Maurizio Tortorella; Francesco Bisozzi, Panorama 13/10/2016, 13 ottobre 2016
L’ITALIA DEI DRITTI INTOCCABILI
L’ultimo caso è quello dei 2.917 mila dipendenti dell’Ente autonomo Volturno, l’azienda della Regione Campania che a Napoli gestisce la disastrata ferrovia Circumvesuviana, più alcune linee d’autobus. I 2.917 sono insorti contro un insopportabile sopruso: un freno ai viaggi gratis. Avendo trovato debiti per 700 milioni di euro, da un anno il nuovo presidente dell’Eav Umberto De Gregorio cerca infatti di arginare il fenomeno dei passeggeri senza biglietto. Ma quando ai primi di ottobre è stato multato il figlio di un dipendente, che aveva saltato un tornello e rivendicava rumorosamente una prassi decennale di scarrozzamenti a sbafo, al grido «i diritti non si toccano» un sindacato ha proclamato lo sciopero, appellandosi a un Regio decreto del gennaio 1931 che regalava «biglietti di viaggio e buoni per trasporto di bagaglio» a tutti i dipendenti delle aziende di trasporto e alle loro famiglie.
È l’Italia dei privilegi, garantiti e perpetuati dalla prassi o dal potere ricattatorio di una categoria. Perché come accade ormai in tutte le municipalizzate dei trasporti, da Trieste a Roma, sulla Circumvesuviana gli accordi sindacali non prevedono più biglietti gratis almeno dal 2013. Eppure a Napoli i parenti che viaggiano senza pagare sono 10-20 mila l’anno, e il mancato incasso per l’azienda è tra 100 e 200 mila euro. È bastata la minaccia dello sciopero e l’Eav s’è impegnato «a trovare una soluzione entro 30 giorni». Così sulla storia dei biglietti gratis, è probabile, cadrà il silenzio.
In realtà, in Italia, più che i diritti sono i «dritti» che non si toccano. Certe categorie sono abbarbicate ai privilegi come cozze allo scoglio. Non c’è solo la casta dei politici, contro i quali molto s’è scritto negli ultimi anni: ci sono molte riserve che resistono, impavide, a ogni stagione riformatrice.
Il personale di bordo Alitalia e i «biglietti fuori servizio»
Certo, quanto a biglietti c’è chi è messo anche peggio della povera Circumvesuviana. È l’Alitalia, il cui personale di bordo (dagli anni Ottanta) dispone dei cosiddetti «biglietti fuori servizio», cioè passaggi gratis per tutti su tutti i voli. È uno scherzetto, calcola l’amministratore delegato Cramer Ball, che all’azienda costa 2,5 milioni l’anno. Visto che oggi i piloti sono 1.556 e gli assistenti di volo 3.666, incassano a testa un benefit da 480 euro l’anno. Ball vuole ridurre le perdite, che nel 2015 hanno superato i 199 milioni (500 mila euro al dì), e ha detto «basta con questa follia». In settembre ha revocato i voli gratis, però s’è beccato uno sciopero con 200 voli cancellati. E nuove proteste sono già al decollo.
Ma c’è un’incredibile appendice del privilegio. Perché in Alitalia piloti e hostess che usano i «biglietti fuori servizio» non ci pagano nemmeno le tasse aeroportuali, come invece fanno i loro colleghi di altre compagnie. La tassa, versata dai passeggeri, genera 30 milioni l’anno che alimentano il «Fondo di solidarietà del trasporto aereo», usato per ripianare una Cassa integrazione dorata. Il balzello, infatti, garantisce ai soli piloti Alitalia sospesi dal lavoro assegni fra 3 e 20 mila euro lordi al mese, ben superiori a quelli percepiti da altre categorie.
Quei 151 mila ferrovieri-pensionati che dal 2000 ci costano 60 miliardi
Ci sono cassintegrati d’oro e pensionati di platino: sono i 151 mila delle Ferrovie. Inutilmente Tito Boeri, dal 2014 presidente dell’Inps, ha più volte segnalato l’insostenibilità del loro Fondo speciale: gli iscritti sono dipendenti assunti dalle Fs prima del 10 aprile 2000, i dipendenti della Holding Fs assunti anche dopo, e gli ex dipendenti Fs trasferiti ad altre amministrazioni statali che hanno optato per restare nel Fondo speciale ferrovieri. Il problema è che il Fsf, fondato nel 1908, è in rosso dal 1973 e dal 2000 è passato sotto l’Inps. I suoi squilibri gestionali sono a carico dello Stato, che nei 13 anni tra 2000 e 2013 ha versato 50,2 miliardi, cui si stima se ne aggiungeranno 4,5 miliardi nel 2014 e quasi 5 nel 2015.
I risultati sono sempre più negativi anche per lo squilibrio crescente tra iscritti e pensionati: i nuovi assunti dalle società della Holding Fs dopo il 1° aprile 2000 vengono infatti iscritti al Fondo lavoratori dipendenti Fs e non più al Fondo speciale. Per di più, la maggioranza dei ferrovieri con pensioni liquidate tra 2000 e 2014 incassa assegni superiori almeno di un quinto rispetto a quanto otterrebbero con il calcolo contributivo. Se le pensioni dei ferrovieri fossero calcolate col metodo che si applica ad altre categorie, nel 96 per cento dei casi subirebbero un taglio, e il 27 per cento degli assegni calerebbe di un terzo: alla lunga, altri miliardi di euro. Peccato che Boeri parli al deserto.
I magistrati «prestati» alla politica che fanno carriera (da magistrati)
Mon bastano le 1.560 ore di lavoro all’anno, cioè 30 a settimana e 4,2 al giorno. Né gli stipendi notoriamente elevati. Lo scandalo più scandaloso è la carriera garantita a tutti e novemila i magistrati italiani e l’automaticità delle «valutazioni d’idoneità professionale», svolte ogni quattro anni dal Consiglio superiore della magistratura, che invece dovrebbero promuovere soltanto i meritevoli. Il giurista bolognese Giuseppe Di Federico ha calcolato che «dal gennaio 2007 al luglio 2010 il Csm ha fatto 2.297 valutazioni e solo per tre magistrati, di cui uno già in pensione, non sono state positive: poco più dell’1 per mille». Parafrasando una vecchia canzone di Gianni Morandi, insomma, uno su mille non ce la fa: a tutti il Csm regala promozioni sulla base del banale decorrere dell’anzianità di servizio.
Tanta generosità diventa poi paradosso nel caso dei magistrati fuori ruolo (in gennaio si calcolava fossero 236, quelli in aspettativa per mandato politico sono almeno dieci) che da molti anni non esercitano funzioni giudiziarie. L’ultimo caso risale al 15 giugno scorso: il Csm ha deliberato che «la dottoressa Doris Lo Moro, per indipendenza, imparzialità, equilibrio, capacità, laboriosità, diligenza e impegno dimostrati nell’esercizio delle funzioni espletate, deve essere giudicata con esito positivo in ordine al conseguimento della quinta valutazione di professionalità». Così Lo Moro, nata in Calabria 61 anni fa e da 30 in magistratura, è stata promossa giudice di Cassazione, con scatto di stipendio e incremento dei contributi previdenziali.
Eppure, se si escludono gli anni tra 2001 e 2005 spesi come giudice penale a Roma, la dottoressa Lo Moro non fa il magistrato dal dicembre 1993. Ha dedicato la sua vita alla politica: per otto anni è stata sindaco di Lamezia Terme e membro della direzione nazionale dei Democratici di sinistra, poi è passata in Regione Calabria e ha presieduto l’assemblea costituente del Pd. Dall’aprile 2008 è stata premiata con un seggio alla Camera e dal marzo 2013 al Senato, dov’è entrata sull’onda di una campagna giocata sullo slogan «L’altra Calabria è fimmina».
È vero, certi suoi colleghi la battono di gran lunga: la recordwoman è Anna Finocchiaro, che con sette «valutazioni di professionalità» positive è in Parlamento dal giugno 1987. E non è detto che un politico non possa essere indipendente, equilibrato, capace, laborioso, diligente e impegnato. Ma su quale «professionalità» può esprimersi il Csm, visto che non ci sono né sentenze, né ordinanza né ricorsi, né altra attività giudiziaria da valutare? Resta poi il problema dell’«imparzialità». Lasciamo perdere divieto d’iscriversi a partiti. Questi magistrati-politici fanno politica attiva: siedono in Parlamento per un partito, in nome del quale propongono leggi e votano su questa o su quella materia (il 26 novembre 2013, per esempio, Lo Moro annunciò il convinto Sì del Pd alla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi). È corretto che avanzino in carriera perché «equilibrati e imparziali»?
Deputati assicurati a nostre spese perfino contro la sommossa
Ogni anno 11 milioni di italiani rinunciano alle cure per carenza di risorse, ma senza saperlo partecipano a pagare 350 mila euro per assicurare i 630 deputati. Ed è una superpolizza: tra gli infortuni coperti figurano asfissie, avvelenamenti, intossicazioni, perfino colpi di sole, malattie tropicali e punture d’insetti. I parlamentari sono assicurati persino contro gli infortuni causati o subiti in stato di ebbrezza o «imputabili a colpa grave dell’assicurato», oltre che per quelli avvenuti «in occasione di sommosse e tumulti popolari», e poco importa se il privilegio giustificherebbe da solo una mezza insurrezione. La Camera assicura rimborsi sanitari non solo agli onorevoli, ma anche ai loro familiari. Ogni anno l’assemblea di Montecitorio versa poco più di 1,2 milioni di euro in premi: il ricco «Fondo di solidarietà tra i deputati» potrebbe coprire l’intera spesa, invece i contribuenti (ma forse si chiamano così per quello) contribuiscono per quasi un terzo.
Sindacalisti in liberissima uscita
Centosedici milioni di euro: è quanto incassano i sindacalisti per non andare in ufficio nella pubblica amministrazione. Insomma, è il costo annuale di permessi e distacchi sindacali. I primi consentono di lasciare il posto di lavoro per partecipare a riunioni degli organismi direttivi del sindacato, mentre i secondi danno diritto a svolgere attività sindacale a tempo pieno o part-time ed equiparano il periodo trascorso fuori dall’ufficio all’orario di servizio.
Si dirà: il loro un diritto «politico» inalienabile. E infatti è così. Ma qualche eccesso c’è... All’Atac, l’azienda municipale dei trasporti romana che da tempo occupa le cronache perché a un passo dal fallimento, i distacchi sindacali nel 2016 costeranno oltre 3,7 milioni. È come se pagasse 82 dipendenti che non lavorano.
Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, due anni fa aveva deciso il taglio del 50 per cento di permessi e distacchi, ma nel 2016 il risparmio proclamato è stato solo di 12 milioni.
Consiglieri regionali, sindaci e retribuzioni col trucco
Dal 2010 al 2016 il compenso medio lordo mensile dei consiglieri regionali è diminuito da 12.793 a 10.210 euro. Il calo, però, è stato del 20 per cento sul lordo, ma soltanto del 5 per cento sul netto. Magia? Macché. Le buste-paga sono composte dalle indennità (tassate) e dalla diaria per l’esercizio di mandato (esentasse). Per sfuggire ai tagli, mentre si riducevano le indennità di carica, aumentavano i rimborsi spese. Risultato: in nove Regioni su 20 (Lazio, Piemonte, Toscana, Umbria, Veneto, Basilicata, Molise, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo) i compensi netti dei consiglieri regionali quest’anno sono stati addirittura più elevati rispetto al 2010.
Ed è vero che ora la discussa riforma costituzionale renziana stabilisce che l’indennità dei consiglieri non potrà superare quella attribuita ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. Ma almeno in Trentino-Alto Adige hanno già trovato la scappatoia: visto che il sindaco di Trento, che è capoluogo di Provincia e di Regione, guadagna «solo» 8.770 euro lordi al mese, mentre quello di Bolzano ne incassa 12.380, si è deciso di fare una media tra i due per portare l’asticella a 10.575 euro, che è più di quanto prendono i consiglieri della Regione autonoma. E poi non volete chiamarli «dritti»?