19 ottobre 2016
Deflazione per LaVerità– A settembre l’Italia è uscita dalla deflazione, registrando un +0,1% rispetto allo stesso mese del 2015
Deflazione per LaVerità– A settembre l’Italia è uscita dalla deflazione, registrando un +0,1% rispetto allo stesso mese del 2015. Ovvero i prezzi, rispetto al settembre dello scorso anno, sono leggermente aumentati. La deflazione ha fatto il suo ingresso in Italia nell’agosto 2014 (non succedeva dal 1959) e in questi due anni ci ha trasformati, tra le altre cose, beffardamente, in un paese con un gigantesco potere di acquisto. Detta in un altro modo: mentre la deflazione, questa specie di anoressia dell’economia, ha messo in ginocchio il tessuto produttivo nazionale, gli italiani sono diventati sempre più ricchi. E proprio pochi giorni fa l’Istat ha registrato un nuovo passo avanti del potere d’acquisto delle famiglie consumatrici che nel secondo trimestre 2016 è aumentato su base annua del 2,9%, la variazione positiva più consistente dal 2007. Ma se la deflazione ha aumentato il potere di acquisto, perché le famiglie italiane continuano a non spendere? E perché l’aumento del reddito disponibile non va in consumi bensì in risparmio? La spiegazione c’è. PREZZI Tutti sanno che cos’è l’inflazione: si ha quando i prezzi aumentano. E la deflazione è intuitivamente il suo contrario: si ha quando i prezzi calano. Quello che un anno fa potevi comprare con 100 oggi lo puoi comprare con 98. Inflazione e deflazione vengono misurate in Italia dall’Istat che monitora l’andamento dei prezzi di un certo numero di beni, detto paniere. IDEALE A occhio, l’idea di un sistema economico dove, mese dopo mese, i prezzi continuano a diminuire, sembra ideale. Ma non è così. In linea generale è corretto affermare che un’economia sana nell’ambito di una crescita economica equilibrata e sostenibile produce una leggera inflazione. È quindi lecito affermare che uno scostamento evidente da uno stato di leggera inflazione è sintomo di un problema a livello economico. I possibili stati patologici sono quindi due: un’inflazione eccessiva e la deflazione. MINUTI L’inflazione eccessiva è fenomeno dovuto al surriscaldamento di un’economia (una crescita troppo veloce e caotica) oppure a uno shock valutario che porta una forte e prolungata svalutazione di una moneta con inevitabile ricaduta sul livello dei prezzi. Un esempio che si cita in questi casi è quello dell’iperinflazione che colpì la Repubblica di Weimar dove, nel novembre 1923, i prezzi aumentavano ogni cinque minuti e per avere 1 dollaro servivano 4.200.000.000.000 marchi. ASPETTATIVE La deflazione è un fenomeno che può attivarsi in conseguenza di vari scenari economici negativi, sui quali ancora non sono nemmeno tutti concordi, ma che innesca ogni volta il medesimo circolo vizioso. Prezzi in calo generano un’aspettativa di ulteriori cali, questo porta i singoli individui a posticipare gli acquisti e la somma di queste aspettative comportano una diminuzione generale dei consumi. Per paradosso in una situazione in cui gli acquisti diventano più convenienti la gente non compra, anzi si sforza a risparmiare. KEYNES L’aumento del risparmio, diceva Keynes, è la caratteristica peculiare dell’inizio di una crisi. Infatti il calo dei consumi ha una ripercussione sulle imprese che, da parte loro, non riuscendo a vendere a determinati prezzi i propri beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori. Questo fa sì che sia margini che fatturati diminuiscano e le imprese siano costrette a ridurre i costi, poi a licenziare e infine a chiudere. Abbiamo così nuovi disoccupati che non avranno più un reddito da spendere in consumi, l’aumento dei disoccupati impedirà la salita dei salari di quelli che lavorano, dando così nuovo carburante al processo deflattivo. DEBITI E non è finita. La deflazione è un grosso problema per quei Paesi che hanno una bassa crescita e un debito pubblico elevato, come l’Italia. Il rapporto debito/Pil è formato da un numeratore – il valore del debito – e da un denominatore – il Pil. Più è alta l’inflazione più il denominatore sale, anche in assenza di crescita reale, per il solo fatto che i prezzi aumentano. Nella stessa situazione, con il Pil reale fermo o in crescita molto bassa, se c’è deflazione il Pil nominale cala, rendendo il rapporto debito/Pil sempre più elevato e potenzialmente ingestibile. Così le scelte politiche ricadono direttamente sui cittadini in termini di aumento di tasse e diminuzione dei servizi. CROLLO Nel 2011, periodo di forti tensioni, sembravano esserci le condizioni per un possibile crollo disordinato dell’euro con possibili derive iperinflazionistiche per paesi fragili come l’Italia. La forte pressione tedesca verso una politica restrittiva, la caduta di Berlusconi con l’effettivo commissariamento dell’Italia ad opera del governo Monti e (soprattutto) il «whatever it takes» di Mario Draghi dell’estate 2012 hanno dato modo alla zona euro di passare il guado e scongiurare il pericolo. Di contro questo processo ha portato alla vittoria della visione tedesca e delle sue politiche deflazioniste sull’Europa: compressione dei consumi, riduzione della domanda, blocco dei salari. DRAGHI Nel marzo 2015 Mario Draghi è riuscito finalmente a vincere le resistenze tedesche e a imporre anche in Europa la necessità di creare moneta allo scopo di prevenire un avvitamento di prezzi verso il basso: il noto Quantitative easing. Che ha inniettato liquidità nel sistema al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, poi saliti a 80 dal marzo 2016. Draghi sostiene che il Qe non si fermerà finché l’inflazione dell’Eurozona non tornerà a sfiorare il 2%. Nel marzo 2015 l’inflazione europea era a -0,08%, nell’agosto 2016, dopo un anno e mezzo di Qe e nuova liquidità per oltre 1.000 miliardi di euro, era allo 0,24%. Molti sospettano che stampare moneta sia uno strumento sempre meno efficace per combattere la stagnazione nelle società anziane dell’Occidente (vedi articolo a fianco). Forse è vero. Ma il problema è che nessuno ne ha inventato uno migliore. *** Secondo Fed e Bce, il tasso di inflazione di una economia sana è tra l’1,5 e il 2%. È per questa ragione che il mandato delle banche centrali è utilizzare le politiche monetarie per tenere sotto controllo quella soglia evitando che vada più in alto o più in basso. La cura per contenere l’inflazione è nota: aumentare i tassi di interesse per ridurre la liquidità in circolazione. Si sa che funziona, anche se gli effetti collaterali sono pesanti (disoccupazione). La cura contro la deflazione invece ha una casistica senza successi. Il Giappone è dal 2000 che ci combatte senza soddisfacenti risultati. Con lo stesso problema ora si stanno misurando la Bce e altre banche centrali. Un’esperienza del passato che ha qualche somiglianza con quella di oggi non è finita bene. Era la fine del XIX secolo e le merci a basso costo provenienti dall’America gettarono l’Europa nella deflazione. Durò parecchio, finché la corsa agli armamenti non dette una scossa all’occupazione e alla domanda. Si uscì dalla deflazione e si arrivò alla guerra. Se non è il caso di replicare, quell’esperienza può comunque aiutare nella diagnosi. Allora la colpa fu dei cereali americani. Allo stesso modo possiamo dedurre che la seconda globalizzazione, quella della fine del XX secolo, con l’invasione delle merci a basso costo provenienti dai paesi emergenti, è stato un fattore determinante nel comprimere l’inflazione anche quando in Occidente consumi e occupazione crescevano. Quell’impatto è ancora in atto, ma la globalizzazione questa volta non è la sola forza in azione e neanche la più potente. Accanto c’è la tecnologia. L’automazione della manifattura ha spinto in basso i costi di produzione. Ora siamo nella fase della digitalizzazione, che riduce i costi non solo dei prodotti ma anche dei servizi. Dobbiamo rassegnarci, la digital economy e i nuovi modelli di consumo sono deflattivi. La bassa inflazione e forse la deflazione potrebbero non essere più congiunturali ma strutturali. Dovuti a un cambiamento profondo del modello economico del quale siamo solo all’inizio e il cui impatto tocca non solo i prezzi ma anche la stabilità sociale, politica e geopolitica. Forse, invece di concentrare le forze contro la tendenza deflazionistica, conviene piuttosto utilizzare gli strumenti della politica monetaria per convivere con Amazon, Uber e AirBnb il meglio possibile.