utilizzare un’ampiezza che è propria del romanzo e che il cinema spesso è costretto a sacrificare. Però, in televisione, la migliore sceneggiatura possibile rimane quella di una partita di calcio. Seguo molto anche le partite delle serie inferiori o dei dilettanti. Sono commoventi tutti quegli errori, ma come diceva il grande Carmelo Bene: “Sbagliando s’insegna”». *** Fonte: Paolo Rodari, la Repubblica 16/2/2016 Testo Frammento «PIÙ CHE AMICI E MENO CHE AMANTI». LA BBC SVELA IL CARTEGGIO TRA WOJTYLA E ANNA-TERESA TYMIENIECKA, UNA FILOSOFA SPOSATA – «Mia cara Teresa, ho ricevuto tutte e tre le lettere. Scrivi di sentirti combattuta, ma non posso trovare risposta a queste parole». E ancora: «Già l’anno scorso cercavo una risposta alle parole “ti appartengo”. E, finalmente, prima di lasciare la Polonia, ho trovato la via, uno scapolare. La dimensione in cui ti accetto e ti sento ovunque, in ogni genere di situazione, quando sei vicina e quando sei lontana». Non sono che brevi stralci, parole sparse di una corrispondenza intensa fra un uomo e una donna del secolo scorso. Non due persone come tante, bensì Karol Wojtyla e l’accademica americana di origine polacca Anna-Teresa Tymieniecka, sposata con Hendrik S. Houthakker, professore di economia della Stanford University, e oggi scomparsa. Alle parole «ti appartengo», scritte dalla donna all’amico allora cardinale di Cracovia, Wojtyla risponde donandole un piccolo oggetto di devozione alla Madonna del Carmelo, una parte di sé in segno di un’amicizia speciale battezzata dallo stesso futuro Papa nel 1976 come «un dono di Dio». La Bbc, che pubblica il carteggio (parte di un archivio venduto alla Libreria nazionale polacca dalla Tymieniecka nel 2008) all’interno del documentario “The secret letters of Pope John Paul II”, parla di «amicizia intima». Ma precisa da subito che nonostante ciò – «Tu parli di essere separati, ma io non so trovare risposta a queste parole», scrisse Wojtyla alla donna – non vi è alcuna «traccia che il Papa abbia rotto il suo voto di castità». Tymieniecka, ipotizza l’emittente, avrebbe mostrato i suoi «intensi sentimenti» per Wojtyla che invece avrebbe cercato di dare una direzione più amichevole al rapporto. Una nota confermata anche da un fatto: l’amicizia fra i due era nota in Vaticano tanto che arrivò – senza creare problemi – anche sul tavolo della Congregazione per le cause dei santi che ha studiato il processo di canonizzazione del Papa polacco. Mentre della cosa, tempo prima, aveva già dato notizia il bestseller “Sua Santità” di Carl Bernstein e Marco Politi. L’amicizia fra i due nacque nel 1973, quando la filosofa contattò il futuro Papa, che allora era arcivescovo di Cracovia e cardinale, per mostrargli il suo ultimo libro. Tymieniecka, che viveva negli Stati Uniti, arrivò poi in Polonia per presentare la sua opera. Poco dopo Wojtyla e la filosofa, entrambi cinquantenni, cominciarono a corrispondere. Lettere prima formali e poi sempre più personali. I due lavorarono anche insieme su un libro di Wojtyla, mentre alcune foto li ritraggono passeggiare in montagna, sugli sci e anche in campeggio con un gruppo di altre persone. Nel 1974 lui le scrisse che aveva riletto quattro delle lettere che lei gli aveva inviato in un mese perché erano così «significative e profondamente personali». Nel 1976, Tymieniecka ospitò con la sua famiglia Wojtyla quando il cardinale andò negli Stati Uniti per una conferenza. Greg Burke, vice direttore della sala stampa vaticana, spiega che «non c’è da meravigliarsi che Giovanni Paolo II abbia avuto amicizie strette con diverse persone, sia uomini che donne. Nessuno quindi si può dire sconvolto da questa notizia». Così anche George Weigel, il più importante biografo di Giovanni Paolo II, dice a Repubblica che «i due erano soltanto amici», e che «l’espressione “ti appartengo” non è altro che il segno di una stretta amicizia». In merito interviene anche il cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario di Wojtyla: «Chi ha vissuto accanto a Giovanni Paolo II sa bene che non c’è spazio per nessuna dietrologia maliziosa». Carl Bernstein intervistò ripetutamente la donna, che negò qualsiasi coinvolgimento sentimentale con il Papa e descrisse il loro rapporto di semplice «reciproco affetto». «Direi che sono stati più che amici ma meno che amanti», chiosa invece Edward Stourton, il giornalista della Bbc autore del documentario. Paolo Rodari, la Repubblica 16/2/2016 *** Fonte: Valerio Cappelli, Corriere della Sera 17/2/2016 Testo Frammento COM’È FARE IL PAPA. INTERVISTA A JUDE LAW – «Che cosa farò ora? Sono piacevolmente disoccupato. Prima l’inattività mi spaventava, un tempo non avrei usato queste parole. Ma ho appena finito The Young Pope, il film televisivo di Paolo Sorrentino. Sono sette o otto puntate, abbiamo lavorato duro. E ora sono qui in concorso alla Berlinale», dice Jude Law. Il film si intitola Genius. Michael Grandage è un celebre regista teatrale ed è al suo debutto nel cinema. La sceneggiatura è di John Logan (Il Gladiatore e Spectre, l’ultimo 007). È la storia di un’amicizia nella New York anni Trenta: quella tra lo scrittore Thomas Wolfe (Law) e l’editor Max Perkins (Colin Firth), colui che scoprì Hemingway e Scott Fitzgerald. «Sono due grandi uomini che meritano di essere conosciuti». Cominciamo dal «suo» Papa: che tipo è? «Un Papa immaginario, di New York, piuttosto conservatore, una figura complessa. Lo vedremo anche nella sua vita quotidiana e nella percezione che gli altri hanno di lui. Ho visto Habemus Papam di Nanni Moretti e l’ho trovato amabile, soprattutto quando mostra quello che può succedere durante un conclave. Papa Francesco? Sta facendo un lavoro fantastico». Dal Papa inventato a Wolfe, uno scrittore dimenticato. «Anch’io non l’avevo mai sentito nominare prima, la gente tende a confonderlo con Tom Wolfe de Il falò delle vanità. Mi sono preparato leggendo i suoi libri, Angelo, guarda il passato o Il fiume e il tempo. Eppure alla sua epoca era famoso come Hemingway e Scott Fitzgerald (appaiono nei camei di Dominic West e Guy Pearce, ndr). Wolfe era esuberante, gesticolava come un italiano, viveva avventure e risse da bar, egoista come lo sono tanti artisti. Non sono così negativo: Picasso era egoista, ma ci ha resi tutti più ricchi». La moglie, interpretata da Nicole Kidman, Wolfe non la considerava proprio. «Rifiuta la famiglia, la distrugge. Liti, riappacificazioni… Sua moglie, Aline Bernstein, era un’apprezzata costumista e scenografa e la sua forza e energia vengono magnificamente restituite da Nicole Kidman, con cui non lavoravo da Ritorno a Cold Mountain. Nella realtà Aline aveva 20 anni più del marito, cosa che non è tra me e Nicole. Il regista però ha mantenuto altre verità, il vezzo di Perkins nel non togliersi mai il cappello, nemmeno a tavola, era vero». Max Perkins ha inventato la figura moderna dell’editor... «Sì, quello che interviene nella costruzione e nella stesura di un libro. È interessante raccontare un uomo che libera la creatività altrui, cercando di restare invisibile. Per lui, Wolfe era il figlio maschio che non aveva avuto. Perkins era integro, coraggioso. Ha creduto in Wolfe quando nessuno ci credeva. Eppure certe volte il senso di gratitudine di Thomas vacillò. Con Colin Firth, che non avevo mai incontrato prima su un set, abbiamo cercato un ritmo delle parole, un suono tra noi». E in lei, che ha cominciato giovanissimo, non è mai vacillata la voglia di recitare? «A sei anni avevo le idee chiare. Un giorno mi piacerebbe insegnare e fare il regista. Ma, come dicevo, sono meno ansioso. Mi piace improvvisare piccoli show per i miei figli, andare in vacanza in Sudamerica. Ci sono periodi che non voglio vedere nessuno. Non ho un rapporto compulsivo con la tecnologia. Niente Twitter o Facebook. Controllo le mail sul computer la notte prima di andare a dormire. Sono contento di prendere il mio tempo e di leggermi un libro. Spero che l’effetto del nostro film sarà quello di rivalutare l’opera di Thomas Wolfe». *** Fonte: Silvia Bizio, la Repubblica 17/11/2015 Testo Frammento DIANE KEATON, CHE FA LA SUORA PER SORRENTINO, GODE ALL’IDEA CHE I CANI POSSANO ANDARE IN PARADISO – Il 5 gennaio spegnerà settanta candeline ma lo spirito è sempre lo stesso. Vivace e sorridente dentro un cappottone super-firmato («un’occasione trovata in un outlet»), gambe snelle e scoperte, maglia oversize, tanta energia da tener testa ai due figli adolescenti con cui se ne va spesso in giro per la California. È sempre la Diane Keaton di Io e Annie, il film del 1977 che proprio tre giorni fa la Writers Guild of America, il sindacato degli scrittori cinematografici, ha decretato essere il più divertente della storia del cinema, piazzandolo al primo posto in una lista di 101 titoli. La incontriamo a Los Angeles dove presenta Love the Coopers, una commedia natalizia su una famiglia disfunzionale in cui la Keaton è la matriarca, suo marito è John Goodman, figli, nipoti, cani e tutto il caos tipico delle feste. L’attrice è in partenza per tornare a Roma, dove ha già trascorso quattro mesi sul set di The young pope – Il giovane Papa, la serie tv di Hbo diretta dal premio Oscar Paolo Sorrentino. Protagonista Jude Law, prelato americano eletto Papa, primo statunitense nella storia. Per l’attrice, un’esperienza importante: a Hollywood Sorrentino è ormai considerato un maestro del cinema, in questi giorni si trova proprio a Los Angeles per la prima americana del suo Youth – La giovinezza intorno al quale circolano voci di candidature a premi importanti – Oscar compresi – per i protagonisti Michael Caine e Jane Fonda. Diane, ci racconti com’è stare sul set con Sorrentino. «Nel film interpreto una suora, sorella Mary. Paolo mi ha insegnato tanto pur essendo così più giovane di me. Mi dice sempre: “È troppo Diane, non abbiamo bisogno di quello Diane, fai meno Diane”. È riuscito a contenermi, ho imparato a camminare con le mani non dico giunte ma quanto meno riposate invece di gesticolare, come tendo a fare e come mi chiedeva di fare Woody Allen. Mi fa ridere l’idea che sia proprio un italiano a dirmi di contenere la mia gestualità». Che rapporto c’è fra suor Mary e il giovane papa? «Per lui la religiosa è una specie di figura materna, che si porta dietro anche dopo esser diventato papa. Sorrentino ha una visione magica del cinema, è un genio sia dal punto di vista visuale che da quello della narrazione. Io nel film cammino sempre, sono sempre in movimento verso un posto. Jude Law ha un ruolo bellissimo, non lo conoscevo ma ora lo apprezzo molto, una bella persona e un professionista». Conosceva i film di Sorrentino? «Per niente. Quando mi hanno detto che mi voleva in questa serie ho risposto “Paolo chi?”. Poi però ho visto La grande bellezza e ho capito che regista notevole sia. Dopo aver letto il copione di Il giovane Papa ho pensato: perché io? Non mi vedevo in un ruolo così “contenuto”. E invece...». In estate ha già girato a Roma, ora è di nuovo in partenza, riprenderanno le riprese. Che impressione le ha fatto la città? «Un incanto. Andavo su e giù per le strade del centro, mi piaceva osservare, scoprire ogni cosa. Sa dove mi sono divertita un sacco? Ai mercatini. Mi piacciono tanto, come quello che c’è d’estate sulle rive del Tevere. Secondo me non ci sono abbastanza mercatini a Roma, dovrebbero averne ad ogni angolo». Dal giovane Papa al Papa vero: che ne pensa di Francesco? «Mi piace. Mi dà fiducia. Dice che la Chiesa deve essere povera per definizione, immagino che nei corridoi staranno tremando in molti, penso all’affanno delle alte gerarchie... Mi piacciono le cose che dice, come l’idea che tutti i cani vanno in paradiso, che sia vero o no non ha importanza, quel che conta è che ti dà la possibilità di pensarlo. Conoscete tutti il mio amore per i cani, è bello pensare che un Papa li consideri degni come gli esseri umani». Il sindacato degli sceneggiatori americani ha eletto “Io e Annie” commedia più divertente della storia del cinema. Lei e Allen avete lavorato tanto insieme, com’è il vostro rapporto? «Woody sta per compiere 80 anni, ha così tanta paura della morte che vivrà almeno fino a 120. È così seccante pensare che morirò prima io, e lui verrà al mio funerale... Scherzi a parte, continuerà a fare film anche a cent’anni e oltre. Lo adoro. E so che ha accanto la persona giusta, Soon Yi, ed è felice. Buon per lui, se lo merita. Anche se odia la felicità. Almeno, stando a quel che racconta...». Silvia Bizio, la Repubblica 17/11/2015 *** Fonte: Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 4/11/2015 Testo Frammento LA STORIA DELLA CORRUZIONE VATICANA È MOLTO VECCHIA. NEGLI ANNI SETTANTA SI SCRIVEVA AL BANCAROTTIERE MICHELE SINDONA INDIRIZZANDO LA POSTA DIRETTAMENTE A PAOLO VI – ROMA Un carteggio riservato, risalente al 1970, su affari tra il Vaticano, il faccendiere piduista Umberto Ortolani e il banchiere Michele Sindona, inviato il 26 aprile dell’anno scorso alla Prefettura degli Affari Economici «per minacciare Papa Francesco» e «procurare grave imbarazzo alla Santa Sede». A Sindona, a testimonianza di quanto il banchiere siciliano fosse identificato all’epoca con la Curia romana, arrivavano direttamente Oltretevere lettere così indirizzate: «Mr. Michele Sindona c/o Pope Paul VI, The Vatican, Roma (Italy)». Sfogliando le pagine di «Via crucis», il libro di Gianluigi Nuzzi per Chiarelettere che verrà presentato questa mattina alle 11 alla Residenza di Ripetta, a Roma, si percepisce nettissimo il volo oscuro dei «corvi» sopra il Colonnato del Bernini e lo scontro di potere in atto in Vaticano, la guerra «ormai dichiarata» tra vecchio e nuovo secondo le stesse parole, riportate in «Via crucis», del maltese Joseph Zahra, braccio destro del cardinale australiano George Pell, il capo della Segreteria per l’Economia vaticana. Ma c’è anche il racconto di una clamorosa effrazione, degna del Watergate, avvenuta il 30 marzo 2014 nel Palazzo delle Congregazioni per rubare fascicoli e documenti dall’archivio segreto della Cosea, la Commissione pontificia di studio sulle strutture economiche e amministrative del Vaticano. Carte delicatissime e un messaggio chiaro rivolto «a chi porta avanti il cambiamento». Il furto, di cui non si era mai saputo nulla fino ad ora, sarebbe stato un avvertimento. Come dire: «Sappiamo dove custodite il vostro archivio, possiamo arrivarci quando e come vogliamo. Sappiamo e possiamo tutto». Anche l’altro libro, in uscita domani, quello scritto per Feltrinelli da Emiliano Fittipaldi, intitolato «Avarizia», che tanto tiene in ansia i Sacri Palazzi, offre un quadro di spese pazze, sprechi e abusi vari che con la Chiesa povera di Francesco proprio niente hanno in comune. A gennaio di quest’anno – scrive Fittipaldi – qualcuno ha inviato al Papa tutte le voci di spesa della neonata Segreteria per l’Economia, che Bergoglio aveva affidato qualche mese prima a George Pell, il cardinale chiamato dall’Australia per raddrizzare usi e abitudini nefaste della Curia.E il rendiconto pubblicato è da brividi: centinaia di migliaia di euro per voli in business class, vestiti su misura, mobili di pregio, uno stipendio – quello di un consulente strettissimo di Pell, Danny Casey – da 15mila euro netti al mese. Perfino un sottolavello da cucina pagato la bellezza di 4.600 euro. In appena sei mesi di attività, il nuovo dicastero è costato alle finanze vaticane oltre mezzo milione di euro. E ancora: le casse di fondazioni e ospedali usate come bancomat dai prelati. E il Vaticano come «duty free», che continua a vendere benzina e sigarette a prezzi stracciati ai possessori di ben 41 mila tessere d’acquisto regalate in giro, mentre gli aventi diritto dovrebbero essere appena 5 mila. Eppure i saggi del Cosea lo avevano scritto nero su bianco a Bergoglio: «Alcune delle attività commerciali non sono in linea con l’immagine pubblica della Santa Sede e ne danneggiano la missione». Alcuni esempi? «Tabacchi, profumeria, abbigliamento, prodotti elettronici, benzina». Ecco, appunto. Nel libro «Avarizia» c’è tutto il rapporto degli analisti di Ernst&Young: «Il carburante – scrivono – rappresenta la fonte di guadagno e di margini più importanti. Le pompe di benzina sono due, e il prezzo per i consumatori è del 20 per cento più basso rispetto a quello italiano». Così, su 27 milioni di euro di benzina venduti nel 2012 in Vaticano «il 18 per cento è stato venduto a clienti sconosciuti». In tutto, hanno fatto la fila alla pompa 27 mila persone, «molte più di quelle autorizzate». L’ultima stranezza? Quella dei quattro fondi di carità gestiti dallo Ior. Incrociando le tabelle, Fittipaldi ha scoperto che nel 2013 e nel 2014 il fondo a disposizione della Commissione cardinalizia guidata dal cardinal Santos Abril y Castelló nonostante un saldo in attivo di 425 mila euro non ha stanziato un bel nulla per i bisognosi. Anche il fondo nato per finanziare le «Sante Messe», con un saldo arrivato a 2,7 milioni di euro, ha preferito tenersi i denari in tasca: nel 2014 ai sacerdoti di tutto il mondo è arrivata nel complesso la minuscola cifra di 35 mila euro. Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 4/11/2015 *** Fonte: Arianna Finos, la Repubblica 18/10/2015 Testo Frammento LA FATICA DI JUDE LAW PER INDOSSARE IL COSTUME DA PAPA – Il primo divo della Festa di Roma è il giovane papa Jude Law. L’attore inglese, 42 anni, salta il tappeto rosso e arriva sul palco dell’Auditorium in giubbino di pelle nera, tra urla delle fan emozionate che sono riuscite a procurarsi il biglietto. La curiosità maggiore è per la serie The Young Pope di Paolo Sorrentino, che Law sta girando a Roma: «Ho sempre seguito e ammirato i film di Sorrentino. E dopo La grande bellezza ho detto a chiunque incontrassi che avrei voluto lavorare con lui. Meno di un mese dopo mi è arrivata la sceneggiatura del suo nuovo progetto e io ho colto subito l’occasione straordinaria. Interpreto un papa americano nell’era contemporanea. Sono qui dallo scorso agosto, giriamo al centro della capitale questo film di otto ore per la Hbo. Tra i privilegi di fare il mio mestiere c’è la possibilità di vivere qualche mese in una nuova città. Imparare a conoscerla e ad amarla». Interrogato dal direttore della festa Antonio Monda, racconta: «Posso solo dire che sto molto in piedi. Ho un costume di scena scomodissimo che non si deve sgualcire. Sono costretto a sedermi su uno scomodo trespolo e con complicate manovre. Così passo quattordici ore praticamente senza sedermi mai. Il costume papale ha un aspetto favoloso, ma indossarlo è piuttosto faticoso». Nell’“Incontro ravvicinato” di oltre un’ora si ripercorre la filmografia principale di Law. Si parte dal gigolò meccanico di A.I. di Spieberg: «Ricordo che Steven mi mandò una sceneggiatura tratta da una lavoro di Stanley Kubrick che avrebbe dovuto produrre il film ma morì poco prima delle riprese. Per noi questo rese il progetto ancora più importante. Di Spielberg ammiro la capacità di non farti sentire un ingranaggio in una macchina ma parte di uno scambio continuo di idee. Ricordo che fu un’idea mia che il robot danzasse, presi anche lezioni». Riguardando scene dei film girati con Anthony Minghella, Ritorno a Cold Mountain e Il talento di Mr. Ripley – per entrambi candidato all’Oscar – sospira «è la prima volta che li vedo da quando sono usciti. Certo oggi ci sono tante cose che farei diversamente. Soprattutto vedo che ero molto più giovane». Arrossisce davanti alla scena di Wilde in cui canta, accompagnato al pianoforte: «Non so cantare». Ricorda con gioia il duetto con Sir Michael Caine in Sleuth – Gli insospettabili: «Riuscii a coinvolgere Harold Pinter e Mister Caine: avevamo pochi soldi ma la casa in cui eravamo scoppiava di talento. Lavorare con persone così alza il gioco, ti spinge in alto». Se deve spiegare la differenza tra cinema americano e inglese dice che «alla fine è una questione di soldi. Alcuni di questi film erano prodotti dagli studios, altri avevano mezzi limitati. Ma quando i mezzi sono pochi sai che le cose le fai per amore e trovi l’energia anche quando hai poco tempo per girare. I film non sono degli studios né degli attori, appartengono al regista». In chiusura consegna il suo frammento di cinema preferito, la scena con due bimbi in barca nella notte in La morte corre sul fiume, l’unico film da regista girato dal divo Charles Laughton: «Mia madre me lo fece vedere quando avevo sedici anni. Ero nel pieno del mio amore per il cinema e questo film mi ha fatto capire tutto quel che si poteva fare con questo strumento. Io vengo dal teatro e la capacità che ti regala di portarti altrove con l’immaginazione. È triste e ci fa riflettere sul destino del cinema il fatto che gli studios non abbiano capito il film e non gli abbiano consentito di fare mai più il regista. Un grande peccato». Arianna Finos, la Repubblica 18/10/2015 *** Fonte: Laura Larcan, Il Messaggero 5/8/2015 Testo Frammento SUL SET DI SORRENTINO I PRIMI PASSI DA PAPA PER JUDE LAW. COSÌ L’ATTORE AMERICANO SI È COMPLETAMETE CALATO NEI PANNI DI LENNY BELARDO, IL GIOVANE CONTROVERSO TORMENTATO PONTEFICE ITALO-AMERICANO PIO XIII NATO DALLA FANTASIA, MISTA A RIFLESSIONE PERSONALE E ATTUALITÀ, DEL PREMIO OSCAR PER LA GRANDE BELLEZZA – Jude Law avanza nel suo abito talare. Spicca nel bianco candido del costume di scena. Ha la fascia in vita color avorio, e l’inconfondibile papalina sul capo. Incede con passo lento, sotto l’occhio esigente del regista Paolo Sorrentino. Fa caldo in questa mattinata di agosto romano. L’attore inglese si ferma all’ombra dei pini secolari. A poco servono le ampie fronde del bosco “segreto” di Villa Medici, quello spicchio degli oltre sei ettari di parco dell’Accademia di Francia scelto dal pluripremiato regista napoletano per il primo ciak del suo The Young Pope, produzione Sky in collaborazione con Hbo e Canal+, le cui attesissime riprese sono iniziate ieri. Silvio Orlando segue Jude Law di pochi passi. È quasi irriconoscibile nelle vesti del Cardinal Voiello, il Segretario di Stato. Stempiato, i capelli leggermente imbiancati, avanza con piede malfermo. Paolo Sorrentino sembra guidarli con calma serafica. Osserva, parla con gli attori, dà indicazioni ai tecnici. IL “FINTO” VATICANO Jude Law si è ormai calato (è il caso di dirlo) nei panni di Lenny Belardo, il giovane controverso tormentato papa italo-americano Pio XIII (del tutto immaginario) nato dalla fantasia, mista a riflessione personale e attualità, del premio Oscar per La grande bellezza. Si prende una pausa, Jude Law, dal set allestito fin dalle ore 8 del mattino nel cuore della Villa. Lontano da quella scenografia monumentale, tra statue, pilastri e comparse en travesti delle guardie svizzere che serve ad evocare l’ingresso del Vaticano. Jude Law raggiunge il cosiddetto “campo base”, che spicca in un quadrante del parco tra palme, lecci, pini e alberi da frutto, dove il canto delle cicale è quasi assordante. Un’oasi dal caos della città. Quasi spirituale, proprio come la voleva Sorrentino. Il set è blindatissimo. Protetto dalle alte mura secolari di Villa Medici e dalla discrezione scrupolosa del personale dell’Istituzione: «È un piacere accogliere questa produzione», dice la segretaria generale dell’Accademia Claudia Ferrazzi, aggiungendo che le riprese coinvolgono una parte riservata dei giardini ma senza che la Villa resti chiusa al pubblico. Nel frattempo, il set comincia a popolarsi. Molti sono i divi arrivati. Si vede Javier Camara, attore lanciato da Pedro Almodovar (Parla con lei) che interpreta il cardinal Gutierrez cerimoniere del Vaticano. Con l’abito di scena, sfilano l’italiano Tony Bertorelli che dà il volto al cardinal Caltanissetta e James Cromwell nel ruolo del cardinal Michael Spencer, mentore di Lenny. Elegante in completo nero si riconosce anche Guy Boyd che posa per il fotografo di scena. Si attendono (oggi il bis a Villa Medici) Scott Shepherd che diventa il cardinal Dussolier prelato sudamericano, e Cécile de France scelta per il ruolo di Sofia responsabile marketing del Vaticano. Fino a Ludivine Sagnier nei panni di Esther moglie di una guardia svizzera. Oltre alla grande Diane Keaton trasformata da Sorrentino nell’americana suor Mary. Alle 12,30, Jude Law lascia il set per raggiungere i camerini a piazza della Repubblica. Ritornerà sul set a via di Porta Pinciana nel pomeriggio. E non è mancato l’imprevisto sul set: un tecnico della troupe, alla guida di uno scooter, ha sbandato a velocità sostenuta, andando a sbattere violentemente contro un muro. A soccorrerlo, l’attore spagnolo Camara. *** Fonte: Silvia Bizio, la Repubblica 29/5/2015 Testo Frammento JUDE LAW SI TRASFORMA DIVENTA PAPA PER SORRENTINO: «SI TRATTA DI UN CARDINALE AMERICANO DELLA MIA ETÀ, CHE ARRIVA IN VATICANO CON OPINIONI MOLTO ORIGINALI ED ETERODOSSE E INIZIA A CAMBIARE LA STRUTTURA DELLA CHIESA. FUMA PERFINO SIGARETTE. UN PAPA MOLTO DIVERSO. NO, NON È PAPA FRANCESCO GIOVANE. È MOLTO PIÙ RADICALE E CONTROVERSO DI LUI» – A 42 anni, londinese purosangue, Jude Law (la mamma lo ha chiamato così in omaggio ai Beatles), è sulla breccia da quasi 20 anni, da quando recitò nel futuristico Gattaca (1996), per poi imporsi con Il talento di Mr. Ripley, A. I., Era mio padre, Ritorno a Cold Mountain, Closer... e innumerevoli altri film made in Hollywood. Appena uscito sugli schermi nel thriller Black sea, ad agosto comincerà le riprese della serie in otto episodi The young Pope di Paolo Sorrentino. Intanto gira un film su re Artù per la regia di Guy Ritchie. Ma per un giorno è a Las Vegas per promuovere Spy di Paul Fieg, commedia d’azione e spionaggio nelle sale italiane dal 15 luglio. Jude, dicono che le piacerebbe interpretare James Bond. È vero? «James Bond è una sorta di religione in Inghilterra, ovvio che mi piacerebbe recitarlo. Mi dica un attore inglese che non covi il sogno di essere il futuro 007...». Così comincia con Spy... «L’unica cosa che faccio bene è fingere di essere qualcun altro. I film d’azione mi sono sempre sembrati facili. Mi butto nelle scene d’azione come fosse un Luna Park. Non bisogna arrovellarsi molto sulle motivazioni psicologiche del personaggio. Che sollievo...». È più difficile far piangere o far ridere? «La commedia ben fatta è decisamente una forma di complicatissima arte drammatica. Per di più in questo film dovevo fare quello serio: l’oggetto della parodia e degli scherzi, dovevo far ridere mantenendo la faccia seria. Quella sì una vera sfida». Quest’anno la vedremo anche nel film Genius di Michael Grandage: ci può anticipare qualcosa? «È la storia del rapporto fra Thomas Wolfe e Max Perkins, il critico letterario che scoprì Hemingway e Fitzgerald, che nel film è Colin Firth. All’epoca Wolfe vendeva più di loro, era una figura importante nella vita di Perkins: avevano un rapporto tempestoso, fatto di alti e bassi. È un biopic su due giganti. Nel film recitano anche Nicole Kidman, nel ruolo dell’amante di Tom Wolfe, e Laura Linney, la moglie di Perkins. Insomma, tanto genio e tanta letteratura». E presto sarà il giovane papa nella serie tv diretta da Sorrentino. Cosa pensa di questo progetto? «Il lavoro di Paolo mi è sempre piaciuto, La grande bellezza in particolare, così ho cercato di fare qualcosa con lui. Ma immaginavo di essere in coda a una lunga lista di attori che altro non aspettano che esserne diretti... Sono stato fortunato: Paolo mi ha scritto che aveva un ruolo per me. Non so quanto si sappia già della storia, ma si tratta di un cardinale americano della mia età, che arriva in Vaticano con opinioni molto originali ed eterodosse e inizia a cambiare la struttura della Chiesa. Fuma perfino sigarette. Un papa molto diverso. No, non è Papa Francesco giovane. È molto più radicale e controverso di lui». Ma ora gira l’ennesima versione della storia di re Artù. Cosa c’è di diverso in questa? «Alla base del progetto c’è la frammentazione di tutte le leggende su Artù e Lancillotto, per arrivare a una versione più realistica. Io sono Vortigem Pendragon, zio di Artù. Re Artù è una leggenda e un mito internazionale, e io volevo fornire una versione estrema e provocatoria». Lei è anche un padre di famiglia: ha cinque figli. Cosa fa quando non lavora? «Lo sta dicendo lei: faccio il padre. Ho tre figli oramai adolescenti, e due piccoli. Quando sto a casa passo il tempo con loro, ma ho anche uno studio tutto mio dove mi piace rinchiudermi ogni tanto per dipingere. Cerco di imparare a suonare il piano, e mi piace andare a scalare le montagne e andare al cinema con i figli. Come tutti gli inglesi, adoro il calcio, il rugby e il cricket.. anche se preferirei non pensare alla nostra squadra di cricket, l’Inghilterra... siamo un disastro quest’anno!». Silvia Bizio, la Repubblica 29/5/2015 *** Fonte: Caterina Minnucci, il Fatto Quotidiano 10/3/2015 Testo Frammento CINECITTÀ, VIAGGIO TRA LE ASPIRANTI COMPARSE PER THE YOUNG POPE, LA PROSSIMA SERIE TV DI SORRENTINO – Via Tuscolana 1055, Cinecittà. Fellini la prima volta ci arrivò in tram, un leggendario tram di colore azzurro che collegava Roma agli studios attraverso nove chilometri di rotaie sgangherate che si snodavano tra la campagna e le rovine dell’acquedotto romano. Lo stesso “tram dei desideri” che presero tutti, da Monicelli alla Cardinale. Sabato mattina il custode sa già quello che ci aspetta dietro l’angolo: «Signorina se cerca il casting di Sorrentino la prima a destra. È il terzo giorno, vi conviene andare a prendere il numero se non volete farci notte». Sono le dieci in punto. Sul volantino è specificato e sottolineato: «non verranno prese in considerazione candidature prima delle ore dieci», ma abbiamo il sospetto che qualcuno sia in fila dall’alba. Il serpentone di umanità varia inizia dalla strada, continua all’interno – sotto il gazebo, dove una tizia anfibi militari e fascia nera in testa munita di altoparlante dirige il traffico dei partecipanti mentre distribuisce il numero – e scompare all’interno fino all’anticamera della sala provini. Tutte aspiranti comparse per la serie tv che andrà in onda su Sky – The Young Pope – diretta dal premio Oscar Paolo Sorrentino. Un progetto di 8 puntate da 50 minuti scritte dal regista, che si sperimenta per la prima volta con una serie per la televisione: il primo pontefice italo-americano della storia. La vicenda si svolge ai nostri giorni fra Città del Vaticano, Italia, Stati Uniti e Africa. Prodotta dalla Wildside, sarà una coproduzione con gli Stati Uniti. Ieri è arrivata la fumata bianca sul protagonista maschile, Jude Law. Il primo ciak è previsto per luglio. Comparse, figuranti, extras o generici che dir si voglia in Italia sono oltre 40 mila, di questi almeno 30 mila impiegati a Roma. E verrebbe da pensare che sono tutti qui in fila. Per ingannare l’attesa si fa amicizia, si prova a rubare qualche trucco del mestiere a quelli che appaiono immediatamente come veterani del settore. Vi siete mai chiesti chi fosse il ragazzo che ballava al fianco di Jep Gambardella durante il party de La Grande Bellezza? È Mirko, lunga barba incolta, capelli biondi sulle spalle e giacca di pelle. Intorno a lui un capannello di persone: «Quando abbiamo vinto l’Oscar non ce credevo, aho la mia scena stava su tutti i telegiornali». Quando chiediamo se fare la comparsa è il suo unico lavoro, ci secca: «Sono un attore professionista ma in questo periodo sono un po’ fermo e m’arraggio con le comparse». È la reincarnazione di Oscar Pettinari alias Carlo Verdone in Troppo Forte, comparsa a Cinecittà che millanta di aver avuto ruoli da protagonista: «La faccia regge, me pare che regge no?... Io perché so’ bono, ma se me girano potrei veramente citare Stallone per danni, lo rimando veramente a fà il gelataro a New York». Le mamme con prole al seguito possono saltare la fila (anche se non si cercano bambini per la serie), è così che si vede sfilare anche qualche carrozzina. Accampata lungo il vialetto, all’ombra di un gesso di Totò che sembra piazzato lì per sbaglio tra i vasi di Cleopatra, in fila c’è anche Marisa, 55 anni, da Tor Tre Teste: «Quando ho girato The Passion m’avrebbero dato 800 euro per allattare davanti alla camera. Ma io ‘ste cose non le faccio». Capelli corvini, rossetto rosso e rimmel colato, stretta nel suo pellicciotto leopardato si raccomanda: «Bella, la prossima volta portate qualche foto e lasciala ai capigruppo. Sei giovane, bisogna davve ‘na mano! Damme retta, io faccio ‘sto mestiere da trent’anni. Prima facevo la signora, adesso pagano due lire». Ma in fila ci sono studenti, operai, commercianti, pensionati, casalinghe, aspiranti attori e disoccupati (spesso le ultime due categorie coincidono), madri che accompagnano le figlie. E che come la Maddalena Cecconi (Anna Magnani) di Luchino Visconti in Bellissima, sognano il cinema per le proprie figliole. In fondo anche Alberto Sordi e Marcello Mastroianni hanno iniziato come comparse, chissà che qualcuno non le noti. C’è chi lo fa per passione, chi per fare esperienza e chi per sbarcare il lunario. La paga è in media di 70 euro a giornata più il cestino del pranzo. Fanno comodo, e tutti sperano di esser presi. Come Cristina, 22 anni, che ha trovato l’annuncio al bar dell’Università e si è incuriosita. Prima di andare via, dopo uno scatto in primo piano e un mezzo busto, richieste di taglia e disponibilità a tagliare i capelli, ci confida: «È stata una mattinata strana e intensa. Pensate se mi prendono». Caterina Minnucci, il Fatto Quotidiano 10/3/2015 *** Fonte: Arianna Finos, la Repubblica 6/9/2016 Testo Frammento PAOLO SORRENTINO GIRERÀ UN FILM SU BERLUSCONI E LA SUA CERCHIA – Ora i tempi sono maturi. Paolo Sorrentino sta preparando un film su Silvio Berlusconi. Variety lo annuncia e il regista lo conferma. C’è anche un titolo provvisorio, Loro (il gioco di parole è con “l’oro”). Che Sorrentino nutrisse grande attrazione per l’uomo che ha segnato il destino politico dell’Italia per oltre un ventennio, era noto. Già nel 2008 ai tempi del Divo, ritratto caustico su Giulio Andreotti, aveva dichiarato che Berlusconi era un soggetto molto interessante, ma che era troppo presto per un film: mancava la giusta distanza. Ma ora l’ex premier non è più al centro della scena politica. E, come già fatto per Andreotti, Sorrentino sceglie di raccontare Berlusconi insieme al suo “cerchio magico”: Previti e Dell’Utri al posto degli Sbardella e Pomicino? Secondo le indiscrezioni di Variety «sarà il racconto di un mondo, non uno sterile esercizio di critica». L’idea di un film su Berlusconi è continuata a ronzare in testa a Sorrentino. Ai tempi di This must be the place, nel 2011, diceva: «Le intercettazioni e i suoi protagonisti, a partire da Berlusconi, sono uno straordinario materiale da film. Ma non si può maneggiarlo mentre ancora offre spunti di cronaca. Il cinema fa un altro lavoro». E anche: «L’Italia di oggi è devastante per chi la vive, ma bacino inesauribile di stimoli per chi fa cinema. Altro che scappare da qui. È un paese che di tutto si può accusare tranne che manchi di vivacità e novità. Chi per mestiere racconta non può che trovarcisi come un topo nel formaggio. Altroché se mi va di raccontarla». Non stupisce quindi che il regista stia scrivendo la sceneggiatura: le riprese del film, girato in italiano, potrebbero partire nell’estate del 2017. A produrre sarà ancora Indigo, mentre Medusa fa sapere che non produrrà né distribuirà. La società di proprietà della famiglia Berlusconi precisa di non aver mai ricevuto il nuovo progetto e di averne appreso la notizia leggendo Variety. Nulla trapela anche riguardo il cast. The Guardian azzarda che la scelta più ovvia sarebbe quella di Toni Servillo, già mimetico divo andreottiano. Il film di Sorrentino è l’ultimo titolo di quello che rischia di diventare un genere cinematografico, quello berlusconiano. Il precedente più autorevole è firmato da Nanni Moretti. Di Il Caimano resta soprattutto il potente finale in cui Berlusconi, interpretato dallo stesso regista, esce dal palazzo di Giustizia in fiamme mentre una folla di sostenitori inveisce contro i magistrati. Ha il sapore della biografia non autorizzata Silvio forever, il film girato nel 2011 da Roberto Faenza e scritto da Gian Antonio Stella e Antonio Rizzo. S. B. Io lo conoscevo bene di Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella è del 2012. Giocano con la cornice di genere Ho ammazzato Berlusconi, in cui un tizio investe un uomo durante un temporale per scoprire che è il premier, e Shooting Silvio di Berardo Carboni, in cui il protagonista ne progetta volontariamente l’assassinio. Presentato con clamore alla Berlinale 2005 e mai distribuito in Italia, Bye Bye Berlusconi di Jan Henrick Stahlberg metteva in scena il rapimento dell’allora premier e l’uccisione delle sue guardie del corpo. Videocracy è il documentario del 2009 di Erik Gandini che esplora con grande efficacia il potere mediatico del fondatore di Mediaset. Arianna Finos, la Repubblica 6/9/2016