Roberto Bertinetti, Il Messaggero 19/10/2016, 19 ottobre 2016
LA SCRITTRICE CHE VISSE DUE VOLTE. LA BIOGRAFIA DI DAPHNE DU MAURIER ALZA IL SIPARIO SULL’ESISTENZA ARISTOCRATICA E DORATA, MA ANCHE OSCURA E TORBIDA DELL’AUTRICE BRITANNICA. FIRMÒ MOLTI BEST SELLER, DIVENTATI FILM CULT CON LA REGIA DI HITCHCOCK: DA REBECCA A GLI UCCELLI
Cresciuta in un mondo dorato pieno di aristocratici dai doppi cognomi, di brillanti attori e di arguti uomini di lettere, Daphne du Maurier - di cui ora Beat propone Jamaica Inn, uno dei suoi maggiori successi apparso nel 1935 (279 pagine, 14 euro) - cominciò presto ad avvertire il fascino della finzione. Ricorda Tatiana De Rosnay nella biografia uscita per Neri Pozza (Daphne, 427 pagine, 18 euro) che mentre il padre deliziava gli spettatori edoardiani accorsi al Wyndham’s Theatre di Londra, lei trascorreva intere giornate provando i testi di James Barrie - l’autore di Peter Pan era un amico di famiglia - oppure immedesimandosi negli eroi della narrativa per ragazzi. Tornando con la memoria a quel periodo in una Cornovaglia magica - un volume composto prima di morire nel 1989 e ora ristampato nel Regno Unito da Virago in una nuova collana che l’ha rilanciata ai vertici delle classifiche - Daphne sostiene di aver compreso grazie all’esempio paterno che «la vita sta nel fingere di essere qualcun altro», visto che, in caso contrario, «è una cosa piuttosto noiosa». Quindi aggiunge: «Non ero mai me stessa. Ero qualsiasi personaggio di cui stessi leggendo o per il quale provassi interesse al momento. In seguito, quando cominciai a scrivere, i diversi protagonisti presero forma di fronte a me mentre diventavo ciascuno di loro».
LA CARRIERA
A questo principio la secondogenita di uno dei più grandi attori dell’Inghilterra di inizio secolo non ha mai smesso di ispirarsi nel corso di una lunga e fortunata carriera letteraria che le ha consentito di diventare autrice ancora oggi cara a un pubblico femminile non solo britannico. Romanzi come Spirito d’amore, con il quale esordì nel 1931, Rebecca, portato sugli schermi da Hitchcock, Mia cugina Rachele o Il capro espiatorio devono il loro largo successo internazionale a scelte stilistiche che consentono alle lettrici un agevole processo di identificazione con le eroine. Anche la sua vicenda privata, sottolinea la figlia Flavia in Daphne de Maurier. A Daughter’s Memoir (Mainstream Publishing), assomiglia a quella delle donne al centro dei romanzi, al punto che spesso gli studiosi l’hanno definita «la quintessenza dell’inglese romantica».
Bellissima, colta e intelligente, fu educata privatamente a Parigi e a Berlino, nel 1932 si innamorò a prima vista, il maggiore Frederick Browning, uno degli ufficiali più giovani dell’esercito britannico, in seguito stretto collaboratore della regina Elisabetta. Si sposarono, e mentre il maggiore Browning vagabondava di guarnigione in guarnigione, lei restava a Menabilly, il suo castello in Cornovaglia, una casa descritta dai testimoni come «un nido di romanticismo», capace di ricordare Rebecca o le atmosfere gotiche del Giro di vite di Henry James, per lei una fonte primaria di ispirazione. Chiarì in un’intervista: «A mezzanotte, quando i bambini dormivano e tutto era silenzioso, mi sedevo al piano, guardavo le pareti ricoperte di pannelli, e Menabilly mi sussurrava i suoi segreti e i segreti si trasformavano in storie».
IL CUORE
A lungo Menabilly costituì il centro della vita intellettuale e affettiva di Daphne du Maurier. Quando fu costretta ad abbandonare il castello dopo la morte del marito la scrittrice confidò agli amici di aver perso la vena narrativa che le aveva permesso di comporre oltre trenta romanzi e numerose raccolte di racconti. Rimase tuttavia legata al paesaggio della Cornovaglia, al quale dedicò più di un volume. Per trascorre gli ultimi anni scelse una casa non lontana dal castello, a Kilmarth, «bagnata dallo stesso mare nel quale Tristano e Isotta perirono uno nelle braccia dell’altra».
Secondo la figlia Flavia, Daphne era anche una donna spesso chiusa in se stessa, con una spiccata predilezione per l’erede maschio. «Il suo senso materno - annota tra l’altro Flavia - venne fuori solo quando nacque Christian. Con me e con mia sorella Tessa non aveva mai mostrato particolare inclinazione verso i bambini. Noi finimmo per rassegnarci all’ingiustizia anche se non sopportavamo il fatto che Christian fosse l’unico essere umano ammesso all’interno della stanza dove lei lavorava». «Non nutro verso di lei alcun risentimento - chiarisce Flavia - È vero, mi ha lasciato sola, specialmente durante i primi anni della mia vita. Ma la adoravo. Quando divenni adolescente prese a spedirmi lunghe lettere intime. E quando c’era, c’era veramente: di lei conoscevamo soltanto il lato solare, il suo buon umore. Il lato oscuro, torbido, della sua personalità è invece finito nei suoi libri. Per fortuna mia e dell’intera famiglia».