Giampiero Gramaglia, Il Fatto Quotidiano 16/10/2016, 16 ottobre 2016
TE LO DO IO IL GOLPE: PIÙ CHE L’ISLAM CONTANO I DOLLARI
Un colpo di coda. O un colpo d’avvertimento. Oppure, un colpo da quattro dinari, giusto per farsi pagare le milizie senza soldo. Khalifa Ghwell ricompare a Tripoli e proclama d’essersi reinsediato, mentre i suoi uomini occupano alcuni ministeri, il Consiglio di Stato e vari edifici amministrativi. Nessuno si fa male, nessuno spara un colpo, tutto è calmo: non si capisce chi comandi, ammesso che comandi qualcuno. Ghwell è il premier dell’ex governo di Tripoli, l’auto proclamato Esecutivo di Salvezza nazionale, islamista e nemico del governo di Tobruk, interlocutore privilegiato della comunità internazionale prima che questa si dotasse di un altro giocattolo, il Governo di Concordia nazionale del premier Fayez al-Serraj.
Dopo essersi insediato ad aprile, mentre Ghwell e le sue milizie sgomberavano il campo, magari temporaneamente, al Serraj a Tripoli ci sta poco: ora è in Tunisia, dove cerca di mettere insieme l’ennesima versione del suo governo e dove, soprattutto, è più sicuro.
Le fonti a Tripoli riferiscono di una capitale apparentemente calma. Ma il fatto che Ghwell abbia potuto inscenare la sua azione, fosse anche solo per ottenere il pagamento delle sue milizie, offre una misura della precarietà della situazione e della fragilità del governo di al Serraj, formato sotto gli auspici dell’Onu e della comunità internazionale, ma mai consolidatosi sul territorio, neppure dopo i successi di milizie a esso collegate contro i jihadisti a Sirte. Debole e diviso, il Governo di Concordia nazionale fatica a imporre la sua autorità in tutto il Paese, anzi non la impone proprio: a est, il generale Haftar ha il suo esercito, che gestisce più in sintonia con l’Egitto che con il governo di Tobruk; al centro, un manipolo di jihadisti a Sirte tiene testa ai ‘lealisti’. Precarietà e sicurezza sono inversamente proporzionali, in un Paese, dove, da un mese, 300 militari italiani sono impegnati ad avviare, gestire, proteggere un ospedale da campo sull’aeroporto di Misurata.
Una fonte libica, citata da Le Monde, dice: “Non ci sono scontri a Tripoli, non c’è stata una reazione e non è chiaro se si sia trattato di un colpo di Stato serio o di una farsa”. Anche media locali e arabi riferiscono di una città calma. Ma molti s’aspettano che il premier al Serraj si mostri, almeno in tv.
Un’altra fonte, citata dall’Ansa, definisce il tentativo di golpe “più un bluff che un colpo di Stato”, innescato dal mancato pagamento della milizia di Ghwell, non più retribuita dal governo al Serraj. Anche di Ghwell s’ignora, al momento, dove sia. In una nota, il Consiglio presidenziale del governo al Serraj condanna “i tentativi di sabotaggio dell’accordo politico” sponsorizzato dalle Nazioni Unite e denuncia come illecita l’occupazione della sede del Consiglio di Stato da parte di un “gruppo armato”, chiedendo che vengano arrestati “quei politici che tentano di creare istituzioni parallele e destabilizzare la Capitale”. Ma a chi lo chiede? Non dovrebbe essere proprio lui a fare rispettare la legalità?
Condanna analoga arriva dall’inviato dell’Onu per la Libia, il tedesco Martin Kobler, che ribadisce il “sostegno al Consiglio presidenziale del Governo di Concordia nazionale” e chiede che si metta fine, “per il bene del popolo libico”, al tentativo di creare “istituzioni parallele”.
Ma siamo da punto a capo: a chi tocca farlo?. A quel Consiglio nazionale che se ne sta a Tunisi. L’Ue depreca il ricorso alla forza e invoca il rispetto degli accordi, mai sottoscritti però da Ghwell e da Tobruk.
Bisogna vedere se e quante milizie siano disposte a sostenere l’islamista Ghwell, fino a scontrarsi con i ‘lealisti’ di al Serraj. E bisogna vedere quale sarà la risposta di Tobruk e del generale Haftar all’appello di Ghwell a formare insieme un governo di unità nazionale; un’ipotesi improbabile, visto che, prima dell’insediamento di al Serraj, Tripoli e Tobruk erano ai ferri corti.