Alberto Crespi, l’Unità 14/10/2016, 14 ottobre 2016
PETRARCA, PLUTARCO E DANTE ALLA CORTE DEL RE DI DULUTH
Partiamo da un aneddoto che, se a Stoccolma fossero dei pedanti, potrebbe causare la revoca del premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Lo si trova narrato in varie fonti: la nostra è l’imprescindibile La voce di Bob Dylan di Alessandro Carrera (Feltrinelli, 2011).
Tangled Up in Blue è una delle sue canzoni più belle e misteriose, inclusa nell’album Blood on the Tracks, 1975. Parla, come spesso in Dylan, di una donna “mutante”, enigmatica, inafferrabile. A un certo punto l’Io narrante dice: «Then she opened up a book of poems / And handed it to me / Written by an Italian poet / From the thirteenth century / And every one of them words rang true / And glowed like burnin’ coal / Pourin’ off of every page / Like it was written in my soul from me to you / Tangled up in blue».
Prendiamo la traduzione da Carrera, che ha eroicamente traslato Dylan in italiano in numerose occasioni: «Lei aprì un libro di poesie e me lo diede, scritte da un poeta italiano del XIII secolo. E ogni parola mi suonava vera e luminosa, come se dalle pagine traboccassero carboni ardenti, come se mi stesse scritta nell’anima, da me per te, aggrovigliati alla malinconia».
In fissa per il XIII secolo
La domanda che tutti i dylaniani si fanno da sempre è: chi è il poeta italiano? Il XIII secolo, tanto per non sbagliarsi, è il Duecento. La scelta non è vastissima: Dante, Cavalcanti, Guinizelli, Cecco Angiolieri, pochi altri. Magari San Francesco? Jacopone da Todi? La cosa, si complica sapendo, come scrive Carrera, che nella primissima versione della canzone Dylan cantava “fifteenth”, XV: quindi Poliziano, o il primo Ariosto. Ma rimaniamo al XIII secolo. In un’intervista del 1978 sul New Musical Express, il giornalista Craig McGregor glielo chiede e lui risponde: Plutarco! Qui c’è uno dei misteri filologici più intricati del XX secolo: in inglese “Plutarch” suona molto simile a “Petrarch”, e quindi è assai probabile che Dylan alludesse a Petrarca ma che o lui, o McGregor, o tutti e due si siano confusi. Fermo restando che Petrarca è un poeta italiano... del XIV secolo! Del Trecento! Ve l’avevamo detto: se a Stoccolma se ne accorgono, ritirano il premio.
Mica finisce qui, questa storia. Tangled Up in Blue è uno dei pezzi che Dylan esegue più spesso dal vivo, e quel passaggio, negli anni, è cambiato più volte. In svariate occasioni il poeta diventa Charles Baudelaire, sicuramente uno degli autori che il neo-Nobel conosce meglio. Altre volte (tutte documentate in concerto!) il poeta è diventato il Vangelo di Matteo. Carrera spiega che a Houston, il 26 novembre 1978, Dylan cantò: «...lei aprì la Bibbia e cominciò a citarmi Matteo, versetto 3, capitolo 33». Bella numerologia, tutta basata sul sacro numero 3: peccato che il Vangelo di Matteo abbia solo 28 capitoli.
Un’altra volta ancora ha citato il libro di Geremia. E finché è la Bibbia, sempre Carrera ha buon gioco nel ribadire: «Sarebbe troppo poco dire che Dylan legge la Bibbia, cita dalla Bibbia... Dylan è letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e con la Bibbia risorge alla superficie». E naturalmente si parla della Bibbia di Re Giacomo, che fa capolino ovunque nelle sue canzoni e che in inglese è scritta in una lingua lirica e meravigliosa, assai più densa e pervasiva rispetto alle traduzioni italiane.
Tornando al poeta italiano, nel 2000 – scrivendo un pezzo per la rivista Q – Bono, il cantante degli U2, ha tagliato corto: «Naturalmente quel poeta italiano è Dante. Ogni parola scritta da Dante era indirizzata alla sua musa, Beatrice, e c’è una Beatrice nella maggior parte delle canzoni di Dylan». Le cose si fanno interessanti. In primis. Dante copre due secoli: nato nel 1265, morto nel 1321, è attivo come poeta sia nel XIII che nel XIV secolo. Inoltre, il riferimento a Beatrice è calzante. Sappiamo benissimo che la Beatrice dantesca è la sublimazione letteraria di una figura che, di storico, ha ben poco. In Dylan le donne a cui sono rivolte le canzoni sono fantasmi letterari: come la cameriera che, nel testo di Highlands, prima vuole che lui le faccia il ritratto e poi lo insulta perché non legge romanzi scritti da donne; e lui ribatte «ho letto Erica Jong», giocando sull’assonanza con il cognome di un amico e collega – Neil Young – che ha citato, caso più unico che raro, pochi versi prima all’interno della stessa canzone.
Che Dylan amasse Rimbaud, è noto da sempre. Che volesse essere Rimbaud è testimoniato dalla sparizione dopo Blonde On Blonde (il famoso, misterioso incidente in moto). Che sappia a memoria Baudelaire è altrettanto inoppugnabile. Studiosi/detective hanno rintracciato citazioni da Blake, Browning, Yeats, Whitman, Cummings, Ginsberg. E non dimentichiamoci di «Ezra Pound and T.S. Eliot fighting in the captain’s tower», i due poeti che «litigano nella torre del capitano» nel testo di Desolation Row. Tutto questo per dire cosa? Per dire che, quando pensa “letterariamente”, Dylan pensa da poeta.
Con i romanzieri premiati dal Nobel, non c’entra nulla. Semmai c’entra con i poeti che hanno vinto, con Tagore, Yeats, T.S. Eliot (appunto!), Quasimodo, Pastemak, Seferis, Neruda, Montale, Heaney, Szymborska... Secondo noi Dylan, accanto a loro, non sfigura. Anche se forse una volta ha confuso Petrarca con Plutarco.