Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 14/10/2016; Luca De Biase, Il Sole 24 Ore 14/10/2016; Luca Tremolada, Il Sole 24 Ore 14/10/2016, 14 ottobre 2016
ARTICOLI SUL MAXI-CAVO INTERNET DI GOOGLE E FACEBOOK – Marco Valsania, Il Sole 24 Ore Facebook e Alphabet dominano ormai da tempo l’autostrada elettronica quando si tratta di utenti e pubblicità che vi corrono sopra
ARTICOLI SUL MAXI-CAVO INTERNET DI GOOGLE E FACEBOOK – Marco Valsania, Il Sole 24 Ore Facebook e Alphabet dominano ormai da tempo l’autostrada elettronica quando si tratta di utenti e pubblicità che vi corrono sopra. Adesso puntano sempre più a regnare anche sui “nastri d’asfalto” di internet, ultimo passo della tendenza dei giganti hi-tech a unire le forze software e hardware, di servizi e infrastrutture, di cui sono diventati capaci grazie alla loro espansione. Il leader dei social network e quello dei motori di ricerca (con la controllata Google) hanno deciso di unirsi in una nuova partnership con una meno conosciuta società cinese per adagiare sul fondo dell’Oceano Pacifico un cavo che sarà in grado di performance ad altissima velocità e potenza nel trasporto di dati e informazioni nel collegare Los Angeles e Hong Kong. La realtà dell’innovazione è riassunta forse meglio che dalle parole da una cifra: il “cable” sottomarino avrà una capacità di 120 terabit al secondo, stando a quanto rivelato dallo stesso responsabile della divisione Google Networking Infrastructure, Brian Quigley. Vale a dire il doppio dell’attuale record nella regione asiatica detenuto da un cavo a sua volta targato Google - chiamato Faster - che già da fine giugno collega gli Stati Uniti al Giappone, per la precisione, coprendo i 9.000 chilometri che separano l’Oregon dalle prefetture di Chiba e Mie. Anche se non batterà invece il cavo già annunciato e in costruzione da parte di un’alleanza tra Facebook e Microsoft sui fondali dell’Atlantico, che prevede ben 160 terabit al secondo tra America e Europa. I due colossi dell’economia digitale Google e Facebook, assieme alla rinata Microsoft, stanno investendo centinaia di milioni di dollari nel dare vita a simili infrastrutture per la rete con l’obiettivo di rafforzare il traffico sul Web e sostenere così direttamente e con maggior affidabilità le loro crescenti ambizioni. Mosse che ormai spiazzano i tradizionali protagonisti di simili scommesse e di ingenti investimenti nei network, quali sono le grandi società di telecomunicazione, alle quali mirano di fatto sempre più a sostituirsi. Google ad oggi ha quote di proprietà in ben sei sistemi di cavi sottomarini su scala internazionale: Unity, Sjc, Faster, Monet and Tannat. Facebook, da parte sua, ha iniziato a dare vita fin da agosto con Microsoft al cavo lungo 6.598 chilometri che collegherà il Nuovo e il Vecchio continente entro l’ottobre del 2017, se saranno rispettate le scadenze previste, che è stato battezzato Marea. Questo cavo, che sarà fisicamente collocato dalla Telxius del gruppo Telefonica, unirà la Virginia alla Spagna e ha in seguito l’obiettivo di estendere le sue ramificazioni verso Africa, Medio Oriente e anche Asia. Già al momento il 60% della capacità di traffico transatlantico, calcolano gli analisti, viaggia su simili network privati. La nuova “tratta” in arrivo tra Los Angeles e Hong Kong avrà una lunghezza complessiva di 12.800 chilometri e il partner locale è la neonata Pacific Light Cable Network, una controllata della Pacific Light Data Communications, che darà anche il nome al progetto. Il cavo sarà in fibre ottiche e per la regione rappresenta un salto di qualità, ad esempio in grado di reggere contemporaneamente 80 milioni di chiamate in video-conferenza ad alta definizione e di garantire un sostegno senza precedenti ai servizi cloud che sono diventati la nuova frontiera digitale e sui quali Google punta. La costruzione vera e propria dell’infrastruttura è stata affidata alla TE Subcom, una controllata del gruppo svizzero TE Connectivity che ha ottenuto il contratto. L’obiettivo è a sua volta super-rapido: il cavo dovrebbe arrivare al traguardo e essere operativo nel 2018. *** Luca De Biase, Il Sole 24 Ore La crisi riduce il commercio di beni e gli scambi di titoli finanziari, ma il valore dei dati che circolano sull’internet globale cresce: del 45% in 10 anni, dice McKinsey. Sicché i signori del digitale, come Google e Facebook, devono investire nelle infrastrutture. Come il cavo tra Hong Kong e Los Angeles. Già. L’economia immateriale ha un peso crescente. Viaggia sulle tecnologie digitali, trasforma i settori industriali, genera e distrugge ricchezza. Negli ultimi 10 anni, appunto, il flusso di beni e di titoli finanziari non è cresciuto mentre il flusso di dati è aumentato del 45%, secondo il McKinsey Global Institute, che inoltre registra come la crescita del Pil globale dovuta ai flussi di dati abbia raggiunto il valore di 2,8 milioni di milioni di dollari, producendo un impatto maggiore del commercio internazionale di beni fisici. La fame di infrastrutture digitali è alimentata dalla crescita delle transazioni che si svolgono sulle grandi piattaforme. E non per nulla, Google e Facebook hanno deciso di partecipare all’investimento da 400 milioni della Pacific Light Data Communication per costruire il Pacific Light Cable Network, il cavo da 12.800 chilometri che unirà a iper velocità Hong Kong e Los Angeles. Del resto, la stessa Facebook, assieme a Microsoft, aveva deciso nel maggio scorso di investire nella posa di un cavo sotto l’Atlantico gestito da una società della Telefonica. I grandi fornitori di servizi online generano la gran parte del traffico di dati e possono espandere il business soltanto se il pianeta è connesso. Sicché investono sempre di più nelle infrastrutture fisiche: cavi sottomarini, satelliti, palloni aerostatici, ogni soluzione è buona per placare la loro fame di mezzi di trasporto di dati. I flussi di dati aggiungono un 10% al valore del Pil globale, sempre secondo McKinsey. Banche, turismo, media e molte altre industrie hanno già vissuto le conseguenze dirompenti dell’avvento delle reti digitali. Ma ora si passa alla manifattura: dati, sensori, algoritmi e robot stanno rivoluzionando il modo di produrre e progettare i beni fisici. Mentre la scienza a base di tecnologie digitali non cessa di aprire nuove frontiere, nelle nanotecnologie, nella genetica, nella fisica dei quanti e delle particelle, nelle neuroscienze, nei viaggi spaziali. Tanto che il problema contemporaneo del digitale non è certo più quello di prepararsi al suo avvento futuro: il problema è quello di comprendere ciò che è già avvenuto per adattare i progetti economici al nuovo scenario esistente. Com’è fatto questo scenario? Per esempio, ormai si è capito che il digitale polarizza: chi vince in una categoria di servizi digitali tende a dominarla diventando un gigante, per l’effetto-rete che favorisce la soluzione più diffusa. Sicché, per esempio, Google e Facebook diventano enormi e spaventano tutte le aziende adiacenti al loro percorso di crescita. E sicché un errore alla Samsung sulle batterie di un modello di telefono può determinare una revisione delle stime di crescita di un’intera nazione come la Corea del Sud. Un paese che non stia a pieno titolo nei flussi di dati, perché non ha infrastrutture e cultura digitale, è destinato a perdere opportunità. L’Italia comincia a capirlo. Perché paga da tempo il suo colpevole ritardo digitale. *** Luca Tremolada, Il Sole 24 Ore Verrebbe da chiosare che gli Over-the-top (Ott) si sono stancati di stare over the top, cioè di dover dipendere dall’infrastruttura: se la possono comprare. Il confronto-scontro tra big di internet e telecom sembra ormai avere un vincitore. Del resto che Google, Facebook, Microsoft si fossero stancati dal dover dipendere dagli operatori di tlc era già chiaro da tempo. Per accorgersi bastava leggere le cronache dei Mobile world congress con i padroni del tubo (carrier) da una parte e i produttori di servizi e applicazioni dall’altra. Con i primi, gli Ott, che negli anni hanno visto ingigantirsi i propri volumi di dati e di affari offrendo servizi sempre più innovativi e più “pesanti” in termini di traffico. Non hanno a proprio carico i costi relativi alla trasmissione ed alla gestione della rete (come per la tv tradizionale via digitale terrestre e via digitale satellitare), si possono rivolgere a un mercato globale con spese di gestione e organici ridottissimi. Mentre i secondi, gli operatori sempre meno centrali e sempre più schiacciati contro il muro, con margini ridotti all’osso e senza una visione di crescita capace di sollevarsi al di sopra delle offerte commerciali di traffico internet. Basti considerare solo ai servizi offerti dalle tre piattaforme tecnologiche citate, e cioè Google, Facebook e Microsoft. Il primo offre il motore di ricerca più potente e popolare del mondo, Gmail, Google Docs, Google Maps e decine di altre servizi. Microsoft offre il suo motore Bing, Office 365 e soprattutto uno dei più imponenti servizi di cloud computing per le imprese (Azure cloud services) . Facebook ha semplicemente da gestire un social network che intrattiene qualcosa come 1,7 miliardi di persone. Più Facebook Messenger, WhatsApp e Instagram. La mole di dati che devono gestire solo questi tre giganti non ha precedenti nella storia della tecnologia. Non è la prima volta che Google, Facebook, come del resto Microsoft, investono in infrastrutture per sostenere la domanda crescente dei loro servizi nel mondo. Solo a scandagliare i fondali marini si scopre che Pacific Light Cable Network è solo il cavo in fibra ottica più veloce della storia per connettere via internet Hong Kong e Los Angeles. Ma non l’unico. Facebook e Microsoft a maggio dell’anno scorso hanno annunciato la posa di altro un cavo sottomarino, Marea, di 6.600 chilometri. La metà di quello che unirà la Cina e gli Stati Uniti. Si prevede sia completato tra un anno nell’ottobre 2017. Non si tratta di casi singoli. Secondo Telegeography (si veda infografica sopra), società di ricerca e di consulenza che ha realizzato ad oggi una delle mappe più esaustive dei cavi internet sottomarini (https://www.telegeography.com/telecom-maps/submarine-cable-map/index.html), più di due terzi dei dati digitali in movimento attraverso l’Atlantico viaggia su reti gestite da Ott e quindi su cavi privati. Del resto perché “affittare” fibra da chi si occupa della manutenzione del “tubo” quando hai le risorse economiche per avere la tua infrastruttura? Questa domanda aleggia come un mantra strano ad ogni Mobile world congress. Durante quell’appuntamento annuale operatori delle tlc e giganti del web si possono guardare dritti negli occhi. Due anni fa chi si ricorda chi pronunciò queste parole?: «Tutti meritano di essere connessi... La connessione è un diritto umano... Vogliamo offrire internet a cinque miliardi di persone al mondo che al momento non hanno accesso alla rete». Era lui, Mark Zuckerberg, che chiedeva per la prima volta aiuto agli operatori di tlc per il suo progetto Internet.org. La reazione da parte dei carrier in sala non fu delle più entusiastiche, per usare un eufemismo. «Zuckerberg è come il ragazzo che viene alla tua festa e beve il tuo champagne, bacia le tue ragazze e non porta nulla», aveva dichiarato al Wall Street Journal Denis O’Brien, presidente del gruppo Digicel che raccoglie 33 provider dal Sud America ai Caraibi. L’anno dopo a poche stanze di distanza, mentre da Deutsche Telekom a Telefonica, da Vodafone a Orange, le grandi telco del nostro continente chiedevano all’Unione europea regole uguali ai servizi di messaggistica e chiamate vocali Over the top, come WhatsApp, Sundar Pichai il ceo di Google annunciava il suo progetto, più volte ipotizzato dai media statunitensi, di diventare un operatore mobile virtuale e cioè fornitore di connettività wireless. La notizia non fu presa bene. Eppure, l’espansione della grandi piattaforme nel mondo delle tlc sembra difficilmente arginabile. L’ultimo indizio è di pochi giorni fa. Secondo il Washington Post, Facebook sarebbe pronta a diventare un vero e proprio internet provider. Sarebbe in corso una trattativa con il governo e gli operatori telefonici statunitensi per offrire accesso gratuito a internet attraverso il suo servizio ’Free Basics’, una costola di Internet.org. Il programma sarebbe rivolto alle persone meno abbienti del paese e alle aree rurali degli Usa ed è stato già testato nei Paesi in via di sviluppo.